Jamie

Kate aprì gli occhi di colpo, quando sentì una piccola mano posarsi sulla sua guancia. Grazie al suo addestramento aveva sempre la guardia alta e questo la rendeva sveglia e lucida nel giro di qualche istante. In più, aveva ereditato il sonno leggero di tutte le madri.

La stanza era per lo più immersa nell'oscurità.

Filtrava solo un tenue fascio di luce arancione proveniente dalla stanza accanto, quella in cui dormiva Jamie quando si trasferivano negli Hamptons, in cui lasciavano sempre accesa una piccola lampada girevole che proiettava sul muro immagini di stelle, pianeti e dinosauri, sia per rassicurare il sonno di Jamie, che permettere a loro di raggiungerlo più facilmente in caso di necessità, senza procurarsi enormi lividi contro gli spigoli e stipiti delle porte.

Riconobbe la piccola figura del figlio, il dito in bocca, lo sguardo serio con cui la fissava che racchiudeva un interrogativo muto, che era più un ordine perentorio, infilato dentro a un pigiama con le navicelle spaziali che gli aveva comprato lei solo qualche giorno prima e che Castle gli aveva fatto indossare qualche ora prima, divertito dai gusti televisivi della sua fidanzata.

Gli sorrise, tolse la manina che era ancora appoggiata sul suo viso, per lanciare una rapida occhiata dietro di sé. Voleva controllare che Castle non si fosse svegliato e, quando si fu tranquillizzata che il suo sonno non era stato disturbato, si mise un dito davanti alle labbra per ricordare a Jamie il loro patto segreto: doveva essere il più silenzioso possibile per non correre il rischio che il padre si accorgesse della sua presenza e lo riportasse nella sua camera, che era quello che sarebbe invariabilmente successo. Lo sapevano entrambi.

Scostò le lenzuola per invitarlo a raggiungerla. Jamie, esperto fuorilegge, grazie a una lunga esperienza di misfatti in combutta con sua madre, si arrampicò sul letto accanto a lei.

Kate si spostò verso il centro, facendosi più vicina a Castle, attenta a non sfiorarlo.

Jamie si accoccolò vicino a lei riducendo i movimenti al minimo, spostandosi alla cieca sul suo corpo per cercare con l'orecchio il battito regolare del suo cuore, proprio come faceva quando era più piccolo.

Era una cosa che non mancava di intenerirla.

Insieme a una miriade di altri piccoli gesti e comportamenti che non si era aspettata, prima di trovarselo tra le braccia.

Uno su tutti, aveva pensato che sarebbe stata lei il poliziotto cattivo, per inclinazione caratteriale e ovvia deformazione professionale e, invece, aveva presto capito che non riusciva a indirizzargli uno sguardo accigliato senza che quel musetto adorabile non le facesse venir voglia di scoppiare a ridere, abbracciarlo, e dirgli che era passato tutto.

Spesso aveva cercato di mantenere il più a lungo possibile una seria espressione di rimprovero, trattenendo le smorfie, prima di scappare altrove a cedere alle risa. Qualche volta insieme a Castle, incapace di resistere come lei.

Avevano convenuto ben prima che nascesse di dover formare un fronte compatto, per educarlo al meglio, e si erano ripetuti orgogliosi, e annuendo con aria grave, che sarebbero stati genitori molto responsabili. Fermi.

Nei fatti dovevano evitare con molta cura di incrociare i loro sguardi sopra la sua testa, per non soccombere senza speranza al faccino rammaricato del loro primogenito.

Lo coprì con sollecitudine, piegando bene il lenzuolo sotto al suo mento, gli abbassò le maniche della maglietta che si erano arrotolate durante la notte, sfregandogli le mani fredde per scaldarlo.

Il clima degli Hamptons era implacabile a Natale, e, anche se quando erano arrivati la casa era già calda, grazie a un'organizzazione tempestiva ed efficace, Jamie doveva essersi scoperto durante la notte, come faceva sempre.

Conservava sul cellulare una foto di lui a qualche mese, disteso di traverso in fondo al lettino, con le gambe penzoloni tra le sbarre di contenimento, che dormiva pacificamente.

Viveva con l'apprensione che rotolando finisse soffocato dalle coperte, ma finora erano state più le volte in cui aveva spinto l'ammasso disordinato delle lenzuola in fondo al letto e aveva dormito scoperto, come suo padre.

Non aveva mai pensato che avrebbe potuto creare una simile connessione armoniosa con un altro essere umano. Castle la capiva, e lei lo amava con un'intensità che non avrebbe mai creduto possibile, per una persona che si definiva indipendente e autonoma. Selvatica, forse.

Ma non si poteva certo dire che i loro caratteri avessero armonizzato con facilità.

