Prologo:
B: Look... I know that I'm not the easiest person to get to know, and I don't always let on what's on my mind. But this past year, working with you, I've had a really good time.
C: Yeah. Me, too.
B: So, I'm- I'm just gonna say this and...

"Se l'invito è ancora valido..." .
"L'invito?", la interruppe Castle, senza capire.
Kate inspirò profondamente, cercando di raccogliere tutto il coraggio che aveva, mentre stringeva tra le mani la bottiglia di birra, come se da questo dipendesse la sua vita.
"Il week end negli Hamptons", lasciò uscire in un soffio.
"Tu, cioè, vuoi dire che... che cosa?!" Castle non riusciva a credere alla sue orecchie. L'aveva invitata perché, Dio, certo che voleva Kate Beckett in costume sulla sua spiaggia, nel suo patio e... altrove, ma non avrebbe mai scommesso un soldo che avrebbe accettato l'invito.
Devi ricordarti di scommettere più spesso, Rick.

Kate lo guardò, incerta. E sentendosi vulnerabile. E idiota. Forse l'aveva detto scherzando. Forse non intendeva davvero invitarla negli Hamptons. Forse era presto. Oddio cosa aveva fatto. Si era resa ridicola, così, davanti a Richard Castle.
"Se non... intendo... se non hai altri programmi". Andiamo fino in fondo e facciamola finita. Del resto non è mai morto nessuno di ridicolo, no? Finora, almeno.
"No", la interruppe lui con urgenza. "No, no. Assolutamente. Certo che l'invito è ancora valido. Partiamo. Subito, ora". La guardò con un mix di tale gioia, meraviglia e un pizzico di riconoscenza che lei si lasciò sfuggire una risata di gola.
Questa cosa la impauriva da morire, ma allo stesso tempo la eccitava come il primo giro sulle montagne russe a dodici anni. Cercò di darsi un contengo, nel tentativo di tornare la persona controllata che tutti credevano che fosse.

"Castle, prima devo andare a casa a prendere qualche vestito", gli ricordò, pratica.
"Non ti serve nessun vestito", la stuzzicò, sorridendole sornione.
"Castle", lo ammonì fingendo una severità che non sentiva. "Se è così che intendi..."
"Oh, per favore. Non sono certo così noioso come Tom", finse di offendersi. "Oh, a proposito di Tom". La guardò con intenzione, mentre lei abbassava lo sguardo, imbarazzata. "Pensavo che andassi via con lui questo week end". Non intendeva certo stare a porsi inutili e sterili domande su: "Ma tu non stavi con un altro?", proprio adesso che aveva accettato di andare via con lui. Poteva avere anche dodici uomini tutti insieme, ma, intanto, per questo week end era sua. Per il momento. E togliendo i dodici uomini dall'equazione. Ma la curiosità ebbe il sopravvento e non poté fare a meno di domandarsi che fine avesse fatto il suo rivale. Sì, certo, rivale. Come se avesse mai avuto qualche chance.

Lei si mordicchiò un labbro, ricordando il povero Tom che era andato via con aria mesta solo qualche ora prima. Le piaceva, davvero. Come ti piace un vecchio, affidabile, cane da guardia.
"Noi... abbiamo pensato che fosse meglio prendere strade diverse". Spiegò, diplomatica.
Castle inarcò un sopracciglio. "Noi? Anche lui ha convenuto che fosse meglio smettere di vedervi?". Via. Chiunque sano di mente non avrebbe mai lasciato Beckett. E non lo diceva solo perchè, beh, perchè era lui. Lo diceva perchè era vero. Era straordinaria. Tom doveva avere seri problemi, se non se ne era accorto.
"Ok. Io. Io ho deciso di lasciarlo", ammise Beckett, suo malgrado. Sapeva dove voleva andare a parare e no, non voleva prendere quella strada. Spiegare. Spiegarsi. Non era brava con le parole, e lui lo sapeva.
"L'hai lasciato per venire negli Hamptons con me?", chiese lui gondolando. Uno a zero, Tom. Uno. A. Zero.
Lei si lasciò sfuggire un sospiro esaperato. Lo sapeva. Il Grande Ego in azione. "No, non l'ho lasciato... per te. Io... " non trovava le parole giuste. Perchè la verità era sì, certo, Rick che l'ho lasciato per te. E lo so come lo sai tu, ma vuoi sentirtelo dire e non posso. Non ancora.
"Senti, vuoi che andiamo o pensi di stare qui al distretto tutto il week end a farmi il terzo grado? Vuoi portarmi nella stanza degli interrogatori? Devo sottopormi alla macchina della verità?". Se non puoi convincerli, confondili. Era il suo mantra. Del resto, era brava a far confessare la gente, giusto? Era il suo campo.

