Author's note: Va bene. Prima volta che posto qualcosa in italiano qui su , ma voglio provare a dar vita ad un fandom italiano sulla WWE, quindi eccomi qui.
Ultimamente sono troppo ossessionata da Jon Moxley/Dean Ambrose e rimuginando, mi è venuta in mente questa storia ed ho dovuto scriverla. Spero che vi piacerà anche solo la metà di quanto io mi stia divertendo a scriverla!
Qualche informazione prima che iniziate a leggere:
-Posterò contemporaneamente sia la versione italiana che inglese, di questa storia! (So, if you're not italian but you would like to read this story, go check in my profile and you'll find there the english version!)
-Il titolo della storia, "Anything but Ordinary" l'ho preso dall'omonima canzone di Avril Lavigne. Il testo è citato all'interno del primo capitolo e molte frasi verranno utilizzate come nomi dei capitoli. Se non l'avete mai ascoltata, andate a cercarla su youtube: io la adoro e poi è la cosa che ha ispirato questa storia!
-Ovviamente (e purtroppo!) Dean Ambrose o qualsiasi altra Superstar WWE che verrà nominata all'interno della storia non appartengono a me, ma a loro stessi! Solo la protagonista è di mia invenzione e quindi ne detengo i diritti (non vi dirò ancora il suo nome, lo scoprirete nel corso della storia!). Sono miei anche altri personaggi secondari, ma capirete da voi chi essi siano. E, ovviamente, l'intera storia, che è frutto della mia fantasia!
-Presenti linguaggio forte, violenza e scene di sesso.
Ed è tutto: buona lettura!


1. Hey Little Fighter

Las Vegas era di certo una delle città più rumorose e piene di vita del mondo, specialmente di notte. Ma, quando tornava a casa, Jonathan Good preferiva tenersi lontano dal caos della capitale del divertimento. Tutto quello di cui aveva bisogno, nei suoi giorni di riposo dai continui tour con la WWE, era stare in tranquillità con se stesso. La vita sulla strada gli piaceva, anzi, a dirla tutta, l'amava profondamente, quasi la venerava. Era quello che aveva sognato di fare da sempre e il suo realizzarsi non poteva che renderlo completo e appagato, ma doveva ammettere, almeno con se stesso, che a volte era stressante essere sempre in giro e non poter mai staccare la spina o prendersi una giornata da dedicare solo a sé e ai propri problemi. A volte, aveva così tante cose da fare, che non riusciva neanche ad ascoltare i suoi stessi pensieri.

Ma c'era un posto che Jon amava visitare sempre, quando tornava a casa. Lo aveva trovato per caso, ma gli era ormai così famigliare da riuscire a farlo sentire a suo agio e a liberarlo da ogni preoccupazione. Quando Jon entrava dentro quel locale piccolo e accogliente, lasciava fuori dalla porta ogni pensiero scomodo e si godeva una semplice serata in compagnia di musica dal vivo, luci soffuse e un bicchiere del suo liquore preferito.

Ed eccezione non aveva fatto quella sera, di ritorno dal tour europeo.

Aveva una settimana libera e, una volta tornato a casa, aveva gettato le valige in un angolo, si era fatto una lunga doccia ristoratrice, era uscito e si era diretto al "The Discordant Note".

L'atmosfera era quella nebbiosa e soffusa di sempre: seduto al bancone del bar, con il solito bicchiere di liquore in mano, Jon si guardò intorno. Il locale non era molto grande e forse era proprio quella caratteristica a renderlo tanto intimo. Essendo un posto che non era in grado di contenere un gran numero di persone, era sempre molto tranquillo e rilassante ed era per questo che lui amava trascorrere lì le sue serate libere. C'erano alcuni tavolini rotondi, occupati da gruppi di ragazzi e ragazze, e un piccolo palcoscenico sul lato destro, sul quale solitamente si esibiva qualche band locale.

Quella sera, tuttavia, il palco era lasciato al libero utilizzo di chiunque volesse esibirsi: serata karaoke, per la gioia di Jon.

