Se ci fosse un modo giusto per descriverlo, lo lascerei qui per estrarlo e assaporarlo ogni tanto, sgranocchiando le sue ossa e succhiando il suo midollo fino a quando non abbia la mia dose di parole. Però a volte le parole non sono sufficienti a illustrare e mostrare con esattezza i sentimenti.
Nel modo in cui mi presento, è chiaro: Le emozioni sono il mio padrone. Controllano ogni aspetto di me, al punto che a volte mi sento come se consegnassi sfacciatamente tutto il mio autocontrollo a loro. Sono come l'olio per gli ingranaggi che girano in ogni parte del mio corpo; se non provo un'emozione intensa per qualche tempo, si arrugginiscono. Perfino una prova profondamente negativa può farli funzionare senza problemi di nuovo.
Ma con lui, non ne ho avuto bisogno. Lui è la mia dose quotidiana di sentimenti.
A volte lo travolge, mi dice, il mio infinito carico di sentimenti. Ma lui sorride in quel suo modo delicato, arruffa un po' i capelli, e scuote dolcemente la testa.
C'è stata una volta in cui eravamo seduti sulla spiaggia, le nostre dita si sfioravano come piume, le dita dei piedi immerse nella sabbia sudicia. Era mezzogiorno e faceva caldissimo, ed eravamo lì per approfittare della brezza compassionevole. Lui intrecciò le dita tra le mie e le allungò verso il cielo, passandosele giù lungo il mio palmo fino a quando mise a conca le mie dita con le sue, come un vasaio che scolpisce una scodella di creta.
«Hai in mano tanta Luce, Hikari-chan» bisbigliò lui.
La scodella era traboccante di sole. Potevo quasi sentirlo scottarmi la pelle.
Mi guardò con occhi traslucidi—lo sguardo che invia un tremito di onestà pura a pulsare attraverso i miei nervi—e disse semplicemente, «In qualunque momento in cui dubiti di te stessa, o in qualunque momento in cui puoi mai pensare per un secondo che lascerei che qualcuno ti faccia del male, ricorda che per me, tu hai sempre il sole.»
Un pulsante si premette da qualche parte dentro di me, e questa volta ero io quella che era sopraffatta con la netta sensazione di essere adulata. Era un misto fra shock e congelamento nel ghiaccio—non riuscivo a muovermi, ma tremavo. Cercai di dire qualcosa, ma era come se ci fosse dell'acqua a bloccarmi la gola. E non volevo che le mie parole uscissero a gorgoglii e suonassi ridicola.
Ma non ci può essere una scodella senza il vasaio a farla, pensai tra me e me, mentre le parole non riuscivano a emergere.
Lui mi sorrise di nuovo e si sdraiò, i capelli che si mescolavano con la terra, lasciando il mio braccio in aria mentre ammirava la sua opera. Guardai in alto e mi fermai per un attimo, strizzando gli occhi verso sole accecante, ma poi portai il mio sguardo giù lentamente a soffermarsi di nuovo sulle sue dita, calde e formicolanti. Tutto ad un tratto, notai l'incrinatura minuscola di un'unghia, le rughe scolpite nel mio palmo, l'inchiostro residuo penetrato nella mia pelle, ma—in qualche modo—per lui, la Luce offuscava tutte le mie imperfezioni.
A volte penso che Takeru-kun sia più idealistico di me.
Ed io sono la definizione dell'Idealista.
