La fuga: Bellatrix

"Cosa ne faccio dei cadaveri, mio Signore?"

"Seppelliscili fuori, e lasciami solo e in silenzio, devo pensare."

Erano state solo queste le sue parole, ed era stata solo quella la mia domanda.

Dopo di che, ero rimasta sola.

Ancora tremante e confusa, sono tornata ad afferrare la mia bacchetta quasi nuova, quella con cui avevo già eliminato tanti nemici durante la battaglia di Hogwarts, e con la quale avevo ucciso, poco prima, quella famiglia, o gruppetto di Babbani.

Con un semplice incantesimo Levicorpus, ho sollevato in un colpo tutti e quattro i corpi morti e, letteralmente, li ho lanciati verso il giardino. Io mi sono incamminata lentamente subito dopo.

Solo fuori, nel buio, ho ricominciato a respirare normalmente, a far funzionare il cervello e frenare l'adrenalina che scorreva veloce come un fiume in piena nel mio corpo.

Mi sono guardata intorno guardinga: deserto.

Tutto intorno era deserto, o quasi.

Nella brughiera il vento soffiava e sibilava, ma non sentivo freddo. Ho seppellito i cadaveri dove la terra era morbida e resa porosa dalla pioggia, non è stato difficile coprire gli indizi e le tracce.

Solo dopo ho iniziato realmente a pensare, a ricordare e mettere insieme i vari avvenimenti che si erano susseguiti a ritmo incessante, quella stessa sera.

"Mio Signore … mio Signore …?" gli avevo quasi gridato poco prima, col cuore in gola e l'angoscia alle stelle, inginocchiata a fianco a lui, ancora privo di sensi.

Temevo di perderlo di nuovo.

Temevo che questa volta sarebbe potuta essere l'ultima.

Temevo e tremavo quasi.

Non era andata come avevamo sperato.

L'incantesimo contro il bambino sopravvissuto, il ragazzo dagli strani poteri straordinari, non era affatto andato come si pensava. Nonostante l'utilizzo della bacchetta di Sambuco.

Potter era steso a terra, esanime, questo sì, ma la stessa cosa valeva anche per il mio Signore.

E io percepivo il pericolo, l'allarme, la paura.

C'era silenzio attorno, i Mangiamorte bisbigliavano appena. Sarebbero stati pronti ad abbandonare il mio Signore da un momento all'altro. Di nuovo.

Io stavo sola in mezzo alla radura con lui, avrei desiderato solo abbracciarlo e chiamarlo forte.

Non l'avrei abbandonato, non io. Mai.

Stingevo coi pugni la terra sotto le mie mani, tanto che, anche in quel momento in cui ripensavo all'accaduto, potevo sentirne i granelli scuri di terra che mi erano rimasti attaccati alla pelle.

Poi, improvvisamente, il mio Signore ha aperto gli occhi. Il suo sguardo inconscio, che si andava a tramutare in furioso, con quell'inconfondibile colore rosso cupo, ha attraversato l'aria, l'oscurità, la mia mente.

Avrei voluto aiutarlo, proteggerlo, ho allungato la mia mano verso di lui e, improvvisamente, l'ha afferrata in una stretta violentissima, smaterializzandomi con lui in men che non si dica.

Da quell'istante non ho avuto più tempo di pensare, la sua stretta mi impediva quasi di respirare, siamo comparsi in questo luogo, a me totalmente sconosciuto, per un motivo altrettanto sconosciuto.

Ero ancora vicina a lui, potrei dire, quasi tra le sue braccia.

Ho incrociato i miei occhi coi suoi, nel buio "Mio Signore" ho esitato "perché …?"

Avrei desiderato non slacciarmi mai da quella sorta di abbraccio prepotente.

"Non capisci?" ha sibilato nervoso come risposta "qualcosa non va! Anzi, non va nulla come avrebbe dovuto."

Poi pensieroso, quasi rivolgendosi solo a se stesso, ha aggiunto "Dobbiamo rifare tutto da capo, ricominciare dal principio."

"Entriamo in questa torre disabitata, non voglio testimoni della nostra presenza."

Nell'istante esatto in cui avevamo finito di parlare, ormai all'interno della torre, alcuni Babbani del vicinato, o abitanti in quel luogo, hanno raggiunto la nostra postazione, gridando, impauriti e urtati dalla presenza di intrusi.

Non ho esitato ad ucciderli uno dopo l'altro, nell'esatto istante in cui si sono tutti palesati a me. Non volevo importunassero il mio Signore, avrebbe potuto essere ancora debole dopo lo scontro, non volevo mischiarmi a nessun altro quella notte.

Ho ucciso di nuovo senza pietà, come già avevo fatto svariate volte quella stessa notte. Il mio odio era cresciuto così tanto, insieme alla frustrazione per l'ennesima evidente sconfitta, che esplodeva ad ondate di folle violenza.

Senza per altro farmi sentire meglio purtroppo.

Solo la vicinanza del mio Signore mi rendeva entusiasta. Solo il suo perseverare ancora, senza sentirsi mai definitivamente sconfitto, mi dava la forza.

Tutti questi sentimenti contrastanti si dibattevano e combattevano dentro di me lasciandomi lentamente sempre più spossata.

Cominciavo comunque a ritrovare lucidità solo in quel momento, solo fuori, col vento fresco che accarezzava le mie guance accaldate.

Ho deciso di tornare dentro, ho deciso che dovevo capire alcune cose, non potevo davvero farne a meno. Cercavo il mio Signore nelle stanze buie e fredde di quel posto che pareva quasi disabitato.

Quando l'ho visto semi sdraiato sopra un divano polveroso, mi sono inginocchiata subito al suo fianco. Ritrovando quell'intimità speciale che avevo saputo creare in tanti mesi di vicinanza. In tante serate passate vicina a lui.

"Perché mi avete portata qui, mio Signore?" ho domandato nel pieno delle mie aspettative.

Lui si è rivolto a me quasi seccato, ma mi ha detto tutto.

"Per capire, per nasconderci. Ripartire al contrattacco. Non ricordi cosa ti ho detto? Avrei voluto te al mio fianco, per la battaglia finale" ha fatto una pausa per poi aggiungere "e per quanto mi riguarda, quella battaglia, non è ancora finita. Chiaro?"

Ho annuito. Ero piena di gioia nonostante tutta la situazione.

Gioia straripante, solo per quelle parole.

"Inoltre" ha aggiunto inaspettatamente all'improvviso, facendo una pausa e guardandomi attento in viso "noi due abbiamo un problema, ricordi?"