Tavington's Reputation
By Colonel Tavington's Lady

"I tried to kill the pain
But only brought more
(so much more)
I lay dying
And I'm pouring crimson regret and betrayal
I'm dying praying bleeding and screaming
Am I too lost to be saved?
Am I too lost?"

"Tourniquet", Evanescence, from "Fallen"

Parte Prima

Il Patriota

p align="center"bCapitolo 1
Il Ballobr iSouth Carolina, gennaio 1781 /i

-Oh, William... è stato... è stato...- William Tavington si alzò dal letto e si legò un lenzuolo in vita. Si diresse verso la toletta e prese a spazzolarsi i lunghi capelli castano scuro, guardandosi allo specchio. -Prendi le tue cose e vai- disse, mentre si teneva i capelli raggruppati in una mano e si metteva in cerca dell'elastico -Hai visto...?- Alzò lo sguardo verso la donna nel suo letto. Lei gli sorrideva, tenendo il suo ciappo per capelli tra due dita. -Perchè non vieni a prenderlo?- disse in tono giocoso, sparendo sotto le coperte. Tavington alzò gli occhi al cielo. -Dammelo, muoviti- le disse, porgendo la mano -Conto fino a tre...- Da sotto le coperte provenì un risolino. Tavington sbuffò. -Uno...- alzò le sopracciglia in direzione del rigonfiamento delle coperte -Due...- Un altro risolino. -... tre- Nessuna reazione. -D'accordo, adesso arrivo- Si buttò sul letto e si immerse sotto il groviglio di lenzuola e coperte. Si mise a lottare con lei, e dopo qualche secondo scendeva dal letto con l'elastico in mano e l'aria trionfante. -Ora sparisci- le disse, legandosi i capelli. Lei scese dal letto e gli si avvicinò. Gli appoggiò le mani sulla schiena e gli baciò la base del collo. -Non credi di esserti dimenticato qualcosa?- gli disse in tono sensuale. Lui si voltò e sospirò. -Ti ho pagata in anticipo. Non fare la furba- -Sì, ma... colonnello...- continuò lei, un sorriso malizioso sulle labbra -Non credi che il giochino dell'elastico valesse almeno tre scellini in più?- Tavington alzò un sopracciglio con aria scettica. La prese per il polso e l'accompagnò alla porta. -Fuori dai piedi, Annie- le disse, dandole una leggera spinta fuori dalla porta -Ci vedremo un'altra volta- -Tesoro... io sono Samantha- gli disse lei, senza comunque sembrare molto offesa -Vuoi che ti rinfreschi la memoria?- -Non adesso- rispose lui, appoggiandosi allo stipite -Sparisci- -Come vuoi, maschione- gli disse lei, attorcigliandosi un ciuffo di capelli sul dito -Ci vediamo, allora- -Com'è che mi hai chiamato?- disse lui, un vago ghigno sulle labbra. -Ti ho chiamato- riprese lei lentamente, muovendo qualche passo per essergli più vicina -Ma... schio... ne- gli sussurrò all'orecchio. -Senti, Samantha- disse lui, allontanandola con una mano -Non so se ti sei accorta che siamo in corridoio- -E allora?- disse lei, continuando a guardarlo negli occhi. -E allora...- rispose lui, afferrandole il polso saldamente -Io in corridoio sono il Colonnello William Tavington, non sono un maschione, non sono William... è chiaro, dolcezza?- Lei annuì, senza abbandonare quell' espressione maliziosa. -D'accordo, colonnello- rispose -Alla prossima- Lui le lasciò il polso: -Sì, alla prossima- Lei gli lanciò un ultimo sorriso, quindi gli voltò le spalle e prese a percorrere il corridoio. -Samantha...- la chiamò indietro lui. Lei si voltò: -Ditemi, colonnello- -Come dicevi che è stato?- Lei diede in una risatina leggera che, Tavington lo sapeva per esperienza personale, era tipica delle prostitute. -Me-ra-vi-glio-so- sillabò lei, con l'aria di dire una cosa molto originale -Siete assolutamente... bè, siamo ancora in corridoio- Tavington ghignò: -Già. Ci vediamo- -Magari stasera...?- domandò lei speranzosa. Ma Tavington aveva già chiuso la porta. Lei sospirò e continuò a camminare verso la fine del corridoio. Nella sua stanza, William Tavington iniziò a vestirsi con un sorriso di soddisfazione sulle labbra.

