Alla mia migliore amica Sara, l'unica persona che la leggerà.

"Due occhi azzurro ghiaccio"
by Priska Nicoly

"It's easier to run
Replacing this pain with something numb
It's so much easier to go
than face all this pain here all alone"

"It's easier to run" - Linkin
Park

Prologo

South Carolina, gennaio 1779

-Maledizione, stanno arrivando!- un urlo squarciò l'aria tesa e fredda di quella notte invernale.

George Halliwell alzò la testa e drizzò le orecchie, guardando allarmato verso l'entrata della tenda. Gocce nere d'inchiostro caddero sulla lettera che stava scrivendo, sbafando sulla firma. George Halliwell lasciò cadere la piuma d'anatra sulla cassa che fungeva da scrittoio. L'urlo era arrivato dall'esterno. George si alzò di scatto, afferrò il fucile e si affacciò all'entrata della capanna. Ai suoi lati, teste ansiose si sporsero dalle tende lì intorno. Individuando un compagno che correva verso di lui affannato, George gli urlò:

-Cos'è successo, Garrett?-

L'uomo cercò di riprendere fiato premendosi una mano sul petto. Anche alla pallida luce della luna piena, si vedeva bene che il soldato era grondante di sudore. Il che non era da ridere, visto che la serata era gelida.

-Dragoni...verso di noi...almeno una quarantina...-

Il sangue che ancora non si era gelato per la temperatura si gelò dopo quella rivelazione nelle vene di ogni singolo soldato che aveva sentito ciò che Garrett aveva appena detto.

-Ne siete sicuro?-

-Sì, Colonnello...li ho...visti...- ansimò l'uomo.

Il Colonnello George Halliwell lanciò occhiate tutt'intorno. C'era poco tempo ed era davanti ad una scelta: che fare? Scappare? Prepararsi all'attacco? Non sarebbero riusciti a fuggire. I Dragoni erano famosi per avere i migliori cavalli mai visti nel South Carolina...non avevano scelta.

-Alle armi!- gridò George ai suoi uomini.

I soldati corsero nelle tende a prendere spade, pugnali, baionette, fucili, pistole...tutte le armi che trovarono, e poi tornarono fuori, pallidi e stravolti. Ovunque si sentivano gli scatti che il fucile produceva quando era pronto a far fuoco, i singulti che la paura faceva trasalire nelle gole di ogni soldato e i passi affrettati di uomini terrorizzati che si domandavano incessantemente quale fosse il luogo migliore per riceverli. Perchè loro, i temibili e temuti Dragoni Verdi, stavano per dare inizio ad una nuova notte di strage, di carneficina, e questa volta la preda era proprio il loro piccolo accampamento nei pressi di Charlestown. Anche i grilli, che in genere erano l'unico rumore che facesse compagnia alle sentinelle di turno, sembravano essersi zittiti, in attesa di qualcosa. Forse erano corsi al riparo anche loro. Molte gocce di sudore dopo, i Dragoni cominciarono a sentirsi. Quelli che avevano la sfortuna di trovarsi nella parte anteriore dell'accampamento arretrarono di qualche passo, tremanti. Ostentavano sicurezza, ma le loro emozioni si leggevano nei volti irrigiditi dal freddo, dalle mani tremanti che tenevano convulsamente il fucile, dalle ginocchia che si piegavano piano piano. Non una parola vibrava nell'aria tesa come il vetro. Non un rumore, e neppure un pensiero invadeva la testa di quei disgraziati. Solo paura. Terrore ceco che inzuppava i loro cervelli, stringeva in una morsa tremenda i loro cuori...la morsa della morte...La morte che stava arrivando al galoppo di cavalli velocissimi...

Ci furono i primi spari da parte dei soldati situati più avanti. I Dragoni erano apparsi. Raggi di luna facevano brillare le pistole che tenevano dritte davanti a loro. Degli spari risuonarono nell'aria. George vide alcuni dei suoi uomini cadere. Pallottole iniziarono a volare, a penetrare nella debole carne di quei soldati malnutriti, fermando i loro cuori, neutralizzando le loro speranze di sopravvivere. George vide crollare a terra tante persone che conosceva...uomini coraggiosi che avevano mogli, figli e progetti per il futuro... George deglutì, ma rimase fermo nella sua postazione. Non sarebbe scappato a gambe levate, no...gli avrebbe fatto vedere quanto valeva. Scorse delle ombre a cavallo. Erano proprio loro, sempre più vicini a lui. George sparò, ma la sua vista lo tradì e la pallottola mancò di parecchi centimetri il bersaglio, un cavaliere con la pistola sguainata. Veniva verso di lui. George si affrettò a ricaricare il fucile, ma l'altro fu più veloce...

Bang.

George Halliwell cadde a terra. Il fucile gli sfuggì di mano e rotolò lontano da lui. L'udito gli si annullò completamente. Tutto quello che vedeva era il cielo, molto limpido e stellato, di un blu velluto, che giaceva su di lui come il coperchio di una bara. Vide correre davanti ai suoi occhi molti suoi compagni, le bocche spalancate in urla senza voce. Poi, per quello che vedeva il suo occhio rasente terra, un paio di stivali gli si stava avvicinando. Erano stivali da cavalcata, con la rotellina posteriore argentata che girava e tintinnava ad ogni passo. Quello era l'unico rumore che riusciva a udire. Con immenso sforzo, alzò la testa fino al proprietario di quegli stivali neri di pelle...una divisa rossa e verde...un cinturone di pelle nero con uno stemma dorato...E mentre il sangue che gli usciva dalla bocca iniziava ad inzuppargli il collo, vide l'ultima cosa che avrebbe veduto prima di cedere alla morte... Due occhi azzurro ghiaccio brillavano nell'oscurità.

