La fine della guerra
Stagione 9, episodio 1
Scritto da Trinity Everett e da encantadaa
Tradotto da Alex (aka 47secondsofveritas su Tumblr)
Questa è un'opera di finzione a cura di scrittori, improvvisatisi sceneggiatori, che non hanno alcun legame professionale con il programma "Castle" del canale televisivo ABC. I personaggi riconoscibili sono di proprietà di Andrew Marlowe e dell'ABC. Nomi, luoghi ed eventi sono prodotti della fantasia degli autori o, se corrispondenti a realtà, usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone vere, vive o morte, negozi, società, eventi o locali è puramente casuale.
17 Maggio 2016
"Sapete, non dovrei essere così sorpreso che ci siano così tante persone prima delle otto del mattino, ma lo sono."
Ridendo all'unisono, Kevin Ryan e Javier Esposito diedero a Vikram dei colpetti sulle spalle e lo spinsero dentro il bar, mentre Lanie camminava dietro di loro. Non era assolutamente affollato; c'erano, sì e no, dodici persone sparpagliate qui e là – alcune con la valigia ai piedi e altre che sembravano trovarsi lì per riprendersi da una sbronza, bevendo altri alcolici. Eppure, l'ambiente era popolato quanto bastava, perché nessuno lanciasse più di un'occhiata ai nuovi arrivati.
"Benvenuto nella città che non dorme mai."
"Lo dici come se non vivessi qui da Settembre."
Ryan ed Esposito si scambiarono un'occhiata – quella era una conversazione che avrebbero avuto in un altro momento, quando, magari, non fossero stati così a corto di sonno e la polvere, che indicava lo scorrere del tempo, si fosse posata sulla faccenda di LokSat – prima di fare spallucce.
"Sì, beh, sarai qui da Settembre, ma non sei stato con noi e questa, amico mio, è una tradizione radicata nel tempo, che ripetiamo dopo ogni caso, indipendentemente dall'ora."
Accanto a Ryan, Esposito annuì. "Il mio partner ha ragione, amico. E visto che adesso fai parte della squadra, è ora che tu vi prenda parte."
"C'è una qualche stretta di mano segreta?" Chiese Vikram con voce strascicata, guardando Lanie per avere il suo supporto, ed il medico legale alzò gli occhi al cielo.
"Non fargli venire in mente strane idée, ti prego. Sarebbero capaci d'inventarsi delle regole apposite per chi fa parte del club e tutto il resto."
"Già," concordò Esposito, dandole una lieve gomitata. "Prima regola: mai prendersi gioco delle regole."
"O dei fondatori del club," aggiunse Ryan, guidando il gruppetto fino ad un tavolo disposto in mezzo a due panche vicino al fondo della stanza, mentre Esposito rimaneva indietro per prendere il primo giro di bevande.
Lanie alzò gli occhi al cielo, permettendo al corpo stanco di sprofondare sulla seduta in vinile malconcia. "Direi che voi due lo fate già per conto vostro, senza che io vi sia d'aiuto."
Ryan fece spallucce, facendosi cadere accanto a lei e rivolgendole un largo sorriso sbilenco. "Mai prendersi troppo sul serio. Regola numero due."
"Dovrei scrivermele?" Chiese Vikram, guardandosi in giro con occhi curiosi, mentre gli altri ridacchiavano. "Se lo facessi, diventerei segretario del club?"
"Che t'ho detto riguardo al fatto d'incoraggiarli?"
Alzando una spalla, Vikram s'accomodò. "Mi sto adeguando… Andando al bar alle otto del mattino, di martedì."
"Bravissimo. Visto? Stai già imparando."
"Avanti così!" Vikram alzò il pugno chiuso in segno di vittoria, prendendo il bicchiere di pinta che Esposito gli porse, non appena s'avvicinò al tavolo, e i suoi compagni risero, liberando il detective dal peso anche dei loro bicchieri.
Esposito si lasciò finalmente andare, facendo cadere la testa all'indietro contro il bordo in legno della panca. "Cavolo, che giornata."
Ryan sospirò, copiando la postura del proprio partner. "Già."
Quattro bicchieri vennero sollevati, ma solo da due si sorseggiò, perché Ryan ed Esposito si scambiarono una lunga occhiata.
"Non riesco proprio a credere-"
"Già," concordò Ryan, interrompendolo. "Già, nemmeno io."
Vikram guardò prima uno e poi l'altro. "È così che vi rilassate? Sembra, diciamo… Controproducente. Credevo che dovessimo divertirci. Celebrare."