Karen Honey chiuse gli occhi. -The words have been drained from this pencil...- le sue dita volarono più in alto e si appoggiarono lievemente, dando origine a un suono acuto e dolce -Sweet words that I want to give you...- Karen sorrise, cullata dalla sua stessa musica. Dov'era? La stanza in cui suonava era sparita alle sue spalle, e lei stava rotolando giù per una collina... vedeva solo il cielo sopra di lei, sentiva il delizioso profumo dell'erba, gli steli color cinabro... il sole le scaldava la faccia... -And I can't sleep...- Aveva aperto le braccia, come per abbracciare l'azzurro sopra di lei. Le sue dita avevano vita propria e se ne andavano su, giù... si appoggiavano, ora più forte, ora più delicatamente... e lei stava lì, a lasciarsi trasportare da ciò che le sue mani avevano da raccontarle... Dei passi la fecero ritornare bruscamente alla realtà. Aprì gli occhi e voltò la testa, la mente che la pregava di continuare a suonare. -Buongiorno, padre- disse, vedendo suo padre avanzare verso di lei con un sorriso sulle labbra -Dormito bene?- gli chiese, tornando a guardare il pianoforte. -Avrei dormito meglio se non avessi continuato a strimpellare tutta la notte- rispose lui con un sorriso indulgente. Lei sorrise: -Perdonatemi. E' l'unico rimedio contro l'insonnia... l'unico che funzioni, almeno- Lui sospirò e il sorriso si allargò: -Sono venuto per comunicarti una grande notizia- -Sì?- disse lei, mentre riprendeva la melodia, lo sguardo che si spostava sulla tastiera man mano che le sue dita si muovevano sui tasti -E di cosa si tratta?- -Siamo invitati ad un ballo, a Middleton Place- disse lui con aria orgogliosa. -Magnifico- rispose lei, concentrandosi su un passaggio particolarmente difficile -I Middleton hanno un pianoforte straordinario. E' meraviglioso suonare là- Il Barone Honey alzò le sopracciglia e sorrise: -Ah, cara, non ti voglio vedere al pianoforte anche stasera! In effetti, la bella notizia non era questa, ma...- Il suo tono divenne cospiratorio mentre abbassava la voce -Anche il Generale O'Hara sarà presente- -Bene- rispose lei, eseguendo un arpeggio leggero con la sinistra. Il barone la guardò spazientito: -Inutile dirti che potrebbe chiederti in moglie- Karen aggrottò le sopracciglia: -Di nuovo?- Il sorriso del barone divenne, se possibile, più ampio. -Infatti, tesoro, infatti! E' la tua grande occasione, la mia grande occasione per vederti finalmente con un buon marito! Questa volta accetterai, non è vero? E' stato un vero gentiluomo ad aspettare che tu potessi valutare la sua offerta- Karen smise di suonare e sospirò. Si voltò a fronteggiare il padre. Sorrise con modestia. -Padre... sapete che vi voglio bene, e che farei qualunque cosa per ubbidirvi, ma... il Generale O'Hara...- -Oh, avanti, Karen! E' pazzo di te, ti assicurerà un futuro... terrà alto il nome della famiglia... sposare un generale, tesoro... che grande onore!- Karen abbassò gli occhi: -Se questa è la vostra volontà...- Non aveva intenzione di dirlo al padre, ma negli ultimi giorni non aveva pensato affatto alla proposta di matrimonio del generale. Lei non lo aveva rifiutato, gli aveva semplicemente chiesto un po' di tempo per pensarci su. Ma non lo aveva fatto, e ora si sentiva un po' in colpa. Sapeva che suo padre ci teneva molto al suo futuro, e sapeva anche che il generale stesso era ansioso di ricevere quella fatidica risposta da lei. Non che il generale le stesse antipatico, ma Karen non si sentiva pronta per un passo del genere. Nel matrimonio bisognava amarsi, e lei non lo amava, quello era sicuro... Ma, d'altra parte, perché disubbidire al padre? Magari poi sarebbero stati bene insieme... Le scappò da ridere. Non riusciva ad immaginarsi moglie di qualcuno, e neppure madre. Ma prima o poi quel momento doveva arrivare e lei, a ventott'anni, forse aveva aspettato anche troppo. Però non sarebbe stato bello porre fine alla sua libertà, legarsi a qualcuno... Oh, piantala... prima o poi ti devi sposare, e al momento non c'è pretendente migliore del generale... perciò, non lamentarti. Rivolse un sorriso al padre e annuì. -Brava la mia figliola- le disse il barone -Ora vado a fare un giro in città... vuoi venire con me?- -No, grazie, padre- rispose lei -Resterò- -Bene, allora... ci vediamo stasera- e con queste parole, il Barone Honey lasciò la stanza. Karen sospirò davanti alla stanza vuota. Il suo sguardo tornò ai tasti del pianoforte. Generale O'Hara o no... pensò, riappoggiando le mani sulla tastiera, Stasera suonerò a Middleton Place! Sorrise mentre tornava ad immergersi nella sua fantasia.

William Tavington cavalcava verso ovest, immerso nei suoi pensieri. Era solo: Bordon aveva da fare con le solite scartoffie al forte, così non era venuto. Tavington ne era felice: essere solo lo aiutava a pensare e a farsi i fatti suoi. Mentre accelerava la sua andatura, si sentiva furioso. Quella sera ci sarebbe stato un altro ballo, l'ennesimo ballo della sua lunga, noiosa, insoddisfacente vita. Chissà se avrebbe trovato qualcosa di interessante da fare, a parte bere il vino. Ne dubitava. Era vero, molto spesso riusciva a combinare qualcosa con una bella donna senza nome trovata per caso, della quale il giorno dopo si sarebbe già dimenticato, ma era comunque la solita storia. La solita monotonia. No, alla fine il solo buon rimedio non era il sesso, ma il buon vecchio vino bianco di Madera, immancabile a quel genere di feste. Fantastico. In un bicchiere ti fottevi l'intera vita dietro le spalle e per una decina di ore non riuscivi a preoccuparti, a ricordare il nome di quelli che ti stavano intorno, non ti tornava in mente quella dannata guerra là fuori. Poi, ovviamente, se al suo ritorno al forte trovava una puttana nel suo letto, non si sarebbe certo tirato indietro. Era il meglio che potesse capitargli, per un dopo-ballo. Ma d'altra parte rimpiangeva la sua solitudine, stare in camera per ore a non fare nulla, sorseggiando brandy, elaborando nuove strategie per vincere in quell' Inferno, per avere la meglio su quei coloni del cazzo. Quasi senza accorgersene, era arrivato dove aveva