Eccoci qui con una nuovissima storia! Vi anticipo già che ci tengo un sacco, è una storia un po' diversa, un piccolo esperimento, se vogliamo, quindi voglio un sacco di commenti, mi raccomando!
Il motivo della data specificata ad inizio capitolo credo si chiarirà già a partire dal prossimo capitolo, quindi non temete, ogni dubbio verrà sciolto a tempo debito!
Spero la mia storia vi possa sollevare un po' il morale nonostante tutte queste brutte notizie, non-notizie, dubbi e malinconie del nostro maltrattato fandom! Scriverlo con me lo sta facendo, quindi chissà che non possa sortire lo stesso effetto anche su di voi! :)
Un ringraziamento speciale come sempre a Evey-H, la mia super-efficiente e fidata beta!
the old phib
Capitolo 1
2018
Quando Santana si svegliò quella mattina, credeva davvero che sarebbe stata una giornata come tutte le altre.
Non aveva neanche fatto in tempo ad aprire gli occhi nel buio della sua camera da letto che lo spiacevole suono delle automobili che sfrecciavano slittando coi pneumatici sull'acqua la costrinse a prendere atto della scoperta che non sarebbe stato nient'altro che un ennesimo piovoso lunedì. Cominciava ad odiare davvero l'idea di vivere a Seattle. Doveva ammetterlo, più di qualcuno aveva provato ad ammonirla sul probabile trauma che, accettando quell'incarico, l'evidente cambiamento climatico avrebbe comportato sulla psiche di una come lei, che aveva praticamente passato l'intera vita nei dintorni della soleggiata San Diego. Ad essere onesti la verità era che non riusciva davvero ancora a spiegarsi cosa le fosse preso quando aveva detto di sì.
Era successo un lunedì, un lunedì di sei mesi prima, il signor Schuester l'aveva convocata nel suo ufficio. Non era mai riuscita a spiegarsi come fosse possibile che quel figlio di puttana non fosse nemmeno il direttore dell'azienda eppure avesse l'ufficio più grande di tutti. Ma in fondo bastava sapere che fosse laureato in Arti Drammatiche, che da qualsiasi verso le si potesse guardare potevano avere a che fare con tutto meno che con la direzione di un'azienda pubblicitaria, per capire che lo stronzo ci sapeva fare. Che fosse quel suo fare amichevole ma affettato, quell'aria perennemente impegnata che gli permetteva di sembrare concentrato persino quando beveva il caffè o piuttosto quella sua innata capacità di convincerti grazie a discorsi brevi efficaci e ben impostati di ogni cosa gli uscisse di bocca. Santana non l'aveva ancora capito. Quello che aveva capito, fin dal primo secondo che era stata assunta nell'azienda, era che il signor Schuester era una di quelle persone da trattare coi guanti e alla quale di tanto in tanto leccare un po' il culo. Santana era più che sicura che prima o dopo ne sarebbe valsa la pena e così fin da subito aveva cominciato a prendere le sue parti ogni volta che le sue intenzioni collidevano con quelle di Figgins, il direttore: un oceano di buone intenzioni soffocate dentro un involucro di mediocrità, che doveva soltanto ringraziare il vecchio padre, proprietario di una buona fetta delle azioni dell'azienda, per il ruolo di prestigio che gli aveva regalato.
Quando era entrata nel suo ufficio quel lunedì mattina, Schuester stava bevendo il terzo dei suoi sette caffè quotidiani, lo sguardo concentrato, quasi nella sua mente si stessero dibattendo le sorti degli Stati Uniti d'America. L'aveva invitata a sedersi anche se lei l'aveva già fatto e poi aveva gettato un'occhiata distratta alla sua scollatura prima di cominciare a parlare. Aveva una proposta indecente da farle, era una vera follia, ma… "Stai bene?" le aveva chiesto, aveva un'espressione strana, vuota, quell'uomo ci sapeva davvero fare. No, non stava bene, ma non gliel'avrebbe mai detto, confidarsi col suo vice-direttore non faceva esattamente parte della sua lista di 'cose intelligenti da fare', per non parlare del fatto che quell'uomo l'aveva sempre piuttosto irritata, pur non avendole mai fornito delle buone ragioni per farlo. Quindi sì, per quel giorno stava benissimo, mai stata meglio. Ottimo. Beh, ecco come stavano le cose: se doveva essere onesto con lei, si era davvero rotto le palle di dover prendere ordini da quell'emerito coglione di Figgins e così aveva organizzato in segreto una riunione con gli azionisti. Farlo fuori non era proponibile, ma… Dio, la cosa che lo faceva godere di più era che era stato proprio il vecchio Figgins ad avere l'idea… da poco era fallita una delle maggiori aziende pubblicitarie di Seattle, questioni politiche, nulla di preoccupante per il mercato, quindi perché non aprire una filiale laggiù?
