Jarod è logorato dalla fuga e desidera fermarsi per un po'; una notte, in circostanze drammatiche, incontra una donna capace di toccargli il cuore, ma c'è sempre il Centro a dargli la caccia…

Linea temporale: dopo il film Island of the Haunted (L'isola del fantasma) - 2001

Destini incrociati

Capitolo I: Preludio, Parte 1

Giovedì 23 maggio, ore 22.05

L 'autobus delle linee Greyhound era vecchio, ma ancora confortevole. Mentre viaggiava nottetempo lungo l'interminabile nastro d'asfalto, l'uomo seduto da solo su uno dei sedili anteriori sonnecchiava inquieto, le lunghe gambe stese davanti a sé, ignorando i compagni di viaggio.

Era un bell'uomo sulla quarantina, molto alto e dal fisico muscoloso; una corta zazzera bruna contornava un volto dai lineamenti allo stesso tempo dolci e forti dove, sotto una fronte spaziosa, brillavano due intelligenti occhi scuri dall'intrigante taglio a mandorla, ombreggiati da lunghe ciglia nere ed ora velati dalle palpebre abbassate. Un paio di giovani donne, che viaggiavano assieme, gli lanciavano ogni tanto occhiate invitanti, ma, con loro sommo rammarico, lui non alzò mai lo sguardo.

Jarod era stanco. Tanto stanco da sentirsi pesare sulle spalle tutti gli anni del mondo. Stanco fisicamente, ma soprattutto moralmente. Stanco della sua interminabile fuga dai mastini del Centro, stanco di continuare a raddrizzar torti, di dar la caccia ai criminali, di pensare sempre agli altri. Certo, era nella sua natura agire come agiva; ma sentiva il bisogno di una pausa, di un periodo in cui poter pensare solo a se stesso, per ritemprare le proprie forze e rinnovare le proprie energie. Per questo, diversamente dal solito, il giorno prima se l'era svignata dal suo ultimo rifugio senza lasciare alcun indizio a Miss Parker ed alla sua squadra, che da ormai sei anni gli stavano dando la caccia. Per lo stesso motivo aveva scelto di viaggiare su un autobus invece di prendere un aereo, acquistando il biglietto all'ultimo momento per non dover lasciare le proprie generalità. Avrebbe così fatto perdere le sue tracce per qualche tempo, in modo da potersi dedicare un poco a se stesso, senza doversi preoccupare del prossimo, senza dover pensare a rintracciare la sua famiglia, alla quale era stato strappato dal Centro all'età di quattro anni per le sue potenzialità di simulatore.

La sua famiglia…

Sua madre Margaret, innanzitutto, bella e dolce; e sua sorella Emily. Le aveva a malapena intraviste quasi cinque anni prima, ma avevano dovuto darsi subito alla fuga senza neppure un abbraccio a causa degli spazzini del Centro, che erano riusciti ad individuarli. Ricordava ancora nitidamente sua madre che, a bordo del taxi che portava via lei ed Emily, gli sillabava silenziosamente, piangendo, ti voglio bene

Alcuni mesi dopo aveva scoperto di avere un fratello, Kyle, anche lui rapito dal Centro e trasformato in una macchina per uccidere dal nefando signor Raines; ma Jarod era riuscito a renderlo nuovamente un essere umano, al punto che il giovane aveva sacrificato la propria vita per salvare quella del fratello maggiore. O così Jarod aveva creduto per circa un anno: in realtà Kyle era riuscito a salvarsi ed aveva fatto in modo che potessero incontrarsi nuovamente, tranne poi essere ucciso, e stavolta per davvero, dal malvagio signor Lyle, ancora una volta salvando la vita a Jarod. E non solo a lui: il suo cuore, per volontà di Jarod, era stato trapiantato nel petto di un ragazzo cardiopatico, che aveva così avuto salva la vita.

Tre anni prima, Jarod era finalmente riuscito, con grande commozione, ad incontrare suo padre, il maggiore Charles Russell. Contemporaneamente, aveva scoperto l'esistenza di un clone tredicenne di se stesso, creato dal Centro per avere una "ruota di scorta" in caso fosse successo qualcosa a lui, Jarod… Chissà se avevano mai preso in considerazione la possibilità di una sua fuga? No, pensava di no, erano troppo arroganti, troppo sicuri di loro. Assieme al padre, che ad ogni buon conto era anche il padre di Jay, come avevano subito chiamato il clone, avevano progettato e messo in atto il suo salvataggio dal Centro, ma Jarod aveva dovuto separarsi da loro per consentire il successo della fuga.

