Fa' come ti pare
Era arrivata con un giorno di anticipo.
L'avrebbero capito subito quelli di che pasta sarebbe stato il nuovo comandante.
Attendeva nel nuovo ufficio d'essere avvertita quando i soldati della Compagnia B della Guardia Metropolitana di Parigi fossero stati…
Presentabili!
Nulla a che vedere con la Guardia Reale. Uomini per lo più di nobili origini che sapevano stare al loro posto ed esser pronti quando necessario.
Quelli lì invece…
"Ehi…ma l'hai visto?".
Tre di quelli s'erano affacciati alla finestra che dava sulla corte d'ingresso.
S'erano sgomitati increduli.
"E chi caz…è…quello?".
"Come…chi è? Quello è il nuovo comandante! Ma non l'hai capito?".
"Dai non prendermi per…il…quello?".
"Ma non vedi? Guarda…è…".
"Cazzo…notevole il damerino!".
"Il damerino? Ma non lo sai?".
"Che dovrei sapere?".
"Quello non è un damerino!".
"A no! Cos'è allora? Un avanzo di galera?!".
"Tse! Damerini o avanzi di galera…non ci vedo la differenza! Comunque…quello… è una donna! Ma non vedi? Ti pare che un uomo cammina così e…".
"Porc…ma mi stai prendendo per…".
"No, ti dico! L'abbiamo saputo da quelli della Compagnia A, quelli che stanno a Versailles! Quella era là prima, era Colonnello delle Guardie Reali e poi ha chiesto d'essere assegnata ad altro incarico…".
"E perché mai avrebbe fatto un'idiozia simile? Lasciare quel bel posticino della reggia per venire ad infognarsi a Parigi? Non sarà mica una in cerca d'emozioni? Perché s'è così io mi rendo disponibile!".
"Ah…ah…una così non ti si filerebbe nemmeno...".
Una reciproca gomitata…
"Zitto! Idiota…arriva D'Agoult!".
"Testa di legno!".
Via…
L'ordine di rendersi presentabili…
"Ma non aveva un cazzo da fare quella che venire qui un giorno prima?!".
Il malcontento ci aveva messo poco a farsi strada. S'era abitudinari nella caserma della Compagnia B della Guardia Metropolitana in Rue de Chausseè d'Antin, anche se si pattugliavano le strade di Parigi dove d'abitudinario v'era ben poco.
"Mettete via quelle dannate carte!".
"Via…le bottiglie…".
"E mettiti la giacca idiota!".
Sull'attenti…
D'Agoult aveva fatto strada.
Quelli non avevano mosso un muscolo attendendo che il nuovo comandante entrasse. Pochi passi, i soldati disposti ai lati non emisero un fiato, gli occhi fissi avanti a sé, anche se un'occhiata veloce l'avevano data al nuovo comandante che a sua volta osservava loro dallo spazio al centro lasciato libero.
Musi duri, ad averlo saputo prima che quella era una donna, non si sarebbero messi sull'attenti come quei damerini della Guardia Reale.
"Da domani sarò il vostro nuovo comandante. Il mio nome è Oscar François de Jarjayes…"
Li aveva guardati.
S'era voltata, uno per uno aveva scorto le facce ruvide, severe.
Un sussulto. Il volto conosciuto…
Non poteva tradirsi…
Che diavolo ci fai?
La fila dietro…
In mezzo…
Che diavolo ci fai tu qui?
"Soldati, salutiamo tutti il nuovo comandante!".
Quello che doveva essere il portavoce degli avanzi di galera aveva esordito così e tutti s'erano messi sull'attenti.
Tutti…
Anche…
Che diavolo ci fai tu qui?
Erano diverse settimane che non la vedeva.
Lei era fuggita da sé stessa, dall'amore non corrisposto…
S'era illuso. Per un istante s'era illuso fosse fuggita anche da lui.
No, non era proprio possibile. Se non sei nulla, come si può fuggire dal nulla?
Eppure…
André stava lì, sull'attenti, la fila dietro. L'aveva guardata, impassibile, mentre ci avrebbe scommesso che a lei avesse peso a ribollire il sangue nelle vene. Glielo leggeva in faccia!
Lei gliel'aveva detto che non avrebbe più avuto necessità del suo aiuto.