Quello che le succedeva con Jamie non le era mai accaduto con nessuno.

Durante le prime settimane angoscianti della sua inaspettata gravidanza aveva immaginato che il nuovo nato avrebbe subito fatto comunella con Castle, perché, via, i bambini lo adoravano e lui sembrava capirli molto bene, vista la sua naturale tendenza giocosa.

Era stata l'unica considerazione che aveva avuto il potere di calmarla e le aveva dato un po' di coraggio.

Castle sarebbe stato in grado di fare il genitore di tutti, se lei si fosse rivelata incapace di prendersi cura di chicchessia.

Ed era andata così, infatti.

Castle aveva avuto la mano magica con lui, nel farlo addormentare nel giro di qualche minuto, da neonato, regalandole prezioso tempo per riposare, quando era esausta al punto da voler solo buttarsi sulla prima superficie disponibile.

Ancora più fondamentali erano state le sue doti innate di accudimento quando si era trattato di svezzare Jamie. Lei aveva seguito pedissequamente le indicazioni del pediatra, e aveva preparato litri di poltiglia di mais e tapioca, trattenendo il disgusto perché Castle, no, il libro dice così e noi siamo contrari all'auto svezzamento, deve mangiare questa schifezza e non mi alzerò da qui finché non avrà finito.

Molto prevedibilmente, visto il carattere testardo di entrambi, si era sempre rivelata una lotta infernale anche solo infilargli in bocca la punta di un cucchiaino, con il risultato che la massa gelatinosa era finita in gran parte sui loro vestiti, sui capelli di entrambi, sul seggiolone e perfino sui muri. Ma non nel suo stomaco.

Castle arrivava, tranquillo e rilassato, senza un pensiero al mondo, si sedeva davanti al piccolo ribelle e, con pacata autorevolezza, gli faceva capire che doveva mangiare e non era accettabile nessun'altra opzione. Jamie ripuliva il piatto senza fiatare.

In quelle occasioni Castle le sembrava un incantatore di serpenti. Era stata disposta a passargli un assegno mensile per i suoi servizi.

Lei avrebbe preferito trattare con una stanza piena di sospettati decisi a non confessare nemmeno di fronte al Padre Eterno.

Quindi, sì, le sue speranze si erano realizzate, Castle sapeva essere un meraviglioso padre di figlio maschio, come lo era stato di figlia femmina.

Non aveva previsto, invece, che lei e Jamie potessero intendersi così bene. Che sarebbero diventati complici in moltissime situazioni spassose e che le sarebbe piaciuto. A lei, la regina dell'ordine e del controllo.

Che lo avrebbe apprezzato, non solo come suo figlio, o come bambino. Come persona, quella di adesso e quella che sarebbe diventata.

Lo trovava buffo e serio allo stesso tempo, sempre molto cocciuto, quello era un tratto molto dominante impossibile da mitigare, attento, curioso, certo non privo dei tratti tipici ed esasperanti di tutti i bambini, che qualche volta le facevano sanguinare gli occhi per la frustrazione.

Era una personcina interessante, la cui compagnia trovava più gradevole di quella di molti altri adulti.

Era quindi successo che, laddove si era immaginata lui e Castle alleati a compiere qualche infrazione alle regole, con lei a a scoprirli severa con le mani sui fianchi e lo sguardo da non osate mentirmi, era spesso lei quella più cedevole, permettendo cose che, se glielo avessero detto prima che tutta l'avventura avesse inizio, l'avrebbero fatta inorridire.

Per esempio dormire abbracciati. Chi, lei? Assolutamente, no.

I bambini dormono in letti militari con le assi di legno, nella loro stanza gelida, per fortificarsi. E nessuno si sarebbe alzato a consolarli di notte.

Non c'era niente di più bello, secondo lei, che sentire il suo lieve respiro sulla guancia prima di addormentarsi. E magari la mano di Castle appoggiata su un fianco, con lei felice e assonnata in mezzo ai suoi uomini.

O percorrere infangati le strade di New York perché avevano passato ore a dar da mangiare alle anatre al parco e qualcosa era andato storto con l'acqua stagnante, e con l'intera faccenda, e tornare a casa lasciando impronte per tutto il salotto, prima di andare a cambiarsi.

Fermarsi per strada sui gradini di qualche edificio pubblico e aspettare con enorme pazienza che lui le raccontasse qualcosa di molto importante, che non poteva attendere altri più idonei lidi, con il suo vocabolario limitato, le infinite ripetizioni, le dimenticanze, i cambi di discorso. Anche se aveva l'agenda piena di appuntamenti pressanti.

Andare al lavoro e scoprire dopo ore di avere i capelli di un'istrice perché manine sudicie avevano deciso che avesse bisogno di qualche carezza mattutina per affrontare meglio la giornata.

