"… e mentre Karai si è impossessata del camion delle consegne, io ho tolto di mezzo quelli della sala principale e-"
"E quanti erano?"
"Mah, Mikey, saranno stati una dozzina…"
"Boom, Senzapaura! Non le sparare grosse."
"Ti assicuro, Raph! Una dozzina almeno! Forse anche più."
"Ed eri senza katana?"
"Senza!"
"E noi dovremmo crederci?"
"Mi stai dando del bugiardo, Raph?"
"No no… Ma diciamo che, con l'età, nei racconti delle tue imprese il numero dei nemici che stendi a colpi di sputi aumenta sempre di più!"
Al ghigno storto di Raffaello, Michelangelo è scoppiato a ridere rumorosamente. Leonardo ha tenuto una faccia offesa per un paio di secondi, ma già gli occhi ridevano e la bocca li ha seguiti subito dopo.
Certo che gli credevano. Lo sapeva lui, e lo sapevano loro. Ma ritrovarsi lì, nella vecchia cucina, a fare colazione tutti e quattro insieme, non sarebbe stato lo stesso senza le prese per il culo di Mikey e Raph alle avventure che raccontava per l'ennesima volta, con l'entusiasmo di un bambino nei luminosi occhi blu, e la gioia di condividere le sue storie con le persone che facevano indissolubilmente parte della sua strana vita.
Quante volte avrebbe voluto avere ancora i fratelli al suo fianco, quando con Karai cercava di mettere a posto le cose, col sangue e col sudore, in un mondo ancora marcio e contorto. Si girava ed immaginava di averli ancora vicini, a coprirgli le spalle, a confortarlo con la loro presenza, a farlo incazzare perché facevano sempre alla fine come diavolo volevano loro, perché lui era sempre stato il leader, sì, ma era soprattutto il fratello.
Stranamente, la mancanza si sentiva ancora di più quando, nell'osservare anche la cosa più banale, dalla mossa di un nemico alla marca su una lattina di conserve, alla mente tornava un ricordo condiviso, ed avrebbe voluto richiamarlo ad alta voce e commentarlo e farne loro partecipi, ma la squadra si era ormai rotta, e la vita con le sue mosse di scacchi gli aveva dato tanto e preso tanto.
Restava, in momenti sempre più rari e preziosi, solo il gusto agrodolce del racconto; momenti come questo, davanti ad una tazza di schifoso tè commerciale, con Donnie ed il suo caffè, con Mikey che sputacchiava pezzi di cereali mentre parlava e Raph che teneva anche con la colazione lo stesso atteggiamento aggressivo che aveva con il resto delle cose di questo mondo: lui non mangiava, lui trucidava il cibo nella sua bocca.
Erano passati ormai quattro giorni da quando Leonardo era tornato al vecchio covo dal Giappone, e Raffaello era quasi completamente guarito. Certo, l'infezione lo aveva lasciato leggermente indebolito, e sarebbe dovuto passare ancora qualche giorno prima che potesse tornare ad allenarsi, ma alla tartaruga mascherata in rosso era tornato l'appetito insaziabile e la voglia di sfottere tutti, sempre e comunque.
Quello che purtroppo non sarebbe mai potuto guarire, era la sua menomazione fisica. Adesso portava nuovamente la sua maschera rossa, sopra il cerotto che ancora copriva buona parte del lato sinistro del viso.
Ma a quel tessuto amato e logoro aveva apportato un piccolo cambiamento. Aveva cucito, grossolanamente, il buco per l'occhio sinistro. I fratelli evitavano di guardare quella impuntura di filo nero che sarebbe rimasta per sempre dove loro si sarebbero aspettati la sua iride smeraldo; effettivamente, non lo guardavano affatto in faccia, distogliendo troppo presto lo sguardo da quella mutilazione stranamente imbarazzante.
Lui, dal canto suo, commentava spesso, in modo strafottente ed autoironico, questa sua nuova condizione.
Tutti non avevano potuto fare a meno di accorgersi che Raffaello ci scherzava sopra troppo di frequente. Era il suo modo di nascondere la paura ed il dolore che questo suo grave infortunio gli provocava, la cognizione di essere, irrimediabilmente, un invalido.