Sì, glielo aveva detto e…
La guardava, osservava il furioso disappunto, inespresso, solo lui molto probabilmente l'aveva colto visto che la conosceva bene.
Le labbra serrate, l'azzurro sbarrato, la postura rigida…
Oh, era dannatamente bella. Soprattutto quando lui riusciva a spiazzarla. C'era riuscito così poche volte nella vita, ma quella era davvero la prima volta che aveva fatto di testa propria.
Aveva disatteso la sua richiesta, se n'era bellamente fregato.
Adesso era libero e lui quella libertà se l'era presa tutta e aveva fatto di testa propria.
La guardava…
Gli parve che la rabbia le fosse rimasta impigliata in gola, che per poco si sarebbe strozzata.
Dannazione…
T'avrò anche fatto infuriare…
Ma non potevo perdermi la tua dannatissima espressione…
"Ehi…".
Conosceva solo Alain al distaccamento dei Soldati della Guardia Metropolitana. D'altra parte non s'era arruolato per imbracciare un fucile o stanare i ladruncoli di Parigi. S'era arruolato perché non avrebbe potuto fare altrimenti.
Lo sguardo s'era sollevato sul compagno d'armi.
"Il comandante ti vuole…".
Già, lei non aveva perso tempo. Era così testarda…
Aveva bussato alla porta dell'ufficio.
Erano settimane che non la vedeva e anche se lei sarebbe stata furiosa…
Ci avrebbe scommesso!
Sull'attenti.
La guardava, il corpo magro, asciutto, la divisa blu, il colore della nobiltà, i ricami dorati intarsiati sul petto a racchiudere il suo respiro, i seni morbidi e dolci, come li aveva potuti solo intuire.
"Che cos'hai fatto André? Ti avevo detto che non volevo più avere il tuo aiuto!".
Non aveva perso tempo, diretta e spietata.
Come sempre…
Era furiosa ma restava lì a pochi pollici di distanza, non s'avvicinava, forse le era bastato quello ch'era accaduto poche settimane prima.
André la guardava, gli pareva che quella distanza non fosse per timore di sé ma per timore di sé stessa.
"Mi sono semplicemente arruolato…non certo per continuare ad…aiutarti…".
Calcò il termine, che non gli piaceva, non gli era mai piaciuto, ma se lei ci vedeva quello, l'avrebbe accontentata.
"Ho un amico nella Guardia Metropolitana…e mi sono arruolato tramite lui…e…e…non importa ciò che accadrà o ciò che penserai…io sono l'unico che può proteggerti!".
Ecco, proteggerla…
Il termine gli piaceva di più, che davvero quello le avrebbe incendiato il sangue e gelato l'arroganza.
Ti brucia che sia così ma voglio illudermi che sia così.
Non sei una persona debole, semplicemente dev'esserci qualcuno che ti tenga testa e t'impedisca di correre i rischi che non hai mai voluto vedere davvero. Sei finita in un bel posto, mio comandante…
Non li hai ancora sentiti quelli là fuori.
Non è necessario che te lo spieghi…
Sull'attenti…
Il saluto, sull'attenti…
"Sempre ai vostri ordini comandante!".
"André!" – avrebbe voluto richiamarlo…
L'altro aveva già la mano alla maniglia.
Un istante…
La porta s'era aperta.
"Fa' come ti pare!" – sprezzante e rassegnato le uscì dalla bocca.
Un istante…
Le dita strinsero la maniglia…
Oscar abbassò lo sguardo, udì la porta chiudersi. Gli occhi si rialzarono.
L'osservavano adesso, André era rimasto lì, di spalle, la porta richiusa davanti a sé.
Il rumore secco del chiavistello…
La porta era chiusa adesso.
"Che hai detto?" - s'era voltato…
Era tornato verso di lei.
Un passo, un altro passo, più vicino. Gli occhi al viso e lei lì a tentare di mantenersi salda e reggere l'ennesimo affronto.
"Ripeti quello che hai detto!".
"Fa' come ti pare!" – ripetè lei, che stavolta il timbro s'era fatto netto, secco, severo.
L'inflessione non pareva davvero distaccata…
Lui la guardava, lo sguardo era scuro ma…
"Ah sì? Davvero posso…fare come mi pare?" – ironico, una sorta di contestazione gustosa.
