Feliciano non sapeva più cosa fare. Possibile che quell'ufficiale urlante non capisse che lui evidentemente non parlava tedesco? Feliciano ci riprovò, agitando ancora più in fretta la bandiera bianca che portava sempre con se per occasioni del genere e che sembrava del tutto inutile, quel giorno.
"Io non capisco! Kein Deutsch! Vorrei tanto risponderle ma non ho idea di cosa lei stia dicendo! Sprechen sie Italienisch? Englisch?"
Nemmeno quello parve funzionare. Il tedesco si mise solo a sbraitare più forte. Feliciano si fece piccolo sotto quell'assalto verbale e cercò di rannicchiarsi ancora di più. Era tutto così ingiusto! Lui voleva solo andare al mercato del paese a comprare della farina, ed era stato fermato da quel soldato tedesco urlante che sembrava incredibilmente arrabbiato per qualcosa e che non la smetteva di strillargli contro nella sua lingua sconosciuta. Ormai Feliciano era abituato ai tedeschi in giro per il paese, ma non aveva mai avuto a che fare con qualcosa del genere prima d'allora. Era terrorizzato.
"Mi dispiace!" gridò Feliciano mentre il tedesco s'infuriava sempre di più, la sua voce assordante. "Non so che cosa..." Il cuore gli si fermò nel petto quando il tedesco estrasse la pistola dalla fondina. Tutta la via e i campi circostanti parvero girarsi dalla loro parte. Ma il soldato non gli puntò contro la pistola – no, la sollevò sopra la sua testa e Feliciano ne vide l'impugnatura muoversi in fretta contro di lui. Chiuse gli occhi e si preparò al colpo. Che non venne. La voce di un altro tedesco raggiunse le sue orecchie e Feliciano s'arrischiò ad aprire un occhio per dare una sbirciata.
Il nuovo tedesco era alto, grande e biondo, e stava parlando con rabbia al soldato, tenendolo saldamente per un braccio. Sembrava come sbucato dal nulla. Feliciano guardò ad occhi aperti l'ufficiale biondo pronunciare ancora qualche rimprovero prima di lasciare la presa e congedare il soldato, che si affrettò a fare il saluto militare e a correre via. Feliciano, la bandiera bianca stretta in pugno, prese un profondo respiro e aspettò nervosamente di vedere cosa sarebbe successo a quel punto. L'ufficiale abbassò lo sguardo e iniziò a parlare in tedesco, ma si interruppe. Dopo alcuni momenti di tensione, gli chiese "Suppongo che non parli inglese?"
Feliciano fece un sospiro di sollievo. "Oh, grazie a Dio! Si, io parlo inglese! Quel soldato, continuava ad urlare e non sapevo cosa volesse, urlava davvero forte ed era così arrabbiato e spaventoso, e grazie mille per avergli impedito di colpirmi, e vuoi arrestarmi?"
Il tedesco sembrava un po' spiazzato. "Prego. No, non voglio arrestarti."
"Oh, bene!" Feliciano sorrise e l'ufficiale fece una pausa prima di continuare.
"Chiedo scusa per il suo comportamento. Voleva vedere i tuoi documenti."
"Oh" disse Feliciano, sforzandosi di ripescare un fascio di fogli dalla tasca posteriore. "Li ho qui, io..."
"No..." il tedesco alzò le mani, tenendolo aperte davanti a lui. "Va bene così, davvero. Stai... stai bene?"
Feliciano sorrise di nuovo. Questo era il tedesco più gentile che avesse mai incontrato, anche se aveva l'aria severa e non sorrideva. "Si, sto bene. Grazie"
L'altro annuì sovrappensiero. " Prego" rispose di nuovo. Feliciano rimase in attesa ma il tedesco non proseguì, limitandosi ad osservarlo con attenzione. Feliciano sentì il respirò accelerare mentre lo fissava a sua volta. Era come se l'ufficiale lo stesse perforando con lo sgaurdo. I suoi occhi erano la cosa più blu che Feliciano avesse mai visto.
"Perciò..." disse infine Feliciano, con la vaga impressione di aver rotto un incantesimo aprendo bocca. "... posso andare al mercato ora? Perchè dovrei comprare della farina e sono già in ritardo e non voglio che mio nonno si preoccupi."
Il tedesco batté più volte le palpebre e i suoi occhi finalmente guizzarono verso un punto al di là di Feliciano. "Prego." Gli fece cenno di passare.