Donatello era perfettamente consapevole che la vita di suo fratello sarebbe stata ancora più difficile, da adesso in poi. Essere un ninja senza la visione stereoscopica non sarebbe stata una passeggiata. Non avrebbe mai più potuto percepire bene le distanze né parare con la stessa sicurezza un colpo che gli fosse venuto incontro. E soprattutto, avrebbe avuto una visione laterale molto più ridotta. Che tradotta in termini di un attacco multiplo avrebbe potuto significare la differenza tra la vita e la morte.
Sì, come se non lo fosse stata già abbastanza, da quel momento la vita per suo fratello sarebbe stata ancora più dura. Forse avrebbe dovuto dirgli di finirla di fare il giustiziere da strapazzo, e ritirarsi a vita tranquilla. Vita normale. Certo, magari sarebbe potuto diventare camionista? Avrebbe potuto aprirsi un bar? No, meglio, meglio, aprirsi una bella concessionaria di moto. Il primo fottuto mutante al mondo ad aprire un'attività. Venite gente, venite! Non rinchiudetemi in un laboratorio militare per sezionarmi in tanti minuscoli pezzettini, no no, venite a comprare le mie moto!
Alla risata, bassa, cupa, del fratello che indossava una sporca maglia grigia, le altre tartarughe hanno bloccato a metà le loro futili conversazioni, e si sono girate, impietrite, a guardarlo. Donatello non aveva quasi aperto bocca da quella mattina, ed adesso emetteva quel suono inquietante, a metà strada tra un pianto ed un lamento, che era una risata triste, malata, dolorosa.
Michelangelo ha poggiato il cucchiaio nella ciotola, ed il rumore è sembrato un frastuono; Leonardo e Raffaello hanno abbassato lo sguardo, ed un silenzio ha seguito l'immediato estinguersi di quel suono sofferente quando Donatello si è visto caricato di questa tensione ed ha capito, che ancora per l'ennesima volta negli ultimi giorni, aveva portato davanti ai suoi fratelli la visione imbarazzante della sua mente confusa e turbata.
In quei giorni, a mano a mano che Raph migliorava, tutta l'attenzione si era rivolta ad un altro fratello, ed ad un altro tipo di malattia.
Quando quella sera Michelangelo aveva visto Donatello senza vestiti, era corso in camera sua, col cuore in gola. Perché, perché il suo geniale fratello si era ridotto così? Perché si stava facendo questo? Non riusciva a capacitarsi di come quel corpo malato e scheletrico potesse essere il suo gentile fratello, che lo consolava nei suoi incubi da bambino, che gli leggeva le fiabe, che gli risolveva i piccoli e grandi problemi. Una nausea improvvisa gli era esplosa in gola, ed il contenuto del suo stomaco si era riversato sul pavimento della camera prima che le sue gambe potessero portarlo in bagno. Si era seduto a terra, a piangere, poiché aveva capito il significato di tutto ciò; lui era sempre stato un animo semplice, aveva sempre preferito ignorare i problemi del mondo, perché erano brutti e sporchi, ma li conosceva tutti.
Aveva capito subito che suo fratello si stava uccidendo. E che lui forse se n'era accorto troppo tardi.
Il giorno dopo, mentre Donatello era in camera a cambiare le bende al malato, ne aveva parlato con Leonardo.
…
"Sì, Mikey, mi sono accorto pure io che è troppo magro."
"Non è solo magro, Leo. E'… è peggio. E poi come parla, quello che dice. Ci vuole trattare di merda? Passi. Vuole sfogare su di noi il suo dolore? Ok, mi va bene. Ma sento che… che insomma, non ragiona più come dovrebbe."
Leonardo si è seduto sullo sgabello, in cucina, ha guardato per terra, poi di nuovo negli occhi azzurri del fratello mascherato in arancione. "Stai cercando di dirmi che Donnie sta impazzendo?"
