Un leggero soffio d'aria tiepida scostò le tende della finestra lasciata aperta. I timidi raggi del sole di settembre fecero capolino nella mia stanza illuminando le pareti color avorio, riuscivo a percepire la luce anche se avevo ancora gli occhi chiusi. Pensai che avrei dovuto almeno abbassare le tapparelle la sera prima mentre tutti i miei sensi cominciarono lentamente a risvegliarsi. Sentivo il calore della luce del sole, quasi mi bruciava sulla pelle, avvertivo il ticchettio frenetico della sveglia sul comodino che non aveva ancora suonato. Se mi concentravo di più, potevo sentire nell'aria l'odore del vento che soffiava leggero portando via con se l'ultima traccia d'aria estiva, mischiato all'intenso aroma di caffè che proveniva senza dubbio dalla cucina.
Mi rigirai su me stessa affondando il viso nel cuscino e sentii il lenzuolo scivolarmi sulla pelle scoprendomi le spalle nude.

Il calore di due labbra familiari mi sorprese. Ne sentivo la leggera pressione alla base della nuca rimasta scoperta mentre una mano scorreva lenta sulla mia testa accarezzandomi i capelli scomposti. Sorrisi istintivamente a quel leggero contatto, mormorai qualcosa di incomprensibile perfino a me stessa senza aprire gli occhi. Un nuovo odore mi invase le narici, respirai a fondo
acqua di colonia, sempre la stessa. Pizzicava un po' le narici, era decisamente forte, intenso... un mix perfetto, un profumo che non si dimentica facilmente. Mi piaceva, mi era sempre piaciuto.

"...devo andare..." mormorò poi una voce familiare. Il respiro caldo danzò sulla mia spalla.

"Che ore sono?" riuscii a dire con la voce impastata dal sonno.

"...manca un quarto d'ora alle sette. Ho sentito qualcuno scendere al piano di sotto..." rispose lui mentre si alzava dal letto.
Aprii lentamente un occhio ma lo richiusi quasi subito quando la luce mi trafisse la pupilla ancora poco abituata. Lo riaprii, questa volta con lentezza, intravedendolo mentre si rivestiva in fretta: infilò al contrario la canottiera bianca senza accorgersene poi recuperò la camicia e si voltò di nuovo a guardarmi. Sorrise.
Aveva un sorriso dolce, lo pensavo sempre.
Si voltò verso la finestra ispezionando il giardino poi mi guardò con un sorriso diverso, quel suo solito sorrisetto sghembo di chi la sa lunga.

"...ci vediamo a scuola" mi disse allegro prima di scavalcare il davanzale camminando a passo svelto lungo la grondaia. Scomparve dalla mia vista e potevo solo immaginarlo mentre si aggrappava al ramo solido della sequoia del mio giardino scivolando esperto, conosceva alla perfezione quel percorso, e atterrava con un salto sull'erba soffice del giardino e sgattaiolava via come un razzo assicurandosi che non ci fosse nessuno a spiarlo per poi scavalcare la staccionata bianca e via, sulla sua jeep nera.

Sbadigliai vistosamente rigirandomi fra le lenzuola. Aprii entrambi gli occhi allungando le braccia sopra la testa e stiracchiando le gambe. Sentivo ancora i muscoli indolenziti per la notte turbolenta appena trascorsa. Non potevo credere che l'estate fosse già finita, era passata così rapidamente, troppo rapidamente.

Passai in rassegna le cose da fare. Quella giornata sarebbe stata estremamente lunga. L'occhio cadde sulla sedia della scrivania dove riposava la mia divisa, perfettamente pulita, tirata a lucido dopo tre mesi di reclusione nel mio armadio. Sul pavimento il mio borsone rosso e lo zaino nero della scuola.

Dopo le lezioni avrei dovuto trattenermi in palestra dove, senza alcun dubbio, la coach mi avrebbe martellato di insulti. Non importava per quale ragione, probabilmente avrebbe inventato qualche chilo in più presi in quei tre mesi estivi o, magari, avrebbe insinuato che non mi fossi allenata tutti i giorni, che i miei muscoli si sono rammolliti. Avrebbe tirato fuori qualcosa, tutto pur di farmi sentire una perfetta nullità. L'unica cosa positiva era che avrei potuto riservare lo stesso trattamento al resto della squadra quando ci avessero raggiunto in palestra e avrei fatto il mio solito discorso di inizio anno, da bravo capitano.

Sorrisi divertita a quel pensiero. Poi avrei stabilito il giorno delle selezioni per le nuove reclute, alcune delle migliori Cheerios si erano diplomate e c'erano posti vacanti.
Il suono della sveglia irruppe nei miei pensieri, allungai un braccio prontamente spegnendola. Sospirai tirandomi a sedere sul letto, sbadigliai di nuovo e mi alzai. Scrutai il mio riflesso nello specchio del bagno, osservando i miei stessi occhi, esplorando la profondità scura delle mie iridi. Mi passai una mano tra i capelli neri e setosi ancora un po' scompigliati poi sorrisi a me stessa unendo le labbra mandando un lieve bacio al mio riflesso prima di liberarmi dell'intimo che mi avvolgeva ed infilarmi sotto la doccia.