Gli azionisti si fidavano ciecamente di lui, gli avrebbero lasciato carta bianca, avrebbe potuto dirigere la filiale a modo suo, senza pressioni e senza nessun idiota sopra di lui, avrebbe potuto scegliersi personalmente ogni collaboratore, a patto che a fine anno le entrate avessero già cominciato a superare le uscite. E, cazzo, era l'esatto equivalente di un invito a nozze per uno ambizioso come lui! A quel punto Santana aveva cominciato a chiedersi perché diavolo l'avesse mandata a chiamare, si erano sempre rispettati molto come professionisti, ma non avevano mai avuto questa gran confidenza. Dove diavolo voleva andare a parare? E poi l'aveva detto così, semplicemente, come fosse la più ordinaria delle informazioni, come le stesse dicendo che aveva una piuma intrappolata nelle maglie del suo vestito di lana: voleva che lei fosse il vice-direttore della sua filiale a Seattle.
Per qualche secondo Santana aveva inconsciamente smesso di ascoltarlo, le sue labbra continuavano a muoversi ma il suono delle sue parole aveva cominciato a farsi ovattato. Lo sapeva che era un bel cambiamento, ma era convinto che avesse tutte le carte in regola per una promozione del genere, aveva creduto in lei fin dal primo colloquio di lavoro e fanculo se aveva occhio per le persone intelligenti. Era incredibilmente giovane e, certo, non aveva questa grande esperienza alle spalle, ma era convinto di aver davvero bisogno della sua freschezza e della sua voglia di fare per imbarcarsi in un'impresa del genere. In fondo cominciava ad avere una certa età e aveva proprio voglia di un bel culo da far sfacchinare al posto suo, aveva riso.
Ormai però il cervello di Santana aveva già smesso di ragionare. Ed era una sensazione davvero insolita, non le succedeva praticamente mai. Per una manciata di attimi si era sentita quasi sollevare sopra la stanza, poteva persino vedersi dall'alto fissare coi suoi occhi scuri quell'uomo ridacchiare con maestria di fronte a lei. Seattle. Era stata quella parola. Seattle. Si sentiva quasi in imbarazzo a pensarci, ma in quel momento aveva provato una strana sensazione. Una sorta di eccitazione, di sfarfallio nello stomaco, come quando stai per saltare giù da un muretto, come quando t'innamori. Certo, l'offerta di Schuester era del tutto inaspettata e sarebbe stato un incarico spettacolare per una persona così giovane e priva di esperienza come lei, ma non era stato quello. Ne era certa. Era stata quella parola. Seattle. Non era mai stata a Seattle. E l'idea di lavorarci e viverci non l'aveva davvero mai sfiorata, ma… quella sensazione. Il signor Schuester non avava neppure fatto in tempo a specificare che era ovviamente disposto a darle tutto il tempo di cui aveva bisogno per pensarci e decidere, che lei aveva detto sì. E, merda, era quasi riuscita a stupirlo quella mattina. Era quasi riuscita a stupire uno degli uomini più perspicaci e lungimiranti che aveva conosciuto in vita sua. L'aveva notato con palese chiarezza quel lampo di meraviglia in fondo ai suoi occhi. Momentaneo, certo, ma Santana non se l'era lasciato sfuggire.
E quindi eccola lì, sei mesi dopo, a maledire la sua impulsività e quella diavolo di sensazione: 28 giorni di Seattle, 24 giorni di pioggia, 20 giorni trascorsi a chiedersi cosa diavolo le fosse preso quel lunedì di sei mesi prima. Soltanto 20, sì, i primi 8 era riuscita a mantenere un certo grado di positività, poi, dopo una settimana passata a lavorare 16 ore al giorno senza che nemmeno l'ombra dell'impressione che ci fosse davvero una sola materiale ragione che giustificasse quella sensazione, per riuscire ad addormentarsi soffocando i pensieri aveva cominciato a dover sfogliare sul suo laptop vecchie fotografie della sua San Diego munita di tappi nelle orecchie per ammortizzare il rumore della pioggia.