Aveva rivisto Emily quasi due anni addietro, intervenendo appena in tempo a salvarla da morte certa ad opera di Lyle; in quell'occasione aveva rivisto anche il padre. Emily aveva loro detto d'aver fatto una scoperta sconcertante: lei e Jarod avevano un fratellastro, Ethan, figlio di suo padre e della madre di Miss Parker, la sua cacciatrice, fatto concepire ai genitori biologici ad opera del Centro senza il loro consenso. Quando se n'era accorta, Catherine Parker era fuggita, inscenando il proprio suicidio con l'apparente aiuto di Raines, nell'intento di dare al piccolo innocente un futuro lontano dal Centro. Vana speranza: dopo che l'aveva dato alla luce, Raines l'aveva freddamente uccisa; aveva poi dato il bambino in affido ad una coppia e l'aveva plagiato per sfruttarlo. Ethan aveva infatti ereditato dalla madre il Senso Interiore, ovvero la capacità di udire dentro di sé le voci delle persone care scomparse che erano in grado di dar preziosi suggerimenti. Dopo il drammatico incontro con Jarod e Miss Parker, per qualche tempo Ethan era rimasto col fratellastro, poi era sparito nel nulla, e da allora non se ne avevano più avuto notizie.

Jarod distolse i propri pensieri da loro, perché lo turbavano, ed ora sentiva il bisogno di assoluta tranquillità. Con un sospiro, si mosse per trovare una posizione più comoda e cercò dormire.

OOO

Erin De Rossi sbadigliò assonnata. Stava guidando il suo motorhome da troppo tempo, pensò: alla prossima stazione di servizio si sarebbe fermata a dormire. Intanto, per tenersi s veglia, mise un cd di Shania Twain, la sua cantante preferita, ad un volume piuttosto alto e cominciò a cantare con la sua bella voce di mezzosoprano.

Il canto era solo uno dei tanti interessi della giovane donna. A trentasette anni, aveva collezionato una serie impressionante di esperienze, soprattutto durante l'adolescenza e la prima giovinezza, grazie al padre, Frank De Rossi, che era un esperto di sicurezza alle dipendenze della CIA. Con lui, la madre Maureen ed il fratello maggiore Sean, aveva soggiornato in molti Stati dell'Unione ed anche esteri, dove suo padre si occupava del sistema di sicurezza di edifici governativi come palazzi di giustizia, ambasciate, consolati, parlamenti, e dovunque lei aveva appreso qualcosa di particolare, spesso ma non sempre assieme a Sean: il pattinaggio su ghiaccio a Mosca, il kung fu a Hong Kong, i balli caraibici a Porto Rico, il flamenco a Barcellona, l'equitazione a Dallas, lo sci in Norvegia, il surf a San Diego, la moto stradale all'Estoril in Portogallo, il sub a Cairns in Australia, le corse automobilistiche a Monza in Italia, il poker a Las Vegas, il biliardo a Marsiglia, e poi la scherma, il tiro a segno, il tiro con l'arco, il computer, il nuoto… Da perdere il conto.

Poi suo padre era stato assegnato ad un incarico sedentario per la sede staccata della CIA a San Francisco, e la famiglia si era infine fermata. A ventitré anni, Erin aveva deciso che era ora di rendersi indipendente; tra tutti i suoi interessi, aveva scelto di mettere a frutto la propria passione per lo sport, così aveva fondato un centro polisportivo dove si praticava di tutto, dal fitness al nuoto, dalle arti marziali al tiro con l'arco, dalla scherma al ballo moderno. Grazie ad un innato senso degli affari ed ai generosi investimenti paterni, nel volgere di poco tempo era diventata una donna decisamente benestante.

Qualche anno prima, Frank De Rossi era andato in pensione ed aveva pensato di trasferirsi in campagna, in un ranch a circa mezz'ora di macchina dalla cittadina in cui lei stessa abitava.

