I'm sorry
"Lisbon, aspetta! Io…"
"No, Jane. Stavolta hai davvero passato il limite. Ne ho abbastanza".
Così dicendo sbatté la portiera e partì a tutta velocità.
Jane la seguì con lo sguardo, quindi sospirò. Dopotutto se lo meritava. Si incamminò lentamente, incurante della pioggia che cadeva a dirotto.
...
Un'ora e mezza più tardi, entrando al CBI, fu accolto dagli sguardi perplessi dei suoi colleghi. Evidentemente il suo aspetto non doveva essere dei migliori.
Senza una parola si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi. Aveva un freddo terribile, e il fatto che i suoi vestiti fossero completamente bagnati non migliorava certo le cose.
Finalmente scivolò in un inquieto dormiveglia, in cui i rumori familiari dell'ufficio lo raggiungevano a tratti, confondendosi con i suoi sogni agitati.
...
"Jane, svegliati. Ti ho preparato il tè".
Non ottenendo alcuna risposta, Grace si chinò su di lui per scuoterlo.
C'era qualcosa che non andava. Jane non aveva mai avuto un sonno così pesante.
Gli posò una mano sulla fronte, ritraendola immediatamente. Quindi si diresse verso l'ufficio di Lisbon.
...
"Dovresti parlargli".
Lisbon scosse la testa, esasperata. Prima Rigsby, e adesso anche Cho. Possibile che tutti quanti avessero improvvisamente deciso di prendere le parti di Jane?
"Capo…", chiamò Grace, facendo capolino dalla porta.
"Che c'è, Van Pelt?"
"È per Jane… credo che non si senta bene. Ha la fronte che scotta".
Lisbon si morse le labbra. Perfetto, ci mancava solo questo per farla sentire ulteriormente in colpa.
...
"Jane, mi senti? Jane, se non ti svegli sarò costretta a chiamare un medico".
Di fronte a questa minaccia Jane si mosse, mormorando debolmente: "Niente medici, Lisbon. Per favore".
"D'accordo. Ce la fai ad alzarti? Ti accompagno a casa".
Non aveva la minima idea di dove lui vivesse – o meglio, in quale luogo dormisse le rare volte in cui non passava la notte al CBI – ma supponeva che viste le circostanze Jane avrebbe anche potuto indicarle la strada.
"Voglio restare qui", replicò lui con voce lamentosa – come avrebbe potuto fare un bambino di cinque anni.
Lisbon aprì la bocca per replicare, quindi parve cambiare idea e tacque. In fondo ormai i vestiti di Jane erano asciutti, e probabilmente avrebbe riposato meglio sul suo divano prediletto.
Ritornò nel proprio ufficio, rovistando nei cassetti alla ricerca di un'aspirina.
...
Quando Jane aprì nuovamente gli occhi, l'ufficio era immerso nella penombra. Non c'era più nessuno, ad eccezione di Lisbon che sedeva accanto al divano – scorrendo distrattamente il fascicolo dell'ultimo caso.
"Perché sei ancora qui?"
Lei ignorò la domanda. "Come stai?"
"Meglio, credo… merito della tua aspirina".
Lisbon gli sfiorò la fronte. La febbre era scesa, anche se era probabile che salisse di nuovo una volta passato l'effetto dell'aspirina. In ogni caso non era nulla che non potesse guarire in un paio di giorni.
"Si può sapere perché non hai preso un taxi, invece di attraversare a piedi Sacramento sotto la pioggia?"
"Perché me lo meritavo".
Rimase per un attimo interdetta, domandandosi se Jane non stesse peggio di quanto sembrava. Non era una cosa di tutti i giorni sentirlo ammettere di aver sbagliato.
"Jane…"
"Dico sul serio. Non volevo che quell'uomo ti insultasse per causa mia. Mi dispiace".
"Jane, non è questo il punto. Non m'importa se un testimone pensa che io sia incapace di fare il mio lavoro. Ma ci sono delle regole da rispettare, lo sai benissimo".
Lui scosse la testa. "Avrebbe dovuto prendersela con me. Tu sei un ottimo agente. La migliore. L'ho sempre pensato".
Lisbon sorrise. Che strani scherzi gioca la febbre… Non aveva mai sentito Patrick Jane parlare a quel modo – e con ogni probabilità non le sarebbe capitato di nuovo.
"Dormi, adesso. Se hai bisogno di qualcosa, chiama: sono sul divano nel mio ufficio".
Per un attimo provò l'impulso di passargli una mano tra i capelli – come faceva con i suoi fratelli quando erano malati – ma lo scacciò subito.
Spense la lampada sulla scrivania di Van Pelt e si allontanò senza fare rumore.