"Cosa…".
Un altro passo…
Un altro ancora.
Indietreggiò incapace di sostenere l'avvicinamento impercettibile, i muscoli tesi, all'erta che…
Nello sguardo presero a scorrere altre immagini. Lui, il suo sguardo, le dannate parole ch'erano state solo una provocazione.
S'erano ritrovati così vicini.
L'aveva scorto il respiro che s'era innalzato nell'istante in cui lui aveva incassato il ceffone e poi s'era lasciato strattonare e lei s'era avvicinata talmente…
"Rispondi!" – l'ordine fu lui ad impartirlo.
"Non capisco cosa vorresti sapere?" – incise lei, ironia forzata per mantenersi su quella di lui.
Si morse il labbro...
Così però si tradiva.
"Voglio che tu ripeta di nuovo quelle parole. Davvero posso fare come mi pare?!".
"L'hai già fatto mi sembra!" – sarcastica – "Non avrei mai pensato fossi così arrogante d'arrivare ad arruolarti!".
"Sono libero!" – constatazione affatto scontata.
"Certo ma…".
Un altro passo…
Lei indietreggiò, ancora, si ritrovò con le spalle al muro, la mano sinistra scese all'elsa della spada.
"Non penserai d'usarla contro di me?" – stavolta fu lui a chiedere spiegazioni, pungendo nell'intravedere l'impercettibile gesto.
"No…".
La sola vicinanza innervosiva ed aggrapparsi alla spada consentiva di contrapporsi all'incombenza dell'altro.
Guardava il volto, severo, il verde trasparente, fisso a lei, animato da un'ancestrale e netta risolutezza.
"Allora lo farò!".
"Cosa? Che diavolo intendi dire?" – il tono s'era innalzato per compensare la perdita di coraggio.
Nemmeno il tempo di protendersi contro di lui che la destra di André si sollevò fino al colletto dell'uniforme, l'indice s'infilò nella fessura che chiudeva i lembi intarsiati d'oro.
"Che fai?" – la richiesta stizzita incespicò nel respiro trattenuto.
"Quello che mi pare!" – chiosò André con sufficienza tenendo lo sguardo su di lei.
E lei lì incapace di ribellarsi, lo sguardo lì, inchiodato a quello di lui, mentre percepiva l'indice scorrere e uno dopo l'altro sganciare gli almari interni dagli occhielli.
"Me l'hai appena detto!".
Uno, due, tre, quattro…
Oh, la conosceva a memoria quell'uniforme…
Erano tanti sì quei dannati alamari ma non infiniti.
La luce del giorno non aveva forza sufficiente a perforare le pesanti tende odorose di polvere che chiudevano, seppur non del tutto, la fessura della finestra.
Si disse che così era stata la sua vita, era vissuto d'istanti, pertugi asciutti e crudeli nel tempo della vita di lei.
Ora poteva fare come gli pareva, gliel'aveva appena detto lei.
I lembi si schiusero.
Lei stava lì, avrebbe potuto mollargli un ceffone in un istante, era già accaduto.
La mano sinistra scese piano allungandosi al fianco sinisto di lei, scostando delicatamente la mano dall'elsa della spada, correndo alla stoffa liscia e sottile dei guanti. Scorse alle dita e prese a sfilarle una alla volta. Gesti lievi, silenziosi, asciutti, intensamente netti.
Quante volte aveva immaginato di farlo.
Voleva le mani libere, le sue mani…
Voleva liberarla…
Il corpo prese ad avanzare l'indispensabile, verso di lei, mentre le mani entrambe s'appoggiarono ai fianchi e le dita slacciarono la cintura che sosteneva la spada. Andrè fu veloce ad afferrarla che quella non cadesse a terra.
Nessun rumore doveva interrompere il lento incedere degli sguardi, che la testa aveva preso a ronzare ed il sangue a scorrere e le tempie a battere all'unisono al ritmo sostenuto del cuore.
Stava su di lei, lo sguardo su di lei e la teneva lì, che stava davvero facendo ciò che voleva.
"Non…" – s'azzardo a ribattere lei, il respiro perduto.
"E' tardi! Non puoi rimangiarti le tue stesse parole!" – un sussurro, il volto s'accostò al volto, il respiro sulla guancia, lì, nel lembo proibito di pelle, i capelli scostati appena.