Adesso Erin era di ritorno da una vacanza di due settimane in Messico, dove aveva scorrazzato con la sua moto Honda VFR 750 rossa fiammante, godendosi il sole della Baja California. Il recente ricordo la fece sorridere: era la terza volta in diciotto mesi che se ne andava via da sola, una cosa inimmaginabile, prima. Già, prima… prima che il suo ex marito decidesse di piantarla per nessuna ragione al mondo. Erin aveva sofferto le pene dell'inferno, incapace di accettare la fine del suo matrimonio, rifiutandosi di farlo. Aveva messo l'anima in quel rapporto, e per sei lunghi mesi aveva tentato in tutti i modi di recuperarlo, ma dall'altra parte non c'era stata rispondenza alcuna. Infine, Erin aveva ceduto. Ormai il divorzio era stato pronunciato, e l'unica soddisfazione che ne aveva ricavato era stata quella di far pagare tutte le spese al suo ex. Se vuoi il divorzio, t'arrangi, gli aveva detto, io non spenderò un soldo né muoverò un dito. Fortunatamente, essendo previdente, aveva avuto il buonsenso di sposarsi in regime di separazione dei beni, così il suo ex non aveva potuto chiederle niente. Inoltre, ancor più fortunatamente, dal matrimonio non erano nati figli: almeno, non c'erano innocenti a pagare per gli errori degli adulti.

Infine, il terribile dolore che l'aveva straziata se n'era andato, ed un bel giorno, d'un tratto, lei si era resa conto con stupore che le erano cresciuti due attributi grossi così; o, più probabilmente, erano sempre stati lì, solo che non sapendolo non li aveva mai tirati fuori. Con insospettata grinta, si era buttata nella sua nuova vita, osando cose che non aveva mai osato prima, come per esempio viaggiare da sola, e scoprendo che le piaceva essere psicologicamente indipendente da tutto e da tutti. Sì, stava decisamente meglio da sola che con l'ex marito. Tuttavia, con la spietata onestà verso se stessa che la caratterizzava, Erin ammetteva che, ogni tanto, la solitudine del cuore le pesava, ed aveva cominciato a desiderare di incontrare qualcuno. Allo stesso tempo, però, si rendeva conto di essere terrorizzata dall'idea di poter soffrire di nuovo l'ordalia che aveva passato; non tanto il rischio in sé – era ben consapevole che ogni rapporto ne comportava – ma la possibilità di non essere capace di sopportare ancora una volta quel dolore dilaniante…

Davanti a lei comparvero i fanalini di coda di un pullman della Greyhound. Erin rallentò gradualmente, adeguando la propria velocità a quella dell'autobus: il suo motorhome, che portava a rimorchio il carrello con la moto, non avrebbe potuto sorpassarlo facilmente, e poiché la prossima stazione di servizio distava solo pochi chilometri, tanto valeva pazientare.

Mantenendo un'adeguata distanza dal mezzo pesante, Erin continuò a guidare ed a cantare.

OOO

Una sensazione di imminente pericolo strappò Jarod al suo dormiveglia. Si rizzò di scatto a sedere per guardare fuori dal finestrino, ma non c'era assolutamente niente da vedere: nel chiarore argenteo della luna quasi piena, la sterminata campagna della California era completamente deserta e non si vedeva neppure una luce. Il suo sguardo si spostò in avanti, nella direzione in cui procedeva l'autobus: i fanali di un grosso autotreno si avvicinavano sulla corsia opposta.

Poi tutto accadde ad una velocità spaventosa.

L'autotreno sbandò improvvisamente ed invase la corsia dell'autobus. L'autista della corriera frenò e sterzò di lato, ma era troppo tardi: i due grossi mezzi si scontrarono violentemente ed il pullman finì fuori strada. I passeggeri urlarono terrorizzati e vennero sbalzati dai sedili in tutte le direzioni.

Jarod sentiva un dolore acuto al fianco, ma muovendosi con precauzione constatò di non avere niente di rotto. Tutto intorno a lui udiva i gemiti e le invocazioni dei feriti. Con uno sforzo, si alzò a sedere; picchiò la testa contro un montante contorto ed emise un'esclamazione di dolore.

"Mi aiuti… mi aiuti…", supplicava una voce femminile al suo fianco. Jarod si girò e vide una donna anziana, la fronte sporca del sangue di un taglio superficiale, sdraiata scompostamente sul sedile dietro il suo.

"Non si muova", la esortò, "La porterò fuori di qui."