Kate sentì qualcosa frapporsi tra lei e il corpo di Jamie, allungò una mano e toccò il piccolo orso morbido, compagno immancabile di tutte le attività di suo figlio, da sveglio o dormiente.

Il peluche a pelo raso, adatto ai neonati, era stato il primo regalo che aveva ricevuto a poche ore di vita ed era diventato la sua irrinunciabile - ingombrante - ombra.

Era ormai irriconoscibile per via del numero di volte che era finito in lavatrice, vista la sua tendenza a cacciarsi in guai molto sporchi insieme al suo compagno di giochi.

Aveva le orecchie che pendevano storte e flosce perché Jamie aveva il vizio di sfregarle e accartocciarle per conciliarsi il sonno, come faceva con quelle umane che aveva a disposizione, e quindi si erano staccate dal resto del muso a più riprese e lei, nota ricamatrice provetta, si era assunta il compito di ricucirgliele con molta buona volontà e risultati molto dubbi.

Aveva chiaramente visto Castle trattenersi dal fare commenti spietati, quando gli aveva mostrato l'esito del suo lavoro di ago e filo.

Jamie gli aveva dato un nome che nessuno, inizialmente, aveva capito. Avevano cercato di interpretare il confuso balbettio, chiedendogli conferma, ma sembrava che nessuna delle loro idee fosse quella giusta. Per farla finita, avevano deciso di affibbiargli il nome onomatopeico che sembrava essere più vicino al farfuglio con cui il bambino sembrava riferirsi al suo orso consolatore che, da allora, era stato per sempre chiamato, in gloria: "Il Pippi".

Il Pippi, che sembrava assumere sempre un'espressione da orfano derelitto, non poteva essere sostituito con nessun altro esemplare, di medesima fattura, pena pianti inesauribili e inconsolabili.

Tutti sapevano di non doverlo mai perdere d'occhio, per non rischiare di attraversare l'inferno e non tornare indietro.

Veniva narrato in tutte le riunioni familiari dell'orribile accadimento svoltosi al distretto, quando, in un giorno che era sorto senza alcun sentore della minaccia incombente, Castle, Jamie e Il Pippi si erano avventurati nel mondo per venirla a trovare e pranzare insieme.

Inavvertitamente, anche se Beckett aveva sempre sospettato una seconda natura malevola del pupazzetto ben nascosta dagli occhi grandi e tristi, il Pippi era finito ai piedi della sua scrivania, esposto all'indifferenza generale.

Solo più tardi aveva ricevuto una telefonata fiume da Castle che, con tono prossimo all'isteria, le aveva chiesto se quel dannato orso sfigato fosse rimasto da lei.

Kate l'aveva cercato affannosamente, l'aveva trovato abbandonato sul pavimento ed era dovuta correre a casa a portarlo. Non c'era nemmeno stato bisogno che Castle le chiedesse il favore. Era ben cosciente dell'emergenza che stava avendo luogo a casa loro. Era la prima volta che Castle perdeva a tal punto le staffe, da quando lo conosceva.

Il Pippi condivideva un particolare momento magico tra Castle e Jamie, che si svolgeva tutte le sere e che Castle era così generoso da dividere anche con lei: il racconto serale di meravigliose storie che inventava appositamente per tutti loro. Era nata come attività a due, ma quando Kate arrivava a casa abbastanza presto (e cercava di farlo molto spesso), si infilava nel lettino tra Jamie e il muro e ascoltava rapita il dipanarsi di avventure straordinarie, ambientate in regni lontani, con protagonisti animali magici parlanti, raccontate adattando le voci ai diversi interlocutori. Pendevano tutti dalle labbra del cantastorie.

Era una scrittore, le aveva detto, ti pare che gli leggo delle fiabe? Gliele invento.

Se la giornata era stata stancante, Kate scivolava nel dormiveglia, cullata dal tono ritmico e cantilenante, volando con la fantasia.

Quando Jamie si addormentava, Castle le accarezzava i capelli per svegliarla piano, perché potessero iniziare la loro serata a due. Lei abbandonava quel mondo fatato con un po' di rammarico.

Non gli aveva mai detto che aveva inventato molte scuse, per essere a casa all'ora giusta.

Ci teneva così tanto che, quando saltava qualche puntata, gli chiedeva una breve sintesi via mail, per tenersi aggiornata.

Jamie era diventato pesante contro di lei, segno che si era riaddormentato di nuovo, e Castle si era mosso nel sonno finendole così vicino da avvertirne la presenza con tutti i suoi sensi.

Avevano ancora qualche ora di sonno prima di doversi alzare e dare inizio alla giornata campale che li aspettava.

Non l'avrebbero tirata fuori di lì nemmeno se le avessero detto che c'era una bomba sotto al letto.