"Grazie, soldato tedesco gentile!" Feliciano corse via, lungo la stretta stradina di campagna che portava al villaggio. Dopo qualche passo, senza sapere perchè, si voltò indietro a guardare. Il tedesco lo stava seguendo con gli occhi, ma si girò in fretta.
Feliciano stabilì che quello doveva essere il suo giorno fortunato. Dopo l'incidente con i soldati tedeschi, al mercato riuscì a procurarsi molta farina, e delle mele e persino un pochino di zucchero, un'impresa quasi impossibile da quando era iniziata la guerra. Feliciano corse allegramente fuori dal villaggio, salutando la gente del posto mentre passava, ed imboccò la via fangosa che portava alla sua piccola fattoria. Il sole del tardo pomeriggio gettava la sua calda luce dorata sulla strada, sugli alberi, sui vasti campi nudi e Feliciano mugolò fra sé e sé dalla felicità, facendo oscillare il cesto di verdure al suo fianco.
Amava la campagna in giornate come quelle. Quasi riusciva a dimenticare la costante presenza di tedeschi nel villaggio, quasi non sentiva l'eco delle bombe che esplodevano fra le montagne, quasi sorvolava sulla vista della carcassa carbonizzata del carrarmato sul ciglio della strada. C'era quasi pace. Durante il tragitto il ragazzo si domandò per quale ragione l'ufficiale tedesco avesse impedito al soldato di colpirlo, prima. Feliciano non aveva mai avuto molto a che fare con i tedeschi, cercando disperatamente di evitarli, ma suo nonno e suo fratello gli dicevano sempre che erano tutti sadici, crudeli e malvagi. Quell'ufficiale di sicuro non gli era sembrato crudele o malvagio. Feliciano non riusciva a smettere di chiedersi se l'avrebbe rivisto. Ma non avrebbe dovuto pensarci. Non avrebbe dovuto importargli. Allora perchè gli importava?
Feliciano prese il sentiero che portava alla porta principale e venne subito raggiunto dal suono delle risate e dei canti. Con un ampio sorriso corse dentro casa. Nel momento in cui entrò in cucina venne accolto da saluti festosi. Lovino, seduto su un tavolo al centro della sala, accompagnava con la chitarra il canto euforico dei rivoluzionari. Feliciano scoppiò a ridere... Lovino doveva essere già molto ubriaco. La stanza non era grande e sembrava ancora più piccola, piena com'era di ribelli in festa. Nonno Roma attraversò la sala e prese il cesto dal braccio di Feliciano prima di sostituirlo con una bottiglia di vino ed abbracciarlo. "Bentornato, Feliciano! Oh, hai trovato le mele e lo zucchero, bravo ragazzo!"
"Che succede, nonno?" chiese Feliciano, chiedendosi cosa si festeggiasse questa sera.
"Oggi è un bel giorno per un'Italia libera!"
Feliciano sapeva cosa volesse dire. Se l'era sentito ripetere più che a sufficienza ormai. "Qual'è il bottino oggi?"
"Un carico di munizioni venuto dalle montagne." Roma si girò e urlò alla sala. "Quelle che i tedeschi non utilizzeranno!"
La stanza risuonò ancora una volta di cori festosi. Feliciano applaudì con loro, ma questa volta senza molto entusiasmo. "Eravate in tanti? State tutti bene?"
"Le perdite sono state tutte dei tedeschi oggi." Roma afferrò la mano di Feliciano e la sollevò con la bottiglia di vino, in un brindisi. Bevve una lunga sorsata prima di lasciarla. "Tre autisti, sette guardie. Il tuo vecchio ne ha abbattuti tre da solo."
"Bravo nonno!" Feliciano bevve un sorso di vino e cercò di schiarirsi le idee in mezzo al frastuono di cori, risate e brindisi. Non ci aveva mai riflettuto sopra. Nonno diceva sempre che l'unico soldato tedesco buono era un soldato tedesco morto. Ma, Feliciano pensò all'improvviso, magari quei soldati che erano stati uccisi erano proprio come il tedesco che aveva incontrato per strada oggi. Era strano... Nonno gli aveva parlato tantissime volte di tutti i nemici che aveva ucciso e Feliciano non si era mai fatto problemi. Ma ora che il malvagio tedesco che gli avevano insegnato ad odiare aveva un volto...
"Forza, Feliciano, bevi e festeggia un'altra vittoria per la Resistenza!"
