[ All we ever wanted was everything ]
[Rabastan - Carte]
«Io
credo che tu non ti renda conto della gravità della situazione in
cui ti trovi».
Walden osserva Regulus con estrema attenzione,
percorrendo con gli occhi i lineamenti asimmetrici del suo volto
sudato. Fuma la sigaretta che tiene stretta tra le dita tozze
lentamente, assaporandola con dolcezza come se fosse in realtà
l'inebriante bacio di una donna.
«Stai bluffando».
Il suono
stridente della risata di McNair è così bestiale ed improvviso da
far sussultare Regulus nella sua sedia. Per un momento, uno soltanto,
la sigaretta al mentolo ormai quasi terminata trema fra le mie
dita.
«Sto bluffando? Lestrange» mi si rivolge in un tono che,
se fossimo amici, sarebbe probabilmente di affettata cospirazione.
«dimmi un po': secondo te sto bluffando?»
«No».
«Infatti».
Scopre
le sue carte una alla volta prima di prendere un'ultima boccata dalla
sigaretta. C'è chi dice che, solitamente, Walden fumi anche il
filtro. Si alza dal tavolo con un mezzo sorriso storto, indirizzato a
tutti e a nessuno in particolare, e si allontana con la sua andatura
dinoccolata. Stringe ostentatamente tra le mani i soldi di Regulus,
che si volta a guardarmi, una lieve traccia di imbarazzo ad aleggiare
pigramente sulla sua espressione sconsolata.
Io penso stranamente
che le carte di Walden, abbandonate disordinatamente sul tavolo,
stiano ridendo di noi.
Che, se in questa stanza fossimo
amici,
forse si potrebbe addirittura giocare una semplice partita a
carte.
Evitare i duelli mortali.
[Severus - Sigarette]
Esco
sull'ampio balcone consapevole che il freddo invernale mi aggredirà
ferocemente. La veste forse eccessivamente elegante che indosso si
muove imprevedibile lungo le mie gambe, spinta dal vento serale.
Lo
scorgo immediatamente, impegnato ad accendersi una sigaretta con i
gomiti poggiati sul parapetto, anche se la sua figura curva si
confonde facilmente con l'oscurità circostante. Le numerose luci del
salone alle nostre spalle non sono sufficienti a illuminare il suo
volto, così come non lo è la debole fiammella che scaturisce a
intervalli regolari dal suo accendino, impotente contro il vento
implacabile della campagna.
«Dannazione!» Rodolphus impreca
sonoramente, gettando la sigaretta verso il giardino sottostante in
un gesto di stizza.
«Perchè non provi con la magia?»
Lui si
volta lentamente a guardarmi, producendosi in una delle risposte più
stupide che gli abbia mai sentito formulare.
«Non si accende una
sigaretta babbana con la magia».
Annuisco senza alcun motivo,
portando le mani a sfiorare il marmo lucido del parapetto. Contraggo
i muscoli del braccio sinistro, domandandomi silenziosamente se
qualcun altro ascolterà le nostre parole.
«Non credevo che
avrebbero invitato anche te» commenta Rodolphus, sporgendosi verso
il vuoto per lanciare uno sguardo sconsolato al sentiero di
acciottolato che attraversa il grande parco di Malfoy Manor, come se
si fosse pentito di aver sprecato così stupidamente una delle sue
preziose sigarette.
«Perchè non avrebbero dovuto?» gli domando
irritato, sperando che la risposta che otterrò non sia quella che
temo. Rodolphus scoppia in una breve risata, estraendo da una tasca
della veste un pacchetto di sigarette dall'aspetto particolarmente
sofferente.
«Perchè sei un traditore, Severus» giunge la sua
stilettata feroce, precisa. «O perlomeno è quello che si dice in
giro».
«Abbiamo già avuto questa discussione» replico in tono
neutro, costringendomi a non distogliere lo sguardo dal suo volto
spigoloso.
«Hai ragione» constata semplicemente, come se stesse
concordando sul fatto che il tempo, ultimamente, non è stato dei
migliori. Uno dei suoi più grandi pregi, o difetti, è sempre stato
quello di impedire alle persone di ricordarsi quanto sappia essere
irritante prima che vengano imprigionate in una nuova
conversazione.
Porta ancora una volta una mano nella tasca della
veste. Mi stupisce vederlo estrarre la sua bacchetta, piuttosto che
l'accendino d'argento dal quale non si separa mai. È un oggetto
molto bello, con una sinuosa lingua di serpente a circondarlo, regalo
di suo fratello. Rodolphus dà vita alla sigaretta con la punta della
bacchetta.
«Credevo non si potesse».
«Tu credi molte cose,
Severus».