Capitolo 1.
Dragoni alla "Spiga Dorata"

Natasha Halliwell sbadigliò alla sua immagine riflessa nello specchio. La vestaglia da notte bianca le ricadeva larga sulle spalle. Due gambe rosate spuntavano da sotto la stoffa. Quella che indossava era una vestaglia di lino che sua madre le aveva cucito per il suo tredicesimo compleanno ed era piuttosto semplice. Molto scollata, aveva le maniche che le arrivavano al gomito e la stoffa che le copriva le gambe solo fino a sotto il ginocchio. Suo padre la considerava un po' troppo audace, ma a lei piaceva. Era una sensazione meravigliosa sentirsi il fresco del lino scorrerle sul corpo nudo e strusciare mentre si rannicchiava a dormire. Le coperte poi, che la coprivano dal freddo, le davano un senso di protezione, soprattutto ora che Sharon non c'era più. Sharon era la sua sorella maggiore. Se fosse stata ancora lì con loro, avrebbe avuto vent'anni. Era nata il dieci gennaio e quella data era passata da una settimana. Natasha divideva la stanza con lei due anni prima: entrambe dormivano in un massiccio letto matrimoniale di legno che stava al centro della loro semplice cameretta. Ma le cose non erano più così, da quando Sharon era scomparsa misteriosamente nell'estate del '77. Natasha sospirò ricordando quel brutto episodio. Voleva bene a sua sorella, anche se era evidente che lei invece non gliene voleva affatto. Sharon detestava la sua famiglia e Natasha non sapeva spiegarsi il perchè. Lei stessa credeva di odiare sua sorella per questo, ma da quando se n'era andata, si era accorta che in realtà le voleva bene e le mancava. Natasha non vedeva Sharon da due anni. Ora la camera e il letto matrimoniale erano tutti suoi. Ma lei ci avrebbe rinunciato volentieri per riavere la sorella. Non ne sapeva più nulla di lei. Chissà se era morta o era ancora viva. Forse era scappata di casa e ora viveva da qualche parte da sola. O forse si era sposata. Natasha non sapeva cosa pensare, ma tutte le sere pregava perchè non fosse morta e affinchè lei stesse bene. Pregava anche che tornasse a casa presto. Comunque, a lei piaceva pensare che si fosse persa, poi aveva incontrato un ragazzo meraviglioso e si erano sposati felicemente. Magari adesso avevano anche dei figli, chissà. Natasha sperava che le cose stessero così. Ma Sharon non era la sola a mancarle. Anche la mancanza di suo padre, che era in guerra da molti mesi ormai, si faceva sentire nel suo cuore. La faceva piangere. A volte di notte, quando i lenzuoli le si appiccivavano al corpo immerso nel sudore freddo, lei faceva incubi nei quali degli inglesi sparavano a suo padre senza pietà e lui urlava il suo nome, chiedendole aiuto. Era tremendo averlo lontano da casa. Tutte le lunghe settimane che lei trascorreva cercando di pensare ad altro, aspettando lettere dal fronte che erano sempre più rare. Natasha aveva pregato sua madre di lasciare a lei le lettere che arrivavano, e lei aveva acconsentito. Così, Natasha le teneva in un cassettino della sua vecchia scrivania ed ogni notte che non riusciva a dormire le tirava fuori e le leggeva rapita al lume di una candela, sfiorando con un dito la scrittura del padre. Gli voleva così bene...

Non che Natasha non avesse nient'altro da fare. Anzi, si sarebbe dovuta sbrigare perchè un'altra giornata stava per iniziare. Doveva aiutare i suoi fratelli, Alan e Rupert, a scongelare il campo. Con quel dannato freddo non cresceva un bel niente. Infatti lei aveva di recente trovato un lavoro come cameriera in una locanda di Pembroke. Era un mestiere miserabile, e la paga era ancora più penosa, ma doveva in qualche modo aiutare la sua famiglia. Suo fratello Rupert lavorava come impiegato in un negozietto di antiquariato a nord di Charlestown e Alan a volte andava al porto e pescava insieme a dei suoi amici. Quando il pescato era abbondante lo andavano a vendere e poi tornavano a casa con un sacco di cose buone da mangiare; quando invece era scarso non lo vendevano e mangiavano addirittura quello. Sua madre, invece, non lavorava. La sua occupazione principale era la casa, che era piuttosto grande considerando la loro povertà. Appartenuta agli Halliwell da generazioni come il modesto terreno che la circondava, si stendeva su due piani più un solaio molto polveroso e pieno di ragni in cui Natasha si rifiutava di mettere piede. Adorava il resto della sua casa, però. Era probabilmente la cosa più preziosa che possedessero.

Quella sera Natasha avrebbe lavorato alla locanda per tre o quattro ore e proprio non ne aveva voglia. Era solo un lavoretto per l'inverno, per quando il campo non prometteva bene, ma lei lo detestava comunque. Starsene per ore in mezzo al fumo, alla puzza di sudore, di alcol, in un mare di uomini ubriachi era proprio tremendo per una ragazza quindicenne timida come lei. Ma non aveva scelta ed era costretta a farlo. C'era da dire poi che quegli uomini puzzolenti e odiosi avevano rivolto i loro occhi offuscati su di lei più di una volta. Troppe volte avevano provato di...ma lei era sempre stata fortunata ed era riuscita a scappare più velocemente di quanto potessero le sue gambe. In realtà non correva affatto veloce, ma quella era una massa di uomini gonfi di alcol che non riusciva neppure a camminare: per questo se l'era sempre cavata. Non l'aveva detto a sua madre, ovviamente: Natasha era certa che le avrebbe impedito di tornare a lavorare, se l'avesse fatto. E quel poco che guadagnava serviva a tutti loro. Così, rassegnandosi ad una dura giornata di lavoro, Natasha si sfilò la vestaglia e indossò un lungo abito rosa pallido con un motivo floreale: era appartenuto a Sharon ed era uno degli abiti più belli che avesse. Dopo essersi sistemata, Natasha prese una spazzola dalla toletta e si accarezzò i lunghi capelli lisci e ramati. Se li lasciò sciolti sulle spalle, sorrise alla sua immagine riflessa nello specchio e scese a fare colazione.

Dopo aver sceso una scala scricchiolante, Natasha raggiunse la cucina inondata di sole, dove sua madre stava riordinando alcuni piatti di porcellana nella credenza ad angolo.

-Buongiorno, madre- la salutò lei allegramente, sedendosi a tavola e afferrando una mela dalla ciotola davanti a lei.

Sua madre si voltò: -Ben svegliata, tesoro. Non vuoi mangiare altro a parte quella?- disse, indicando la mela.

Natasha scosse la testa: -Grazie, no, devo correre ad aiutare Alan e Rupert- e così dicendo Natasha si alzò, salutò la madre e corse all'aperto.