intenzione di andare: il suo solito posto, un angolino di mondo nel quale lui se ne stava a riflettere per ore, a rimuginare, ma anche a lavarsi e a farsi la barba. Era un fazzoletto di terra, nascosto da una collina erbosa che gli girava intorno; un rifugio naturale, un nascondiglio offritogli dal terreno. Lì, all'ombra di salici e alberi secolari, scorreva un ruscello meraviglioso, di portata crescente. Alla sorgente, un'insenatura di rocce calcaree bianche con sfumature turchesi, l'acqua era bassa, all'altezza delle caviglie, ma seguendo il corso del fiumiciattolo si giungeva a una foce, un luogo dall'atmosfera a dir poco magica. Una cascatella, forgiata senza dubbio da un corso d'acqua maggiore, zampillava in un piccolo lago scavato nella roccia: lì l'acqua era più alta, gli arrivava a metà petto. Era il luogo dove in genere lui si lavava, e dove si sarebbe lavato anche quel giorno. Legò il cavallo ad un albero, prese con sé una pistola e qualche proiettile --solo una precauzione: il luogo era tranquillissimo e ben lontano da qualunque base ribelle conosciuta, ma la prudenza non era mai troppa-- e si diresse verso il solito cespuglio per spogliarsi. Gettò i vestiti a terra e risalì il corso del ruscelletto fino al punto in cui l'acqua era più profonda: una volta lì si immerse e iniziò a lavarsi i capelli. Tutte le preoccupazioni, le noie, le stupidaggini che gli invadevano la mente si gelarono nonappena immerse la testa nell'acqua cristallina e fredda. Sentì i capelli gocciolargli sulle spalle, e seguì distrattamente il percorso di ogni minima gocciolina sulla sua schiena nuda... ah, ci voleva. Nonostante si fosse appena alzato dal letto, si sentiva stanchissimo. Il semplice pensiero del ballo --oh, ma perché lo raggiungeva anche qui?-- lo rendeva depresso. Con il suo lavoro si poteva permettere poche ore di riposo, e i giorni feriali erano ancora più rari. Proprio quella sera doveva esserci quel ballo cretino? Proprio a coronare una meravigliosa giornata passata a non far nulla? Uff... ci dev'essere sempre qualcosa che rovina tutto... Una cosa era certa: il pomeriggio non lo avrebbe certo trascorso al forte. No, sarebbe rimasto lì, al ruscello. A quel dannato forte passava già troppo tempo. Se solo si fosse portato qualcosa da mangiare! Tanto mangerò stasera. Sì, infatti. Avrebbe mangiato tutto quello voleva al ballo. Se pensava che nel giro di qualche ora avrebbe dovuto rivedere Lord Cornwallis, O'Hara... a proposito, ci sarebbero stati quella sera? Probabilmente sì. Che palle... O'Hara non avrebbe rinunciato ad una nuova opportunità per farsi beffe di lui. Adorava prenderlo in giro, soprattutto quando c'erano Lord Cornwallis e altri nobili nelle vicinanze. Quindi, quale occasione migliore di un ballo a Middleton Place? William sperò che quella sera sarebbe riuscito a evitarlo il più possibile. Una volta che ti si avvicinava era impossibile scappare da quell'avvoltoio... possibile che non avesse niente di meglio da fare se non seguire Lord Cornwallis come un cagnolino e cogliere al volo le occasioni per dire quanto "il Colonnello Tavington fosse brutale e sanguinario"?? Tavington scosse la testa energicamente. Gocce d'acqua volarono tutt'intorno. Ecco, si stava rovinando anche quel momento di relax. Una tregua no, eh? Chiuse gli occhi e si passò le dita tra i capelli, massaggiandosi il cuoio capelluto. Mmm... chissà se il giorno dopo sarebbero andati a fare visita a qualche famiglia di ribelli... chissà se avrebbe dovuto "interrogare" una ribelle o cose del genere... Sperava di sì. Doveva pur sfogare la sua frustrazione su qualcuno. Tavington continuò a lavarsi per ore, fino a che il sole non cominciò a scendere verso ovest. Allora uscì dall'acqua, si asciugò e si rivestì, chiedendosi pigramente se Bordon avesse finito o no con le sue scartoffie. Risalì sul suo cavallo e, con i capelli ancora gocciolanti, cominciò a cavalcare verso Camden, tentando di andare più lentamente possibile.

Tavington rivolse uno sguardo fuori dal finestrino. La campagna scorreva via veloce; i prati bui non erano molto più chiari del cielo stellato che li sovrastava. Tavington catturò il suo riflesso sul vetro e verificò senza troppo entusiasmo di essere in ordine. Non che gli importasse più di tanto apparire elegante, ma non gli sembrava il caso di arrivare a Middleton Place con i capelli sparnazzati. -Will, hai finito di guardarti nel finestrino?- Tavington si voltò e incrociò lo sguardo esasperato di Mark Bordon, seduto davanti a lui. William e Mark erano amici da molti anni ormai, circa da quando entrambi si erano arruolati nei Dragoni. Tavington, con le sue straordinarie abilità militari, in un paio di anni era riuscito a diventare Colonnello, mentre Bordon aveva raggiunto il grado di Maggiore. Non che a Bordon questo desse fastidio: era una di quelle persone più adatte ad essere comandate che a comandare. Era l'unico di cui Tavington si fidasse veramente, ed in effetti era il suo unico amico, mentre Bordon andava più o meno d'accordo con tutti. Lui e Tavington avevano gli stessi punti di vista su molte cose: entrambi ritenevano i generali due imbecilli e i ribelli degli inutili contadini, ma a parte questo era difficile trovare altre somiglianze tra i due. Tavington era molto riservato e freddo: era raro che rivolgesse la parola a qualcuno che non fosse Bordon, e tutti, soprattutto i soldati più giovani, lo trattavano con rispetto e timore reverenziale. Bordon invece era più aperto ed espansivo: era di origini irlandesi e veniva da una famiglia di ceto medio interamente composta da donne. Suo padre aveva abbandonato sua madre quando lui aveva solo due anni, e quindi era stato cresciuto dalle cinque sorelle maggiori e dalla madre. Questo fatto lo aveva influenzato molto sul suo carattere: non che fosse omosessuale -- anzi, era piuttosto popolare tra le prostitute, che gli avevano addirittura affibbiato il soprannome di "Bordy"-- ma vedeva le donne in modo molto diverso da come le vedeva Tavington: il colonnello le riteneva dei buoni passatempi, dei discreti rimedi per lo stress e la noia, delle disgrazie per il portafoglio; Bordon le vedeva come delle fonti d'ispirazione, delle maestre di vita, delle ottime risolutrici dei problemi, e anche delle persone più deboli da confortare e divertire con la propria "virilità". Tuttavia, nonostante queste divergenze piuttosto consistenti, Bordon e Tavington non avevano avuto difficoltà a trovarsi d'accordo, fin dai primi tempi. Ormai entrambi avevano dimenticato da quanti anni si conoscessero, e davano per scontato ognuno l'appoggio dell'altro in qualsiasi situazione. Ma quella sera Tavington non si sentiva particolarmente incline a scherzare o ridere con Bordon, soprattutto dopo quello che gli aveva appena detto. -Problemi?