Episodio 1
"Dove diavolo sono?"
Questo fu il mio pensiero, appena mi svegliai. Sentivo freddo, e mi accorsi che ero in piedi. Aprii gli occhi, ma vidi solo il nero. Provai a muovermi, ma ero del tutto intorpidito. Non stavo respirando, mi sentivo soffocare. Avevo qualcosa in bocca, nella gola, fino ai polmoni. Provai a inspirare dal naso, ma non passava aria. Proprio quando iniziarono a bruciare i polmoni il tubo si sfilò viscidamente, cadendo ai miei piedi.
Vomitai il liquido che avevo dentro, mentre una luce arancione si accendeva. Mi girava ancora la testa. Ora non faceva tanto freddo, ma il pannello in vetro che avevo davanti era del tutto appannato, lasciava solo filtrare la tenue luce arancione. Le morse alle braccia si ritirarono, così come quelle alla nuca e alle gambe. Il portello si aprì e caddi in avanti sul pavimento impolverato. Allora ricordai. La guerra. Le bombe, i rifugi. La camere criogeniche. Adesso era tutto chiaro.
C'era stata una guerra. Stavolta quella vera, non quella dei videogiochi, non quella della televisione. Loro avevano lanciato le bombe. Atomiche, e anche di peggio. Ci eravamo rifugiati nei bunker, ci avevano dato degli ordini, delle istruzioni. Ora ricordavo. L'aria, non dovevo respirarla. La maschera… ma certo, la maschera. Strisciai fino alla cassa accanto alla mia bara di ghiaccio ed estrassi la maschera antigas. La infilai e tornai a respirare. Il filtro avrebbe retto ancora un po'. Ero ancora stordito. Respirai, appoggiato alla cassa. I miei vestiti erano fradici, ma non ci feci troppo caso. La luce passò dall'arancione al giallo, quindi tornò normale.
Ora potevo vedere benissimo la stanza. Camera criogenica B-21. La maschera era di quelle con due vetrini per gli occhi. Mi voltai verso le altre stazioni di congelamento. I miei amici erano là dentro. La prima che vidi era quella di Jung, alla mia destra. Il portello era aperto solo di pochi centimetri. Lui non ce l'aveva fatta. Era rimasto incastrato, il braccio, o quello che doveva essere il braccio, era ancora proteso in avanti. Provai a guardare il mio amico, ma era di un colore verdastro semidecomposto. Chiusi il portello, lasciandolo dentro. Gli altri non avevano subito sorti migliori. Alfredo si era artigliato la gola. Si erano create delle crepe sul vetro. L'aria omicida era entrata, svegliandolo dal freddo sonno e uccidendolo. C'erano altre due bare di ghiaccio, ma erano vuote. Eravamo in tre, quando venne dato l'ordine.
Gli ordini, già… ora dovevo solo seguire gli ordini. Il monitor della stanza era caduto a terra, si era infranto. Non potevo sapere quali erano gli ordini. Dovevo agire secondo il manuale. "Recuperare l'equipaggiamento dalla cassa". Tornai alla cassa. Mi tolsi i vestiti ed indossai quelli in lana. Erano di colore marrone e verde, come quelli dei militari. C'era anche uno zaino. Lo misi in spalla. Razioni di cibo in polvere. Purificatore d'acqua ed acqua. Un coltellino svizzero. Una pistola. Un colpo. Una torcia, un orologio. Presi tutto. "Organizzarsi con i compagni". Presi piuttosto anche il loro equipaggiamento: il cibo, l'acqua, i filtri delle maschere, vestiti di riserva, e soprattutto i colpi della pistola. Avevo cinque colpi, ora. Regolai la tacchetta del mio orologio con il filtro, cinque minuti rimanenti. Bene. "Radunarsi nella sala grande del rifugio". Dovevo aprire la porta della B-21.
Tirai la maniglia, ma quella mi rimase in mano. Si era staccata di netto. Il ferro era tutto arrugginito. Usai i miei vecchi vestiti per fare presa sul moncherino della maniglia e girai, fino a che non sentii lo scatto della serratura. Tirai. Buio assoluto. Un vento freddo mi attendeva sul corridoio. Mi sistemai la giacca ed agganciai la mia torcia. L'accesi, e illuminai il vuoto e triste corridoio. Alcune porte erano aperte, altre chiuse. Istintivamente voltai verso sinistra, per dirigermi verso la camera criogenica aperta più vicina. Non c'era nessuno. Il monitor era spento, le casse vuote. Così le altre camere. Proseguii verso la sala grande. Proprio alla fine del corridoio trovai la porta che cercavo. Aprii, la camera era vuota e buia. E grande. E spaventosa.
Tenendomi accanto al muro proseguii dietro alle file di sedie, fino a raggiungere il palchetto. Non c'era nessuno. Dietro al palchetto c'erano le casse con l'equipaggiamento di gruppo. Salii le scalette, e fui investito dal vento gelido. Il collo era scoperto, per cui incassai la testa nelle spalle e mi voltai verso le casse. Molte erano state aperte. Molte erano ancora chiuse. Dovevamo essere quasi mille persone, là dentro. Ero solo. Illuminai la mia cassa. B-21. La chiave… era nella mia camera, certo. Tornai indietro e recuperai la chiave. Gli unici suoni erano quelli dei miei passi, del mio respiro. Il tempo, il tempo del filtro, cazzo! Ero sotto di un minuto. Trattenni il fiato e tirai fuori uno filtro dallo zaino. Aprii le due valvole e sganciai quello vecchio. Rapidamente inserii quello nuovo, e richiusi le valvole. Resettai il timer, dieci minuti. Respirai profondamente, e ripresi a camminare. La chiave era arrugginita, così come la serratura, ma la cassa in ferro si aprì.