Fuori faceva molto freddo, ma non c'era vento e la giornata era piuttosto soleggiata. Natasha strizzò gli occhi per cercare i suoi fratelli: aveva un leggero difetto alla vista, così doveva stringere gli occhi per vedere da lontano. Una volta un uomo alla taverna le aveva detto che era molto sexy quando faceva così, e lei aveva tossito e si era voltata, piena di imbarazzo. Dopo qualche secondo di ricerca, riuscì ad individuare due sagome lontane.

-Alan! Rupert! Serve una mano?-

Per quello che riusciva a vedere, i due si erano voltati.

-No, sorellina, và tutto bene, grazie!- le rispose la voce di Rupert.

Felice di non dover uscire con quel freddo, Natasha si chiuse in casa e finì la sua mela guardando fuori dalla finestra, immersa nei suoi pensieri.

-E' arrivata la posta?- chiese a sua madre, che stava spolverando dei soprammobili di vetro.

Lei scosse la testa e sospirò: -No, purtroppo. Non riesco a capire...sono due settimane che non abbiamo più notizie di lui. Cosa credi che gli sia successo?-

Natasha ingoiò l'ultimo boccone di mela e disse, cercando di suonare convincente: -Anche la volta scorsa la lettera è tardata molto. O forse è stato molto occupato, in fondo...non mi dicevate che è il Colonnello dei volontari?-

George Halliwell non parlava molto del suo ruolo in quella guerra, per il bene dei suoi figli: in effetti anche sua moglie ne sapeva ben poco, ma non osava chiedere di più. Era solo che Natasha voleva sapere nei minimi dettagli cosa stava facendo suo padre.

-Sì, dev'essere così. Essere Colonnello lo carica senza dubbio di molte responsabilità, tesoro. E poi non fare domande su queste cose, lo sai che parlarne è pericoloso-

Natasha annuì e rimase in silenzio mentre sua madre proseguiva nelle pulizie. Non aveva niente da fare, così decise di coprirsi bene e andare a fare visita ai cavalli nella stalla. Indossò una lunga e logora mantella di lana, uscì dalla porta e si avviò verso la stalla.

Dentro il basso edificio di legno la temperatura era un po' più calda. Gli Halliwell avevano due cavalli: uno adulto e forte, si chiamava Fiammargento. Era color castagna con occhi nerissimi e profondi. Lui era il destriero che suo padre si era portato alla guerra, perchè era molto veloce e agile. A loro aveva lasciato Meliyss, una splendida puledra bianca con una criniera color crema che gli era stata regalata da degli amici di famiglia, i Wilkins. Era molto dolce e Natasha la amava. Era Meliyss che in genere la portava alla locanda. Natasha sapeva cavalcare molto bene ed adorava i cavalli: con loro aveva un rapporto speciale, e con Meliyss specialmente. Era la sua migliore amica; a Meliyss confidava cose che non sapeva nessun altro.

-Ti prepari per questa sera, Meliyss?- le sussurrò dolcemente Natasha all'orecchio. La puledra battè le palpebre e nitrì lievemente.

Natasha sospirò: -So che non ti piace Pembroke, davvero. Però mi devi accompagnare, d'accordo? Non posso permettermi di prendere un carro o una carrozza. Quindi non fare la noiosa, và bene?-

Sorrise alla puledra.

-Come farei senza di te, Meliyss. A volte penso che sei l'unica che mi capisca davvero. Ti voglio così tanto bene...- e l'abbracciò forte.

***

Quella sera lei e Meliyss stavano viaggiando verso Pembroke. Era il calar del sole: il tramonto coinvolgeva in un trionfo di colori ogni elementi della natura; alberi, fiori, steli d'erba...proprio tutto. Ed era stupendo osservare il rosso, il viola e un debole azzurrino colorare il paesaggio. Era tutto così pacifico che Natasha si sentì in pace con tutti, anche se stava per affrontare la parte più brutta della giornata: la sera in locanda. Chiaccherò con Meliyss per tutto il tragitto, fino a quando un campanile non apparve in lontananza: la chiesa di Pembroke. Natasha si sentì stringere lo stomaco al pensiero di essere già arrivata. Ma quando giunse al paese, le si gelò il sangue. All'albero contorto che segnava l'inizio del villaggio erano appesi tre uomini: una corda gli stringeva il collo, e i loro abiti svolazzavano alla brezza leggera. Erano tutti, a giudicare dalla loro immobilità e dal pallore dei loro volti, morti.

-Oh, mio Dio- mormorò lei, senza staccare gli occhi da quelle sinistre figure oscillanti.

-Spaventoso, vero?- disse una voce dietro di lei. Natasha si voltò. Un giovane se ne stava là, seduto disinvoltamente sul suo cavallo nero inchiostro. Aveva un viso pallido e capelli biondissimi, pettinati all'indietro in modo insolito. Il ragazzo non aspettò una sua risposta.

-Chi siete?- chiese, lanciandole uno sguardo di superiorità. Lei lo guardò confusa, mentre i suoi occhi ancora vedevano i tre impiccati.

-Ehm...io...non sono di qui. Devo...devo andare, arrivederci...- Non le sembrava una grande idea dire il suo nome ad uno sconosciuto. Voltò il cavallo per andarsene, ma lui le bloccò la strada. Sentendo la paura serrargli lo stomaco, Natasha deglutì.

-Non dovreste allontanarvi tutta sola in tempi come questi- disse lui a voce bassa, guardandola negli occhi - I ribelli tendono molte imboscate alle fanciulle solitarie-

Era un inglese. Motivo in più per stargli alla larga.

-Io...credo di...sapermela cavare da sola, grazie- biascicò lei.

Lui sorrise e se ne andò senza una parola. Natasha lo seguì con lo sguardo per quasi un minuto poi, ricordandosi che avrebbe dovuto essere alla locanda, si affrettò a legare il suo cavallo nel cortile della locanda.

-Ciao, Tasha- la salutò Anne Howard, che passeggiava lungo la via.

-Ciao, Anne- disse Natasha, cercando di sorriderle. Ma fu inutile. Il pensiero degli impiccati le annodava ancora lo stomaco.

-Come mai così pallida oggi, cosa ti è successo?- chiese Anne.

Natasha deglutì e la guardò. Quindi fece un cenno con la testa verso l'albero degli impiccati. Anne capì all'istante e annuì, triste.

-Lo so, è terribile. Sapessi io quando li ho visti per la prima volta...Credo che siano stati...-

-Scusa, Anne, ma ho molta fretta. Sono in ritardo al lavoro. Scusa, ci vediamo- tagliò corto Natasha. Non se la sentiva di parlarne.