La sua risposta mi sorprende, spingendomi a spostare a
disagio il mio peso da una gamba all'altra, preda di una spiacevole
sensazione che mi infastidisce notevolmente. L'idea di non avere il
pieno controllo della situazione mi turba.
«Cosa vuoi
dire?»
«Nulla. Non sei l'unica persona al mondo a credere in
qualcosa, Piton. Perchè tu credi ancora, vero?»
«Nell'Oscuro?»
rilancio acidamente, convinto che sia questo l'obiettivo delle sue
sottili insinuazioni.
«In qualsiasi cosa».
Prende una breve
boccata di fumo per poi espirarlo quasi immediatamente, seguendo con
lo sguardo le sue suggestive spirali alla luce della luna.
«Non
lo so» rispondo senza aver realmente pensato alla sua domanda.
«Perchè» proseguo scettico, «tu credi in qualcosa?»
«Alcol,
sigarette e poco altro, temo» è la sua replica immediata,
accompagnata da un gesto svogliato della mano destra. «A proposito,
ne vuoi una?» dice offrendomi il pacchetto.
Penso a come il fumo
abbia modulato negli anni la sua voce, roca e profonda e a tratti
squillante.
«Stai ancora tentando di imparare a fare i cerchi?»
chiedo accettando la sua offerta, sapendo già che mi limiterò ad
accendere la sigaretta per osservarla consumarsi lentamente tra le
mie dita.
«Non ci riuscirò mai» decreta in tono indifferente,
per poi iniziare a tossire violentemente. Quando smette pochi istanti
dopo, un rumore alle nostre spalle attira la nostra attenzione. È
McNair, appoggiato con la schiena al vetro invisibile della
portafinestra.
«Tua moglie ti cerca, Lestrange» annuncia Walden,
stringendo in una mano qualcosa che non riesco ad identificare.
Rodolphus annuisce nella mia direzione, forse in segno di saluto, e
si dirige verso il salone, superando McNair ancora fermo presso la
finestra senza guardarlo una sola volta. Quando si è ormai confuso
tra gli altri invitati, Walden viene a prendere il suo posto al mio
fianco assumendo la sua stessa posa curva, con i gomiti poggiati al
parapetto di marmo bianco.
Distinguo finalmente ciò che stringe
tra le dita della mano sinistra, ciò che, stranamente, non è una
sigaretta.
È una carta sottilissima, un re di picche investito in
maniera bizzarra dalla luce lunare.
«Allora, Piton...» inizia
Walden, voltandosi a guardarmi solo dopo essersi liberato della
carta, gettata dal balcone come prima la sigaretta di Rodolphus.
«Gira voce che anche tu sia un ottimo baro...»
[Bellatrix - Alcol]
«Non
dovresti bere alcolici» dice Lucius strascicando con irritazione le
parole, rivolto alla schiena di mia sorella.
«E' solo un
bicchiere. Non farà male al bambino» replica Narcissa in tono
indifferente, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. È seduta sul
divano di fronte a me, carezza la stoffa color panna del bracciolo
con la mano destra.
«Diglielo anche tu, Bellatrix» mi chiama in
causa mio cognato, suscitando la mia ilarità.
«Cosa vuoi che le
dica?» gli domando accavallando le gambe mentre la mia risata si
spegne.
Lucius mi lancia uno sguardo irritato al di sopra delle
spalle di Narcissa. Massaggia con una mano il collo di lei, in un
gesto che ai miei occhi appare carico di rabbia repressa e
nient'altro.
«Fai come vuoi» conclude seccamente prima di
lasciarci, dileguandosi rapidamente tra gli ospiti.
«Avete
litigato?» chiedo in tono allegro a mia sorella.
«Ti interessa
sul serio?»
«No».
Si osserva intorno con occhi velati di
stanchezza finchè il suo sguardo non incontra il mio avambraccio
sinistro e l'oscurità palpabile del Marchio. Detesta che lo lasci in
mostra, lei che dubito abbia mai osato guardare il suo.
«Mi
cercavi?» giunge improvvisa alle mie spalle la voce di Rodolphus.
«Non dovresti bere» aggiunge subito dopo rivolto a Narcissa, che
sorride amaramente.
«Non sei l'unico a pensarla così,
Rodolphus».
«Sì, ti cercavo» rispondo io, irritata nel vederlo
avanzare deciso verso di lei. «Tra poco dobbiamo
andare».
«Perchè?»
«L'Oscuro vuole vederci».
Mio
marito allunga un braccio verso il bicchiere che Narcissa sta per
portare nuovamente alle labbra e vi lascia cadere dentro la sigaretta
che stava fumando.
«Rodolphus!» Narcissa fissa incredula il
bicchiere e arrossisce.