Esposito l'osservò e scosse il capo, sorseggiando la birra lentamente. "Fa parte del processo. Si può passare ai festeggiamenti solo dopo aver rielaborato tutto, lasciandosi tutto alle spalle."
Vikram rivolse ad entrambi un cenno del capo. "Capito. Beh, sono qui per imparare come fate voi. Insegnatemi."
"Non farlo," l'avvertì Lanie, portandosi una mano al volto, quando Ryan ed Esposito si chinarono in avanti, impazienti di condividere i loro segreti. "L'hai fatto."
Due paia d'occhi spalancati si girarono verso di lei, per guardarla con finta innocenza. "L'ha chiesto lui, Lanie; è il minimo che possiamo fare."
"No, il minimo che potete fare è non inventarvi qualcosa per tormentare questo poveretto."
Esposito alzò una spalla, lanciando uno sguardo a Vikram. "Ti sembra stressato, Ryan?"
Kevin inclinò la testa, per studiare l'analista con occhio critico. "Mi sembra che stia bene."
Scuotendo la testa, Lanie diede un colpetto al tavolo. "Fammi uscire. Lascerò voi tre marmittoni in pace per alcuni minuti."
"Hey, la tua idea ci piace."
"Ovviamente. Ora spostati, Ryan, prima che sia costretta a sentire qualcosa su come tutte queste vostre stupidaggini contribuiscono alla vostra 'popolarità' tra il gentil sesso."
Esposito, portandosi il bicchiere alle labbra, rispose in tono altezzoso. "Io sono 'popolare', Lanie."
Nell'alzarsi in piedi, il medico legale riuscì solo a ridere. "Certo che sì. Certo. Infatti, stamattina tutte le ragazze si stanno mettendo in fila per te, Javier."
S'assicurò di dargli una pacca sulla spalla, mentre lo superava, rivolgendogli il solito atteggiamento accondiscendente.
Vikram guardò i due uomini con un gran sorriso in volto. "Allora, insegnami, sensei, e anche tu, sensei, insegnami. Perché, devo dirvelo, la fila per questo tizio," fece una pausa, puntandosi l'indice al petto. "È un po' troppo corta."
Entrambi gli uomini ridacchiarono, ma fu Esposito a rispondere. "Oh, non preoccuparti. Magari sarai stato eliminato dalla concorrenza in passato, ma adesso ci penseremo noi."
Quando Vikram rise di nuovo, solo un'altra voce s'unì a lui. Lanciando uno sguardo veloce al proprio compagno, infatti, Esposito vide che il sorriso divertito di Ryan era scomparso, per venire rimpiazzato da un'espressione lugubre, composta da labbra rivolte verso il basso e fronte corrugata.
"Cosa?" Chiese Esposito, girandosi verso Ryan. "Jenny? Il bambino?"
"Ah, no. È solo che… È stato eliminato in passato."
Le sopracciglia di Vikram si sollevarono di scatto. "Beh, non devi girare il coltello nella piaga."
"No. Non in quel senso. Stavo pensando a prima. A Caleb Brown e… A tu sai chi."
Esposito lo guardò con espressione fatua. Non lo stava seguendo per niente. "Cosa c'entrano loro?" Chiese.
"Perché ha voluto che il corpo venisse bruciato da qualche altra parte? Voleva sbarazzarsi di Brown, quindi perché ha ordinato ad un suo scagnozzo d'ucciderlo in macchina, quando aveva l'inceneritore qualche piano più giù?"
"Per dare sui nervi a Beckett? Per farle capire quant'era pericoloso e, quindi, intimarle di stargli lontano?"
"Già, è vero." Ryan si leccò le labbra, cercando, senza riuscirci, di liberarsi della tensione che sentiva alle spalle. "Ma questo tizio voleva coprire le proprie tracce a tutti i costi, giusto?"
Vikram annuì, trovandosi d'accordo. L'avevano visto tutti, fin dove s'era spinto.
"Allora uccidere Brown, bruciarne il cadavere, e lasciarlo dove i poliziotti potessero trovarlo, forse era l'opposto di quello che voleva fare in realtà."
"Cosa stai dicendo? Che non è finita? Che non è stato… Credi che ad uccidere Caleb Brown sia stato qualcun'altro?"
Ryan scosse la testa, passandosi una mano sul volto. "Non lo so. Qualcosa, però, non quadra."
"Scommetto che la prossima cosa che mi dirai è che il cadavere era una messa in scena."