-Ci vediamo, allora- la salutò Anne, mentre riprendeva la sua passeggiata.

Natasha le lanciò un'ultima occhiata, fece un respiro profondo ed entrò nella locanda in cui lavorava. Appena oltrepassò la soglia e si chiuse la porta alle spalle, le sembrò già di essere là dentro da ore. Una nube di fumo le annebbiò la vista, facendola tossire, e le sue orecchie furono ben presto piene del brusco ed incessante rumore di chiacchere, bestemmie, urla e brontolii. Raggiunse il bancone, dove il proprietario la stava guardando come un toro inferocito.

-Halliwell! Dannazione! Hai visto che ore SONO???-

-Scusate, signor Whilpest, sono davvero spiacente- mormorò Natasha.

-Al diavolo le tue scuse, Halliwell! MUOVITI!!!!-

-Sì, signore- disse lei obbediente, prendendo il vassoio di bicchieri di birra che lui le porgeva.

Si affrettò a servire alcuni clienti particolarmente ubriachi che stavano in un tavolo in fondo alla stanza e continuò così per circa un'ora: prendi il vassoio, porta il vassoio, prendi i soldi, versa il vino, mettilo sul vassoio, porta il vassoio, prendi i soldi, versa la birra...a Natasha sembrava di diventare matta.

Ad un tratto, dopo circa un'ora di lavoro, la porta della locanda si aprì di nuovo e lei si affrettò a ricevere i nuovi ospiti. Vedendo gli uomini che si stagliavano sulla soglia, rimase di stucco. I suoi occhi abbracciarono ogni dettaglio degli stranieri in un lampo. Divise rosse tranne che per striscie di verde smeraldo al centro, bottoni d'oro, tracolla di pelle nera, stivali, guanti...una spada sul lato sinistro che tintinnava minacciosamente ad ogni passo e pistola sul lato destro.

Dragoni Verdi.

Davanti a lei.

Una ad una, le teste di chi era nel pub si voltarono e si zittirono. Le menti di tutti gli avventori sembrarono sgombrarsi dall'alcol, mentre una paura paralizzante invadeva i loro corpi. Natasha incontrò gli occhi dell'uomo di fronte a lei. Due occhi azzurri e gelidi, che la immobilizzarono completamente. Lontano un miglio, Natasha udì Whilpest, il locandiere, schiarirsi la gola con fare eloquente. Natasha deglutì e sorrise ai soldati molto forzatamente.

-Benvenuti alla "Spiga Dorata", gentili signori- quegli uomini non parevano affatto gentili, ma lei continuò lo stesso -Permettete che vi accompagni ad un tavolo?-

L'uomo di fronte a lei sorrise, un sorriso che sembrava più un ghigno. Brividi convulsi le attarversarono la schiena mentre gli occhi di ghiaccio di lui brillavano.

-Sì, perchè no?- aveva una voce bassa e roca. Lei tentò nuovamente di sorridere, mentre conduceva gli uomini al tavolo più vicino al bancone.

Loro vi giunsero, seguiti da bisbigli e sussurri. Natasha udì distintamente un uomo mormorare al suo vicino:- Maledizione, quello è il Colonnello Tavington-

Lentamente il chiasso all'interno del locale tornò quasi alla normalità, anche se tutti gli avventori non potevano fare a meno di lanciare occhiate furtive ai Dragoni di tanto in tanto.

-Cosa desiderate, signori?- chiese Natasha timidamente una volta che ebbero preso posto.

I soldati non le prestarono molta attenzione, ma uno di loro, un uomo grassotto con radi capelli castani e due occhi molto piccoli, disse:

-Portateci del vino, miss, grazie-

Lei annuì e corse verso il bancone. Versando il vino nei bicchieri, le tremavano le mani. Quel'uomo dallo sguardo gelido doveva essere il Colonnello Tavington, pensò. Aveva sentito dire cose orribili su di lui. Pareva che si fosse macchiato del sangue di moltissime donne e bambini, per non parlare dei ribelli che aveva massacrato. E il padre di Natasha era il Colonnello dei volontari...se i Dragoni l'avessero scoperto...Natasha deglutì, sperando che Whilpest non urlasse il suo nome a squarciagola proprio adesso, come era suo solito fare quando la chiamava. Se avessero saputo...

Cercando di impedire alle proprie mani di tremare, Natasha prese il vassoio e lo portò al tavolo dei Dragoni. Subito sentì gli occhi di Tavington fissarsi su di lei.

-Che giovane cameriera, per una locanda del genere- disse Tavington, sfiorandole la mano mentre lei appoggiava il bicchiere. Natasha sentì alcuni Dragoni sghignazzare dall'altro lato del tavolo. Arrossì e non rispose.

-Qual è il vostro nome, miss?- chiese lui con il suo tono basso.

"Inventati qualcosa, Tasha, dai..."

-Ehm...io...- balbettò lei. La mano guantata di lui era ancora posata sulla sua e lei non osava tirarla indietro.

Ma ad un tratto, uno degli uomini seduti a quello stesso tavolo alzò la testa dal suo bicchiere e la fissò negli occhi. Lei lo riconobbe. Era James Wilkins, uno degli amici di suo padre. Ma...perchè era un Dragone?

"Oh, mio Dio...se io ho riconosciuto lui anche lui riconoscerà me..."

Wilkins la guardò a bocca aperta.

"Vi prego, non dite niente, vi supplico..."

-Non siete per caso Natasha Halliwell?- disse.

Il sorriso scomparve dal volto di Tavington. D'un tratto parve più minaccioso che mai e la fissò, mentre la presa sulla sua mano diventava più salda.

Si voltò verso Wilkins.

-Halliwell? La figlia del Colonnello Halliwell?- chiese Tavington. Wilkins annuì. Natasha chiuse gli occhi e sospirò, terrorizzata. Cercò di scappare, ma Tavington ora si era alzato in piedi e la teneva stretta.

-Dove credete di andare, eh?- le sussurrò.

Era molto più alto di lei: la testa di Natasha gli sfiorava a malapena il mento. Lei si accorse all'improvviso di quanto fosse forte. Aveva spalle larghe ed un fisico atletico e asciutto. La forza delle sue dita era impressionante.

-Miss Halliwell, giusto?- continuò lui con malizia.