«Non dovresti» si limita a replicare lui
con un'alzata di spalle. Prende il bicchiere dalla sua mano e me lo
porge, sedendosi poi al mio fianco e passando un braccio magro
intorno alle mie spalle.
Io tolgo la sigaretta dal bicchiere con
due dita e bevo il liquore mentre mia sorella mi osserva.
Le
sorrido prima di attirare a me Rodolphus e baciarlo.
[Lucius - Coltelli]
Antonin
rigira tra le mani la lama affilata del suo coltello. E' lo stesso
con cui eseguiva le sentenze di morte pronunciate dall'Oscuro prima
che arrivassero Walden e la sua ascia.
Antonin è ambidestro e
sembra che, appoggiato alla ringhiera del grande scalone che conduce
ai piani inferiori, stia aspettando proprio me.
«Problemi con tua
moglie, Malfoy?» domanda con noncuranza, come se non esistesse altro
modo per iniziare una conversazione. Mi sorride e la cicatrice che
deturpa il suo volto si allunga seguendo i movimenti della pelle
candida che attraversa.
«Nessuno, ma grazie per l'interessamento»
replico acidamente, iniziando a scendere velocemente i gradini.
«Non
è educato abbandonare i propri ospiti».
Antonin mi segue senza
smettere di giocare con il coltello come se fosse il passatempo
innocuo di un bambino; riesco a scorgere i movimenti rapidi e precisi
delle sue mani con la coda dell'occhio.
«Vuoi dirmi qualcosa in
particolare, Dolohov?»
Mi fermo di scatto, voltandomi per
fronteggiarlo; fronteggiare proprio lui che, un paio di scalini più
in alto, incombe minaccioso su di me .
«Credo che dovremmo fare
qualcosa, Lucius».
«Riguardo a?»
«I traditori».
Rimango
spiazzato per qualche istante, poggiando una mano sulla ringhiera
fredda come se la sua netta solidità potesse suggerirmi una
risposta.
«Il tuo è un chiodo fisso, Dolohov» ribatto tornando
a scendere le scale, in direzione del portone d'ingresso e del parco,
dell'aria fresca della notte e di una solitudine che non sembro più
destinato a godermi.
«Non sono l'unico a non aver gradito la
presenza di alcune persone questa sera, Malfoy...»
«Ma sei forse
l'unico a non avere il coraggio di fare nomi, a quanto
pare».
Attraverso il portone e scendo l'ultima scalinata che mi
separa dall'immenso parco del mio maniero. La ghiaia scricchiola
sotto i miei piedi, accompagnando le voci soffuse che giungono
indecifrabili al mio orecchio dal balcone sopra di noi.
«Vuoi
davvero i nomi, Lucius? Non credo che ti piacerebbe
sentirli...»
«Fammi indovinare: Severus,
Regulus...»
«Lestrange...»
«Non farlo». Lo osservo con
disprezzo mentre si siede sull'ultimo gradino della scala. Stringe
con forza l'impugnatura del coltello e lo pianta con decisione di
fronte ai suoi piedi. «Non osare nominare Rodolphus».
«Dovrai
pur aprire gli occhi prima o poi» constata in tono piatto, con
un'indifferenza che potrebbe anche essere reale. Una delle sue grandi
mani scompare tra le pieghe della sua veste per ricomparire pochi
istanti dopo, stringendo un altro coltello.
«Non puoi farlo,
Antonin, non mentre sei ospite in casa mia».
«Sei quello che
perderà più di tutti, Malfoy. E potresti ancora evitarlo».
Il
secondo coltello va a raggiungere il primo tra la terra e la ghiaia.
Un improvviso rumore di vetri infranti giunge dalla terrazza che ci
sovrasta. Dolohov non alza nemmeno lo sguardo, concentrandosi con
estrema attenzione sulle sagome dei suoi coltelli ed io immagino che
non siano altro che le sue parole. Sono semplicemente le sue parole
affilate. Feriscono in profondità, sono dolorose e, purtroppo,
necessarie. A volte anche necessarie.
[Regulus - Vetri]
Lascio
il tavolo prendendo con me una delle carte di Walden. È la regina di
denari.
Esco sulla terrazza infilandola nella tasca della veste; è
fredda tra le mie dita e beffarda. Mi domando se ci sia un motivo per
cui ho scelto proprio questa carta piuttosto che un'altra. Perchè
non il nove di fiori? Perchè non una figura di picche?
Sussulto
spaventato quando una mano si posa sulla mia spalla interrompendo il
filo tortuoso e privo di senso dei miei pensieri, tagliandomi con il
bordo affilato della carta che ancora stringo.
«Ciao».