Strisciò verso l'autista, ma si accorse subito che per lui non c'era più niente da fare: il parabrezza si era infranto ed una scheggia gli era penetrata profondamente nella testa, uccidendolo sul colpo.

L'autobus era fortemente inclinato sul fianco destro; Jarod tentò di azionare l'apertura della porta, ma era bloccata. Allora si tolse la giacca di pelle, se l'avvolse attorno al braccio e sferrò una gomitata al finestrino; il vetro si frantumò in mille pezzi. Armeggiando con la maniglia esterna, riuscì finalmente ad aprire la porta.

Tornò dalla donna ferita.

"Venga, si aggrappi a me", le disse. La vecchietta gemette e si afferrò alle sue braccia; con delicatezza, Jarod la sollevò e l'aiutò a raggiungere l'uscita.

"Lei è un angelo", mormorò l'anziana donna, mentre lui l'aiutava a sedersi sull'erba. Jarod le rivolse un sorriso rassicurante, poi tornò indietro: c'erano ancora chissà quante altre persone ferite che necessitavano del suo aiuto per scendere…

OOO

Erin assistette inorridita allo scontro. Frenò bruscamente, mettendo in azione l'ABS; appesantito dal rimorchio, il motorhome sbandò, ma grazie alla perizia di guida della giovane donna si fermò in tempo.

Erin si slacciò la cintura di sicurezza e balzò a terra, correndo a rompicollo verso la cabina dell'autotreno. L'autista era inchiodato dall'air bag e pareva sotto shock; Erin spalancò la portiera:

"È ferito?", gli domandò. L'uomo la guardò con occhi vitrei, senza capire; lei salì sulla predella e lo schiaffeggiò per farlo tornare in sé. L'uomo sussultò e sbatté le palpebre.

"Sto bene", bofonchiò, "Sto bene…"

"Okay", disse Erin, "Scenda di lì e venga a dare una mano, se può."

S altò a terra e si diresse di corsa verso il pullman, che era finito di traverso su un dosso e pertanto era molto inclinato su un lato. Attraverso il finestrino scorse il volto insanguinato dello sfortunato autista e distolse subito gli occhi, per la pietà e per l'orrore. Rivolgendo un pensiero a Dio per l'anima del pover'uomo, raggiunse la porta, che qualcuno aveva già aperto, proprio nel momento in cui ne emergeva un uomo molto alto con in braccio un bambino di forse sei anni.

Erin sentì come una martellata in testa che, per un istante, le fece annebbiare la vista. Scosse il capo per schiarirsela ed allungò le braccia:

"Serve aiuto?", chiese. L'uomo parve esitare, guardandola fisso per un lungo momento; poi le passò il suo fardello.

"Grazie", le disse, tornando all'interno del mezzo. La giovane donna si allontanò velocemente, mentre il bimbo piangeva terrorizzato.

"Buono, piccolo, è tutto passato", gli mormorò con voce tranquillizzante.

"La mia mamma!", singhiozzò il fanciullo, "Dov'è la mia mamma?"

"Lo dia a me, signorina", Erin udì una voce. Girandosi, vide una donna anziana seduta a terra che le faceva segno. Le si avvicinò e le affidò il bambino, che la vecchia rassicurò dolcemente:

"Vedrai, i nostri angeli custodi qui ti porteranno subito la tua mamma…"

Erin tornò in fretta verso la porta dell'autobus e fece per salirvi, ma vedendo che stava di nuovo sopraggiungendo l'uomo di prima, stavolta con una donna, gli cedette il passo.

"Ce ne sono altri", disse Jarod, guardando la bella ragazza bruna che era venuta a soccorrerli, "Stia attenta, è molto debole", le raccomandò, parlando della donna che stava sorreggendo, che barcollava e si teneva in piedi a stento; si assicurò che Erin riuscisse a portarla via, poi tornò indietro. Un giovanotto sui vent'anni aveva una gamba piegata ad un angolo innaturale ed incastrata sotto il sedile.

"Dev'essere rotta", disse il ragazzo, stringendo i denti. Dal pallore del suo volto, Jarod comprese che stava soffrendo molto, e si dispiacque di dovergli infliggere ancora più dolore.

"Adesso ti farò male", lo preavvisò quindi, "ma è necessario, se voglio liberarti la gamba."

