Prologo
–Sicché siamo giunti a questo punto, monsieur le Comte.
–Già. A quanto pare.
La freddezza del calcio della pistola nel palmo, quasi percepibile. La freddezza della pallottola che sta per partire, ben diversa dal proiettile incandescente che diverrà il secondo dopo. La stessa avvertita nel calcolo degli occhi e della voce. Lineamenti duri, fiocamente visibili alla luce del crepuscolo che declina. Le canne puntate contro a vicenda, a pochi passi di distanza. La mano sudata. Una sensazione ben nota, eppure sorprende ogni volta che la si prova.
Non è che non fosse prevedibile.
Eppure ci casco ogni volta.
Sarò un inguaribile romantico vecchio stile.
O forse è solo così che vanno i film sulle spie.
–Mi spiace, ma è inevitabile. Lei lo sa. È una questione di priorità. Ne va della salvezza di troppa gente. Una sola vita, al confronto… non è nulla. Che sia la sua o la mia.
–Me ne rendo conto. Ma lei è davvero sicura… di poter salvare quelle persone soltanto così?
–Non abbiamo molta scelta, non crede?
–Amo pensare che ci sia sempre una scelta, milady.
–Allora è qualcosa che non abbiamo in comune. L'unica cosa che resta da scoprire è… chi di noi due sarà più svelto a sparare?
Già. E la frase che mi viene in mente puntualmente quando mi ritrovo in una situazione simile è…
–Indovini dove tirerò il primo colpo.
…Come diavolo ho fatto a finire in questo pasticcio?
Come se non lo sapessi.
Attenti che parte il flashback.
Stavo vincendo trionfalmente a biliardo come al solito nel mio locale preferito con più di tredici punti di vantaggio…
…come dite? Devo calare? Okay, stavo vincendo a biliardo con uno o due punti di…
…d'accordo, d'accordo, stavo CERCANDO MISERAMENTE di risicare un pareggio al biliardo come al solito nel mio locale preferito quando questa voce fles–su–o–sa alle mie spalle mi dice…
–Vedo che non smentisce la sua fama, monsieur le Comte.
Ora, madame et messieurs, tovarich e Kameraden, cosa avreste fatto al mio posto? Lo sapete quanto me che quando the undersigned sente una voce così… fles–su–o–sa, che parla francese con un leggero accento alsaziano e una punta di qualcos'altro ancora… come se nessuna delle due fosse la sua vera lingua… be', comincia a non capire più niente. Se poi la voce è accompagnata da due gambe altrettanto fles–su–o–se, per non parlare del resto… e che faccino… insomma, mi avete capito.
Inoltre, mi aveva chiamato col mio titolo. Non tutti ne sono a conoscenza.
–L'ho già vista da qualche parte, milady?
–Lei che ne dice?
–Potrebbe essere… ha qualcosa di familiare… per quanto, se fosse così, penso proprio che non l'avrei dimenticata. La sua non è una figura che si fa dimenticare.
–Mi lusinga. Ma non sono venuta a cercarla per questo.
–Allora mi dica, milady. Se è qui per me, immagino sappia…
–…con chi sto parlando in realtà? Sì, esatto. Ho bisogno delle capacità che solo lei possiede… per una questione che riguarda più innocenti di quanti possa immaginare.
–Parliamone, allora. Magari davanti a un buon bicchiere di bourbon?
–Ah, non bevo… in certi momenti, monsieur. Mi spiace. Ma ho il mio mezzo parcheggiato qui fuori. Se se la sente di seguirmi… in un posto più tranquillo…
–A sua disposizione, milady.
Accantono la stecca con gesto elegante, non mi volto al gemito di qualcuno che ho preso in un occhio, mi sistemo il farfallino che non ho e la seguo a ruota mentre ondeggia sui tacchi alti fuori dalla porta…
E qui si alza il volume e scorrono i titoli di testa: The end always changeeeeeees…
A proposito, ci sono certi titoli che si prestano davvero bene a farci delle canzoni, vero? Però non vorrei trovarmi nei panni di quello che ha dovuto scrivere la colonna sonora di Quantum of solace… non è che ispiri parecchio. Io sono più generoso e mi adatto… come cantante potrei avere Grace Jones comunque, prego?