Era un tipo che amava la musica dal vivo, ma solo quando questa era di buona qualità o, almeno, orecchiabile. Le ragazze che erano salite ora sul palco, stavano uccidendo le sue povere orecchie con una terribile versione di "Bad Romance".

Jon sbuffò e buttò giù il contenuto del bicchiere in un solo sorso, facendo poi cenno al barista di riempirlo di nuovo: non potevano chiedergli di assistere a quello scempio e farlo da sobrio!

Certo, avrebbe potuto benissimo andarsene a casa… ma non aveva proprio voglia di tornare nel suo appartamento vuoto, gli faceva venire una sorta di malinconia interna alla quale preferiva proprio non pensare, in quel momento.

Jon non era mai stato un tipo particolarmente socievole o che aveva un cospicuo gruppo di amici: la sua passione per il wrestling lo aveva portato a percorrere strade completamente differenti da quelle che avevano intrapreso i suoi compagni d'infanzia, ed avendo viaggiato da una federazione all'altra, non aveva mai avuto davvero la possibilità di stringere legami duraturi e solidi. Ora, in WWE, le cose stavano migliorando: Joe e Colby – conosciuti sul ring come Roman Reigns e Seth Rollins – stavano pian piano riempiendo il vuoto che c'era nella sua vita, ma di certo non potevano colmarlo del tutto, e quel gelo che lui sentiva all'interno non riusciva mai ad essere completamente dissipato.

Solo fare wrestling lo aiutava a sentirsi più vivo: salire sul ring, interpretare Dean Ambrose, intrattenere i fans… sì, lui amava tutto quello.

Lui era il wrestling.

Era normale, quindi, che quando tornava a casa, lontano dal ring, lontano dall'azione e dai riflettori… lontano da Dean Ambrose, lui sentisse il gelo tornare a serrargli il cuore.

Scacciò quei pensieri dalla mente, mentre le due ragazze scendevano finalmente dal palco, lasciando alle sue orecchie la possibilità di godere di nuovo del silenzio, interrotto solo dal chiacchiericcio di sottofondo.

C'era un gruppo di ragazzi particolarmente rumoroso alla sua sinistra e, prendendo in mano il bicchiere nuovamente pieno, Jon si girò a considerarli con un'occhiata infastidita.

« Ma sei seria, dolce puttanella? Vuoi veramente andare a cantare? » stava urlando uno di loro, il braccio poggiato attorno alle spalle della ragazza alla quale si stava rivolgendo.

« Sì, perché? Che c'è di così strano? » rispose lei, scrollandoselo di dosso.

Il gruppo scoppiò a ridere e Jon non era sicuro se qualcuno avesse detto qualcosa di buffo o se, semplicemente, fossero solo troppo ubriachi per comprendere quello che stava succedendo.

La ragazza si alzò in piedi di scatto e Jon notò che era l'unica donna del gruppo.

« Oh, siete solo dei coglioni! » sbottò infastidita « Io ci vado a cantare! »

« Sì, sì, vai! Vediamo come agiti la tua bella boccuccia davanti ad un'asta! » urlò un altro e i ragazzi scoppiarono a ridere tonti.

Lei alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

« Hey! Guarda che è della mia donna che stai parlando, porta un po' di rispetto! » disse il primo ragazzo, quello che prima aveva tenuto il braccio attorno all'unica presenza femminile del gruppo.

Quando lei fece per andarsene, quello gli afferrò rudemente un gomito e la costrinse a finirgli addosso. La strinse a sé e, senza tanti convenevoli, le infilò la lingua in bocca, sotto le risate e i fischi dei loro amici.

Jon sbuffò e diede loro le spalle: odiava quelle scene patetiche, odiava gli uomini che trattavano le donne come oggetti - nonostante, in molte occasioni, lui fosse il primo a comportarsi in tal modo, ma quello era tutto un altro discorso - e ancor di più odiava le donne che non avevano abbastanza amor proprio da ribellarsi.

« Sei un imbecille! » sentì lei gridare, ma non si voltò a vedere che cosa stesse succedendo.

