OUR FAVOURITE GAME
Si
può essere grandi.
E talvolta, si può anche essere malvagi.
Un
binomio perfetto, fatto di potere, ambizione e una buona dose di
crudeltà. Quella senz'altro.
Ma tu lo sai tutto questo, vero,
Sirius?
L'hai sempre saputo.
Anche quando tutti ancora lo
ignoravano, quando persino io non ne ero del tutto sicura.
Lo
sapevi...e non hai fatto niente.
Ti sei limitato a chiudere gli
occhi, come un codardo. E a fingere.
Quante bugie hai detto in
tutti questi anni, Sirius? E quante te ne sei raccontate?
Bugie
bianche, vestite del candido colore della neve... per renderle meno
sporche. Meno vere.
Rido.
E' una risata sguaiata e metallica,
la mia. Un suono agghiacciante, che riecheggia a lungo attorno a noi,
mentre il tuo sguardo non mi abbandona nemmeno per un istante.
Hai
sempre avuto degli occhi bellissimi, lo sai vero?
Iridi di
mercurio liquido, che nessuno ha mai saputo leggere bene quanto
me.
Perchè è un pizzico di paura, quella che scorgo oltre il
minaccioso bagliore sinistro con cui sei solito affrontare il nemico.
E' paura, non è così?
L'avverto nell'aria. Le mie narici
si dilatano, quasi a volersene saziare.
Non esiste fragranza più
dolce, a mio avviso.
Inebriante. Fatale.
Il profumo della paura
ha un non so che di sublime. Non sei daccordo anche tu?
Osservo
attentamente la linea rigida della tua mascella, e quella vena,
appena sopra la tempia, pulsare vistosamente.
Sei nervoso, Sirius.
Tra poco inizierai anche a tremare?
Non ne hai motivo. Sapevi che
questo giorno sarebbe venuto.
"Bella..."
Subito
ti interrompi, non sai che cosa dire. Forse è perchè hai capito che
a questo punto le parole non servono più a nulla.
Vedo il mio
volto pallido e scarno riflesso nei tuoi occhi. Quindici anni ad
Azkaban ridurebbero in questo stato chiunque.
Stracci luridi e
impolverati celano le mie gambe segnate dal freddo, i piedi
scalzi.
Eppure, per certi versi, non sono mai stata così bella
come ora.
Bella... e completamente pazza.
E' una cosa a cui
ho sempre tenuto molto, sai, la follia.
A volte è ciò che ti
permette di vincere, di essere grande, mentre negli altri casi
giustifica tutto.
Quella furbizia diabolica, spesso contorta e
imprevedibile.
Ma tu, questo, non lo potrai mai capire.
Siamo
diversi, Sirius. Troppo, troppo diversi.
E la prova è qui,
davanti a noi. Sei tu.
Tu, che non dovevi essere qui, oggi. E in
tutti gli altri posti in cui sei stato, ogni singolo giorno di questi
ultimi vent'anni.
Avrebbe potuto essere tutto diverso, se solo
tu lo avessi voluto.
Se solo tu ci avessi creduto.
Invece hai
preferito tenere gli occhi chiusi, e continuare a fingere.
Giorno
dopo giorno.
Fino a oggi.
Morirai da eroe, caro
cugino, ma ai miei occhi resterai per sempre un codardo.
E
dopotutto è un bene, perchè in fondo io non sono da meno.
Questa
è forse l'unica cosa che ci abbia mai accomunato.
Ho fatto la
scelta giusta perché non ho avuto il coraggio di scegliere quella
sbagliata.
Curioso, vero?
In questi anni ci ho speso molti
pensieri, e lo confesso – a te posso dirlo - non senza una sottile
traccia di turbamento.
Ore e ore di snervanti elucubrazioni
mentali che, se non lo fossi già stata, mi avrebbero fatto diventare
pazza.
Sai, la conclusione a cui sono arrivata è stata sempre la
stessa.
Un verdetto che non ti avrebbe stupito per niente, perchè
in fondo, tu già sapevi.
Ho seguito la strada che si apriva di
fronte a me. La strada che era stata scelta, costruita e plasmata
apposta per me.
Non sono stata costretta. Questo mai.
L'ho
fatto perchè lo volevo, perchè me lo sentivo dentro. Fino al
midollo.
Questa è la pura e semplice verità.
Nuda e cruda
come tutto ciò che ci fa male, ma che ci fa sentire vivi.
Ti
guardo, e non posso fare a meno di sorridere.
Sto fremendo di
anticipazione...E Dio, come adoro questa sensazione!
Ti osservo
attentamente, voglio imprimere nella mia mente ogni più piccolo
dettaglio di questo momento.
Un ricordo inossidabile, che ti terrà
per sempre al mio fianco.
Per riviverlo, notte dopo notte. E per
poterti uccidere, ancora.
E ancora.
Stai accucciato
in un angolo, senza via di scampo. Mi sembri proprio il cane che sei
sempre stato.
E' un complimento il mio, Sirius. Sono certa che
l'hai capito.
Stringo le dita intorpidite attorno al pezzo di
legno di cui sono stata ingiustamente privata per anni.
E un flash
acceca i miei pensieri, facendoli scorrere all'indietro, verso un
passato che non è mai stato così lontano.
Abbiamo di nuovo otto
anni, mentre corriamo a perdifiato nell'immensa tenuta dei
Black.
Quanti pomeriggi trascorsi a giocare.
Te lo ricordi,
Sirius? Il nostro gioco preferito.
