NE RESTERÀ SOLTANTO UNO

Prologo

"Lo so che mi dimenticherai…".

Stava morendo, lentamente e soffrendo come un cane. Consumata da un amore mai ricambiato, da una vita mai pienamente vissuta e dal disprezzo che non le aveva mai risparmiato.

"Farai di tutto, lo so…".

Un risucchio strozzato e il petto si alzò bruscamente, mentre la gola pareva occludersi apposta per impedire all'aria di arrivare ai polmoni. Shan-pu serrò le dita scarne sulla coltre come per tirarla a sé e stirò le labbra riarse in una smorfia.

"Ammettilo, almeno…".

Perfino prossima a lasciare questo mondo stretta fra le sue braccia stava tentando di muoverlo a pietà, senza rinunciare a macchiare con una punta di sarcasmo il ventaglio della rassegnazione dietro cui nascondeva la paura. Quella vera, che non aveva mai cessato di serpeggiare fra le viscere fino ad avvolgerle nelle sue spire e torcerle, come lei usava fare col collo delle galline. La paura di chiederglielo apertamente e sentirsi rispondere che sì, l'avrebbe dimenticata il prima possibile, avrebbe gettato il suo ricordo in un pozzo così profondo della mente da non rimembrare neppure di averla avuta per moglie. Non era cambiata poi molto, Shan-pu, non sarebbe cambiata mai. Le labbra si tesero in un sorriso sbieco. Era diventata più docile, più avveduta, ma dopo quasi ottant'anni era ancora convinta di poterlo ingannare. Piccola, inossidabile Shan-pu, che nemmeno sul letto di morte rinunciava a un pungente tono di sfida e a manovre puerili per piegarlo alla sua volontà. Attendeva invano una risposta che le donasse quel sollievo tanto agognato, ma quando il silenzio continuò a gravare come una soffocante coperta sull'aria viziata, la udì esalare un respiro più lungo degli altri.

"Ranma…", esitò, "ti ricorderai di me, vero?".

L'uomo socchiuse per un momento gli occhi. Sempre la stessa domanda. Poteva quasi vederla aleggiare nella stanza, come il pulviscolo che danzava nei deboli varchi di luce, e allo stesso tempo sentirla scavarsi la via nel baratro dei suoi ricordi. Riaprì gli occhi, riprendendo a scrutare gli ultimi bagliori di un tramonto lontano. Presto avrebbe piovuto.

"Certo".

Quante volte aveva dato quella risposta? Quante volte ancora avrebbe dovuto darla? Le sopracciglia si contrassero, mentre perseverava nell'osservare il cielo plumbeo che sembrava dimenarsi fra le assi di legno della finestra per contendersi la superficie del pertugio. Così come Shan-pu si era inutilmente affannata nel tentativo di ritagliarsi un cantuccio in quella pietra che lui aveva per cuore.

"Davvero?". Adagiata con la testa sul suo torace, la vecchia strinse con maggior vigore le dita ossute sul braccio con cui le aveva cinto le spalle, mentre con l'altra mano le carezzava i capelli. "Davvero? Dici sul serio?".

Le parole vennero travolte da un colpo di tosse. Ranma abbassò lo sguardo accigliato sul volto rugoso e smagrito di una donna sul quale il tempo e le sventure avevano infierito senza pietà. Eppure si ostinava a rimanere ancorata alla vita, a lui, con quelle dita scheletriche e tremanti che sembravano volergli affondare nella carne per non lasciarlo più. Non prima di avergli estorto quella promessa ridicola, almeno.

"Certo".

Sollevò di nuovo lo sguardo verso l'orizzonte e la sentì deglutire a fatica, il respiro ridotto a un rantolo, così come continuava a sentire i suoi occhi su di sé, brucianti e supplichevoli come quando Shan-pu aveva ancora la vista acuta e ammaliante di una gatta. Non aveva mai smesso di cercarlo fra le tenebre che da tempo avevano inquinato le pupille ora sbarrate a fissare il nulla. Cercava ostinata il volto indifferente di un uomo che non l'aveva mai voluta, quasi che l'essere prossima alla morte dovesse in qualche modo concederle la grazia di scorgere un'ultima volta il ghiaccio sporco delle sue iridi. Non era così che le aveva definite un mare di anni prima?

