Mares*
La stanza era satura di fumo.
Sherlock, disteso mollemente sul divano, aspirò con meditata lentezza l'ultima boccata dell'ennesima sigaretta. Il fumo, uscendo dalla sua bocca, disegnò seducenti spirali che l'uomo contemplò attentamente, prima di girarsi per spegnere il mozzicone nel posacenere ormai stracolmo.
Due, forse tre pacchetti. Non lo ricordava. Li aveva fumati così, uno dietro l'altro. John non c'era, quindi non avrebbe potuto rimproverarlo per aver maltrattato così i suoi polmoni. Avrebbe voluto, però, averlo lì. Gli sarebbe piaciuto che il suo migliore amico lo sgridasse per quel suo comportamento così infantile. Invece non c'era.
Sperava di poter nascondere la verità dietro la spessa coltre del fumo, ma quella bastarda era sempre lì. Dolorosamente solida, così grande da non poter essere ignorata.
Prese dal tavolino il pacchetto ormai vuoto e restò qualche istante a soppesarlo. Lo girò e cominciò a scuoterlo, come se i suoi sforzi potessero servire a far comparire magicamente un'altra sigaretta. Inutile. Avrebbe dovuto farci i conti, prima o poi. Non poteva rimandare. Si mise bruscamente a sedere e lo lanciò lontano con un grido di rabbia. Rabbia. Non era da lui. Eppure era la sola cosa che riuscisse a provare, in quel momento. Rabbia verso se stesso, rabbia verso John.
Si buttò di nuovo sul divano e si coprì gli occhi con il braccio.
Ripercorse mentalmente gli avvenimenti degli ultimi mesi, degli ultimi giorni. Quando tutto aveva cominciato ad andare storto?
Una settimana prima
Sherlock tamburellava nervosamente le dita sul ginocchio mentre il taxi procedeva ad un'andatura oltremodo scandalosa. Il traffico era intenso e non si poteva pretendere che andasse più veloce di così.
"Cerca di stare calmo" gli disse John scocciato per il comportamento del detective "Agitarti non ci porterà più velocemente a Scotland Yard"
"Lo so" ribatté lui piccato "Non ce la faccio. Sono troppo curioso e se questo imbecille" aggiunse indicando il taxista con il mento "Non fosse stato troppo impegnato a sognare il culo della sua amante avrebbe girato a sinistra all'incrocio e ora non ci troveremo imbottigliati in questo traffico assurdo"
John si massaggiò le tempie, cercando di mantenere la calma mentre il succitato taxista si mangiava una serie di epiteti per niente eleganti rivolti a Sherlock.
Finalmente, dopo un'interminabile mezz'ora, i due arrivarono a destinazione. Sherlock era tremendamente agitato e l'attesa non aveva migliorato la situazione. Aprì con violenza la porta dell'ufficio di Lestrade, il quale lo stava già aspettando per dargli i dettagli sull'ultimo caso.
"Era ora che arrivassi, freak" lo salutò Sally con un ghigno mentre Anderson se la rideva sotto i baffi "A dir la verità speravo che non venissi affatto"
"Anch'io vorrei tante cose" rispose lui con un sospiro "Per esempio che nel cervello di Anderson ci fosse qualche neurone funzionante, ma non si può avere tutto dalla vita"
L'uomo assunse un'espressione offesa e aprì la bocca per ribattere ma fu fermato sul nascere da Lestrade.
"Anderson, è più di mezz'ora che ti aspettano in laboratorio. Per favore, vai. Tu, Donovan puoi restare, ma stai zitta. Sherlock" disse poi rivolto al detective "Fino ad ora abbiamo preferito tenere la cosa segreta, ma ormai è diventata di proporzioni così grandi che non è più possibile nasconderla"
"Di cosa state parlando?" chiese John aggrottando la fronte.
"Un serial killer" rispose Greg con aria triste.
Gli occhi di Sherlock si illuminarono di eccitazione e di rabbia.
"Vuoi dire che mi hai tenuto nascosto un serial killer per tutto questo tempo?" domandò guardandolo minaccioso.
"Sherlock!" lo rimproverò John accigliato "Stiamo parlando di un serial killer e tu fai l'offeso?"
"Se mi avessero chiamato prima sarebbe stato meglio! Avrei fermato quel tizio prima di dargli il tempo di uccidere ancora!"