Correvi molto più veloce di
me, tutta colpa di quelle tue gambe già così lunghe.
Io però
non mi arrendevo.
Perchè mai avrei dovuto farlo? Era proprio
quello il bello.
Vederti rallentare, uno sguardo tra il
compassionevole e il divertito stampato sul volto.
Fingevi già
allora, vedi?
Non era il respiro spezzato, o l'aria che ti
bruciava nei polmoni, a costringerti a rallentare.
Semplicemente,
era il solo modo per farti raggiungere da me.
Quante volte te ne
sei poi pentito, Sirius?
E non riuscivi a trattenere un grido di
dolore, mentre cercando di afferrarti, lasciavo affondare le mie
unghie nella tua carne, lacerando la manica della tua camicia
immacolata.
"Bella, ma sei scema?"
Il silenzio era la mia
unica risposta, mentre mi guadagnavo l'ennesimo sguardo stranito da
parte tua.
Si, perchè allora non ero ancora pazza. Ero soltanto
strana.
Ma certe volte, capitava che il tuo sguardo si
soffermava troppo a lungo, e andava troppo oltre.
Non ero cieca,
sai?
Li vedevo i tuoi occhi, offuscarsi all'istante prima di
deviare volutamente verso la luce del sole, mentre tornavi a giocare
come se nulla fosse.
Ricominciavamo a correre, e i tuoi "Tanto
non mi prendi!" tornavano a riempirmi la mente, diventato quasi
un'ossessione.
Spesso mi facevi cadere involontariamente, ma i
gemiti che tu emettevi per ogni nonnulla io li trattenevo, mentre il
sangue delle mie ginocchia sbucciate mi tingeva la gonna bianca di
piccole macchie rosse.
Riuscivo sempre a raggiungerti prima del
laghetto. In un modo o nell'altro, ci riuscivo sempre.
Nelle
nostre mani, due rametti scheggiati.
Paladino della giustizia, ti
ergevi con sguardo spavaldo verso di me – "Arrenditi, sporca
Mangiamorte!"
Ti piaceva da matti, il ruolo dell'Auror.
Io
non riuscivo a fare a meno di detestarlo. Per questo i nostri ruoli
erano sempre gli stessi.
Perchè mai avrei dovuto rinunciare a
fare la parte del cattivo, la parte senza dubbio più
interessante?
"Mai!" – Quanta enfasi nella mia voce di
bambina, subito dopo arricchita da una nota di pura eccitazione –
"Preparati a morire"
Finiva sempre allo stesso modo, ma non ho
mai capito perchè.
Forse perchè tu amavi troppo la figura
dell'eroe glorioso, o forse perchè io non tolleravo perdere.
Il
rametto puntato al tuo cuore e un sorriso quasi perverso sulle mie
labbra acerbe.
"Adava Kevadra!"
Nemmeno lo sapevo
pronunciare correttamente, allora.
Ma in fondo, nel nostro gioco,
poco importava.
Spalancavi gli occhi, ti portavi una mano al petto
e un attimo dopo rotolavi a terra, restando immobile per qualche
secondo.
Ridendo, mi accucciavo su di te, costringendoti a
voltarti – "Non vale, respiri ancora!"
Anche tu ridevi,
mentre ti rialzavi e mi prendevi per mano – "Andiamo, Bella, si è
fatto tardi"
Di quelle giornate preferivi ricordare solo il sole
e le nostre risate. Nella mia mente, l'immagine delle tue iridi
offuscate.
Avevamo appena otto anni, ma era già troppo tardi per
tutto il resto.
Guardaci, Sirius. Oggi come
allora.
Stavolta però non è un ramo spezzato, quello che
stringono le mie dita.
Sono mani che si sono macchiate di sangue,
queste. Persone di cui non ricordo nemmeno il nome.
Ma non temere,
il tuo rimarrà impresso finchè avrò vita. Marchiato a fuoco come
il simbolo oscuro che porto sul braccio sinistro.
Sei pronto,
cugino?
Lo sai, la fine era sempre la stessa.
A te la morte
gloriosa, a me la tanto agognata vittoria.
E' sempre stato il
nostro gioco preferito, Sirius. Ricordatelo.
Sempre.
"Avada
Kedavra!"
Una pronuncia perfetta, degna di una spietata
assassina.
Nessuna esitazione sulle mie labbra. Nemmeno una.
Non
avrebbe avuto alcun senso, ora.
E' un fascio di luce verde
quello che ti uccide, cugino. Un anatema mortale.
Nessuna recita,
nessuna mano che si sposta melodrammaticamente laddove fino a un
attimo fa batteva il tuo cuore.
Rimangono soltanto i tuoi occhi
vitrei, aperti e vuoti.
Scruto per l'ultima volta il mio
riflesso, un attimo fugace a cui non rinuncerei per nulla al
mondo.
Poi ti volto le spalle, e mi allontano.
So che non ti
rialzerai, questa volta. Lo so, eppure il mio braccio oscilla stanco
lungo il fianco, le dita della mano rilassate, in attesa di una
stretta che - per volere nostro - non ci sarà mai più.
Ho
fatto la scelta giusta perché non ho avuto il coraggio di scegliere
quella sbagliata.
E' tanto grave? Forse sì.
Lo è perché
non ci ho mai creduto, nemmeno per un attimo.
In nessuna delle
cose che per te avevano così tanta importanza, per le quali hai
vissuto e in nome delle quali sei morto.
Si, ho fatto la scelta
giusta.
E pagherò tutta la vita per questo sbaglio.