La schiettezza di Leonardo l'aveva sempre un po' confuso. "No, non so… forse… Leo, non è quello che intendo. Voglio solo dire che lui non sta bene, e noi lo dobbiamo aiutare. Io lo voglio aiutare, ma da solo non so che fare. Magari a te darà più ascolto e-"
"Mikey, quello che ha passato Donnie, quello che sta ancora passando, è tremendo. E' naturale che ne soffra. Vorrei aiutarlo, ma non possiamo farci niente. E' passato troppo poco tempo. Per lui April era tutto."
Michelangelo si è seduto accanto a lui. Ha iniziato a giocare con alcune briciole sul tavolo.
"Quindi mi stai dicendo che non dovremmo fare niente?"
"No, sto solo dicendo che un approccio diretto non serve. Sono mesi che tentiamo di parlarne. Hai visto? Si chiude a riccio. Penso che dobbiamo solo stargli vicino, fargli capire che noi ci siamo, e fargli prendere tutto il tempo che ci vuole."
Michelangelo ci ha pensato su qualche secondo. Con le grosse dita verdi ha raccolto tutte le briciole in una minuscola montagnola grumosa.
Poi ha sbattuto un pugno su quella montagnola.
"No. No, Leo. Ti sbagli, Donnie potrebbe non avere tempo."
Si è alzato di colpo, strisciando lo sgabello.
"Mik-"
"Tu non l'hai visto. Tu non sai." Ha alzato la voce, improvvisamente furioso. "Tu non puoi sapere. Tu vivi a diecimila chilometri da qui, l'ultima volta ti sei fatto vedere tre mesi fa, ed adesso pretendi di sapere quello che serve a Donnie? Tu non sai un cazzo, LEO!"
Leonardo ha chiuso gli occhi, traendo un profondo respiro. Quindi era questo. Lui non c'era. Lui se n'era andato con sua moglie e Mikey gli stava rinfacciando di averli abbandonati. Mikey, proprio Mikey.
Le volte in cui Mikey gli aveva parlato in quel modo si potevano contare sulle dita di una mano. Della loro mano. Adesso non aveva aspettato neanche tre giorni da che era a New York e gli aveva riversato sopra il suo astio.
Ripensandoci, velatamente glielo aveva rinfacciato più volte, anche prima, anche quando April stava bene e sembrava che le loro quattro vite avessero preso il giusto corso e scorressero intense ma felici, per quanto delle creature come loro avrebbero potuto permetterselo; tra gli scherzi, le prese in giro, il suo fratellino, se poteva ancora chiamare fratellino quel mutante più alto e grosso di lui, gli aveva sempre comunicato una solo parola: traditore.
Lui che aveva promesso al padre di guidarli sempre, ed adesso li aveva lasciati soli.
Aveva avuto scelta? Certo, si ha sempre una scelta. O loro, o Karai.
E lui aveva scelto Karai.
Si era illuso, per mettere a tacere la sua coscienza, di essere stato legittimato a scegliere Karai, di essersi stato quasi fatto guidare alla scelta; ed invece no: ripensandoci, non c'erano mai stati dubbi. Karai era tutta la sua vita. L'amava da sempre. Dalla prima volta che l'aveva conosciuta, quando era ancora poco più di un ragazzino, ed aveva già messo in pericolo i suoi fratelli per lei. Leader da poche settimane, e già aveva scelto Karai. Anche se era il nemico, anche se poi ha tentato di ingannarsi, di non pensare a lei, anche quando il pensiero che lei fosse in un certo senso sua sorella gli presentava il suo sentimento sotto le turbe vergognose dell'incesto, lui aveva continuato ad amare Karai. Nei suoi pensieri da ragazzo, lei; nelle fantasie solitarie che gli avevano fatto scoprire il piacere dell'onanismo, il pensiero di lei; nelle sue fughe tra i tetti, lo sguardo a cercare sempre e solo lei.
Bella. Letale. Forte. Fragile. Sorella. Amante.
La sua vita era lì, accanto a lei. E poiché lei era legata al Giappone, lui per lei viveva in Giappone. E se quella fottuta clausola dell'eredità l'avrebbe costretta sulla luna, ebbene lui adesso vivrebbe sulla luna. In ogni caso, lei odiava New York, che gli aveva tolto in modo cruento due padri; e quando avevano deciso insieme se accettare l'eredità Saki, e quella volta sì che la scelta era stata difficile e ponderata fino all'ultimo momento utile, lui sapeva, che in ogni caso, il suo sogno di aver vicino sia i suoi fratelli che l'amore della sua vita, era destinato ad infrangersi come un bicchiere di vetro sbattuto contro il muro.