- gli chiese, piuttosto scorbuticamente. Bordon alzò gli occhi mentre la carrozza dava in un piccolo sobbalzo. -Ci risiamo- disse -Sei di nuovo in crisi- -Non sono in crisi- ribattè Tavington, distogliendo lo sguardo -Non sono affatto in crisi- -Continui a ripeterlo- osservò Bordon -Quindi sei in crisi- -Non sono in...- S'interruppe e Bordon inaugurò un'espressione soddisfatta che gli diede molto sui nervi. -Come mai così felice, tu?- disse, cambiando argomento -Ti sei dimenticato che stiamo andando ad un ballo?- -Ah, che mi importa- rispose Bordon -Tra un paio d'ore sarà già finito- -E si tornerà al forte- disse Tavington -A dormire. Per poi essere svegliati all'alba e andare dove? A dare la caccia a dei fottuti ribelli... di nuovo- -Su... in fondo hai scelto tu di essere qui- disse Bordon con grande buonsenso -E sei anche colonnello. Il che significa che non fai proprio schifo, no?- Tavington sbuffò impaziente: -Certo che non faccio schifo. E' questa guerra di merda che fa schifo. Dopo sei anni trascorsi a correre dietro a mucchi di contadini in rivolta sto incominciando a rompermi- Bordon rise: -Troppo vero. A proposito... credo che domani dovremo andare ad una piantagione, a fare visita ad un certo... boh, non mi ricordo come si chiama- Tavington sbuffò con impazienza: -E perché?- -Mah, ho sentito di una battaglia... una scaramuccia, quelle cose lì. Pare che si sia svolta nei dintorni di una piantagione a est di Black Swamp. Il Generale vuole che andiamo a controllare in che condizioni sono i nostri feriti, perché probabilmente si rifugeranno alla fattoria più vicina- Tavington alzò le sopracciglia: -Bene. Ho una certa voglia di fare fuori qualcuno- Bordon lo guardò senza dire nulla. Sperò che il colonnello non intendesse donne o bambini, in quel "qualcuno". Troppe volte era dovuto stare a guardare senza fare nulla mentre lui sparava a bambini innocenti... troppe volte avrebbe voluto fare qualcosa ma non aveva potuto, semplicemente perché il suo grado non glielo consentiva... troppe volte era dovuto stare in silenzio, troppe volte gli era stato impedito di raccontare tutto ai generali... Bordon odiava trovarsi in quelle situazioni nelle quali non approvava ciò che faceva Tavington ma non se la sentiva di fare nulla per cambiarlo o impedirlo. Sapeva che in fondo, molto in fondo, Tavington era una brava persona, ma doveva esserci in lui qualcosa che lo spingeva a fare ciò che faceva. Bordon ancora non aveva idea di cosa si trattasse. Eppure era così strano vedere quella trasformazione in lui, vederlo prima ridere, scherzare, giocare a carte, parlare da persona civile, e poi, l'attimo dopo, vederlo puntare la pistola alla testa di ragazzine di undici anni, vederlo minacciare, mutilare i ribelli... Bordon preferiva non pensarci, preferiva dimenticare... preferiva fingere di non essere lì, fingere di non potere fare nulla. Non voleva mettersi in mezzo. Anche se a volte era difficile, molto difficile. La carrozza diede in un altro sobbalzo, e Bordon si scosse dalle sue riflessioni. Alzò lo sguardo verso William. Era tornato a guardare fuori dal finestrino. Bordon sapeva che in realtà si stava specchiando. Ciò lo fece sorridere. Era incredibile quanto quell'uomo fosse vanitoso. Sempre impeccabile, sempre in ordine, sempre sicuro al cento per cento di quello che faceva... Bordon avrebbe potuto uccidere per avere un briciolo della sua sicurezza, del suo fascino, del suo bell'aspetto. Non si stupiva che avesse un tale effetto sulle donne. Quante volte aveva sentito ragazze e donne di qualsiasi età bisbigliare di lui, su quanto fosse forte, su quanto fosse fascinoso, su quanto fosse sexy e via dicendo. Bordon sospirò. Magari dicessero le stesse cose su di me!, pensò, pieno di invidia. Probabilmente William non era neppure consapevole di tutte quelle voci. Se lo avesse saputo, se avesse anche solo immaginato quante e quali donne erano pronte a gettarsi ai suoi piedi, non sarebbe stato ancora solo, riflettè Bordon. Ma magari era questo quello di cui lui aveva bisogno. Una donna. Una donna fissa, non una da cambiare ogni notte. Chissà se ci aveva mai pensato. -Will, hai mai pensato di sposarti?- chiese d'impulso. Gli occhi di Tavington si staccarono dal finestrino e incontrarono i suoi ancora una volta. -Come?- -Credo che sia questo ciò di cui hai bisogno- ribattè Bordon, sempre più convinto -Una donna- Tavington sorrise: -Ne ho più di una- -Appunto- disse Bordon -Ti serve una moglie, Tav. Non dirmi che non ci hai mai pensato su- Tavington rimase in silenzio e tornò a guardare il suo riflesso nel finestrino. Bordon scoppiò a ridere: -Non riesco a crederci! William Tavington, in trentasei anni di vita, non ha mai pensato alla presenza di una donna nella sua vita! Ma sei pazzo?- Tavington alzò un sopracciglio con aria scettica: -A che mi serve una donna sola?- Bordon corrugò la fronte: -A che ti serve? Vecchio mio, sarà ora che ti dai una svegliata!- Tavington si strinse nelle spalle: -Non dire sciocchezze. Le donne sono inutili- -E invece io credo che una donna potrebbe aiutarti a superare questa crisi- -Le donne non servono a niente- ribattè -Sono solo in giro per soddisfare gli uomini- Bordon lo guardò, poco convinto. -E comunque non sono in crisi- concluse Tavington, rivolgendo lo sguardo verso il finestrino per l'ennesima volta. Bordon alzò gli occhi al cielo e rinunciò ad andare avanti con la discussione.