Nel frattempo, un uomo di mezz'età era salito sul palco e aveva cominciato a cantare una versione rock di "You're beautiful" di James Blunt, a quella che doveva essere sua moglie.

La musica riempì il locale e Jon l'ascoltò volentieri, sia perché quell'uomo non era affatto male, sia perché così, almeno, non avrebbe più sentito quegli imbecilli al tavolo dietro.

Fu quando ebbe finito di bere anche il suo secondo bicchiere di liquore e aveva quasi deciso di pagare e andarsene, che la ragazza di prima salì sul palco.

Jon pagò e si alzò, convinto che non valeva la pena starla a sentire, ma alla fine ci fu qualcosa che lo trattenne.

Ascoltare i primi dieci secondi non lo avrebbe di certo ucciso, e poi, erano solo le 23.30, poteva darsi un'altra mezz'ora di tempo prima di tornarsene a casa e crollare sul cuscino.

La ragazza prese una chitarra acustica e si sedette sullo sgabello, abbassando il microfono per portarlo all'altezza della sua bocca.

Osservandola, pur se nella penombra del locale, Jon notò che aveva lunghi capelli ed era molto minuta. La sua pelle era lattea, ma non avrebbe saputo dire se fosse solo a causa delle luci del locale che appariva così pallida o se lo fosse veramente. Indossava un vestito chiaro e leggero ed un giacchetto di jeans con le maniche a tre quarti. Nel complesso, sembrava abbastanza carina: non una di quelle bellezze che ti facevano voltare per strada, ma aveva un non so che di grazioso.

Si schiarì la voce e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi cominciò a suonare la chitarra.

« Sometimes I get so weird

I even freak myself out

I laugh myself to sleep

It's my lullaby.

Sometimes I drive so fast

Just to feel the danger

I wanna scream

It makes me feel alive. »

Jon doveva ammettere che aveva davvero una bella voce: non stilisticamente perfetta, ma era piacevole stare ad ascoltarla. Si rimise seduto.

« Is it enough to love?

Is it enough to breath?

Somebody rip my heart out

And leave me here to bleed

Is it enough to die?

Somebody save my life

I'd rather be anything but ordinary please. »

Ci metteva passione in ogni singola parola e questo lo colpì profondamente: sembrava quasi stare raccontando una storia, attraverso quella canzone.

Jon si chiese se stesse raccontando la sua storia.

« To walk within the lines

Would make my life so boring

I want to know that I

Have been to the extreme

So knock me off my feet

Come on now give it to me

Anything to make me feel alive! »

Sorrideva, eppure i suoi occhi non si illuminavano mai. C'era una foschia persa ad adombrarli… c'era quasi sofferenza nelle sue iridi e questo gli fece domandare perché, adesso, mentre cantava, quella ragazza sembrasse tanto triste… e sola.

Aveva scelto una canzone particolare da cantare. Lui non l'aveva mai sentita prima d'ora, anche se era sicuro si trattasse di una cover, perché le ragazze al tavolo più vicino al palco avevano cantato il ritornello insieme a lei. Però, c'era qualcosa di più profondo nel modo che lei aveva di interpretarla… qualcosa che gli fece venire un nodo allo stomaco.

"I want to know that I have been to the extreme."

Quella frase, poi, lo colpì particolarmente e senza una ragione specifica. Forse, ci si rispecchiava più di quanto non fosse disposto ad ammettere.

I suoi occhi andarono a cercare quelli di lei che, quasi spontaneamente, lo ricambiarono con quel sorriso spento e malinconico.

"Come on now give it to me anything to make me feel alive."

« Is it enough to love?

Is it enough to breath?

Somebody rip my heart out

And leave me here to bleed

Is it enough to die?

Somebody save my life

I'd rather be anything but ordinary please

I'd rahter be anything but ordinary please. »

Il locale si era trasformato in una macchia scura e confusa. Guidato solo dalla voce di quella ragazza, ogni suo senso era concentrato su di lei e sul suo sorriso che sembrava nascondere tutta la tristezza del mondo.

Jon non aveva mai visto un sorriso più triste di quello in tutta la sua vita.