***

"Hai peso tutto ciò che ti serve?" mi domandò premuroso mio padre accostando la macchina.

"...ho tutto Papà. E' la terza volta che me lo chiedi" sbuffai contrariata.

"Hai ragione, principessa" sorrise lui prima di allungarsi verso di me lasciandomi un leggero bacio sulla fronte ed io sorrisi a quel contatto "Buona giornata" mi disse dolcemente.

"Ciao Papà" sorrisi di rimando aprendo la portiera ed uscendo dall'auto. Mi voltai sentendo il motore ripartire ed allontanarsi alle mie spalle. Mi incamminai verso l'edificio davanti a me. Camminai a passo lento lungo il vialetto dell'entrata principale stringendo la spallina della mia tracolla azzurra perché non scivolasse dalla mia spalla. Osservai le mie scarpe, pensierosa.
Un nuovo giorno, un nuovo anno di scuola si stava spalancando davanti a me.
Sospirai.

Entrai nell'edificio cercando di ricordarmi se avessi fatto tutti i compiti per le vacanze e sperando fermamente di non avere spagnolo alla prima ora per avere il tempo di poter far controllare i miei compiti a qualcuno prima di consegnarli. Era possibile che io fossi cosi negata per lo spagnolo?

Percorsi i corridoi senza veramente prestare attenzione, ripercorrendo senza sforzo un tragitto che conoscevo a memoria, mi fermai di scatto accanto al mio armadietto. Sempre lo stesso da quattro anni. Girai la rotellina del lucchetto inserendo la combinazione. Sempre la stessa, non la cambiavo mai perché non sarei riuscita a ricordarne un'altra. Lo aprii e l'odore di chiuso e di polvere mi invase le narici.

Il mio sguardo fu catturato da un'unica foto lasciata lì, sul fondo spoglio. Alla fine dell'anno precedente avevo svuotato l'armadietto, staccando una ad una le foto, i ritratti, i disegni appesi all'interno. Avevo lasciato lì solo quella e non era un caso. Sapevo che avrei dovuto strapparla, disfarmene una volta per tutte ma non lo avevo fatto. L'avevo lasciata li. Cosa speravo? Che si sgretolasse da sola nel buio di quella scatola di metallo? Non lo sapevo, sapevo solo che l'avevo lasciata li e lei era rimasta ad aspettarmi.

"Toc toc" un dito picchiettò sulla mia tempia facendomi sobbalzare e riportandomi sulla terra.

Incrociai lo sguardo della mia migliore amica che mi fissava sorridente. Sorrisi a mia volta: era impossibile non farlo. Lei era radiosa, come sempre d'altra parte, i suoi capelli scuri rilucevano raccolti sul lato con un fiocco rosso e la sua mano mi accarezzò il viso leggera.

"...ti stavo chiamando. Non mi hai sentita.." disse lei calma senza smettere di sorridere.

"...ero sovrappensiero" mi affrettai a rispondere.

Lei spostò lentamente lo sguardo da me all'interno dell'armadietto ed il suo sorriso si spense lentamente. Io sobbalzai affrettandomi a richiuderlo.

Troppo tardi.

"Brittany!" sbottò lei con tono di rimprovero.

"...lo so... so cosa stai per dirmi! Ma c'è una spiegazione..." mi affrettai a dirle implorante.

Con uno scatto lei riaprì l'armadietto ed, allungando la mano, staccò la foto dal fondo rigirandosela tra le mani.

"Avevi giurato di essertene liberata!" sospirò in tono deluso guardandomi negli occhi.

"Lo so, lo so, l'avevo giurato e volevo farlo, sul serio, ho solo… deciso di lasciarla qui ripromettendomi di farlo all'inizio dell'anno" mi giustificai affrettandomi a cercare una scusa plausibile.

"Cioè oggi.." cantilenò lei.

"Già" annuii io poco convinta.

"Beh... che aspetti?" disse porgendomela con un sorriso speranzoso.

La presi tra le mani, osservandola. La conoscevo a memoria quell'immagine, era come stampata nella mia mente. Avrebbero potuto collegare un cavetto al mio cervello e prenderla direttamente da lì. Ne ripercorsi i particolari con lo sguardo. Le foto erano la mia passione, dopo il ballo ovviamente, erano il mio passatempo preferito. Avevo sempre pensato che le fotografie fossero in grado di catturare l'anima delle persone, delle cose, e poi mi affascinava l'idea che i soggetti rimanessero inalterati nonostante il tempo. Le persone cambiano, crescono, ma nelle foto si conservano esattamente come li ricordiamo.