Gli occhi di Ryan si spalancarono. "E se fosse così? Lanie, sei stata tu a controllare nei database, dopo aver fatto le analisi, ma forse è stato tutto alterato. L'abbiamo visto fare in passato. E se il corpo nell'auto fosse un piano alternativo? Come ha fatto Jerry Tyson che, poi, è scomparso?"
Esposito diede un'occhiata veloce alle persone attorno al tavolo: prima incrociò gli occhi di Lanie e poi quelli di Vikram. L'analista era pallido. "È possibile che l'abbia fatto? Che abbia inscenato la propria morte e ideato un piano per non farsi scoprire?"
"Stiamo parlando di LokSat, quindi tutto è possibile. Hanno alterato i miei dati una volta, perciò potrebbero aver alterato il DNA di Caleb Brown nei nostri database, prima ancora che iniziassimo a fare ricerche su di lui e nessuno se ne sarebbe accorto."
Stavano già muovendosi per uscire dalle panche, quando Esposito indicò Vikram. "Torna al distretto e scava a fondo per trovare tutto il possibile su Caleb Brown, Mason Wood, e tutte le persone con cui hanno lavorato. Ho bisogno d'identità false e delle abitazioni dove vivevano da piccoli, perché potrebbero essere diventate nascondigli. Ho bisogno di tutto."
Vikram annuì "Ci penso io."
"Io chiamo Beckett," annunciò Esposito, prendendo il cellulare dalla tasca della giacca.
"Io chiamo Castle." Ryan si portò il cellulare all'orecchio, seguendo Lanie fuori dal bar, fino in strada. "Dannazione. S'inserisce direttamente la segreteria. Deve avere il cellulare staccato."
Esposito scosse la testa. "Nemmeno Beckett risponde. Dobbiamo andare da loro."
Dopo aver chiamato un taxi, fece segno a Vikram di salire. "Chiamami non appena sai qualcosa. Non coinvolgere i federali, finché non sarai costretto a farlo."
L'analista annuì, salendo senza dire un'altra parola, e il taxi s'allontanò dal marciapiede, prima ancora che la portiera si fosse chiusa, lasciando gli altri a girarsi nella direzione del loft di Castle e Beckett, che si trovava a SoHo.
"Credi che li cercherà per far loro del male?" Chiese Lanie, inseguendolo, stando al passo con entrambi gli uomini.
"Credo che Castle e Beckett debbano sapere che potrebbe essere là fuori, e, dato che non rispondono, glielo diremo di persona."
Ryan annuì, trovandosi d'accordo senza alcuna esitazione. "Lanie, forse dovresti…"
"No no. Non se ne parla. Vengo anch'io, se credete che sono nei guai."
Senza rallentare il passo, i detective si scambiarono un'occhiata.
"Non sappiamo cosa potremmo trovarci davanti, Lanie. Potrebbe trattarsi di una brutta situazione."
"Oppure potrebbe trattarsi d'un falso allarme e Castle e Beckett saranno semplicemente a letto, ad ignorare il cellulare. Dopo la nottata che hanno avuto, non li biasimerei, se avessero bisogno d'un po' di pace e di tranquillità."
"Prova a richiamare," le ordinò Esposito, dopodiché fece cenno a Ryan di chiamare un taxi, mentre lui chiamava i rinforzi. In caso ce ne fosse bisogno. Dovevano assicurarsi che questa cosa di LokSat fosse finita, una volta per tutte, e l'avrebbero fatto adesso, che Castle e Beckett fossero a letto – svegli o addormentati – oppure no.
Per fare tutto questo, però, dovevano, prima, assicurarsi d'arrivare in tempo.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era il dolore, che le attraversava il corpo ad ondate, con una forza tale, da farla rabbrividire ogni volta che si sforzava di respirare.
Doveva continuare a respirare; non poteva permettere che finesse così. La vita di sua madre non era finita, perché lei giungesse a questo.
Doveva continuare a respirare.
Sentì un colpo di tosse provenire di fianco a sé. Castle. No, non anche lui…
Kate allungò la mano e lui gliela prese, stringendogliela in modo spaventosamente debole. "Kate," disse lui con voce rauca in poco più di un sussurro.
Era così poetico, che voleva quasi ridere. Avevano passato di tutto insieme – erano quasi morti in un congelatore, fianco a fianco a pochi centimetri da una bomba, e chissà quante altre volte – e, adesso, erano giunti a quest'istante: stesi entrambi sul pavimento del loft, l'unico posto dove avrebbero dovuto sentirsi al sicuro, con la vita che li stava abbandonando a flotti.