« Let down your defences

Use no common sense

If you look you will see

That this world is this beautiful

Accident, turbulent, suculent

I'm feeling permanent

No way I won't taste it

Dont wanna waste it away

Sometimes I get so weird

I even freak myself out

I laugh myself to sleep

It's my lullaby!

Is it enough?

Is it enough?

Is it enough to love?

Is it enough to breath?

Somebody rip my heart out

And leave me here to bleed

Is it enough to die?

Somebody save my life »

Adesso era proprio sicuro che stesse guardando lui, mentre gridava quelle parole.

Somebody save my life.

Sembrava più una richiesta d'aiuto che una canzone per allietare il pubblico.

Jon non ce la fece più: quella strana atmosfera che si era creata intorno a loro lo stava soffocando. Si alzò con un gesto arrabbiato, prese il giacchetto di pelle ed uscì fuori senza nemmeno aspettare che lei finisse di cantare.

C'era solo quella frase che gli rimbombava nella testa.

Somebody save my life.


L'aria fredda della notte lo fece subito sentire meglio. Si appoggiò contro il muro fuori dal locale, si passò una mano a scompigliarsi i capelli, poi si accese una sigaretta e fece una lunga tirata, che bruciò immediatamente metà della carta vergata. Mentre rilasciava il fumo lentamente, si chiese che diavolo gli era preso.

Perché aveva reagito in quel modo?

Era solo una canzone, che cazzo!

Doveva essere stanco, non c'erano altre spiegazioni: il tour in Europa era stato lungo, faticoso e stressante, era abbastanza normale che non si sentisse proprio nel pieno controllo delle sue emozioni.

Jon chiuse gli occhi e abbandonò il capo contro il muro alle sue spalle, portando nuovamente la sigaretta alla bocca.

La porta del locale si aprì, ma lui non si preoccupò di guardare chi fosse uscito all'aperto.

« Eddai, cazzo: accenditi! » sentì imprecare e si rese conto che era una ragazza.

Aprì un occhio con disinvoltura e le lanciò un'occhiata: lei gli stava dando le spalle, ma la riconobbe comunque.

Era la ragazza che aveva cantato.

Stava bisticciando col suo cellulare. Jon la ignorò e tornò a chiudere gli occhi: con la fortuna che aveva, quella avrebbe potuto benissimo essere una fan del wrestling. Ci mancava solo che si girasse e…

"Sierra. Hotel. India. Echo. Lima. Delta. SHIELD."

Jon spalancò gli occhi, mentre il cuore gli balzava in gola per lo spavento.

Ma che diavolo…?

Quella era…

« Sì, eccomi, eccomi! » disse la ragazza, rispondendo al cellulare « Prima ero dentro, c'è un pazzo che si è messo a cantare Marylin Manson, non riuscivo a sentirti… No, no… Sì, sono in un locale… Sì, a Las Vegas. No… No, B. va tutto bene ti dico. Sì, lo so che sei in ansia, ma… B. NO! Non ci torno a casa, fattene una ragione… No, scusa… E' che sono un po' brilla, credo… Ma no, solo una birra… Okay, forse due, ma non è questo… No, B. No… Non sono da sola… No, c'è Call con me. Lo sai che sto con lui, ora! Ooooh…. Che palle co sta' storia! No, sto bene ti ho detto! Ma… senti, vaffanculo, okay? VAFFANCULO! »

La ragazza interruppe bruscamente la conversazione, poi si lasciò andare ad un grido di rabbia e lanciò il cellulare per terra.

Jon la fissò, senza sapere cosa fare.

Una parte di lui voleva intervenire, ma d'altra parte… che cosa poteva fare?

Forse, era meglio lasciarla sola.

La ragazza si accucciò per terra e raccolse il telefono, cercando di ricomporre i pezzi.

La sentì respirare piano, quasi a tratti.

Stava… piangendo?

Oh, per amor del cielo!

Jon sospirò, prese l'ultimo tiro dalla sigaretta, poi la buttò per terra e si avvicinò a lei, che era ancora accucciata per terra. Le posò delicatamente una mano sulla spalla.