"Non è colpa nostra" disse Lestrade "In ogni caso siamo a conoscenza dei fatti solo da un paio di settimane"
"Com'è possibile?" domandò John ironico "C'è un serial killer che se ne va a spasso per Londra e voi lo scoprite solo ora?"
"Il fatto è che le sue vittime sono tutte barboni. Abbiamo trovato una specie di fossa comune. Stando alle analisi i primi morti risalgono a qualche mese fa. I più recenti sono della settimana scorsa. In tutto saranno una ventina"
"Dove sono i corpi?" chiese Sherlock, come se la cosa non lo toccasse minimamente.
"Abbiamo dovuto bruciarli" rispose Lestrade "Per le malattie. Molti dei corpi erano in stato di decomposizione molto avanzato. Abbiamo preso tutti i campioni del caso, comunque"
"Le cause dei decessi?"
"Arma da fuoco. Sempre. A sentire le analisi della balistica i colpi devono essere partiti da molto lontano. Probabilmente un cecchino molto esperto"
Sherlock unì i polpastrelli sotto il mento.
"Un cecchino esperto, eh?" si domandò mentre la sua mente già formulava la risposta "John, sono quasi sicuro che si tratti di Moran. Mycroft mi aveva assicurato di averlo eliminato, ma vai a fidarti di lui! Sicuramente mi sta lanciando una sfida. Sa bene che spesso mi servo di una rete di senza tetto e … John! mi stai ascoltando?"
Il dottore sembrava in un altro mondo. Aveva gli occhi fissi su Sherlock ma sembrava non vederlo. Tutto il suo corpo era rigido e la mano cominciò a tremargli impercettibilmente.
"John, cosa ti prende, ora?"
L'uomo parve riaversi. Scosse la testa, come per scacciare pensieri troppo tristi e si accigliò.
"Scusa tanto sai, signor sociopatico. Hai appena sentito che venti persone sono state uccise e reagisci come se non te ne fregasse nulla!"
"Infatti è così. Non mi interessa. Per me quei cadaveri sono solo una parte del mistero, un tassello che mi aiuterà a trovare quel serial killer. Niente di più"
"Avrei dovuto immaginarlo"
"Ti aspettavi una reazione diversa?"
"Sherlock, magari tra quei morti ci sono anche i senza tetto che ti aiutano! Li conoscevi, no?"
Il detective stava per ribattere, ma fu interrotto dall'ispettore.
"Sherlock, ho mandato i campioni rilevanti al laboratorio. Potrai lavorarci già stasera. Questo, invece" disse porgendogli un spesso dossier "È il resoconto dettagliato di quello che abbiamo trovato in quella fogna. Sono riportate, dove è stato possibile reperirle, le informazioni sui morti. Nome, sesso, epoca della morte. Sull'ora non siamo potuti essere molto precisi, purtroppo"
"Non fa nulla" rispose lui prendendo il fascicolo "Ci penserò io a rimediare alle vostre incompetenze"
Uscì sotto lo sguardo fulminante della Donovan mentre un imbarazzatissimo John cercava di scusarsi per conto suo.
"Avresti potuto essere un po' più gentile" gli disse sgridandolo come un bambino.
"Non c'è tempo per essere gentili, John. Cinquanta morti in pochi mesi. Ciò significa che il nostro uomo uccide con una frequenza impressionante. Il problema è: perché? Se è davvero una sfida da parte di Moran ha scelto un modo ben strano per attirare la mia attenzione!"
"Sei davvero convinto che sia lui?" gli chiese John.
"Non del tutto. Una volta letti questi fascicoli potrò farmi un'idea migliore in merito"
Quella sera Sherlock fu totalmente preso dalla lettura. Gli omicidi erano davvero seriali. Le vittime erano state uccise sempre dallo stesso tipo di proiettile e sempre con colpi mirati alla giugulare, con la precisione che solo un uomo altamente addestrato e con i nervi saldi poteva ottenere.
Non poteva dedurre nulla dalle ore dei decessi perché non erano riportate, ma scoprì che la regolarità degli omicidi era davvero impressionante. Uno a settimana. Prese il calendario e cominciò a segnare con una croce i giorni riportati sul documento. Stava per infilarsi il cappotto e andare al Barth's per vedere cosa avrebbe potuto ricavare da quei miseri campioni, quando qualcosa nel calendario lo colpì.
Gli omicidi, compiuti settimanalmente, non avevano un giorno fisso. Rimase senza parole. Non poteva crederci. Eppure era così evidente! Se non avesse pensato che fosse impossibile. Doveva avere più prove. In fin dei conti poteva trattarsi solo di una coincidenza!