Strattonò il sedile, cercando di divellerlo o perlomeno di spostarlo, ma non ottenne risultato. Erin sopraggiunse alle sue spalle.

"Lo tiro fuori io", gli disse, "lei cerchi di tener sollevato il sedile."

Jarod si puntellò con i piedi e tirò il sedile verso di sé con tutte le sue forze; Erin afferrò il giovanotto sotto le ascelle e lo trascinò via. Il movimento lo fece urlare di dolore, ma almeno era libero. Jarod lo prese delicatamente per le ginocchia e, aiutato da Erin, lo portò fuori, dove lo adagiò sull'erba.

Intanto era arrivato l'autista dell'autotreno, che guardò inorridito il disastro.

"Oh, mio Dio…", mormorò, scosso.

"Non stia lì impalato!", lo apostrofò Erin bruscamente, nell'intento di riscuoterlo, "Dia una mano a quest'uomo", indicò Jarod, "Bisogna estrarre i feriti dal pullman."

Jarod pescò il cellulare dalla tasca della giacca – per fortuna non l'aveva rotto mentre spaccava il vetro – lo accese e lo lanciò ad Erin:

"Chiami il 911."

La giovane donna lo afferrò al volo e compose velocemente il numero. Segnalò con precisione quant'era accaduto, chiedendo l'intervento di ambulanze e pompieri, e si sentì rispondere che i soccorsi sarebbero stati sul luogo entro otto minuti. Poi si infilò in tasca il cellulare – un modello ultramoderno ed assai costoso, di tipo satellitare – e tornò ad aiutare Jarod e l'autista a trasportare i feriti fuori della corriera. Dovettero constatare che c'erano purtroppo altri due morti, oltre all'autista: un uomo di mezza età ed una ragazza.

Poco dopo udirono in lontananza le sirene di parecchi mezzi di soccorso. Nel giro di pochi minuti, sopraggiunsero medici, paramedici, vigili del fuoco e polizia, che presero in mano la situazione con grande efficienza. Jarod, Erin e l'autista dell'autotreno si fecero da parte, lasciando le operazioni di soccorso agli esperti.

Alcuni minuti dopo si udì il rumore di un elicottero in avvicinamento, un grande faro puntato verso il luogo dell'incidente. Erin alzò lo sguardo e, nella luce lunare, intravide la sigla di un network.

"Maledetti giornalisti!", esclamò, seccata, "Sono sempre in ascolto sulle frequenze della polizia e degli ospedali, pronti a piombare sulle disgrazie altrui come avvoltoi!"

Jarod, che una volta aveva simulato di essere un cameraman, per aiutarne uno rimasto con un braccio paralizzato per la mancanza di scrupoli di un cronista cosiddetto d'assalto, era sostanzialmente d'accordo, fatte ovviamente le debite eccezioni. Adesso doveva evitare a tutti i costi di essere ripreso, altrimenti il Centro, che monitorava senza posa le trasmissioni, lo avrebbe individuato immediatamente. Si mosse verso l'autotreno, in modo da metterlo tra sé e l'elicottero.

Erin si accorse della sua manovra e gli lanciò un'occhiata penetrante. Capì che non voleva essere ripreso e, siccome anche a lei non piaceva, lo imitò. Jarod la osservò con sorpresa mentre gli faceva cenno di seguirla. La tallonò fino ad un grande motorhome a tre assi, dove lei lo invitò a salire, al riparo da occhi indiscreti.

"Grazie", le disse Jarod, "Odio le telecamere", aggiunse, a mo' di spiegazione.

Erin accese la luce e ricambiò il suo sguardo con espressione impenetrabile:

"Sono certa che ha le sue buone ragioni."

Lui capì che la sua scusa non era stata convincente. Strano, di solito la gente gli credeva sulla parola, era una delle sue migliori capacità di simulatore…

"Infatti", ammise quindi, cautamente, "In ogni caso, le assicuro sul mio onore che non sono un criminale, signorina…?"

"Erin De Rossi", rispose la giovane donna, "Se avessi avuto il minimo sospetto che lei fosse un criminale, non l'avrei certo aiutata, signor…?"

"Jarod", si presentò lui, porgendole la mano, "Jarod O'Donnell."