« Hey… »

La ragazza sobbalzò, spaventata: era evidente che non lo aveva notato, prima.

Si alzò in piedi di scatto e si girò a fronteggiarlo, le mani alzate in una specie di posizione di guardia che lo colse completamente alla sprovvista.

« Calmati, little fighter. Non voglio farti niente. » disse lui sulla difensiva, mostrando i palmi delle mani.

Lei lo guardò per un lungo istante, come se stesse valutando se fidarsi o meno.

Jon la fissò a sua volta: i capelli, che adesso riusciva a vedere essere di un castano molto chiaro, quasi rossicci, le incorniciavano il viso in modo disordinato; le lacrime le luccicavano sulle guance accese, ma adesso i suoi occhi erano seri e puliti, quasi che essere di fronte a lui le avesse restituito l'orgoglio necessario per smettere di piangere; la sua pelle era veramente così chiara come gli era sembrata prima.

Alla fine, lei sembrò decretare di potersi fidare, perché abbassò le mani e prese un respiro profondo.

« Scusa la reazione. » mormorò, portando una mano a scombinarsi ancora di più i capelli « Mi hai colta di sorpresa. »

Jon fece spallucce ed abbozzò un sorriso.

« Tranquilla, è colpa mia, immagino. Non si arriva alle spalle di una ragazza in quel modo, non di notte e non in un vicolo. »

Riuscì a farla sorridere.

Era molto più carina, quando sorrideva.

« Ho solo pensato che… beh, ti servisse aiuto. Mi sei sembrata parecchio sconvolta. » aggiunse, con circospezione.

Lei lo guardò dal basso con un'occhiata strana, poi ridacchiò.

Jon corrugò le sopracciglia.

« Scusa… » ripeté lei, tra le risate « Sono solo un po' brilla, credo. » e, a conferma delle sue parole, singhiozzò lievemente. « Ecco, appunto!» disse, con un'altra risata « Forse, è meglio che torni dentro.»

Fece per andarsene quando la botta d'alcool le salì alla testa, facendola incespicare nelle sue stesse scarpe. Barcollò e cadde in avanti, direttamente addosso al petto di Jon, che l'afferrò prontamente per impedirle di cadere.

« Hey, sicura di farcela? » le chiese, mentre lei si aggrappava alle sue braccia per ristabilire l'equilibrio.

Quando sollevò il viso, aveva le guance ancora più rosse e i suoi occhi – che erano di una sfumatura di castano molto chiara – avevano un'espressione smarrita ed imbarazzata.

« Ops… » mormorò.

Jon stava per chiederle di nuovo se era sicura di riuscire a tornare dentro senza uccidersi, ma lei lo interruppe.

« La sai una cosa? » gli disse, ridacchiando.

Jon sospirò e chinò il capo per guardarla.

« Cosa? »

Lei piegò la testa verso una spalla, come se volesse studiarlo da un altro punto di vista, e si morse il labbro inferiore.

« Tu somigli un sacco ad un wrestler della WWE, sai? Sì, somigli un sacco a Dean Ambrose! » esclamò e poi scoppiò di nuovo a ridere.

Jon spalancò gli occhi sorpreso, ma non disse nulla: aveva capito che fosse una fan dalla suoneria del suo telefono, ma non se la sentiva proprio di avere a che fare con una sua ammiratrice quella sera, per di più con una che era in quello stato pietoso.

« Mmm. » fu l'unica cosa che disse, chinando il capo per fare in modo che i capelli calassero a coprirgli il viso e lo rendessero meno riconoscibile.

Lei ridacchiò ancora e provò ad allontanarsi da lui, ma quando vide che non riusciva ancora a stare in equilibrio sulle proprie gambe, si resse nuovamente alle sue braccia, i cui muscoli si tesero sotto le sue dita sottili.

Jon sospirò e la trattenne per le spalle.

« Sei sicura che erano solo due, le birre? » mormorò, valutando se portarla dentro, da quegli imbecilli dei suoi amici, oppure se lasciarla semplicemente lì.