Natasha non disse nulla, ma il colonnello prese il suo silenzio come assenso. Fece un cenno ai suoi uomini, che lasciarono perdere il vino e si alzarono in piedi. La mano di lui era ancora stretta e salda sul suo polso sottile.

-Andiamo fuori, mia cara- le sussurrò malevolo all'orecchio. Lei oppose resistenza, ma inutilmente. Quell'uomo la stava trascinando verso la porta.

-Colonnello, vi prego...-

-Silenzio, Miss Halliwell- disse lui a bassa voce. Natasha aveva le lacrime agli occhi. Possibile che nessuno la aiutasse? Molte teste si erano voltate quando i Dragoni si erano alzati, ma nessuno si era mosso. Dai volti di tutti gli uomini seduti ai tavoli, si intuiva che avevano troppa paura per intervenire.

Natasha lanciò occhiate supplichevoli tutt'intorno, ma nessuno si alzò per prendere le sue difese, e i Dragoni che la seguivano le davano una leggera spinta tutte le volte che lei voltava la testa. Giunti alla porta della taverna, però, Whilpest si schiarì nuovamente la gola. Tavington si voltò con sguardo arrogante, come se volesse vedere chi era lo sfacciato che osava contraddirlo. Whilpest impallidì sotto lo sguardo di Tavington, ma borbottò:

-Dove state portando la mia cameriera, Colonnello?-

Tavington ghignò.

-Questo, oste, non è affar tuo. Sarebbe meglio che ubbidiate agli ordini di Sua Maestà Re Giorgio III senza fiatare. Non so se ne siete a conoscenza, ma i Dragoni Verdi, di cui io sono il Colonnello- Tavington parlava con voce lenta e chiara, prendendosi beffe di Whilpest -sono la cavalleria ufficiale del re. Quindi badate a non opporvi o questa locanda potrebbe trasformarsi ben presto in un mucchio di cenere-

Nel pub cadde il silenzio. Volute di fumo salivano dalle pipe e dai sigari degli avventori, ma nessuno osava parlare nè muoversi. Natasha sapeva che Pembroke era per lo più un villaggio di ribelli, ed era certa che i Dragoni ci passassero ogni tanto per controllare la situazione. Non avevano mai avuto prove per accusare nessuno, comunque.

Whilpest deglutì con l'aria di uno che inghiotte un boccone molto amaro e poi borbottò qualcosa sul fatto che non aveva affatto intenzione di disubbidire agli ordini del re. Soddisfatto, Tavington aprì la porta della locanda e uscì fuori, trascinando con sè Natasha, seguiti dal resto dei Dragoni. Aveva iniziato a nevicare, e già da molto, a quanto pareva. Il suolo era coperto per due o tre pollici di soffice e granulosa neve e grossi fiocchi scendevano ancora dal cielo. Natasha rabbrividì per il freddo e per la paura. Cosa volevano i Dragoni da lei?

Una mezza dozzina di cavalli marrone scuro erano legati nel cortile, vicini alla sua Meliyss, anche lei tremante e piena di fiocchi di neve. Natasha vide Wilkins lanciare un' occhiata alla puledra e abbassare lo sguardo, quasi imbarazzato. Era stato lui a regalare Melyiss agli Halliwell, tanto tempo prima, Natasha se n'era quasi dimenticata. Ma cosa era successo ai Wilkins? Un tempo erano una famigliola felice...Natasha ricordava James Wilkins con sua moglie e il loro figlioletto appena nato. Erano dei cari amici di famiglia, ma poi gli Halliwell li avevano persi di vista. Ed ora, James Wilkins stava con gli Inglesi. Con i Dragoni Verdi, per di più. E l'aveva appena venduta al nemico. Non essere drastica, si disse, Magari vogliono solo qualche informazione...

I suoi stessi pensieri non la convincevano per niente. Tavington e i suoi uomini la guardavano con occhi molto più sadici di quelli di persone che volevano solo chiedere una semplice informazione.

-Cosa volete da me, Colonnello?- chiese Natasha debolmente, mentre i suoi denti iniziavano a battere.

Lui ghignò, gli occhi che brillavano oltre i fiocchi di neve che stavano cadendo.

-Ci siamo fermati a Pembroke solo momentaneamente. Il nostro obiettivo era ed è casa vostra-

Natasha si sentì come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco.

-Vostro padre era un colonnello dei ribelli e noi stavamo giusto cercando la sua famiglia- Natasha sentì due domande sorgerle spontanee. Primo: cosa voleva Tavington dalla sua famiglia?

Secondo: suo padre "era" un Colonnello dei ribelli? Mio padre "è" un Colonnello dei ribelli, pensò Natasha confusa.

-Che cosa volete dalla mia famiglia?- chiese, tremante.

-Uccidervi, è chiaro- ribattè Tavington -O forse...tenervi al campo e farvi fare qualche lavoretto...-

Così dicendo le si avvicinò e squadrò il corpo di lei in ogni particolare.

-Tu, ad esempio, mi sembri perfetta per entrare a far parte delle puttane del campo, tesoro-

Natasha si sentì insultata e offesa. Alcuni dei Dragoni stavano ridacchiando sgradevolmente e lei si sentì avvampare di rabbia e vergogna.

Abbassò lo sguardo, ma Tavington le alzò il mento con la mano, per guardarla negli occhi.

-Scommetto che ti piacerebbe- le sussurrò all'orecchio, un lieve ghigno ancora sulle labbra. Lei cercò di trattenere le lacrime, ancora tremante di rabbia.

-Vi sbagliate, Colonnello. Mi farebbe schifo- disse, facendo ricorso a tutto il suo coraggio.

Fu una mossa sbagliata. Tavington le tirò uno schiaffo talmente forte che lei cadde a faccia in giù nella neve. Le risate dei soldati di Tavington raggiunsero la sua mente sconvolta. La guancia le doleva. Cercò di tirarsi in piedi da sola, ma Tavington con un calcio la fece cadere di nuovo a terra. Natasha rimase là stesa nella neve, incapace di provare a rialzarsi ancora, incapace di ragionare, di pensare, tutta la sua mente impregnata dal dolore e dal freddo. Ma ad tratto sentì una voce che le risuonò vagamente familiare:

-Colonnello, cosa state facendo?-

Tutti si voltarono, ma Natasha non aveva le forze per fare altrettanto. Così rimase con la faccia seppellita in un cumulo di neve, mentre la guancia le pulsava e il fianco colpito dallo stivale di Tavington mandava fitte di dolore che la facevano gemere lievemente.