Non sapeva perché avesse optato proprio per un nome irlandese, così su due piedi; una scelta che pensò dettata dalla casualità, ma che più tardi avrebbe assunto il sapore della predestinazione. Ad ogni modo, lo adottò con la naturalezza dovuta all'ormai consolidata abitudine di impiegare cognomi falsi per depistare i segugi del Centro, ed anche perché fino a non molto tempo prima non conosceva il nome della sua famiglia, Russell.

Erin ebbe una fuggevole espressione di sorpresa e, per un momento, Jarod temette che avesse capito che le aveva dato un nome fasullo; poi però lei sorrise e gli prese la mano:

"Lieta di conoscerla, signor O'Donnell, anche se le circostanze non sono tra le migliori."

"Solo Jarod", la invitò lui, che in ogni caso voleva usare il meno possibile i falsi nomi che adottava, "Il piacere è mio."

La mano di lei era piccola, affusolata e dall'aria delicata, ma la sua stretta era forte e decisa come quella di un uomo. Jarod ebbe l'impressione che la giovane donna che aveva di fronte, in jeans e maglietta, dovesse essere un tipetto pieno di sorprese. Ora che la vedeva bene, constatò che era davvero bella: non molto alta, un corpo a clessidra assai femminile, lunghissimi capelli folti e lisci d'un lucido bruno, raccolti in un'alta coda di cavallo, occhi d'un caldo color noce e dal taglio allungato, carnagione piacevolmente abbronzata dal sole.

Si accorse di averle tenuto la mano ben più a lungo del necessario; ma del resto neppure lei aveva fatto cenno di volerla ritrarre. Leggermente in imbarazzo, la lasciò andare.

"Ho bisogno di qualcosa di forte", disse Erin, "Vuoi qualcosa anche tu, Jarod?"

"Un whisky, grazie", accettò lui; ora che l'adrenalina stava tornando a livelli normali, si sentiva leggermente stordito, ed un po' d'alcol lo avrebbe rianimato.

"Bene", disse lei, poi le sovvenne una cosa, "Ah, il tuo cellulare."

Gli ridiede il telefonino, poi si mosse verso il centro del motorhome, dove c'era il cucinino; aprì un mobiletto e ne tirò fuori una bottiglia di liquido ambrato e due bicchieri. Posò il tutto sul ripiano del tavolo e fece segno a Jarod di sedersi, accomodandosi a sua volta prima di versare il whisky. Jarod notò che era Jameson's, una marca irlandese, invece del classico bourbon americano. Osservando l'interno del motorhome, constatò che poteva ospitare fino a sette persone, e si chiese come mai Erin viaggiasse da sola con un mezzo così grande. Avrebbe saputo in seguito che era perché amava star comoda.

"Ti muovevi con grande efficienza", dichiarò Jarod, dopo il primo sorso, "Ti sei già trovata in situazioni di questo genere?"

"Fin troppe volte", rispose Erin, facendo una smorfia, "Ho prestato servizio volontario sulle ambulanze per sei mesi, qualche anno fa. Gli incidenti stradali erano la più frequente causa di interventi."

Aveva trovato l'esperienza molto utile sotto una miriade di punti di vista, primo tra tutti quello della solidarietà umana. Ne era uscita grandemente arricchita come persona.

Qualcuno bussò alla porta del motorhome.

"Chi è?", domandò Erin.

"Polizia", fu la risposta, "Vorremmo farle qualche domanda."

La giovane donna si alzò per andare ad aprire; due poliziotti, un uomo ed una donna, salirono a bordo. Vedendo Jarod, gli fecero un cenno di saluto.

"Chi di voi guidava?", volle sapere la poliziotta, sfoderando penna e notes, ritenendo evidentemente che i due viaggiassero insieme.

"Io", rispose Erin, senza preoccuparsi di smentire la supposizione dell'agente.

"Che cos'ha visto, signora?"

"Poco o niente: l'autotreno è improvvisamente sbandato, ritengo per un colpo di sonno dell'autista, ed io ho subito frenato. Poi ho sentito un gran botto, e rendendomi conto di quel che doveva essere successo mi sono fermata a prestar soccorso."

"Ed avete fatto un buon lavoro", sorrise il poliziotto, "C'è una signora che continua a parlare di due angeli bruni: penso che si riferisca a voi."

Erin sorrise, ricordando la vecchietta cui aveva affidato il bambino passatole da Jarod.