« Eh? » chiese lei, in uno stato evidentemente confusionale « Che fai, origli le mie conversazioni telefoniche, ora? » lo accusò, corrugando le sopracciglia « Sono cose private, quelle! »

« Non per deluderti, little fighter, ma urlavi così tanto che anche in Cina hanno sentito. »

Lei gli diede una botta sul petto.

« Sei uno stronzo! » sbottò, guardandolo dal basso con aria arrabbiata.

Insulti gratuiti... non stava aspettando altro.

Jon alzò gli occhi al cielo… forse era meglio se la lasciava lì.

« Ma ti perdono… » mormorò ancora lei, costringendolo a tornare a guardarla.

Aveva adesso abbassato il viso e teneva gli occhi incollati al pavimento.

Sembrava di nuovo triste come quando l'aveva vista cantare sul palco.

Un nodo tornò a stringergli lo stomaco.

« Sai perché ti perdono? » chiese lei, con tono timido.

« No, ma immagino che me lo dirai. »

Lei sollevò il viso e gli mostrò un sorriso morbido che, per la prima volta, arrivò ad illuminarle lo sguardo.

Jon sentì il suo cuore mancare un colpo.

Quando sorrideva in quel modo, il suo viso cambiava e lei era… bellissima.

« Ti perdono solo perché somigli a Dean Ambrose! » disse con una risatina imbarazzata « Mi piace Dean Ambrose. » affermò, annuendo vigorosamente.

Jon non riuscì a trattenere il sorrisino che gli sorse spontaneo sulle labbra.

« Dai, little fighter, andiamo: ti riporto dai tuoi amici. » sospirò, cominciando a guidarla verso l'entrata del locale.

Ma, improvvisamente, lei gli diede una spinta e si allontanò da lui, che la fissò interdetto.

« Non ho mica bisogno che mi accompagni, eh! » se ne uscì, offesa « Non ho bisogno di te! Non ho bisogno di nessuno, io! Ce la faccio da sola! »

E, senza dargli neanche la possibilità di replicare, si voltò, aprì la porta del locale e si infilò dentro.

Quella era tutta matta.

Jon scosse la testa, non sapendo se sentirsi offeso o cosa. Decise che non gli importava abbastanza da scoprirlo, così si girò, pronto a tornare a casa: quella serata assurda poteva proprio avere fine.

Non fece in tempo a fare un passo, che la porta del locale si riaprì e qualcuno lo afferrò delicatamente per un braccio.

Chissà perché, quando si voltò, non fu affatto sorpreso di trovarsi nuovamente di fronte alla ragazza di poco prima.

Non sapeva se essere irritato o divertito, se mandarla a quel paese o se sorridere.

Era strana… gli confondeva le idee già annebbiate a causa dei due bicchieri di liquore e della stanchezza.

Lei lo guardò dal basso con un sorrisino timido e gli occhi scintillanti, così lui non se la sentì proprio di trattarla in malo modo.

« Sì? » chiese invece, paziente.

« Niente, volevo solo dirti grazie… per esserti preoccupato per me. Nessuno lo fa mai. Quindi, grazie, Dean Ambrose! »

Si avvicinò a lui e si mise sulle punte dei piedi. Poi sembrò ripensarci, si morse il labbro inferiore, sorrise mestamente e gli fece un cenno con la mano, come a dirgli di avvicinarsi.

Sembrava quasi volergli sussurrare qualcosa all'orecchio, così lui sospirò e si abbassò, fino a che non fu con il suo viso all'altezza di quello di lei.

La ragazza lo guardò negli occhi, poi sorrise di quel sorriso che a lui faceva dolere il petto. Si avvicinò e, inaspettatamente, gli stampò un bacio sulle labbra.

Poi, come se nulla fosse, si voltò.

« Ciao ciao, Dean. » lo salutò, sventolando la mano come una bambina e rientrando nel locale.

Jon rimase fermo a fissare il vuoto per qualche minuto, ancora piegato in avanti, con gli occhi spalancati e il sapore di quelle labbra morbide sulle proprie.

Okay: quella era in assoluto la serata più assurda che lui avesse mai vissuto.