Le labbra dischiuse presero a scivolare piano sulla coltre intatta e bianca, coinvolgendo inconsciamente il respiro che s'innalzava, costringendo i muscoli inviolati e morbidi a ritrarsi ritrovandosi chiusi ed avvolti.
Le labbra si bearono d'uno studio solo immaginato, la tensione contratta del sussulto…
Le mani ai fianchi stringevano la presa, piano, godendo d'avere finalmente la sua vita chiusa, adagiata, tra di esse, e allora le dita s'aprirono per afferrare la stoffa della camicia toglierla di mezzo…
Piano, senza fretta…
Faceva come gli pareva, l'aveva detto lei.
Un sussulto, un altro, le dita si ritrovarono finalmente adagiate sulla pelle della pancia, contratta, liscia, morbida.
Il respiro trattenuto si ritrovò libero...
I muscoli s'arrendevano e s'adattavano…
Il corpo avanzava a schiacciarla e tenerla lì, mentre il respiro prendeva ad innalzarsi sollecitato dal lento incedere della bocca che aveva catturato il senso del silenzio di lei, il senso dell'immobilità.
Il buio s'impose, gli occhi si chiusero all'incedere immobile…
"Che stai facendo…" – lo chiese piano, inconcepibile lo lasciasse fare…
"Quello che mi pare!" – un sussurro, che il respiro si perdeva davvero lì, mentre le mani erano risalite scontrandosi con gl'indumenti dannati a trattenere i seni.
"Faccio quello che mi pare…" – ripetè più piano mentre improvvisava un gesto sconosciuto che no, quelle dannate fasce non gli era mai stato consentito di vederle e nemmeno lo sapeva come si facessero a slacciare.
Il tempo impiegato non condusse troppo lontano la coscienza che stava lì, indugiando, mordendo, succhiando il pertugio del collo, infierendo al punto da sollevare un gemito e costringere allora…
Davvero…
Accadde davvero che le dita si sollevarono adagiandosi piano ai fianchi, a muoversi incerte ma severe a cercar di liberare lui dalla dannata uniforme, gli stessi alamari che racchiudevano il torso, la stessa dannata stoffa che fasciava i lombi.
"Che stai facendo?" – fu lui a chiederlo in un barlume di folle lucidità, senza respiro, soffocato, nel buio imposto ai sensi, gli altri, inondati dei reciproci gesti.
"Quello che fai tu…".
Risposta sorprendente…
"Che…".
Non finì di contestare l'assunto che la bocca si schiuse sulla bocca, un tocco immediato, fugace e poi più intenso, pieno, a riprendersi di nuovo, il respiro avvinghiato come le mani affondate nella testa, nei capelli per tenersi lì e non lasciarsi ed impedirsi d'arretrare.
Nessuna distanza, i corpi avevano aderito l'uno a quello dell'altra, toccandosi, sorprendendosi della sensazione che scaturiva dal tocco, mai sperimentato, mai voluto così, intenso, continuo, impellente.
Non v'era altra necessità che stare lì, continuare a stare lì e sperimentare l'unione, fuoco che fonde piano piano, mescolando i sensi, fondendo gl'intenti, annullando il senso del sé, altro, dal sé assieme all'altro.
La vicinanza confuse i ragionamenti che si persero nei meandri della folle corsa.
Solo un istante, respiro sospeso, occhi chiusi, si fermò André, bocca sulla bocca, dischiusa e poi…
I denti a mordere piano le labbra, succhiarle, respingerle, prenderle di nuovo nell'ondeggiare intenso che riempiva la coscienza e liberava i gesti e scacciava tutti i dannati ragionamenti.
La coscienza ribolliva assieme al sangue…
Si fermò André, bocca sulla bocca. Si fermò, prese a scivolare giù, lasciando la bocca, appoggiando le labbra al mento, succhiando piano, e poi giù sul collo, suggello sul sangue che pulsava.
Le mani si scostarono dai fianchi scivolando sulle gambe di lei ch'erano immobili, un poco tremanti, incerte…
S'abbassò scendendo piano, non prima d'averla guardata, in silenzio, imponendole d'aspettarlo.
Le mani s'avvinghiarono agli stivali che sfilò.