Lui alzò le mani in segno di resa. "Ok, d'accordo. Andiamo, certo. Ma non pensare che non ci sia tempo in questi giorni per parlare di...".
Lei lo guardò con una luce maliziosa negli occhi. "Parlare, Castle? E' così che conquisti le donne?"
"Abbiamo una donna da conquistare, qui?" rispose veloce alla sua provocazione, sfoderando il suo tono ammaliatore. E gli occhi blu. E... basta. Ok, basta. Contegno, Kate. "Pensavo che avessi accettato in amicizia", fece una breve pausa. "Sai, un po' di relax dopo tanto lavoro, il primo tuffo della stagione, i marshmallow sul fuoco. Tanti libri da leggere. Katherine Beckett, mi stai dicendo che hai intenzioni meno che onorevoli sul mio conto? Non me lo sarei mai aspettato", rispose sgranando gli occhi e fingendosi oltraggiato.
Lei lo guardò stupefatta, ma poi lo vide ridere sotto ai baffi della sua sorpresa. Maledetto Castle. La stava prendendo in giro. E lei ci era cascata. "Sì, certo, è un invito amichevole. E io ho accettato proprio per amicizia E, sì, in effetti, ho proprio tanti libri da leggere", rispose ostentando indifferenza.
"Portali", le suggerì. "Magari possiamo scambiarci qualche titolo, mentre parleremo di, uhm, letteratura americana contemporanea".

Kate era davanti al suo armadio, cercando di fare una lista mentale di cose da portare, ma tutto quello che voleva fare era saltellare in giro per la sua stanza, in accappatoio, pensando al week end che aveva davanti. Calmati, si disse. Queste cose non le facevi nemmeno a quindici anni.
E va bene, solo un saltino. Però, piccolo.
Non riusciva a smettere di sorridere. Ma doveva fare in fretta, perché di lì a poco Castle sarebbe passato a prenderla ed era sicura che, anzi, fosse già di sotto ad aspettarla. Si erano accordati per vedersi un'ora dopo, "Sessanta minuti. Sincronizziamo gli orologi" le aveva detto, prima di scappare via di corsa senza salutare nessuno, quasi travolgendo le persone al suo passaggio, entusiasta e spensierato, come se non avesse un problema al mondo. Il solito Castle, insomma, si ritrovò a pensare con tenerezza.
Cercò di concentrarsi su cose pratiche, per non pensare alla cosa enorme che aveva fatto. Ma non aveva voglia di dirsi che non era da lei, che avrebbero rovinato tutto, che sarebbe stato un disastro e che non ci aveva pensato bene. Certo, che non ci aveva pensato. Certo che era una follia. Ma per una volta aveva voglia di smettere di portarsi addosso il peso del mondo. Voleva fare qualcosa che da tanto non si concedeva di fare. Sentirsi via. Non sentirsi in colpa per tutto. Voleva prendersi una vacanza dalla sua vita. E poi... e poi chi vivrà vedrà.

Un minuto prima che finisse l'ora concessa (Castle aveva preso molto sul serio questa cosa degli orologi sincronizzati) raccolse la borsa, la chiuse con un gesto deciso e, dando un'ultima occhiata generale, uscì di casa senza ripensamenti.
Lui la stava aspettando, parcheggiato in doppia fila, con un dito a battere sull'orologio. Occhiali da sole, un'ombra di barba, jeans e maglietta verde militare. Si sentì tremare le gambe, per l'eccitazione di ciò che l'aspettava e per l'attrazione che era sorta all'improvviso per lui, dentro di sé. Quell'attrazione che non si era mai permessa di sentire perché, via, Kate Beckett che si mette a fangirlare per lo scrittore milionario, latin lover, e miglior single di Manhattan? Ma per favore. Lei non era come le altre. Lei era di più, voleva di più e certo non bastavano due braccia abbronzate per..? Oddio aveva detto braccia? Smettila di fissarle, Kate. Controllo. Contegno. Era una donna indipendente e realizzata e certo non trovava per niente virile vederlo alla guida, un braccio posato sul volante con noncuranza, perfettamente rilassato e padrone di sé, mentre lei, ecco, lei voleva giusto salire in macchina e svenire. Le sue emozioni non sarebbero uscite vive da questo week end, pensò con orrore. Cosa aveva fatto?
Ma poi si accomodò, un po' rigida e attenta che i loro corpi non si sfiorassero, e lui iniziò a farla ridere, e lei lo prese in giro e lui le raccontò aneddoti divertenti delle estati passate e lei si rilassò contro il sedile, chiudendo gli occhi per un istante, assaporando il momento. Il tramonto, la strada senza traffico, la morbidezza della pelle, la voce ipnotica di Castle che la cullava. Tre giorni. Tre giorni e basta. Poi sarebbe tornato tutto come era prima, si disse. Sapendo in fondo al cuore di mentire a se stessa.