Prologo
"L'entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in un spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire" […].
"Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell'anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo riferire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferti in questa vita di assai gravi […], tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua" […].
"Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi e stendere le membra, chiusa com'ero in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocamento. Non c'era luce, ma tenebre fittissime" […].
Chiuse il libro facendo schioccare le pagine "il castello Interiore" di santa Teresa d'Avila, lo ripose in quella piccola ma sostanziosa biblioteca che padre Sirius lo aveva aiutato a costituire anno dopo anno. Il libro riprese il suo posto tra il "Diario. La misericordia divina nella mia anima", di Santa Faustina Kowalska e le "Confessioni" di Sant'Agostino, sapeva a memoria ogni passo che descriveva i sette Vizi capitali, accarezzò il dorso della Divina Commedia e chiuse gli occhi, conosceva ogni testo scritto, ogni immagine
Si allungò sulla piccola sedia, non per trovare conforto nella distensione delle membra rattrappite per aver tenuto la stessa posizione china per ore, a lui non erano concesse tregue e agi, ma solo per rinsaldare anche con la memoria visiva i connotati del mondo infero, passò dalla manifestazione dei peccati in terra così come li aveva dipinti Hieronymus Bosch[1], alla contemplazione delle atroci pene inflitte ai peccatori. Ovunque si girasse, in quella piccola stanza, poteva vedere i tormenti dei dannati, descritti nei particolari più raccapriccianti, anime ignude addentate da demoni, immerse nel fango o bruciate, infilzate, dilaniate e Lucifero troneggiante al centro, aveva appuntato sul soffitto una riproduzione dei mosaici della cupola del Battistero di Firenze, a sinistra altre immagini gli affreschi di san Petronio a Bologna. Gli italiani medievali dovevano essere scesi spesso agli inferi, perché le loro descrizioni erano uniche, incredibili ma vere. Lui lo sapeva ne era certo, padre Sirius glielo aveva detto fin da subito 'tu sei un eletto, tu sei colui a cui è stato dato il compito di redimere questa umanità che ha dimenticato, devi fargli conoscere a cosa vanno incontro se non si fermano in tempo!"
E lui aveva studiato, si era preparato, tutta la vita anelava a salvare le anime anche di chi era definitivamente perduto, aveva trovato il modo, le avrebbe scolpite!
Era tutto pronto da mesi, da nove mesi conosceva coloro che avrebbe accompagnato attraverso la porta dell'inferno era arrivato il momento di spalancare la spelonca infera, tutti avrebbero saputo!
[1] Sette Peccati capitali, Madrid, Museo del Prado, Sette peccati capitali, Hieronymus Bosch o imitatore, 1500-1525 circa