Dieci minuti dopo la carrozza si fermò e Tavington e Bordon scesero sul terreno ghiaioso. Tavington si sistemò le maniche con noncuranza, guardandosi intorno pigramente. Lui e Bordon percorsero il familiare giardino lussureggiante della tenuta dei Middleton, e si avviarono verso il palazzo. Gli ospiti erano gli stessi di sempre: l'immagine vivente della nobiltà inglese, la crema della società delle colonie, quei ricchi signori che, con le loro prestigiose famiglie, avevano deciso di cambiare aria e iniziare una nuova vita altrove, nel "nuovo mondo" dove c'erano più possibilità per tutti, dove le materie prime si trovavano ovunque, dove avviare un'impresa era un gioco da ragazzi... e invece avevano trovato la guerra. Bravi idioti. Tavington fece vagare il suo sguardo con scarsa sopportazione sulla folla di nobili; tutti uguali... la massima differenza che c'era tra loro era probabilmente il colore dei parrucchini... diamine, bisognava proprio essere intraprendenti per scegliere di portare un parrucchino grigio invece che bianco... Tavington sbuffò. Era appena entrato, vero? Gli sembrava di essere già lì dentro da mesi interi. -Vado a mangiare- lo informò Bordon, vedendo Lord Cornwallis e il Generale O'Hara venire verso di loro. -Vengo con te- disse Tavington in fretta, voltandosi di scatto verso il buffet. Non venite verso di me... lasciatemi in pace... -Colonnello Tavington!- Tavington si fermò e chiuse gli occhi quando sentì la voce di Cornwallis chiamarlo alle spalle. Fece un respiro profondo e si voltò. Lord Cornwallis avanzava verso di lui, seguito a ruota da O'Hara e da un altro uomo dal viso rubicondo che Tavington non conosceva. Lord Cornwallis gli fece cenno di unirsi a loro e Tavington ubbidì, maledicendolo mentalmente. -Colonnello Tavington, che... ehm... piacere avervi qui. Non mi sarei mai aspettato di vedervi, in effetti- Tavington assunse un'espressione di falsa perplessità: -My Lord... spiacente ma non capisco di cosa stiate parlando- -Il che mi sorprende, colonnello. Il Generale O'Hara mi stava giusto facendo notare che agli ultimi... diciamo...- -Undici balli, My Lord- gli venne in aiuto O'Hara in tono viscido. -Esattamente. Pare proprio che agli ultimi undici balli siate mancato. Eppure mi era sembrato di essere stato chiaro riguardo al fatto che è necessario partecipare a queste feste, incontrare la nobiltà...- abbassò la voce e disse, molto più serio e seccato -Soprattutto per voi che continuate a peggiorare la vostra già pessima reputazione con i vostri modi inopportuni e ignobili- Lord Cornwallis si ricompose e disse, continuandolo a scrutarlo con quegli occhi piccoli e porcini: -Vi converrebbe venire più spesso- Tavington alzò un sopracciglio e non rispose. Se avesse aperto bocca sarebbe stato impossibile trattenere la furiosa invettiva con la quale avrebbe tanto voluto insultare Cornwallis. -Comunque, cambiando argomento- disse Cornwallis con un'ombra di sorriso -Mi farebbe piacere presentarvi il Barone Honey, non credo che l'abbiate mai conosciuto prima- -Colonnello- disse il barone, stringendogli la mano -Posso complimentarvi con voi per la vittoria di Charlestown?- Tavington stava per aprire bocca compiaciuto quando O'Hara lo precedette: -Effetivamente no, Barone Honey. La vittoria è dovuta più alle giubbe rosse, se mi è concesso. Anzi, è stato per pura fortuna che l'intervento prematuro del Colonnello Tavington non mandasse a monte tutto- -Mi dico d'accordo- intervenì Lord Cornwallis -A quanto pare sta diventando una sorta di vizio, il vostro, Colonnello, non è così? Non è la prima volta che il dettagliato piano di battaglia premeditato dal consiglio di guerra viene sconvolto da un intervento non previsto... il vostro, tanto per cambiare- Tavington lanciò un'occhiata di fuoco a O'Hara, che lo guardava soddisfatto. Decise di non ribattere, non in presenza del barone e del Generale, almeno. Cadde un silenzio molto spiacevole. -In ogni caso- riprese Lord Cornwallis, il sorriso magicamente tornato sulle labbra -Questo è un ballo, se non erro. Non dovremo discutere di guerra e simili- -Questo è parlare- disse il barone -Anche mia figlia odia i discorsi di guerra. Ma, d'altro canto si sa, le donne non sono portate per questo genere di cose- -Proprio no- annuì il Generale O'Hara -A proposito di vostra figlia, barone... perdonate la mia sbadataggine, ma credo di non averla veduta, stasera- Il Barone Honey sospirò: -Ah generale, non chiedetemi dove sparisca quella ragazza. Ogni volta trova un modo nuovo per sgattaiolare via, e appena mi giro verso di lei non c'è già più!- -E' una fanciulla straordinaria- disse O'Hara, gli occhi che brillavano -Davvero un fiore di rara bellezza... barone, perdonate la mia sollecitudine, ma mi domandavo se avesse già preso quella decisione a proposito di...