"Abbiamo solo fatto il nostro dovere", disse modestamente. Anche la poliziotta sorrise, con apprezzamento, e si rivolse a Jarod:

"E lei che cos'ha visto, signore?"

"Io viaggiavo sull'autobus", rispose Jarod, per chiarire la situazione: aveva infatti l'impressione che li credessero marito e moglie, o quantomeno fidanzati, "Anch'io ho visto l'autotreno che sbandava e ci veniva addosso; il nostro autista ha frenato e sterzato, ma non è bastato ad evitare l'impatto, ed il pullman è finito fuori strada. Ho capito subito che il pover'uomo era morto, e mi sono dato da fare per aiutare i feriti. La signorina De Rossi è arrivata subito dopo e mi ha dato man forte, ed anche l'autista del camion ha fatto la sua parte."

La poliziotta scriveva velocemente e finì presto di redigere il suo rapporto.

"Ho bisogno dei vostri nomi e numeri di telefono", disse poi. Erin diede nome e cognome ed il recapito del suo cellulare. Quando toccò a lui, Jarod dichiarò il nome falso che già aveva dato ad Erin ed inventò su due piedi un numero telefonico.

"Grazie, signori", dissero i poliziotti, "Signor O'Donnell, è sicuro di non aver bisogno di assistenza medica?"

"Sto benissimo", rispose lui, anche se per la verità il fianco gli faceva ancora male.

"Bene, allora per il momento è tutto", si congedarono. Erin li accompagnò, poi tornò a sedersi.

"Dove sei diretto, Jarod?", domandò casualmente, riprendendo il bicchiere in mano.

"In nessun posto in particolare", rispose lui, in modo vago, "Verso nord."

Erin lo fissò con quel suo sguardo acuto e Jarod si sentì a disagio, come se lei gli stesse leggendo dentro.

"Non si può sfuggire in eterno al proprio passato", disse Erin a bassa voce, quasi come parlando di se stessa. Lui fu sul punto di dirle che non stava affatto fuggendo dal suo passato, semmai lo stava cercando disperatamente… ma non poteva raccontarle niente di tutto questo.

"E' vero, ma a volte si ha bisogno di una pausa", disse invece. Erin rifletté un momento, poi annuì:

"Sì, hai ragione. Beh, è evidente che non potrai proseguire il viaggio su quell'autobus. Io sono diretta a San Francisco: vuoi uno strappo?"

La sua proposta lo colse di sorpresa.

"E ti fideresti di viaggiare in compagnia di un perfetto sconosciuto?", indagò, senza nascondere la propria perplessità. Erin fece un sorrisetto feroce:

"Al primo sgarbo azionerò il pulsante dell'eiezione", gli assicurò, strappandogli un sogghigno divertito.

"Ma non hai paura che possa derubarti?", insistette poi, tornando serio, "O peggio ancora…"

"Se avessi questo timore non ti avrei invitato a viaggiare con me", gli rispose, stringendosi nelle spalle, "Sappi comunque che ho una pistola e che la so usare molto bene, ed inoltre che sono cintura nera di kung fu."

Jarod rise di cuore:

"Beh, allora è certo che non hai bisogno di preoccuparti!"

"Vedo che hai capito", commentò lei, divertita, "Allora, che ne dici?"

Jarod pensò rapidamente ai vantaggi che poteva dargli viaggiare con Erin: tanto per cominciare, riprendere il viaggio con la Greyhound avrebbe comportato, stavolta, il rilascio delle sue generalità complete, vere o false che fossero, perché essendo stato coinvolto in un incidente la compagnia di autopullman avrebbe dovuto far intervenire l'assicurazione per l'indennizzo. A lui non interessava essere ricompensato per il disagio patito; gli premeva piuttosto di non mettersi in mostra con le autorità, perché sarebbe stato facilmente individuabile dal Centro. Accettare la proposta di Erin gli avrebbe evitato un sacco di fastidi… senza contare che era certo che la sua compagnia sarebbe stata assai piacevole.

"D'accordo, Erin, sarò felice di viaggiare con te", le disse, "però solo se accetterai di dividere le spese."

"Non è necessario…"

"Insisto."

Lei si strinse nelle spalle:

"Okay, come preferisci."

"Bene. Allora vado a recuperare il mio bagaglio."