-Felton? Che ci fate qui?- chiese la voce di Tavington.

-Cosa ci fate voi qui, Colonnello- rispose la voce. D'un tratto Natasha la riconobbe. Doveva appartenere al ragazzo pallido dai capelli biondi che aveva incontrato venendo a Pembroke.

-Con tutto il dovuto rispetto, Felton, ma cosa facciamo io e i miei uomini non è di vostra competenza-

-Ma può essere di competenza di mio zio- rispose asciutto il ragazzo.

Seguì una lunga pausa. Dopo qualche minuto, Natasha si sentì tirare in piedi da due braccia forti e robuste. Le braccia di Tavington. Lui evitava il suo sguardo. Natasha riuscì a stare in piedi, anche se piuttosto ingobbita per il dolore, e lanciò un'occhiata a Felton. Era proprio il ragazzo che aveva incontrato prima. Anche Felton la stava osservando. La sua espressione era difficile da interpretare: era un misto di rabbia, compassione e disgusto, anche se Natasha ebbe la vaga impressione che quel disgusto non fosse rivolto a lei.

-Colonnello, ora avete iniziato a malmenare le ragazzine?- disse Felton molto piano.

-Sparisci di qui, Felton- disse Tavington con altrettanta calma.

-Come volete- disse lui, risalendo sul suo cavallo nero -Ma riferirò tutto a mio zio, statevene sicuro-

Natasha vide i pugni di Tavington stringersi impercettibilmente, come se volesse fare qualcosa ma non potesse farla.

-Ah, un'altra cosa- disse Felton girandosi -Chi è la signorina?-

-Miss Halliwell- rispose Tavington a denti stretti.

-Miss Halliwell...molto bene- disse Felton, come prendendo mentalmente nota della cosa -Domani le daremo il benvenuto al nostro accampamento-

Natasha sentì un peso istallarsi nel suo petto. Il loro accampamento? Domani?

Non era la sola a sembrare presa in contropiede, comunque. Tavington era livido di rabbia.

-Cosa diavolo stai dicendo, Felton? Avevo intenzione di uccid...- Tavington si interuppe di colpo ed abbassò gli occhi a terra.

Felton sembrava molto serio.

-Spiacente di interferire con i vostri piani, Colonnello, ma voi non le torcerete un capello finchè mio zio è il Generale. Domani voglio vederla -- viva -- all'accampamento dei Dragoni. Le troveremo un impiego, sapete che Lord Cornwallis vi ha ammonito contro le vostre tattiche brutali, perciò non la ucciderete. Chiaro?-

Tavington borbottò qualcosa e Felton se ne andò, dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Natasha.

Il Colonnello si voltò verso i suoi uomini: -Avete sentito cosa ha detto il nipote del Generale O'Hara? Non dobbiamo ucciderla...- Tavington le lanciò un'occhiata sprezzante, poi alzò gli occhi, un vago sorriso sulle labbra.

-Perciò andiamo a trovare gli Halliwell- disse, gli angoli della bocca piegati in un sorriso crudele.

-Signore?- aveva parlato l'uomo dai capelli radi che aveva ordinato il vino quando erano alla locanda. Il suo tono era ansioso e esitante.

-Avete sentito benissimo, Bordon- rispose Tavington -Andiamo dagli Halliwell. Ora.-

-Ma signore, il nipote del Generale O'Hara ha detto...-

-Ha detto che non dobbiamo uccidere lei, giusto? Ma non capisco perchè allora non possiamo andare a trovare la sua famiglia- un sorriso crudele illuminava il suo viso -Muovetevi, voialtri-

-Colonnello, vi supplico- gemette Natasha, toccandogli il braccio -Non fate del male alla mia famiglia, vi prego! Farò tutto ciò che vorrete, ma lasciate stare la mia famiglia...-

-Avremo tutto il tempo per farvi fare ciò che voglio, mia cara, ma prima voglio uccidere la vostra dannata famiglia- disse Tavington.

Una lacrima rotolò sulla guancia fredda di Natasha. Tavington le si avvicinò e l'asciugò con un dito guantato.

-Salite sul mio cavallo- ordinò lui. Natasha non si mosse. A quel punto Tavington perse proprio la pazienza. Prima che lei potesse dire anche solo una parola, prima che lei potesse muovere un solo muscolo, si ritrovò la gelida canna della pistola di Tavington puntata alla tempia. Natasha trattenne il respiro: bastava un movimento, lieve e leggero del dito di Tavington e lei sarebbe morta. Si sarebbe ritrovata con una pallottola nel cervello e la morte nel cuore. La pistola sembrava premere contro la sua testa, fino a farle male.

-Lo ripeterò solo una volta, Miss Halliwell- le sussurrò lui, le labbra che le sfioravano l'orecchio procurandole brividi freddi -Salite sul mio cavallo-

Lei salì sul cavallo con destrezza, nonostante avesse il corpo congelato dal freddo e dalla paura. Tavington notò la sua naturalezza e sorrise freddamente.

-Sapete cavalcare, Miss Halliwell?- domandò, salendo anche lui dietro di lei.

Lei deglutì. Aveva preso per un attimo in considerazione l'idea di spronare il cavallo e scappare ad avvertire la sua famiglia, ma non ce l'avrebbe mai fatta. Tavington era un soldato esperto: senza dubbio le avrebbe sparato prima ancora che lei potesse allontanarsi di un paio di piedi. E poi era anche circondata dal resto dei Dragoni, che possedevano cavalli velocissimi.

Tavington ridacchiò minacciosamente.

-Non vi hanno insegnato a rispondere alle domande, Miss Halliwell?-

Era difficile ragionare con le braccia di Tavington ai lati del suo corpo. Natasha, comunque, si costrinse ad aprire bocca per rispondere.

-Sì, so cavalcare, Colonnello- disse, asciutta.