Non andò a dormire. Uscì di corsa, portandosi dietro il calendario.
"Vado in laboratorio, John" disse scendendo le scale "Non aspettarmi alzato"
In taxi continuò a pensare a quello che aveva appena scoperto. La cosa lo aveva sconvolto. Era solo un'ipotesi, aveva bisogno di più dati per confermarla.
Entrò quasi correndo nel laboratorio ormai deserto vista l'ora tarda. Ad aspettarlo, debitamente conservati, c'erano i campioni mandati da Lestrade.
Restò in laboratorio, chino sul microscopio, per tutta la notte. Non ci fu modo di cavar niente da quei miseri resti. Si alzò di scatto, con la schiena dolorante per la scomoda posizione tenuta troppo a lungo e cominciò a imprecare, andando avanti e indietro per la stanza.
Non poteva verificare ciò che gli serviva da quei campioni. Troppo decomposti. Non c'era nulla di utile tra quelle tracce di terriccio. Sapeva bene dove vivevano quei disperati. Non poteva ricollegare la loro morte al sudiciume che si portavano addosso.
C'era una sola cosa che poteva fare. Prese il calendario e andò alla settimana in corso. Il giorno seguente sarebbe stato l'ideale per verificare la sua teoria.
Il giorno seguente aveva messo in atto il suo piano. Aveva seguito la sua preda lungo un percorso intricato, difficilmente ricollegabile con una meta. Il sospettato cambiava continuamente direzione, zigzagando, quasi per non farsi seguire. Aveva avuto dei sospetti? No, impossibile. Sherlock era riuscito a dissimulare la sua ansia per tutto il giorno. John ogni tanto lo guardava di sbieco ma non diceva nulla.
Alla fine lo aveva trovato. Dopo aver controllato – con non sufficiente perizia – che qualcuno non lo seguisse, l'obiettivo aveva aperto a calci la porta di un vecchio palazzo fatiscente. Aveva salito le scale di fretta e si era fermato solo sul tetto. Aveva buttato a terra una grande borsa nera, dalla quale aveva estratto un fucile di precisione. Sherlock lo aveva seguito come un gatto. Non poteva sospettare di essere pedinato.
"Ti ho visto" gli disse l'uomo montando l'arma "Puoi venire fuori"
"Ti ho scoperto" disse ad alta voce "Non andrai più avanti di così"
La bocca dell'uomo si increspò in un sorriso beffardo.
"Hai davvero intenzione di denunciarmi?" chiese come se avesse la presunzione di conoscere già la risposta.
Sherlock non rispose. In effetti non ci aveva pensato. Aveva sperato, per tutto il tempo, di essersi sbagliato.
"Come mi hai scoperto?" gli chiese lui.
"Sono state due le cose che mi hanno messo in allarme" rispose Sherlock avanzando lentamente verso di lui "La prima è stata la tua reazione a Scotland Yard. Eri troppo strano. Non è la prima volta che abbiamo a che fare con un serial killer e non avevi mai reagito così"
"Bene, bravo. Temo di non essere riuscito a trattenermi"
"Eri orgoglioso del tuo lavoro?" gli chiese lui senza riuscire a contenere il disgusto nella voce.
"Si, si può dire di si" rispose lui con noncuranza "L'altro indizio?"
"Tutti gli omicidi corrispondono ai tuoi turni di notte" rispose il detective tristemente "All'inizio ho pensato ad una coincidenza, ma era troppo evidente! Non poteva essere un caso. Avrei detto così se si fosse trattato di una o due corrispondenze, ma tutte! John! Tutte le morti si sono verificate mentre tu eri fuori casa per lavoro! Per arrivare in ambulatorio non ci vuole più di mezz'ora. Non potevo sapere che uscivi di casa in anticipo perché non conoscevo i tuoi orari. Così ho chiamato Sarah e mi ha confermato che il turno di notte inizia sempre a mezzanotte. Perché uscivi un'ora e mezza prima? Per uccidere! Che cieco sono stato!"