Avevo letto un sacco di libri sull'argomento, pregato i miei genitori fino allo sfinimento, perché mi regalassero una macchina fotografica professionale per il mio compleanno, due anni prima. Mi ero persino creata una piccola camera oscura personale nello scantinato di casa e, quando il preside decretò che tutti gli studenti avrebbero dovuto seguire almeno un'attività extrascolastica proposta dalla scuola, non avevo avuto dubbi: mi ero presentata alla redazione del giornalino scolastico con cinque dei miei migliori scatti. Ero diventata il fotografo ufficiale. Mi divertivo, guadagnavo crediti per la scuola ed, inoltre, era un impegno che non rubava troppo tempo alla mia passione principale: la danza.

Di foto che ritraevano quello stesso soggetto ne avevo tantissime, nei cassetti della mia scrivania, ma nessuna era come quella. Le altre foto le avevo scattate quasi di nascosto, avevo passato pomeriggi interi nascosta all'ombra degli spalti del campo da football della scuola durante gli allenamenti delle cheerleader. Stringendo la fotocamera e facendo scattare il dito sul pulsante di scatto ogni volta che lei entrava nel campo visivo che il mio obbiettivo catturava. Alcune le avevo scattate nel corridoio mentre lei era di spalle o distratta a parlare con qualcuno.

Ma quella foto era speciale. Non era uno scatto rubato, la ritraeva perfetta nella sua divisa da capo-cheerleader fiera e meravigliosa. Sorrideva. E sorrideva proprio a me. Ricordai quel momento per un secondo infinito, avevo avuto l'incarico di scattare le foto agli studenti per l'annuario scolastico e, quando l'avevo vista entrare nella stanza adibita a set fotografico, avevo creduto di svenire.

"Cerchiamo di sbrigarci" aveva sbottato senza nemmeno guardarmi "Sono in ritardo per gli allenamenti" si sedette sfoderando il suo più finto sorrisetto.

Non riuscii a pronunciare una sola parola. D'un tratto mi sentii come di pietra, rimasi a fissarla per qualche secondo senza sapere bene cosa fare. Mi riscossi dal mio torpore, avvicinandomi tremante alla fotocamera sistemata sul piedistallo. Credevo di impazzire mentre le mie narici venivano invase dal suo profumo buono che si sentiva a chilometri di distanza ed io avrei potuto respirarlo a vita senza stancarmene.
Feci per scattare la foto, ringraziando mentalmente lo zoom della macchinetta che mi permetteva di mettere a fuoco ancora meglio i tratti perfetti del suo viso così vicino. Il suono meraviglioso della sua risata invase la stanza mi riempì le orecchie ed io mi ritrovai a pensare che mai nella mia vita avevo sentito un suono più bello di quello.
Credo fermamente che la sua risata abbia il potere di guarire qualsiasi malattia.

"Forse prima dovresti togliere il tappo dall'obbiettivo non credi?" disse ridendo ancora di gusto.
Mi sorpresi della tranquillità con cui lo disse, avrebbe potuto fare un commento più cattivo, più spietato. Arrabbiarsi, forse, perché le facevo perdere tempo, ne era capace e lo sapevo bene, invece si limitò a ridere mentre più imbarazzata che mai tolsi il tappo avvampando di vergogna. Scattai la foto mentre lei ancora ridacchiava fissando i miei movimenti impacciati.

"Bellissima" sussurrai incantata e finalmente trovai il coraggio di guardarla ma lei era già saltata in piedi raccogliendo da terra il suo borsone borbottando un "Come sempre" tra se e se prima di uscire in fretta senza aggiungere altro.

"Brit sei ancora su questo pianeta?" la voce di Rachel mi riscosse allontanando quel ricordo. Alzai lo sguardo dalla foto e la fissai.

"Non posso" dissi con voce strozzata.

"Britt, dannazione sono due anni che ti torturi" la sua voce si abbasso di circa tre toni "La tua fissazione per Santana Lopez è assolutamente inappropriata e non lo dico perché lei è una ragazza ma perché è la figlia di Satana in persona! E' la più perfida, la più stronza, la più subdola manipolatrice che esista sulla faccia della terra. Aggiungici poi che è una divoratrice di maschi, torturatrice di poveri innocenti, compresa la sottoscritta! Insomma è una mina vagante non ha nulla a che vedere con te, con noi... non è di questo mondo..." concluse Rachel irritata.

"Hai ragione... è divina..." dissi in un sospiro.

"NO! E' diabolica!" si affrettò a insistere lei ma non l'ascoltavo già più.

Lei sospirò rassegnata, forse, alla vista di quel mio sorriso ebete che sicuramente avevo stampato in faccia. Era sempre lo stesso che mi spuntava fuori automaticamente ogni volta che pensavo a Santana.