Quindi, alla fine, ancora una volta, era colpa sua. Lui era il leader. E finché tutto andava bene, andava bene, ma quando le cose andavano male, i problemi, i rimproveri, i sensi di colpa, le lacrime di nascosto, erano suoi. Come sempre. Maledizione. Maledetto il giorno in cui aveva chiesto a suo padre di poter guidare la squadra. Gli era sembrata una gran cosa. Poi, in fondo, non è che il suo sensei avesse fatto proprio una grande fatica, nella decisione, eh. Lui era il più grande. Lui era il più responsabile. Lui era il figlio perfetto. Lui aveva sempre, fin da bambino, avuto questa specie di fissazione di proteggere quelle piccole strane creature verdi come lui dal mondo esterno cattivo e pericoloso.
Il piccolo capitano coraggioso che guidava la sua piccola ciurma delle fogne.
Che si era fatto venire l'ulcera, ed aveva imparato a dormire col senso di colpa come se fosse un'amante crudele, perché sentiva come sue mancanze gli sbagli dei fratelli. Che aveva sacrificato gli anni della sua giovinezza alla ricerca della perfezione per ricoprire un ruolo che appena avuto già bruciava come un acido, gravava come un macigno a schiacciare ogni suo altro interesse, ogni suo altro pensiero, che non fosse l'incolumità dei suoi fratelli.
Ed anche in questo momento, sapeva, oh sì, sapeva che in fondo Mikey avesse ragione, che era sua la colpa del fatto che uno dei suoi fratelli si stava praticamente lasciando morire; nonostante tutte le stronzate che aveva appena detto a Mikey, lui lo sapeva.
Lui aveva abbandonato Donatello nel momento del bisogno.
…
Nel silenzio imbarazzato della cucina, guardando Donatello, Leonardo ricordava questa sua amara conclusione.
Aveva osservato il fratello, in questi giorni. Mikey aveva ragione. Donnie non si comportava in modo del tutto normale. Leonardo non ne sapeva niente di turbe della mente, si chiedeva se quello che vedeva non potesse essere un esaurimento nervoso. E si rifiutava assolutamente di pensare che potessero essere i sintomi di una malattia mentale. Donnie non era pazzo, non poteva esserlo. Lui era un genio.
Ma non era neanche normale. Non parlava quasi mai. Si perdeva ore fissando inebetito un punto all'infinito. Era irascibile, scontroso e litigioso per ogni sciocchezza.
Puzzava. Oddio, Leonardo non avrebbe saputo dire se si fosse mai fatto una doccia da mesi. Si vergognava, ma era disgustato dall'odore di suo fratello.
Ed era orribilmente, spaventosamente magro.
Anche quella mattina, aveva preso per colazione solo un caffè amaro. Sarebbe stato il caso di iniziare ad alimentarlo a forza? Leonardo non lo sapeva. Cazzo, non sapeva che fare.
Proprio in quel momento della sua vita per lui così problematico e delicato, adesso che lui…
I suoi pensieri sono stati troncati da Mikey, che ancora una volta, stupido ingenuo o genio assoluto, era stato il primo a prendere in mano le redini della conversazione del come-se-niente-fosse.
"Leo, ma Karai come sta? Pensavo che sarebbe venuta anche lei."
Leonardo ha definitivamente allontanato la sua tazza di tè. Mikey gli aveva letto nel pensiero? Ancora non aveva deciso se credere o no a queste stronzate spirituali tra fratelli. Suo padre probabilmente ci credeva.
Doveva raccontare? Doveva parlarne finalmente con i fratelli? E se fosse stato troppo tardi? O troppo presto?
Al diavolo…
"L'ho sentita poco fa. In questo periodo non se la sente di viaggiare."
Raffaello aveva ripreso a violentare il piatto. "Perché? Che ha?" Sputacchiava anche lui come il Mikey.
Leonardo ha fatto un respiro. La bocca è seccata in un attimo.
"E' incinta."