Sherlock digrignò i denti in una smorfia di dolore. Davvero non si sarebbe mai aspettato di dover denunciare il suo migliore amico. Con chi aveva vissuto fino a quel momento? Un falso, un criminale, un assassino. Gli erano sempre piaciuti, i serial killer. Sempre imprevedibili, sempre diversi. Riuscivano a mettere alla prova la sua intelligenza. In quel caso, però, fece un eccezione. Non riusciva a sopportare l'idea che il suo migliore amico, l'unico uomo sulla faccia della terra per cui avesse provato affetto e fiducia, potesse essere un assassino. Cosa era andato storto in lui? Che meccanismo si era inceppato? Era colpa sua? Era stato così preso da se stesso e dai casi da non rendersi conto del suo cambiamento?
"Cosa farai, ora?" gli chiese appoggiando il fucile ormai montato sulla spalla "Mi denuncerai sul serio? Chiamerai Lestrade?"
"Cosa potresti fare per impedirmelo?"
"Potrei spararti!" rispose lui con una risatina isterica.
"Non lo farai" disse lui, senza realmente credere alle sue parole.
"Non ci scommettere" rispose John puntando l'arma verso Sherlock.
Il detective chiuse gli occhi. Gli andava bene morire così. sarebbe stato sempre meglio di vivere con quell'angoscia. Sentì un colpo partire, ma non provò dolore. Quando aprì gli occhi vide John steso a terra tenersi la mano sanguinante. Si voltò. Dietro di lui c'era Lestrade con la pistola puntata.
"Grazie per avermi chiamato" gli disse l'ispettore abbassando l'arma.
"Grazie per avermi salvato" rispose Sherlock con un sospiro.
"Non ci posso credere" disse Greg scuotendo la testa "Non posso credere che John …"
"Stia zitto!" urlò Sherlock "Stia zitto!"
Non voleva sentire quelle parole. Aver assistito di persona alla verità era stato tremendo. Non gli servivano altre conferme verbali.
Nel frattempo due agenti stavano trascinando via John, ammanettato e urlante.
"Ti credi tanto furbo, eh Sherlock? Vedrai che un giorno arriverà qualcuno più furbo di te e ti annienterà! Vedrai!"
Presente
Tolse il braccio dalla faccia. La casa era ancora piena di fumo. Non aveva voglia di alzarsi ma si costrinse a farlo perché cominciavano a lacrimargli gli occhi. Si alzò e andò ad aprire la finestra. Il fumo cominciò a uscire lentamente. Stava per prendere in mano il violino quando la sua attenzione fu attratta dalla porta che si apriva. Chi poteva essere? La signora Hudson era in visita ad una cugina e John … John era altrove. Rinchiuso per scontare le sue riprovevoli colpe.
Prese il frustino da cavallo e si appostò dietro la porta del bagno per poter aggredire il misterioso visitatore. Dal rumore intuì che doveva portare due borse di plastica, come quelle che si usano per fare la spesa. Cosa trasportava l'intruso? Armi?
Strinse più forte il frustino tra le mani e si preparò all'attacco, quando un urlo spazientito lo bloccò.
"Sherlock! Dove diavolo sei!" urlò l'uomo entrando "Senti che puzza! Eppure ti avevo detto di stare attento! Hai fatto bruciare lo sformato!"
Sherlock uscì dal bagno e si diresse in cucina. Chinato sul forno, dal quale usciva una tossica nube di fumo nero, c'era John. Aveva appoggiato le buste della spesa sul tavolo e teneva in mano i resti neri carbonizzati di quella che doveva essere la loro cena.
"John?" chiese stupito "Ma cosa …?"
"Ti avevo chiesto di badare allo sformato mentre andavo a fare la spesa" lo sgridò lui "Mi può stare anche bene che non aiuti nelle faccende domestiche, ma almeno questo potevi degnarti di farlo! Dovevi solo spegnere il forno! Avevo anche messo il timer!"
Tossendo e imprecando John allontanò quello che rimaneva dello sformato sul davanzale perché si raffreddasse. In quell'istante Sherlock capì. Sul tavolino davanti al divano non c'era nessun posacenere stracarico di mozziconi. Il fumo proveniva dal forno, non dalle sigarette. Non c'erano stati omicidi di barboni. Incredibile come la mente possa lavorare, quali immagini strane e contorte possa creare.
"Mi devo essere addormentato" disse voltandosi, per nascondere il rossore che gli stava imporporando le guance.
Era arrossito per l'imbarazzo ma soprattutto per la gioia. John, il suo John, il suo piccolo riccio, non era un assassino. Non lo sarebbe mai stato. Era stato solo un incubo.
*Sono i demoni che, secondo la mitologia, visitano i dormienti portando loro gli incubi. Da questo la parola inglese nightmare.