Le mani, piccole e fragili, si aggrapparono con maggior foga al suo braccio, mentre la disperazione deformava il volto in un'espressione di sofferente supplica.

"Me lo giuri, Ranma?". Un altro respiro così stentato da temere che stesse soffocando. "Me lo giuri?".

Tornò a guardarla, sorpreso dalla scintilla di speranza che le animava lo sguardo opaco. La giovane dall'anima ripugnante aveva da tempo lasciato il posto a quella decisamente più mite e assennata che ora se ne stava andando. Ranma serrò la mascella, infastidito dalla pietà che cercava di ammorbidirgli i tratti del volto.

"Te lo giuro".

"Stai mentendo!". L'ennesimo colpo di tosse soffocò la recriminazione, costringendola a rinunciare alla presa su di lui per portarsi un fazzoletto alla bocca. Appena le convulsioni cessarono, la donna tornò a ghermirgli la pelle. "Stai cercando di blandire una povera vecchia!", sputò con livore. "Tu non…".

"Credi davvero che a uno come me sia concesso il lusso di poter dimenticare?".

Shan-pu trattenne il respiro e poi lo rilasciò. Aveva nuovamente dimenticato chi fosse. Cosa fosse. E ancora una volta aveva lasciato che la lingua corresse come le nuvole trasportate dal vento. Se avesse potuto, ne era certo, si sarebbe morsa le labbra che non aveva più.

"Ranma…", esitò di nuovo, forse timorosa che potesse stringerla tanto a sé da sbriciolarle le ossa. "Quale inferno ti porti dentro?".

Smise di carezzarle i capelli e rimase con la mano a mezz'aria a sostenere una lunga ciocca candida, il respiro lento, silenzioso, costante. La sentì trattenere di nuovo il suo, come un bambino in attesa della punizione del padre. Ranma prese un respiro appena più profondo degli altri, mentre tornava a sfiorarle amorevolmente la chioma.

"Stai tranquilla, Shan-pu, ti porterò con me. Sempre".

Accentuò l'ultima parola con un lieve stretta della mano sulla spalla della moglie e lei lasciò andare l'aria trattenuta in un sorriso di beatitudine.

"Grazie, marito mio…".

Le parole fuggirono impalpabili come un alito, disperdendosi nella brezza intrisa di salsedine che penetrava dalla finestra, nella risacca che trascinava con sé i pensieri inespressi.

"Sono stanca, sai? Stanca di questo cuore agonizzante, di tutto questo buio, di essere un vecchio scheletro pelle e ossa". E senza meno di non essere mai stata ciò che lui avrebbe voluto. Eppure aveva perseverato in una guerra di conquista persa prima ancora di combatterla, da vera donna di polso.

"Ranma?".

Un sussurro fievole. Oltre la finestra i gabbiani volavano alti e strepitavano il loro diritto a un boccone di pesce.

"Dimmi".

Stava allentando la presa su di lui. Non gli fu difficile immaginare le ciglia che si chiudevano lentamente e i tratti del volto che si distendevano in un sereno abbandono.

"Tu non senti… freddo?".

Serrò le dita sulla spalla gracile nell'attimo stesso in cui la sentì rilassarsi sotto il suo braccio come un panno che si affloscia su se stesso.

No Shan-pu, non sento più nulla, ormai.

Inspirò a lungo imponendosi di non distogliere l'attenzione dalla piccola finestra e dal mondo incolore che si estendeva al di fuori, ma alla fine schiacciò le palpebre sugli occhi e strinse al petto la moglie con ambo le braccia poggiando una guancia sulla sua nuca.

Anche lei, alla fine, se n'era andata.