Persino Schuester aveva cominciato ad irritarla di più. A Santana sembrava incredibile come non avesse mai notato prima quanto fosse rumoroso quando beveva i suoi centinaia di caffè quotidiani o quanto pedante risultasse la sua psichiatrica ossessione per il controllo. Quell'uomo doveva per forza vagliare ogni più piccola decisione, dallo spessore della carta al compenso della ditta di pulizie alla scelta del personale. Era riuscito persino ad arrivare al punto di storgere il naso di fronte ad ognuno dei quattro segretari personali che Santana si era scelta dopo attente selezioni: la prima che aveva assunto non arrivava mai in anticipo e una segretaria deve sempre arrivare in ufficio prima del suo superiore. Il secondo aveva un atteggiamento troppo intraprendente, di lì a qualche mese avrebbe smesso di ascoltarla e avrebbe iniziato a fare quello che voleva. Il terzo era stato sorpreso a navigare su Facebook durante l'orario di lavoro, lui l'aveva licenziato ancor prima che Santana facesse in tempo a fargli presente che turni di 16 ore consecutive non solo erano umanamente impossibili da sostenere senza prendersi qualche momento di pausa, ma erano anche definiti "non costituzionali" dalla legge degli Stati Uniti d'America, fin all'incirca dai tempi della Rivoluzione Industriale; la quarta si era dimessa di sua spontanea volontà ancor prima di sistemare il culo sulla sua scrivania quando Schuester l'aveva ammonita sul fatto che se avesse perso anche soltanto una telefonata per andare in bagno o chiamare l'ambulanza se si fosse inavvertitamente tagliata le vene col taglierino avrebbe "passato le pene dell'inferno", testuali parole.
Era stato esattamente così che Santana, in preda all'esasperazione più assoluta, lo aveva pregato affinché scegliesse lui personalmente qualcuno adatto per quell'incarico, visto che, a quanto pareva, lei non ne era capace. Volutamente e abilmente schivato il sarcasmo, il signor Schuester aveva avviato le sue ricerche e sabato pomeriggio le aveva finalmente telefonato, annunciandole con tono solenne di aver trovato "la persona perfetta" e che avrebbe cominciato a lavorare già da lunedì.
Mentre con il suo Range Rover fendeva la pioggia di quel lunedì mattina, Santana si domandò come mai aveva l'impressione che quella sensazione stesse tornando. Non l'aveva più sentita da allora. Arrivata all'ultimo semaforo staccò le mani dal volante e notò che tremavano lievemente, era la stessa sorta di piacevole agitazione che aveva sentito quella volta, quando aveva accettato l'incarico senza neppure rifletterci sopra un secondo. Cristo, non era lei quella sotto esame, lei era il vice-direttore, era un pezzo grosso, era la seconda persona più importante lì dentro, non avrebbe dovuto essere agitata. Non doveva essere agitata. Il suo psicoterapeuta avrebbe voluto che dicesse così, giusto? Beh, non importava, lei era agitata e in fondo il dottor Meyers era soltanto un grandissimo coglione.
Quando arrivò al quattordicesimo piano erano già tutti al lavoro, attraverso le sottili veneziane colorate dell'ufficio di Schuester poteva vedere le luci accese all'interno, ma decise di andare direttamente nel suo ufficio, senza avvisarlo del suo arrivo, se lo conosceva bene l'avrebbe saputo subito e nel giro di un paio di minuti sarebbe entrato senza bussare. 3… 2… 1…
"Il lunedì è una giornata fantastica per cominciare la settimana!" esordì con un grosso sorriso spalancando la porta. Santana si sforzò di sorridere. Odiava l'entusiasmo di prima mattina. "Possibile che ogni volta che ti vedo tu sia sempre più raggiante?" continuò. Raggiante.
"Tu sì che sai trovare gli aggettivi giusti, Will." commentò secca Santana senza neanche sforzarsi di non apparire troppo sarcastica. Intuendo che se la chiacchierata non si fosse conclusa in fretta oltre che le sue frecciate avrebbe dovuto cominciare a scansare anche i suoi artigli, il signor Schuester sorrise brevemente, si schiarì la voce e si voltò alla sua destra, dove non c'era nessuno. Un po' perplesso si sporse dietro la porta ancora aperta, gesticolò nell'aria e mugugnò qualcosa di incomprensibile, quindi tornò a girarsi verso Santana.