Sì, quello gli riusciva meglio, l'aveva fatto ancora, quando se l'era ritrova ubriaca fradicia tra le braccia, tutt'e due in realtà lo erano e chissà forse avrebbe davvero potuto osare d'averla e…
No, l'aveva semplicemente spogliata del necessario per chiuderla sotto la coperta e lasciarla lì in balia di fantasmi sconosciuti, in balia della donna che era e che tutti i santi giorni lei s'ostinava a combattere.
Adesso era diverso, sì le dita presero a sfilare i dannati indumenti, mentre la luce di fuori sollevava ombre intense e nette, sconosciute, gli occhi s'erano chiusi di nuovo sul viso, e la bocca percorreva la pelle, sostando là dove il respiro s'innalzava, inducendsi ad insistere, non arretrare, coltivare il respiro trattenuto.
Gli pareva d'averlo sempre fatto così, cento, mille volte e che lei lo sapesse ch'era così, mentre il corpo si schiudeva per chiudersi su di lui, lasciandosi abbracciare, accarezzare, amare.
Lasciandosi percorrere dalle dite morbide che attendeva raggiungessero il punto sconosciuto a tutti e due, che nessuno aveva immaginato e che pure stava lì a pulsare tondo e morbido, lambito piano dalle dita che scivolavano sopra insistendo, così che il respiro dischiudesse il fremito.
Tiepido anfratto violato piano ad innalzare il respiro stretto tra i denti, per non apparire sfacciata.
No, non era abbastanza…
La sollevò un poco, solo la giacca sulle spalle, e la camicia sotto, aperta a trattenere il calore sudato dei muscoli che s'animavano.
La sollevò piano verso l'unico punto discreto ed accogliente dello squallido ufficio, che nessuno dei due sapeva come fosse fatto, l'unica certezza assoluta era che fosse chiuso a chiave, ad accogliere e custodire i respiri silenziosi che presero a scorrere più intensi, fondi, mentre gl'indumenti scivolavano via e gli arti si ritrovavano liberi di muoversi, piegarsi, adattarsi, accogliersi.
Il sentore della pelle prendeva forma, intenso, nella mente dell'altro, assieme agli umori...
Piano, nessuna richiesta di consenso…
Nella testa l'unica concessione…
Fa' come ti pare…
Prese a scorrere i muscoli del petto, a succhiare morbidamente i capezzoli, a prendersi ogni respiro, ad ascoltare le dita di lei che si chiudevano sui capelli ora stringendoli ora accarezzandoli.
L'incedere intenso si rivelava attraverso la lenta discesa al ventre già umido, tiepido.
Nulla…
Nessuna parola, solo lo scorrere della bocca a scoprire, piano, il punto dove potevano trovarsi chiusi e rimessi i pensieri più nascosti, le parole che non si erano mai detti, i silenzi che li avevano uniti, nel silenzio.
Nulla…
Nessuna parola, solo il lento schiudersi della bocca sulla carne, a riannodare sussulti ch'elevavano il sangue, la smania d'aversi.
Come fosse stato sempre così.
Gli scivolò davvero sotto, a chiuderlo su di sé, sopra, mentre sentiva la pulsione crescere, mentre il sesso s'ammorbidiva per accogliere la tensione del sesso.
Piano, intensamente…
Piano, mentre gli umori vibravano sciogliendo ed ammansendo la paura, il dubbio, il dolore asciutto.
Il contatto della carne ch'entrava, immobile, nell'istante ch'entrava, intensa, a cogliere il contrarsi della carne nuda, intatta...
L'incedere della carne, danza impercettibile che s'ampliava, vibrando, innalzando, distorcendo i muscoli, plasmandosi, perdendosi, avvolta da lui.
L'incedere della carne, respiro sospeso, fremito insistente che tentava di tenere lì, imprigionato tra i denti...
L'incedere della carne, onde piccole e poi tonde, acute e poi fluttuanti, fredde e molli, calde e nebbiose...
Incise nel ventre, come dita che l'avessero aperta e spogliata ed accarezzata...
Fuse nel respiro, come labbra che l'avessero morsa piano e poi succhiata e poi morsa di nuovo, intensamente.
Il ventre accoglieva la conquista dell'incedere, degl'istanti perduti, della coscienza ammansita, della caduta inarrestabile dei corpi che giacevano abbracciati, stretti, quasi avessero compreso ch'essi avrebbero ceduto...