- -Con permesso- disse Tavington con voce soffusa, allontanandosi dal gruppo. Era straordinario l'effetto soporifero che i discorsi dei generali avevano su di lui. Sentiva che se non avesse bevuto un sorso di vino immediatamente sarebbe crollato per terra, profondamente addormentato. Probabilmente l'unico motivo per il quale ancora non era successo era che il fuoco di rabbia che O'Hara aveva destato in lui bruciava ancora, gli faceva male. Non poteva trattarlo così. Si avvicinò al buffet, prese un bicchiere e se lo portò velocemente alle labbra. Ahh, ecco. Così andava meglio. Gli sembrava di non sentire più neanche quella stupida orchestra che continuava imperterrita a suonare, procurandogli un mal di testa tremendo. Si voltò e vide che non stava più suonando, in realtà. Tutti battevano le mani. Doveva essere finita la prima ballata. Tavington fece scorrere lo sguardo tutt'intorno e vide che Bordon si stava tuffando in un piatto di tramezzini, del tutto incurante del fatto che un paio di donne niente male lo stavano guardando bisbigliando tra loro eccitate. Tavington si versò altro vino chiedendosi cosa mai ci trovassero quelle due in uno come Bordon. I minuti passarono, l'orchestra continuava a suonare. Tavington non si muoveva dal tavolo dei vini. Circa due ore dopo, sentì di avere ancora sete e si versò altro vino. Era sul punto di bere quando udì qualcosa. Si fermò e si guardò in giro confuso. Era una musica. Una melodia straordinaria, suonata da un piano. Una musica strana... La musica più bella che avesse mai udito. Lanciò un'occhiata all'orchestra, incredulo che finalmente suonassero qualcosa di decente, ma non c'era neanche un pianoforte sul palco. Solo violini, violoncelli, strumenti a fiato... no, e poi non proveniva da lì, ma dalla parte opposta. Tavington si voltò e vide un piccolo corridoio sulla parete alla sua sinistra. Nessuno, di quelli attorno a lui, sembrava averla sentita. Probabilmente perché lui era il più vicino all'imboccatura del corridoio. Senza pensare, con il bicchiere pieno ancora in mano, prese a camminare in quella direzione. La musica raggiungeva ancora i suoi timpani, incantandolo... era angelica, stranissima nella sua bellezza, ma assolutamente delicata e incredibile. La curiosità cresceva in lui mentre continuava a seguirla, passo dopo passo... non sapeva dove lo stava conducendo, ma voleva disperatamente sentirla più da vicino... Giunse alla fine del corridoio. Sulla sua destra c'era una porta socchiusa. Il suono proveniva da lì. Tavington appoggiò la mano sulla maniglia. Non poteva saperlo, ma la sua vita stava per cambiare. Tavington spinse delicatamente la porta, che si aprì senza far rumore. Mosse un passo all'interno e vide chi stava suonando. Mille pensieri gli attraversarono la mente, troppo veloci per poterli focalizzare tutti. Per un attimo credette che gli fosse successo qualcosa. Qualcuno gli aveva sparato, forse (eppure non aveva udito spari); magari il troppo alcool alla fine lo aveva ucciso (eppure era solo al secondo bicchiere)... perché semplicemente non poteva essere ancora vivo. Quello seduto al pianoforte doveva essere il suo angelo che lo era venuto a prendere. Era una ragazza, una donna molto giovane. Teneva gli occhi chiusi, era immersa nella sua musica. Ma non poteva essere reale, non poteva essere vera. Non poteva, semplicemente non poteva una creatura tanto angelica fare parte di un mondo sporco e inutile come questo... doveva venire da lassù, doveva essere figlia del cielo. I capelli castani le ricadevano sulle spalle, tirati indietro solo in parte, in modo che le lasciassero scoperto il viso. La sua pelle era chiara, rosata... le labbra sottili e colorate, le guance innocenti e liscissime... Indossava un abito color lavanda, che le fasciava il corpo sinuoso e giovane. Tavington impiegò qualche secondo a tornare in sé. La musica che la ragazza suonava penetrò in lui progressivamente, rendendolo schiavo delle note, delle armonie, e di quella melodia... così arcana, surreale, ultraterrena... più vissuta che suonata... La musica cessò. Il mondo crollò. Tavington aprì gli occhi con la sensazione di essersi appena svegliato dal sogno più meraviglioso che avesse mai fatto. La ragazza lo stava guardando con curiosità. Aveva due occhi color dell'ambra, che luccicavano come quelli di una bambina. In effetti c'erano molto di fanciullesco in lei, nel suo sguardo, nel suo viso. -Salve- gli disse, sorridendo -Vi manda mio padre?- -No- rispose Tavington, chiedendosi cosa ci faceva lì, a parlare con questa strana ragazza. Lei osservò con interesse la sua divisa: -Siete un... Dragone?- Tavington annuì. Si accorse di avere ancora il bicchiere in mano e si sentì in qualche modo stupido. Decise che era il momento di fare le presentazioni. -Sono il Colonnello William Tavington- disse, facendo qualche passo avanti verso di lei. Lei si alzò dal piano e gli porse la mano: -Karen Honey- Le sfiorò la mano con le labbra, chiudendo gli occhi. Avrebbe voluto non separarsi più da quella pelle così liscia e profumata... William, vecchio mio... datti da fare. La guardò con lo sguardo più accattivante che gli riuscì. I suoi occhi azzurri brillarono nella luce del lampadario di cristallo. -Conoscete mio padre, colonnello?