Tavington fece un cenno ai suoi uomini e partirono, Wilkins in testa, seguito a ruota da Tavington, da Bordon e da un altro paio di Dragoni. Natasha voleva girarsi indietro per lanciare un ultimo sguardo a Melyiss, ma Tavington era seduto proprio dietro di lei. Poteva sentire il petto di lui aderire con la sua schiena, mentre il gelido metallo delle medaglie che aveva sulla divisa le facevano venire la pelle d'oca al contatto con la pelle. Il livido sulla guancia non le faceva più male, se non lo toccava: si era formato un brutto ematoma viola e grigio che le ricopriva la guancia. Le costole invece, dolevano ancora e la cosa era peggiorata dai sobbalzi del cavallo. Natasha chiudeva gli occhi ad ogni buca e gemeva piano, sperando che Tavington non la sentisse. Il Colonnello sembrava immerso nei suoi pensieri, comunque, perchè rimase silenzioso per tutto il viaggio. Anche Natasha aveva molto a cui pensare: prima di tutto -lacrime minacciavano di bagnarle ancora le guance a questo pensiero- la sua famiglia era in pericolo mortale e immediato. Avrebbe tanto voluto avvisarli in qualche modo, ma loro si aspettavano che lei tornasse a casa più o meno a quell'ora lì, quindi non avrebbero mai potuto accorgersi che qualcosa non andava. Se solo avesse slegato Melyiss dalla staccionata! Lei sarebbe corsa immediatamente a casa, e Rupert, Alan e sua madre, vedendola tornare da sola, si sarebbero allarmati. Ma non c'era stato tempo per farlo, Tavington aveva subito iniziato a picchiarla...E poi c'era Wilkins. Anche lui occupava i suoi pensieri. La sua bontà, a quanto pareva, era arrivata solo a non dire a Tavington che Melyiss era la puledra degli Halliwell. E Natasha non gliene era affato grata. Melyiss sarebbe rimasta lì, in quel cortile innevato, a patire il freddo, finchè non sarebbe morta. Oppure qualcuno l'avrebbe rubata e poi l'avrebbe rivenduta ad un allevatore lontano che la frustava...Natasha sospirò. Odiava Wilkins con tutta sè stessa, non sapeva dire se era peggio lui o Tavington. Se non fosse stato per Wilkins lei ora sarebbe stata ancora alla locanda...il pensierò in sè non era molto rassicurante, ma Natasha avrebbe tanto preferito tornare alla sua vita normale, anche se non era granchè. Wilkins l'aveva venduta. Ed ora conduceva Tavington e gli altri Dragoni verso la sua casa. Natasha pregò in silenzio che la sua famiglia non fosse in casa in quel momento. Ma era impossibile che fossero fuori. Era quasi ora di cena: Alan probabilmente era tornato da Charlestown con un po' di pesce che sua madre stava già cucinando, spargendo un delizioso profumino per tutte le stanza della casa; Rupert forse era appena tornato con una bracciata di ceppi che ora scoppiettavano nel caminetto; forse sua madre si stava lamentando del freddo e Rupert raccontava la sua giornata al negozio mentre Alan leggeva un libro in salotto... e la poltrona davanti al camino sarebbe stata vuota, perchè ancora Natasha doveva arrivare. Peccato che lei non si sarebbe mai più seduta lì. Sarebbero arrivati i Dragoni e avrebbero sparato a tutti loro, sotto gli occhi attoniti di Natasha. Lei sarebbe stata risparmiata, come aveva detto Felton, ma avrebbe sofferto per il resto della sua vita fino a che, un giorno, non si sarebbe uccisa...Lacrime calde percorsero ancora le sue gelide guance arrossate dal freddo. Vedeva tutto appannato. Perchè, perchè, doveva succedere? Perchè proprio alla sua famiglia?

Tavington chinò la testa di lato e vide le sue lacrime.

-Piangi?- il tono di Tavington era arrogante -Per la tua famiglia?-

Natasha sapeva che se avesse risposto si sarebbe messa ad urlare di disperazione. Una profonda tristezza le invadeva lo stomaco, la gola, la mente...Voleva solo morire. Morire prima di arrivare a casa sua. Perchè Natasha sapeva quello che sarebbe successo... Ma aveva anche paura di morire. Per questo era in preda al panico, alla disperazione... Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Prima che potesse pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, il loro cavallo si fermò. Era davvero così confusa? Erano arrivati a casa sua e lei non se ne era neanche accorta.

La porta sotto la veranda si aprì e ne uscirono Rupert e Alan, entrambi che guardavano i Dragoni con evidente preoccupazione.

-Cosa volete?- chiese Rupert a Wilkins. Evidentemente non lo aveva riconosciuto, nè aveva visto sua sorella. Invece di Wilkins, rispose Tavington.

-Abbiamo una sorpresina per te, ragazzo- disse, tirando ancora fuori la pistola e puntandola alla tempia di Natasha.

Alan e Rupert impallidirono.

-Tasha...? Cosa...- balbettò Alan.

-Lasciatela subito!- intimò Rupert.

Le labbra di Tavington si incresparono in un ghigno.

-Entrate e chiamate vostra madre, ora- ordinò.

Rupert deglutì lentamente. Natasha immaginò che stesse cercando di guadagnare tempo.

-Chi siete? Perchè volete vedere nostra madre?- chiese.

-Sono il Colonnello William Tavington dei Dragoni Verdi di Sua Maestà. Ora, da bravi, entrate e chiamate vostra madre, o la vostra sorellina farà una brutta fine-

Rupert deglutì di nuovo.

-Tavington? Siete...siete proprio voi?-

-Bando alle ciance ragazzo, e chiama tua madre- disse Tavington spazientito, passando il braccio sinistro attorno al collo di Natasha.

Alan entrò, esitante, e Natasha lo sentì chiamare a gran voce la madre. Poco dopo la signora Halliwell emerse dalla porta principale. Stava asciugandosi le mani su uno strofinaccio e guardava Tavington con grande apprensione.

-Colonnello, perchè state minacciando mia figlia? Toglietele subito quell'arma dalla testa, povera ragazza!-

Tavington la guardò storto, nascondendo un altro dei suoi ghigni.

-Vostro marito, George Halliwell, è stato sorpreso a combattere nell'esercito dei ribelli. Pertanto ora la sua famiglia è dichiarata nemica alla Corona. Dobbiamo portarvi via e giustiziarvi-

I tre fissavano Tavington, pietrificati. La signora Halliwell era pallida come non mai, però avanzò con aria decisa e disse:

-Cosa ne sapete voi di mio marito?-

Gli angoli della bocca di Tavington si arricciarono.

-Vostro marito è morto- un lampo di gioia maligna illuminò i suoi occhi azzurri -L'ho ucciso personalmente-

La madre di Natasha si portò le mani alla bocca e ruppe in un piccolo singhiozzo tremante. Natasha si sentì mancare il fiato. Suo padre? Morto? Non poteva essere vero...