Ancora un passo, lì, sull'orlo del baratro, lì, dove sarebbero scivolati giù assieme...
Attese, ancora un passo...
Attese, ancora un passo...
Intensamente...
Chiuse gli occhi...
"Guardami...".
La richiesta sussurrata senza respiro.
Li riaprì, per guardarlo, mentre respirava su di lei, lo sguardo adagiato a lei, lo sguardo sul suo per averla e coglierla tutta, fino in fondo, fin là dove si nascondeva l'intenso fremere che risaliva e s'allargava inghiottendo il respiro che cadde giù anch'esso, voragine piumata e morbida, labbra gremite, dita intrecciate, strette.
Cadde dentro di sé, inghiottita da sé…
Il respiro mozzato, disarticolato in soffocate grida, impossibili da ricacciare in gola...
Le mise una mano sulla bocca, piano, le dita a disegnare le labbra, pigiate sopra per trattenere la voce...
Cadde dentro di lui, il corpo ammantato da fulgido calore, contratto e ritratto e poi contratto di nuovo...
L'essenza statica dei muscoli divenne fragile, morbida, si sollevò e poi ricadde giù.
"Non lasciarmi...".
La supplica chiusa, incisa nella schiena di lui, le dita a graffiare ed incidere la pelle, nessun pensiero attraversò i pensieri.
Solo i battiti intrecciati, impeto oscuro, che trascinava via, sciolse il sangue e divorò la coscienza...
Nessun pensiero...
Ancora e ancora si sentì risucchiata e cadde giù dentro di lui ch'entrò lì, nel senso occulto, nel sesso inviolato, sublime luogo che diveniva tempo, spazio, essenza d'entrambi.
Tutti diabolicamente racchiusi dentro di lei.
Tutti intessuti nei muscoli tesi e poi dissolti nel crepuscolo dei sensi, innalzati e trascinati via.
"Non ti lascio...".
Si strinse a lei, s'abbandonò, il corpo tremò per averla tutta, colmando di sé la sua solitudine, l'assenza, il vuoto, i muscoli lisci e caldi, sudati e tesi...
Sussurrò il nome nell'abbraccio serrato che precedeva l'istante.
Fluida voragine li colse, assieme...
Informi ed umide volute s'espansero dal ventre…
Istanti incisi…
L'ascoltò perdersi nei dissolti rintocchi dell'orgasmo…
L'abbracciò, perduto, mentre invocava il suo nome, stretto, tra le labbra e poi baciato sulle labbra…
Istanti fuggenti...
La luce inondò prepotente gli occhi.
Lo sguardo colse i contorni sfumati della stanza, le pareti istoriate, il ritratto ai piedi del letto, il cassettone, lo specchio…
Un tuffo giù a trattenere il sublime contrarsi dei sensi, le dita si strinsero, il respiro s'innalzò.
"Che…".
Una voce conosciuta sulla porta.
"M'avete chiesto di svegliarvi presto questa mattina! Eppure non vedo il motivo d'andare a Parigi un giorno prima visto che solo da domani sarete assegnata al vostro nuovo incarico!".
Gli occhi intravidero la figuretta della governante affacendata attorno ai vestiti.
La bonaria constatazione e nanny aveva già richiuso la porta, dopo aver spalancato le tende spesse che tenevano al buio la stanza.
Il cuore il subbuglio Oscar s'era ritrovata lì, la voce imprigionata nella gola, la eco del sussulto tenero dei muscoli inviolati e liberi, il corpo raccolto, caldo, racchiuso nell'abbraccio stretto delle sue braccia, le braccia di André, il suo volto perdutamente disteso accanto a sé.
Faticò a tirarsi su. Si guardò attorno.
Il suo nome scivolò dalla bocca mentre le dita passarono sulle labbra come se la sua bocca fosse ancora lì, su di sé, addosso.
Il tempo di vestirsi, mandar giù due sorsi di té che lo stomaco era chiuso, contratto.
Andare a Parigi…
Erano settimane che non vedeva André. Non l'aveva più visto da quando…
Scendendo da cavallo, alzò lo sguardo alle finestre della caserma, le parve che i soldati fossero già lì, dietro i vetri, a sbirciare e fare congetture e darsi gomitate alla vista del nuovo comandante.