L'idea le venne in mente in modo così improvviso, che non riuscì a credere di non averci pensato prima. Lucy. Pronunciò il suo nome con voce tesa per lo sforzo, cercando di catturare l'attenzione del dispositivo domotico, ed ebbe l'impressione di urlare, ma, in realtà, quello che le uscì fuori dalla bocca fu poco più di un sussurro. Lucy non riuscì a sentirla.
"Kate," disse Castle con voce stridula accanto a lei. "Non farlo."
Anche lui l'aveva capito. Sarebbero morti.
"Alexis," iniziò a dire Kate. "Martha… Mio papà…"
"Ci vogliono bene," concluse lui. "Staranno bene."
Kate stava perdendo conoscenza in fretta, ma Rick con velocità ancora maggiore, tanto che sentì la sua presa indebolirsi e le sue dita farsi fredde.
"Rick," sussurrò con voce piena di disperazione. "Ti amo."
"Io… Ti…. Ti… Kaaa..."
Silenzio.
Le lacrime le pizzicavano gli occhi da quando era caduta al suolo, ma le lasciò cadere liberamente solo adesso. Non poteva vivere senza Rick. Non poteva. Lui non poteva andarsene.
"Rick," sussurrò con voce rauca ma più forte adesso, mentre lottava per tenere viva non solo se stessa, ma anche il marito. "Rick, non andare…"
Era troppo presto perché le loro vite finissero. C'erano tantissime cose che non avevano ancora fatto; tantissime esperienze che si sarebbero persi. Non avrebbero mai visitato tutti i posti che non avevano ancora visto, non avrebbero avuto bambini …
Non poteva permettere che tutto finisse così. Ma la vita la stava abbandonando ad una velocità tale, da non permetterle di poter lottare con la forza necessaria.
Raccogliendo le forze, Kate strinse la mano di Castle ancora una volta, aumentando considerevolmente la presa delle dita attorno alle sue. Desiderava poter chiamare il padre, dirgli che gli voleva bene, e che tutto sarebbe andato bene. Lo sa, le ricordò una voce nella testa. Lo sa, quanto gli vuoi bene.
Improvvisamente, sua madre apparve, torreggiando su Kate con un caldo sorriso in volto. Non disse niente; sorrise semplicemente, e, per quanto ci provasse tanto, nemmeno Kate riuscì a dire niente. Devo avere le allucinazioni, pensò. Se mia mamma è qui, vuol dire che sono morta.
Kate cercò d'allungare la mano, ma era come se avesse il corpo pieno di piombo. Si sentiva schiacciata; non riusciva a muoversi. Disperata di toccare la madre e di sapere se la figura davanti a sé era reale, tentò ancora una volta d'allungare la mano, ma lo sforzo per muoversi la stancò ancora di più. Il loft iniziò a scomparire, mentre la figura di sua madre era ancora chiara davanti a lei.
Proprio allora sentì qualcuno urlare il suo nome. Sembrava che fosse distante milioni di chilometri, ma avrebbe riconosciuto quella voce ovunque: Javier. Perché era qui? Niente aveva più senso.
"Beckett!" Il profumo di colonia di Ryan la pervase, avvicinandola di più alla realtà. Ryan era lì, era davvero lì, ma, per quanto ci provasse, lei non riusciva a vederlo. Riuscì a sentirne la presenza, però, e, di soprassalto, si rese conto che i due detective dovevano essere venuti a salvarla.
Beckett, allora, cercò di parlare, di dire loro di salvare Castle prima, ma le parole non vollero saperne d'arrivare. Emise un qualche tipo di suono, però, perché Lanie apparve di fianco a lei, più velocemente di quanto credesse possibile, e fece pressione con le mani su una delle ferite. "Kate, tesoro," la pregò la sua migliore amica. "Lo so che puoi sentirmi. Ho bisogno che tu resista, tesoro. Starai bene. Anche Castle starà bene. Ce la farete entrambi."
Mentre Lanie parlava, sentì Esposito in lontananza urlare cose del tipo "due autoambulanze", "emergenza", "ferite d'arma da fuoco" e "sono entrambi ancora vivi".
Erano entrambi ancora vivi. Ce l'avrebbero fatta entrambi. Entrambi.
Con queste parole, il sollievo la pervase e la visione di sua madre finalmente sparì, mentre Kate scivolava nell'oscurità.