- domandò lei, guardandolo molto intensamente. La sua voce era bassa, quasi sensuale. Senza quasi. Era decisamente sensuale. Stava cercando di sedurlo? Il modo in cui aveva detto "colonnello"... -Il Barone Honey...- disse lui, continuando a fissarla. Era una sua impressione o erano vicini, molto vicini? -Già, proprio lui- annuì Karen, senza staccare gli occhi dai suoi. Come faceva ad avere quell'aria da bambina e allo stesso tempo essere così tremendamente, irreparabilmente intrigante? Erano vicinissimi, si stavano attirando reciprocamente... Quanto scommettiamo che nel giro di tre secondi ci ritroviamo nel famoso sgabuzzino delle scope?, pensò Tavington con una certa soddisfazione. Lei lo stava eccitando, e la cosa più eccitante era che lei non sapeva di farlo, Tavington lo leggeva nei suoi occhi. Era così ingenua. Era difficile credere che sapesse persino come nascono i bambini... Te lo insegnerò io, tesoro, non ti preoccupare... Stava giusto per domandarle se le andava di fare una passeggiata sola con lui quando lei divenne troppo vicina. Le labbra di lei furono sulle sue prima che lui potesse fare o dire qualunque cosa. Le sue braccia si aggrapparono al collo di lui e lo abbracciarono. Le labbra di lei si strinsero sulla sua bocca, coinvolgendolo in un bacio che lui non rifiutò, nonostante fosse sorpreso. Il bicchiere che teneva in mano cadde e si frantumò a terra. Nessuno dei due ci fece caso, perché il bacio continuava. Era leggero, innocente... Tavington sentiva il suo desiderio per lei crescere, diventare insopportabile. Lei si staccò da lui dopo quello che parve un attimo. Sorrise con ingenuità. -Avete un buon profumo, colonnello- gli disse, continuando a sorridere. Tavington era perplesso. Qualcosa non andava. Di solito era lui che faceva la prima mossa, oppure era la ragazza che lo pregava di baciarla o cose del genere. Questa gli suonava del tutto nuova. Ma gli piaceva. Se non me la porto a letto entro mezzo secondo lo facciamo sul pianoforte, si disse, continuando a guardarla con occhi famelici. -Tutto bene?- domandò lei. Tavington decise che era il momento giusto per introdurre la questione. -Miss Honey... vi andrebbe di venirmi a trovare, stanotte... dopo il ballo?- disse con un'occhiata maliziosa. Era talmente sicuro che lei gli avrebbe risposto subito sì, che lo avrebbe baciato di nuovo, o che gli avrebbe rivolto un'occhiata svenevole, che rimase di stucco quando lei scoppiò a ridere. La guardò perplesso. Ancora una volta le cose non stavano andando secondo i suoi piani. -Non so neppure dove abitate- rispose lei -E comunque dubito che mio padre mi lasci uscire- -Potreste andarvene di nascosto- suggerì Tavington, un leggero ghigno sulle labbra -Fatelo per me- No, non può resistere a questo... Lei sorrise: -E voi cosa fareste per me?- -Bè, lo saprete stanotte, se verrete - disse Tavington sorridendo. -Non credo che venire a letto con voi sia una buona idea- disse lei, scuotendo la testa. -Perché no?- domandò Tavington, che cominciava ad arrabbiarsi. Era solo una donna, in fondo... come poteva trattarlo così? Lei lo guardò stupita, facendo caso alla nota di rabbia nella sua voce: -Non c'è bisogno di arrabbiarsi- disse -E' così importante per voi? Mi conoscete appena- -L'ho fatto con donne che conoscevo molto meno- ribattè Tavington -Donne alle quali bastava che rivolgessi uno sguardo- Karen scoppiò a ridere: -Donne molto diverse da me, allora- Tavington avanzò verso di lei con fare minaccioso: -Sapete, magari non è necessario il vostro consenso...- Lei non smise di sorridere: -Non credo che voi siate così stupido da minacciarmi, colonnello. Non con la sala da ballo a pochi metri da noi, almeno- Tavington le sfiorò il viso con una mano, continuando a fissarla: -La musica è molto alta... dubito che qualcuno riuscirebbe a sentire le vostre grida- Karen non sembrava molto impressionata. Non staccò gli occhi dai suoi neppure per un attimo. -Sto tremando di... paura- sussurrò, un leggero sorriso ancora sulle labbra. Tavington la circondò con le braccia: -Forse dovreste- Lei scoppiò a ridere e sgusciò via dal suo abbraccio. Tavington fece per afferrarle il polso, quando udì dei passi nel corridoio. Lui e Karen si voltarono giusto in tempo per vedere il Generale O'Hara, il Generale Cornwallis e il Barone Honey apparire sulla soglia della stanza. Nessuno dei tre sembrava aver notato nulla, perché il Barone Honey disse, sorridendo: -Eccola qui, generale. Non era molto difficile indovinare dove fosse andata, in effetti- disse, accennando a Karen. Lei sorrise ai tre: -Buonasera, Generali. Salve, padre. Stavo giusto facendo conoscenza con il Colonnello Tavington- disse, lanciando un'occhiata al colonnello. Il sorriso di O'Hara si gelò nonappena vide che nella stanza c'era anche Tavington. -E di cosa parlavate, di grazia?