-Oh mio Dio- mormorò Alan, abbassando lo sguardo.

Rupert scosse lentamente la testa, e abbracciò sua madre.

-State mentendo- disse Alan, guardando Tavington con rabbia -State solo raccontando storie-

Tavington lo guardò con insolenza, quindi fece un cenno ai suoi uomini.

-Legateli e caricateli sui nostri cavalli-

La signora Halliwell era troppo disperata per opporre resistenza quando un paio di Dragoni le legarono i polsi. Rupert continuava a guardare Tavington con odio.

-Ora però lasciate nostra sorella, Colonnello, ve ne prego- disse, mentre i soldati facevano un nodo con le corde di Alan.

Tavington scosse la testa.

-Non credo proprio, ragazzo-

Un Dragone si avvicinò al colonnello.

-Sì?-

-Non ci sono corde a sufficienza, signore-

-Come, non ci sono corde?-

-No, signore-

Tavington rimase pensieroso per un attimo, quindi disse:

-Bè, allora temo che dovremo farli fuori qui-

-No!- gridò Natasha -Colonnello, vi supplico...-

-Silenzio, Miss Halliwell-

-Non potete...-

-Certo che posso. Volete che ve lo dimostri?-

Così dicendo puntò la pistola verso la signora Halliwell, ancora piegata in due dai singhiozzi.

Premette il grilletto.

-NOOOOO!!- gridò Natasha con tutte le sue forze.

Ci fu uno schiocco, un colpo tremendo che risuonò orribilmente nell'orecchio di Natasha, troppo vicino alla canna della pistola.

La signora Halliwell cadde pesantemente a terra e lì giacque, inerte. Lo strofinaccio che teneva in mano era rosso di sangue, così come la parte anteriore del grembiule, dove era stata colpita dalla pallottola. I suoi occhi prima così pieni di vita divennero vitrei lentamente, impercettibilmente.

Natasha non riusciva a respirare. Era troppo. Suo padre, sua madre...no, non era vero. Non poteva essere vero.

Prima che qualcuno potesse fare qualcosa, Tavington ricaricò l'arma nel silenzio attonito che circondava la scena. Il minaccioso clic che diceva che un'altra pallottola era pronta a troncare un'altra vita era solo un rumore distante e confuso nella mente incredula di Natasha.

Fu per questo che non si rese conto di quello che stava succedendo fino a che non vide Alan cadere a terra, la bocca sanguinante e le mani imbrattate nel tentativo di coprire la ferita.

Un secondo colpo aveva ucciso una delle persone più care che Natasha avesse al mondo e lei, ancora con il braccio di Tavington attorno al collo, urlò di disperazione, gli occhi accecati dalle lacrime.

Natasha urlò. E urlò. Continuò ad urlare finchè il fiato non le mancò. Ma non cercò di prenderne ancora. Era come se non si ricordasse più come si faceva a respirare. Urlava senza pensare, senza rendersi conto che non stava più urlando, ormai. Stava con la testa piegata in avanti in un urlo senza voce, con i polmoni vuoti e la faccia arrossata dal gelo e dal dolore. Neanche le lacrime che le rigavano le guance la scaldavano più. Finalmente riprese fiato e gemette per la mancanza di aria. Come era potuto succedere? Perché era successo tutto così in fretta? Perché, perché, perché...

Ma quello che accadde dopo successe in meno di un attimo. Ancora immersa in una speranzosa e inconsolabile incredulità, Natasha sentì la pistola scattare una terza volta. No, no, non anche Rupert. No, no, no, doveva fare qualcosa, ma cosa?

In uno stato di semi-coscieza, Natasha si costrinse a pensare. Doveva salvarlo, almeno lui doveva salvarsi...no, non sarebbe stata a guardare questa volta, no...no...

Natasha vide la pistola di Tavington sollevarsi e puntarsi nella direzione di Rupert. Doveva impedirlo.

Doveva.

Come in un sogno, con immenso sforzo, diede una gomitata al braccio teso di Tavington nel momento esatto in cui la pallottola partiva.

Il colpo finì a vuoto e prima che qualcuno potesse realizzare quello che era appena successo, Natasha gridò con tutto il fiato che aveva in gola:

-Rupert, SCAPPA!!!!!-

Attraverso la cortina di fitte lacrime che ancora bagnava i suoi occhi, Natasha vide Rupert spiccare una fuga, senza guardarsi indietro. Lui correva molto più velocemente di lei, era praticamente un fulmine. Lo vide insediarsi nella foresta che circondava la loro piantagione, inseguito da tre goffi soldati.

Non sarebbero mai riusciti a prenderlo.

Col fiatone, Natasha osò alzare gli occhi per incontrare quelli di Tavington. Ora, Tavington le aveva fatto paura sin dal primo momento in cui l'aveva visto; ogni sua azione le incuteva il terrore più nero...ma come appariva adesso... Natasha, nonostante si sentisse distrutta, nonostante avesse paura per il suo destino e fosse sconvolta per la notizia della morte di suo padre, per aver assistito alla morte di sua madre e di uno dei suoi fratelli maggiori, non potè fare a meno di dimenticare ogni cosa sotto l'espressione di Tavington. Ogni suo muscolo facciale era contratto; i suoi occhi non brillavano, ma sembravano ghiacciare qualunque cosa fissassero; la presa sul collo di lei era diventata ancora più salda e aveva i pugni stretti. Natasha deglutì. Tavington era arrabbiato. Davvero arrabbiato. Con lei. Dopo qualche secondo, lui la guardò. La sua espressione era disgustata, piena di ira e di rabbia repressa. Se fosse stato possibile uccidere con un'occhiata, lei sarebbe morta sul colpo. Invece ricominciò a piangere. Stava guardando l'uomo che le aveva ucciso la famiglia, che le aveva rovinato la vita...

La presa sul suo collo divenne talmente stretta che per un attimo si sentì soffocare. Ma in fondo non gliene importava... sarebbe stato doloroso, certo, ma forse morire sarebbe stato meglio che vivere, in quel caso...

Però la mancanza d'aria era insopportabile...

No, non riusciva più a prendere fiato, stava soffocando...

D'un tratto divenne tutto nero, tutto tranne gli occhi di Tavington, che brillavano austeri e sprezzanti...

La guardavano cadere nel vuoto e sfiorare la morte...