Scese dal motorhome ed Erin rimase sola. La giovane donna si chiese soprappensiero che cosa l'avesse spinta a proporgli di accompagnarla: dopotutto non lo conosceva affatto, ed era certissima che nascondesse qualcosa. Eppure, sentiva che poteva fidarsi di lui, e di solito il suo istinto non l'ingannava. Ad ogni modo, poteva dormire con la pistola sotto il cuscino, tanto per precauzione…

Jarod fu di ritorno pochi minuti dopo con una valigia metallica ed un borsone da viaggio. Erin gli indicò dove poteva metterli, poi lo invitò a prender posto sul sedile del passeggero e si mise alla guida del motorhome. L'autotreno era stato spostato quel tanto che bastava a ripristinare la circolazione a senso unico alternato, così poterono passare.

"Prima dell'incidente stavo pensando di fermarmi per la notte", raccontò Erin, "ma dopo quel che è successo mi è passato il sonno."

"Neppure io riuscirei a chiuder occhio, adesso", confermò Jarod.

"Allora continueremo per un po', e poi potrai darmi il cambio, oppure ci fermeremo a dormire."

Proseguirono per qualche tempo, poi verso l'una di notte Erin cominciò a sentir gli occhi pesanti.

"Tengo somno", mormorò soprappensiero in spagnolo, la lingua che aveva usato fino a quel mattino, e sbadigliò. Nonostante avesse parlato più a se stessa che a lui, Jarod l'udì e sorrise:

"Yo tambièn", disse, nella stessa lingua, "Parli spagnolo, vedo."

"Già", rispose lei, concisamente, "Meglio fermarci a dormire, direi."

Poco più avanti trovò una piazzola di sosta, accostò e spense il motore.

"Vieni, prepariamo il tuo letto", Erin sollecitò Jarod. Lui lanciò un'occhiata verso il retro del motorhome.

"Non temi che ti possano portar via la moto, o addirittura il carrello al completo?", s'informò. Lei sorrise, pensando che era gentile da parte sua preoccuparsi della sicurezza delle sue cose:

"Non c'è pericolo: per tagliare il catenaccio del carrello ci vuole la fiamma ossidrica, e se toccano la moto scatta un allarme dentro il motorhome che sveglierebbe anche un morto."

Jarod ricambiò il sorriso:

"Vedo che non trascuri niente."

"Quando una donna viaggia da sola, deve prevenire qualsiasi situazione potenzialmente pericolosa", osservò lei, mentre frugava dentro una cassapanca, senza spiegare che la lunga dimestichezza con la misure di sicurezza dei luoghi in cui era vissuta l'aveva preparata quasi a tutto, "Ecco qua", disse poi, porgendo a Jarod lenzuola, coperta e cuscino. Lui li prese, si accostò alla cuccetta singola sul lato destro del motorhome, di fronte alla porta d'ingresso, e cominciò a prepararsi il letto.

"Domani mattina potrai sistemare la tua roba in questo armadio", disse Erin, indicandogli il mobile accanto alla porta, "E lì c'è il bagno."

Era un vano di due metri e mezzo per uno e trenta, posto dietro la cabina, che conteneva un box doccia, un water ed un lavello.

"Se vuoi farti la doccia, dovrai accontentarti di acqua fredda", gli disse, "Avremo l'acqua calda solo quando ci fermeremo in un campeggio."

"Per una sera non morirò", sorrise Jarod.

"Molto bene", gli sorrise lei di rimando, "Allora mi laverò i denti e poi andrò a dormire."

Così fece, poi si ritirò sul retro del motorhome, dove c'era il letto matrimoniale in cui dormiva. Per preservare la privacy, era stato predisposto un pannello scorrevole di legno che isolava la nicchia; avendo finora sempre viaggiato da sola, Erin non lo aveva mai usato, ma adesso lo chiuse, perché non aveva intenzione di spogliarsi davanti ad un estraneo, né di vederlo spogliarsi. Beh, questo non era del tutto vero, dovette ammettere tra sé, con la franchezza che la caratterizzava: Jarod le era sembrato molto ben fatto, e di sicuro vederlo seminudo sarebbe stato una gioia per gli occhi. Sorridendo di se stessa, si mise il pigiama, composto da pantaloncini e T-shirt, adatto al caldo clima della California del Sud, e si dispose a dormire.