Peter
sorride debolmente con aria spaesata. Indossa un abito ridicolmente
vecchio e sgualcito, ha profonde occhiaie e sembra terribilmente
fuori posto.
«Ciao, Codaliscia» rispondo al suo saluto, portando
la mano graffiata alle labbra per succhiare il sangue. Ha un sapore
metallico e sembra nero nell'oscurità della notte.
«Ti sei
tagliato...»
«Con una regina» replico sapendo che non capirà.
«E' il tuo primo ricevimento
per Mangiamorte,
vero?»
«Ne ho persi molti?» chiede con la sua vocetta acuta,
squillante.
«Mai abbastanza».
Minus emette una fastidiosa
risata squittente e si avvicina al parapetto non osando sfiorarne il
marmo bianco. Mi ritrovo a pensare che non è poi molto cambiato dai
tempi di Hogwarts, quando aveva l'innata capacità di irritarmi con
la sua sola presenza perchè era doloroso vederlo camminare al fianco
di mio fratello. Era impossibile non domandarsi come potesse Sirius
detestare me ed essere amico suo, di lui che ai miei occhi appariva
così inetto.
«A Lui
non piacerebbe sentirtelo dire» commenta in tono fintamente
rilassato, tentando di ostentare una nonchalance nel riferirsi
all'Oscuro che pochi di noi padroneggiano realmente e che mai sarà
sua.
«Lui
non ha mai dovuto sopportarne uno».
Mi scopro immensamente felice
del suo tradimento. Il Marchio che deturpa il suo braccio diviene mia
personale rivincita quando penso che tutto questo si rivolterà
contro mio fratello che lo ha scelto al mio posto. Ha rifiutato me
per avere lui che silenziosamente sta tramando la fine del suo mondo
. L'ironia di tutto ciò è deliziosa e si mischia ad una rabbia
sottile, una furia che cresce lentamente dentro di me senza che ne
sappia spiegare la ragione.
«Regulus...» Peter richiama esitante
la mia attenzione. «Tutto bene?»
Mi accorgo soltanto ora del
bicchiere che stringe in un mano. È spesso e squadrato e cattura a
tratti i raggi lunari, emettendo fievoli bagliori nella mia
direzione.
«Sì. Cosa bevi?»
Mi chiedo quale sia la
consistenza del vetro di quel bicchiere che non sembra poter
appartenere ad uno dei preziosi servizi di Malfoy Manor. È
freddo e liscio come la mia carta? È affilato come la regina di
denari?
«Whisky
incendiario. Ne vuoi anche tu?»
Annuisco allungando un braccio
per prendere il bicchiere dalla sua mano. Non ho intenzione di bere,
voglio soltanto poter stringere il vetro tra le mie dita, come se
potessi scoprire il motivo della mia rabbia osservando il liquido
ambrato che oscilla dolcemente al suo interno.
«Ne abbiamo tutti
bisogno. Per domani» Minus ride ancora una volta, passandosi
nervosamente una mano tra i capelli corti.
«Domani?
» «Sì.
L'attacco».
«Quale attacco?» domando in tono fintamente
indifferente, tentando di mascherare il mio reale interesse.
«Non
lo sai?»
«Potrebbe rimanere coinvolto mio fratello?» domando a
bruciapelo, senza esitazione.
Il suo silenzio è una risposta più
che sufficiente. Stringo maggiormente la presa intorno al
bicchiere.
«Allora è normale che io non ne sappia nulla. Il
Signore Oscuro non si fida di me quando c'è di mezzo Sirius».
Mi
risulta difficile, adesso, cogliere l'ironia. C'è soltanto rabbia e
non è per l'attacco di cui non ero stato informato, né per il
tradimento di Codaliscia, né per la stupida partita a carte con
McNair. Non c'è motivo e forse nemmeno soluzione.
«Mi
dispiace».
«Non c'è problema».
«Io...»
«Non
preoccuparti, Minus».
Gli volto le spalle e mi allontano in
direzione del salone. Bevo il liquore in un sorso prima di scagliare
il bicchiere a terra con violenza. Codaliscia sussulta sorpreso
quando il vetro tocca il suolo rompendosi in mille pezzi. Schegge e
frammenti si disperdono sul marmo bianco della terrazza, il rumore è
secco e cristallino. Sfogo la mia rabbia anche sulla carta di McNair,
prendendola dalla tasca per strapparla e lasciare anche i suoi
brandelli sul pavimento lucido.
Il volto della regina di denari è
ancora intatto. Mi osserva con aria accusatrice, lambito dalle ultime
gocce di liquore e intrappolato tra i vetri.
Il piccolo taglio
sulla mia mano ha ripreso a sanguinare.