La stanza che sarebbe stata il suo nuovo ufficio era tiepidamente inondata di luce.
Alla finestra attendeva osservando fuori.
André...
Si domandava dove fosse André, mentre le immagini si sfuocavano ogni istante che trascorreva e ad un certo punto pensò davvero d'essersi immaginata tutto.
I passi percorsero il corridoio, nelle orecchie le sommarie giustificazione del Colonnello d'Agoult che l'invitava a non attendersi uno schieramento di uomini ordinati e remissivi.
Nella testa la sfida continua, contro i fantasmi del passato, a misurarsi contro quel dannato corpo e contro l'anima che s'erano permessi di rammentarle che lei era una donna.
Lo sguardo prese a scrutare i musi fermi, sull'attenti.
La mente anticipò la richiesta e chiese di lui e senza nemmeno volerlo, senza che nemmeno questo avesse una logica, prese a cercarlo, davvero, come se lui fosse davvero lì.
Il tuffo al cuore, l'immagine sognata s'inspessì sgretolando la consistenza tenace e potente della realtà.
Che fai qui? – glielo domandò, solo con gli occhi, mentre osservava lo sguardo di André, fisso a sé, intensamente severo, la fila dietro la prima fila.
Intuì sul volto una velata punta di soddisfazione.
S'era un modo per sfidarla allora non lei gliel'avrebbe fatta passare liscia!
Eppure, André era lì…
André…
Attese…
Attese che lui entrasse, dopo averlo fatto chiamare. Voleva sapere perché André fosse lì, in mezzo ai Soldati della Guardia. Forse non era stata abbastanza chiara che non lo voleva più il suo aiuto.
La contestazione fu immediata, diretta, senz'appello.
"Mi sono semplicemente arruolato…" – rispose lui tenendo gli occhi fissi al corpo magro, nervoso – "Non certo per continuare ad…aiutarti…".
Il termine rimescolò il sangue avvelenando le intenzioni.
"Ho un amico nella Guardia Metropolitana…" – continuò André – "E mi sono arruolato tramite lui…e…e…non importa ciò che accadrà o ciò che penserai…io sono l'unico che può proteggerti!".
La considerazione divenne voragine mentre André la guardava, lo sguardo fisso, la bocca serrata.
Un respiro fondo…
Non riusciva a staccarsi da lei e lei lì…
André si mise sull'attenti, in segno di saluto.
Il rintocco secco dei tacchi, la posa irrigidita, lo sguardo fisso.
Fece per voltarsi…
"André…" – lo richiamò lei.
Un passo verso la porta…
Un altro passo…
La mano alla maniglia…
Il cuore in gola…
"Fa' come ti pare!" – un sibilo scuro, netto, una sorta di rimprovero ed al tempo stesso…
Attese Oscar, il respiro sospeso. Attese…
Un respiro fondo e la porta si chiuse e lei chiuse gli occhi e deglutì la rabbia e il desiderio plasmato attraverso il rigido orgoglio.
Li riaprì, un istante dopo, all'udire la porta chiudersi.
Gli occhi percorsero la figura che aveva davanti a sé. Il torace ampio, fasciato dall'uniforme semplice, il corpo un poco più alto, lo sguardo di André ch'era lì, davanti a sé e la guardava.
"Davvero posso…fare come mi pare?" – nessuna ironia nella voce, solo la morbida constatazione d'una visione già vissuta.
Due passi, le fu davanti, la distanza annullata, lo sguardo su di lei.
Non attese risposta e la destra si sollevò allungandosi al colletto dorato dell'uniforme, sospesa solo per un istante.
"Sai…ti ho sognato…questa notte…" – sussurrò piano mentre le dita scorrevano sui ricami.
La guardava, gli pareva d'averla sempre guardata così.
Vicino...
Le dita s'aprirono sfiorando il mento...
"Lo so…" – annuì Oscar piano – "E' per questo che sono venuta oggi…".
André annuì di nuovo.
La mano destra di lei salì appoggiandosi alla destra di lui, le dita intrecciate alle dita.
Si sorprese André solo per un istante…
L'istante d'ascoltare di nuovo le stesse parole...
"Fa' come ti pare!".