- chiese, rigido come un manico di scopa. Tavington e Karen si scambiarono un'occhiata. Tavington provò una fitta al cuore. Ecco, era fatta. Ci mancava solo questa. E se Karen avesse detto che lui la stava minacciando? -Parlavamo...- disse Karen -di... di...- -... di musica- le venne in aiuto Tavington, ringraziando il cielo che lei non avesse avuto la tentazione di dire la verità. Rivolse il suo sguardo al barone e disse, con un sorriso: -Vostra figlia è molto colta sull'argomento, barone- Il Barone Honey sorrise soddisfatto, ma O'Hara si schiarì la gola. -Non per sminuire la signorina Honey, ma se fossi in voi, miss, non prenderei molto in considerazione il complimento di uno che di musica ne capisce ancor meno che di guerra- Cadde il solito silenzio imbarazzato, che seguiva sempre una delle dichiarazioni di O'Hara. Tavington lo guardò con rabbia. Non sapeva dire perché, ma le frecciatine del generale lo innervosivano ancora di più, in quel momento. Qualcosa in lui gli diceva che era la presenza di Karen a fargli quell'effetto, ma lui non voleva crederci. Preferì non dare ascolto alle idiozie, e concentrarsi nel guardare O'Hara con tutta la rabbia che gli riusciva. -Se permettete, Generale, devo darvi torto- intervenne Karen -Il Colonnello Tavington ha dimostrato invece un'ottima conoscenza dei compositori dell'ultimo secolo. E' un autentico esperto nella materia- Tavington si voltò verso Karen, senza credere alle proprie orecchie. Adesso lo stava anche difendendo... ? Fu il turno di O'Hara di guardare Tavington con odio. Tavington gli rispose con un'occhiata di trionfo. Il Barone Honey ruppe il silenzio ancora una volta: -Sono felice che tu abbia conosciuto il colonnello, cara. Ora, signori, credo proprio che sia tempo per me di andare. Domattina dovrò svegliarmi presto per svolgere alcune commissioni, quindi se volete scusarci...- -Certamente, barone- rispose Cornwallis elegantemente -Grazie per la vostra presenza- -Di nulla, di nulla- rispose il barone -Vieni, cara?- disse, rivolgendosi a Karen. -Sì, padre- rispose lei -My Lord Cornwallis... buon proseguimento della serata- -Permettete che vi auguri la buonanotte, milady?- si fece avanti O'Hara pomposamente, prendendole la mano e baciandola. -Altrettanto, Generale- rispose lei, sorridendo gentilmente. Infine si voltò verso Tavington. -Colonnello... è stato un piacere fare la vostra conoscenza- disse, porgendogli la mano. Tavington le sfiorò il palmo con le labbra e disse, lanciandole un'occhiata maliziosa: -Il piacere è stato mio- Lei gli lanciò un'occhiata ammiccante e seguì suo padre fuori dalla stanza. Cornwallis si rivolse a O'Hara: -E' una splendida ragazza. Vi faccio gli auguri per ottenere la sua mano- -Grazie, My Lord- rispose O'Hara con falsa modestia. Lanciò un'occhiata di disgusto a Tavington ed uscì nel corridoio insieme a Cornwallis. Tavington attese qualche minuto per essere sicuro che i due generali fossero molto più avanti di lui, quindi tornò nella sala da ballo. La festa era quasi terminata, ormai. I suonatori stavano ricevendo gli ultimi applausi; qualcuno di loro stava già riponendo gli strumenti. Tavington cercò con lo sguardo Bordon e poco dopo lo individuò. Si aggrappava a un altro paio di Dragoni e stava ridendo a crepapelle. -Che succede?- domandò Tavington, tornato al suo tono autoritario. -Yuhu!!!!!!!- rise Bordon, paonazzo in volto -Ancora vino, Tav! Cerca una bottiglia!- Uno dei Dragoni che lo sorreggeva rispose: -Credo che abbia esagerato con i drink, signore- -Caricatelo su una carrozza- ordinò Tavington. -Sissignore- risposero quelli. Tavington uscì nell'aria gelida della notte e iniziò a percorrere il giardino verso le carrozze. Ne occupò una da solo e appoggiò la testa al finestrino nonappena iniziò a muoversi. Si sentiva molto stanco, ma in qualche modo diverso da come si era sentito nel viaggio di andata. C'era un sentimento nuovo dentro di lui, e sentiva che, qualunque cosa fosse, era legato a Karen Honey. Era la prima donna che lui non fosse riuscito a capire in tutta la sua vita. Prima lo guardava con occhi che lo invitavano a fare la prima mossa, poi la faceva lei. E quando lui le aveva chiesto se voleva passare da lui dopo il ballo, lei era scoppiata a ridere. Si sentiva perplesso, confuso. Non riusciva a capirla. Ma, d'altra parte, che importanza aveva? Era solo una donna... lui doveva pensare al suo lavoro, doveva pensare alla guerra... E non aveva difficoltà a distogliere la sua mente da lei. Non aveva problemi. No, era facile... Che cosa gli volevano dire i suoi occhi? Sembrava così ingenua... ma allora perché lo intrigava così?? No... non lo intrigava. Non più delle puttane del campo, almeno. Voleva solo portarsela a letto... era molto, molto bella... Ricordò la sua musica, il modo sicuro e scorrevole in cui le sue dita volavano sul piano... Era facile non pensare a lei. Non c'era niente di più semplice.