Materiale da uscita. Perfetto. Accetta. Accendino. Filtri da mezz'ora, con il tubo, cinque in tutto. Un arco in legno, ormai marcio. Presi comunque le dieci frecce. Altre razioni di cibo, altra acqua. Medicine. Ficcai tutto nello zaino. Ora era abbastanza pieno. Decisi di spostare la pistola in tasca, e infilai l'accetta nell'elastico dello zaino, al mio fianco. Sul fondo della cassa c'era un sacco a pelo, uno solo. E un contatore Geiger. Lo presi e lo accesi. Il livello di radiazioni all'interno della sala grande era a norma. Spensi l'apparecchio e me lo infilai in una delle tasche laterali dello zaino. Gli ordini, gli ordini…
"Seguire gli ordini del capo rifugio". Niente. "Dopo essersi organizzati, risalire il rifugio fino al livello di terra". Bene. Allora, il nostro piano era lo B. Dovevo risalire all' A e infine allo 0. Intanto il bunker scricchiolava nel vuoto. Mi incamminai verso gli ascensori, qualche centinaio di metri oltre la sala grande. Imboccai il corridoio e camminai, pensando. Trovai il primo cadavere proprio davanti agli ascensori. La maschera era tagliata, ma ad ucciderlo non era stata l'aria. Un buco gli si era aperto nel petto, almeno a giudicare dallo stato deteriorato del corpo. Lo zaino era vuoto. Presi comunque il filtro dalla maschera. Prima di salire sull'ascensore, tornai a pensare. Avevo capito dove ero, ma non 'quando' ero. Guardai l'orologio. Era fermo, segnava le dieci in punto. Si muoveva solo la tacchetta del cronometro. Ero sempre fissato con il tempo, io. La cosa mi fece stare male. Cercai di non vomitare, e salii nell'ascensore.
La luce si accese, forse funzionava ancora. Si avviò il ricircolo dell'aria, per cui ne approfittai per togliere la maschera. Mi sedetti e provai a respirare. Non successe niente. Finora l'ascensore era sicuro, almeno fino a quando non partì, sussultando. Il rumore era assordante, uno stridore dei catene e di ferro. Si fermò. Mi rimisi subito la maschera e feci ripartire il cronometro del filtro. La porta non si aprì. Afferrai le due maniglie d'emergenza e tirai con forza. Davanti a me avevo un muro di cemento. Dovevo salire manualmente. Aprii lo sportello del tettuccio, e mi issai con fatica. Illuminai con la torcia le scalette. Dovevo salire ancora per qualche buona decina di metri. Sistemai lo zaino e iniziai l'arrampicata. Dovevo andare entro tre minuti, il limite del filtro. Salii, con fatica, sentendo lo scricchiolare del ferro nel bunker, il ticchettio del mio orologio, gli scarponi sui pioli.
Due minuti. Potevo farcela. Continuai a salire, senza fermarmi. Raggiunsi il bordo di sospensione, e tirai per aprire il portellone. Mi gettai a terra sul piano A. Ripetei l'operazione di sostituzione del filtro, inserendo quello del cadavere. Di nuovo tre minuti, stando alla tacchetta. Decisi di esplorare rapidamente le stanze al piano A. Erano identiche a quelle del mio piano. Alcune erano aperte. Altre erano chiuse. C'era comunque il vento gelido. Non trovai nulla e nessuno. Tornai agli ascensori. Stavolta decisi di usare subito le scale. Aspettai lo scadere del consumo del filtro. Ne misi uno da dieci. Me ne rimanevano due da dieci e cinque da trenta minuti. Gli ascensori di salita erano un po' più a destra. Aprii subito lo sportello in alto e partii alla scalata. Stavolta ci misi un po' di più. Ero stanco.
Appena arrivai mi appoggiai a terra, respirando rumorosamente. Dovevo avere la zona intorno alla bocca umida, mi sentivo la maschera scivolare fastidiosamente. Appena mi rialzai diedi un' occhiata al corridoio. Lo ricordavo più pulito. "Radunarsi in prossimità dell'uscita". Il vento era più forte. Iniziai a camminare verso l'uscita, che si trovava a quasi un chilometro dagli ascensori. Il freddo si stava facendo sentire. Camminai per cinque minuti, sostituii il filtro e continuai a camminare. Sala grande. Nessuno. Niente. Salii la grande scalinata, e per la prima volta ebbi veramente paura. Il vento soffiava con forza, nel buio ferito soltanto dalla mia torcia, che illuminava le scale arrugginite. Appena salii imboccai il corridoio d'uscita. Il vento soffiava, e in lontananza mi sembrava di vedere qualcosa brillare. Camminai sempre più velocemente, attratto del quel bagliore, superando porte aperte e chiuse. Iniziai a correre. La luce cresceva d'intensità e dimensioni. Raggiunsi la sala. Capii cos'era la luce. La Grande Porta era aperta. Stavo guardando il mondo. Fissai il bianco per un buon minuto. "Uscire dal rifugio e seguire le istruzioni del capo rifugio". Mi chinai e sostituii il filtro. Mi rialzai e varcai la Porta.