"Eccola, scusala, è un po' timida." sottolineò con malagrazia, strattonando un polso sottile che spuntava da dietro la porta. "Ti presento la tua nuova segretaria." esclamò poi con il suo pathos da scuola d'arti drammatiche mentre sulla sua destra una giovane donna bionda inciampò fin dentro il suo ufficio. Non appena Santana la vide, quella sensazione tornò di colpo, ancora più forte della prima volta, sentì persino la testa girare e la vista annebbiarsi per un secondo mentre il formicolio che sentiva alle dita sembrò salirle fino al cervello così che dovette persino chiudere gli occhi. Quando li riaprì qualche attimo dopo i suoi occhi blu la stavano fissando spalancati, preoccupati quasi. Con la coda dell'occhio Santana notò distrattamente Schuester muovere le labbra ma proprio come quella volta non riuscì a sentirlo. Riuscì soltanto a guardarla dritta negli occhi, c'era qualcosa in quegli occhi, qualcosa di familiare, qualcosa di meraviglioso, qualcosa che però non riusciva a ricordare.
"Santana. Ti senti bene? È tutto okay? Santana?" ripeté poi Will più di una volta prima che Santana riuscisse a sentirlo, lei si limitò a sbattere le palpebre un paio di volte, per schiarirsi le idee, poi di malavoglia distolse lo sguardo da quegli occhi blu, si alzò in piedi e sorrise piano.
"Sì, sì, è solo… ho dormito pochissimo," si giustificò.
"Non hai più vent'anni, tesoro! Devi andarci piano con le tue serate folli!" rise il signor Schuester. Santana si limitò ad un cenno, per educazione. Fortunatamente scoprì che la testa aveva smesso di girare, così si fece avanti sui suoi soliti tacchi, stranamente titubante. La sensazione, però, non accennava ad andarsene, mutava, ad ogni passo, era diventata quasi una forza magnetica, gentile, ma inarrestabile, che la trascinava verso di lei.
"Lei è la signorina Brittany Pierce," la presentò quindi Will, prima che una delle due avesse il tempo di aprire bocca. La ragazza bionda sorrise.
"Ciao." canticchiò, poi il suo viso si piegò improvvisamente in una smorfia, "Merda, ho detto ciao!" si maledì abbassando la voce, la sua espressione si fece ancora più terrorizzata, "Cazzo, ho detto merda!" il suo timbro si fece più acuto, il suo volto adorabilmente sconvolto, "Merda!" concluse sfiorando il limite degli ultrasuoni e con la mano sinistra si tappò la bocca producendo un piacevole schiocco, serrando le palpebre con aria desolata.
Santana rise, ma con gentilezza, gettando un'occhiata un po' perplessa a Will che in tutta risposta allargò le braccia mimando un muto "Fidati!" con le labbra.
"Ciao, Brittany, piacere di conoscerti." le disse poi porgendole la mano. Brittany aprì pian piano un occhio alla volta, quasi si aspettasse uno schiaffo o qualche orribile occhiataccia di disapprovazione, ma davanti si trovò soltanto Santana sorriderle con aria amichevole e espressione calda. Senza togliersi la mano sinistra di bocca, quasi temesse che qualcos'altro di poco professionale potesse strariparvi da un attimo all'altro, sollevò piano la mano destra che tremava un pochino. Fu strano perché anche la mano di Santana tremava un pochino.
Non appena le loro dita si sfiorarono impercettibilmente, un gigantesco lampo che per un attimo illuminò a giorno l'ufficio di Santana cadde a pochi metri dalla vetrata seguito dal rumorosissimo scrosciare di un tuono e la stretta di mano venne immediatamente interrotta per via di una scossa elettrica che fece gridare entrambe. Will le osservò per qualche secondo mentre Santana agitando la mano nell'aria venne investita di nuovo da quella maledetta sensazione. Istintivamente guardò di nuovo Brittany che la stava osservando con la stessa aria stranita.
"Beh, è stato un incontro a dir poco esplosivo!" esclamò il signor Schuester accompagnando la sua battuta con un paio di grosse risate, quindi facendo qualche passo indietro per raggiungere la porta continuò a scrutarle con la sua aria perennemente indagatrice, "Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino questo sarà sicuramente l'inizio di una grande collaborazione!" sentenziò aprendo la porta, quindi con un piccolo inchinò sparì lasciandole sole a dirimere la loro stranezza.