I partigiani esultanti ed euforici fecero un altro brindisi. Feliciano li conosceva tutti... paesani e contadini che si opponevano alla presenza militare dei tedeschi in Italia e si erano uniti per combatterli e sabotarli. Si riunivano spesso alla cascina dei Vargas o in una piccola taverna del paese, di solito per elaborare una missione o festeggiarne la riuscita. Loro appartenevano alla Resistenza, ed erano al momento fra le persone più ricercate in Italia. Bloccare i rifornimenti tedeschi, far esplodere auto e camionette, procurarsi informazioni importanti; i partigiani lavoravano incessantemente per sabotare gli sforzi dell'esercito tedesco in Italia. E quando celebravano, lo facevano con lo stesso trasporto ed entusiasmo.
Lovino accompagnò l'ultima strofa della canzone per poi saltare giù dal tavolo e circondare Feliciano con un braccio. "Ehi Feli!" Feliciano aveva ragione... Lovino aveva certamente già bevuto troppo vino. Era così felice e amichevole solo dopo qualche bicchiere e una vittoria schiacciante.
"Non eri coinvolto nell'operazione oggi, vero?" domandò Feliciano, tutto d'un tratto in pensiero. Era già abbastanza brutto che nonno andasse sempre a correre così tanti rischi e pericoli. Non voleva doversi preoccupare anche di suo fratello.
Lovino roteò gli occhi. "Magari." Si rivolse a Roma. "Quand'è che mi lascerai venire con te in una missione vera, nonno? Sono stufo di mettere bombe sulle macchine! Voglio vedere un po' d'azione!" Suo nonno rise soltanto e circondò Lovino con il braccio libero.
"Lo sai che non mi piace vedere i miei amati nipoti in pericolo" replicò, stringendoli entrambi a sé.
Feliciano scoppiò a ridere. Il nonno non aveva ragione di stare in ansia per lui. Feliciano era il primo ad ammettere di fare di tutto per tenersi sempre ben lontano dal pericolo. Contribuiva comunque alla lotta, di solito raccogliendo tutte le informazioni sui movimenti dei tedeschi nei dintorni che riusciva ad ottenere dagli abitanti della zona. Feliciano era grato al nonno per i suoi sforzi di tenerlo al sicuro, ma allo stesso tempo s'accorgeva di essere ancora trattato come un bambino a volte. Lovino al contrario smaniava per gettarsi il più vicino possibile al centro dell'azione, anche se il nonno continuava a ripetergli che lo scopo della resistenza era di farsi vedere il meno possibile e che i combattimenti faccia a faccia erano rari.
"La prossima volta, Lovino, te lo prometto." continuò Roma, sorridendo con allegria e arruffando i capelli a Lovino.
"Dici sempre così." brontolò Lovino, scostandogli la mano.
Roma si limitò a ridere e a prendergli la chitarra di mano. " Su con la vita Lovi. Stai allegro e canta con noi!" Roma strimpellò qualche nota a caso e, con una piroetta e un inchino alla sala, iniziò a suonare una melodia che tutti riconobbero subito. La folla eruppe in grida di apprezzamento. Quindi Roma attaccò una canzone che era diventata ormai familiare a tutti loro.
"Una mattina mi son svegliato
O bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
E ho trovato l'invasor."
I partigiani si unirono a lui. Lovino, ubriaco di vino ed euforia, parve subito dimenticare la sua irritazione e cominciò a ballare con una ragazza del posto. Feliciano non poté fare a meno di lasciarsi trascinare dall'entusiasmo. Bevve vino alla bottiglia e si unì al coro. Salutò con allegria molte persone che gli si avvicinarono per parlargli. Rise e fece festa e stette a sentire i racconti delle vittorie e poi fece chiasso assieme agli altri per ottenere il bis da nonno Roma. Ballò e fece brindisi e cantò quella canzone ancora e ancora fino all'ultimo verso, che tutti urlarono così forte da convincere Feliciano che persino al paese li avessero sentiti.
"E' questo il fiore del partigiano
o bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao!
E' questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!"
Quella notte, esausto, satollo e felice, Feliciano rimase sdraiato cercando di dormire nonostante il russare di Lovino nel letto accanto. Aveva trascorso la serata mangiando, bevendo, parlando e cantando inni ad un Italia libera con i partigiani del luogo. Ma quando chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno, l'ultima immagine a vagare nella sua mente fu quella di un ufficiale tedesco dai capelli biondi e gli occhi blu, in piedi sotto il sole, che lo guardava.
