Paring: DamonxElena ~ StefanxElena
Coppie: Het ~ Slash ~ FemSlash
Avvertimenti: AU (molto, molto, AU!) ~ Lemon ~ Lime ~ OOC (necessario!)
Bondage ~ Contenuti forti ~ Threesome ~ Triangolo
ATTENZIONE: Contiene scene BDSM
Questo lo dedico a Te, mon Maître.
A volte Ti penso, anche se non devo...
ma a Te piace quando disobbedisco.
Tra luci e ombre
Le luci di New York.
Quando due anni fa mi sono ritrovata a percorrere in taxi il tragitto tra il John Kennedy International Airport e il piccolo appartamentino in affitto nella zona di Brooklyn, tutta quella moltitudine di luci e colori mi aveva tenuta incollata al finestrino.
Caroline, accanto a me sul sedile posteriore, continuava ad indicare gli enormi grattacieli illuminati, le immense costruzioni che capeggiavano sull'orizzonte, le strade così affollate che due ragazze come noi - abituate solo alla monotona routine di una piccola cittadina di periferia - non potevano fare a meno di ammirare estasiate.
Il tassista sorrideva divertito, dandoci alcune informazioni sugli edifici più famosi, e anche noi ridevamo, abbracciandoci e sognando a occhi aperti un futuro luminoso proprio come quelle stesse luci da cui non riuscivamo a levare lo sguardo.
Poggiata all'elegante bancone del No Name Bar, dove lavoro nei weekend, le uniche luci che riesco a scorgere sono quelle fioche e incerte delle abat-jour che capeggiano sui piccoli tavolini in ferro al centro della sala.
Il sogno di una vita all'insegna del divertimento, delle feste fino a notte fonda, degli amori che fanno girare la testa è sbiadito insieme al ricordo di quella città che, in un tempo che ormai pare lontanissimo, sembrava promettere un futuro splendente.
La realtà dei fatti è che adesso, dopo appena due anni, siamo sprofondate in una routine fatta di lavoro e ore passate a guardare vecchi film sdolcinati, ed è già tanto se alla fine della serata ho ancora le forze per trascinarmi a letto.
La clientela del No Name è formata unicamente da ricconi in abiti eleganti e dalle loro accompagnatrici ingioiellate, che sorseggiano i loro drink annacquati sotto le note jazz di cantanti degli anni '60; il bar è riservato unicamente ai clienti del Tiffany Hotel, che si erge sopra di noi per trentacinque piani, rientrando nella lista dei dieci alberghi più alti di New York.
Io, in realtà, non sono mai salita oltre il piano terra, dove di giorno lavoro alla reception insieme alla mia migliore amica e di sera servo ai tavoli del bar.
È da poco passata la mezzanotte ed io sto per tornarmene a casa quando Stefan mi raggiunge dietro il bancone con lo sguardo implorante di chi sta per chiedere un favore.
Scuoto la testa prima che possa aprire bocca. «Sono di turno, domattina. Ho bisogno di dormire qualche ora» annuncio tentando di apparire categorica.
Lui mi ignora, sfoderando un sorriso implorante che gli fa brillare gli occhi verdi. È lo stesso sorriso che mi ha fatto guadagnare decine di notti insonni e un numero incalcolabile di ore di straordinari. «Ho il locale pieno, Elena, non puoi lasciarmi qui da solo. Fallo per me.»
Per un attimo il forte impulso di mandarlo a quel paese ha la meglio, ma subito dopo sbuffo sonoramente e mi sfilo la giacca appena indossata. «Un'ora, Stefan, non di più» dico puntandogli un dito sul petto. «E mi devi un favore.»
Lui ride, mi scompiglia i capelli con una mano e corre a servire una coppia di mezza età seduta in fondo alla sala.
Esasperata dalla facilità con cui mi sono fatta abbindolare, non faccio caso al vassoio colmo di bicchieri vuoti difronte a me e, voltandomi di scatto, ne rovescio un paio sul pavimento.
«Merda, merda, merda» ripeto tra me e me, mentre mi chino a raccogliere i cocci.
«Excuse-moi?» Una voce dal lieve accento francese mi giunge al di sopra della musica jazz. Riemergo in fretta da dietro il bancone e mi ritrovo a fissare due occhi di ghiaccio che mi paralizzano all'istante.
Lo sconosciuto mi guarda per qualche secondo, sollevando un sopracciglio scuro in una smorfia divertita, ed io non riesco a fare altro che restare immobile, totalmente persa ad ammirare il suo volto così attraente da togliermi il fiato.
Le sue labbra carnose si muovono appena ed io osservo rapita la curva dura della sua mascella, ricoperta da un filo leggero di barba scura. Piega la testa di lato e le luci ovattate del bar gettano ombre dorate sui suoi capelli d'ebano.
«Buonasera, signori, volete accomodarvi?» La voce di Stefan mi giunge come un'eco lontana e sono costretta a tornare alla realtà.
In quel momento mi rendo conto che sono rimasta a fissare quel ragazzo come un'ebete mentre lui mi chiedeva chissà cosa. Avverto il sangue affluire alle guance e sono lieta che la sala sia semibuia.
Mentre lo sconosciuto si allontana, scorgo la giovane ragazza dietro di lui. Nemmeno mi ero accorta della sua presenza.
Stefan torna verso di me con il sorriso sulle labbra. «Riesci a prendergli l'ordinazione senza sbavare?» sussurra divertito ed io gli lancio dietro il block-notes su cui annoto le comande.
Prendo un respiro profondo e faccio per dirigermi al loro tavolo, ma resto interdetta ad osservare il ragazzo che si accomoda, mentre la giovane resta ferma accanto a lui.
«Siediti» lo sento mormorare con noncuranza, mentre getta un'occhiata alla lista dei drink.
La ragazza tiene lo sguardo basso, ma mi sembra di cogliere il bagliore di un sorriso mentre si sistema sulla sedia accanto a lui.
«Pronti per l'ordinazione?» chiedo fingendo indifferenza.
Lui solleva appena lo sguardo su di me per ordinarmi un Bourbon senza ghiaccio, poi getta un'occhiata all'orologio.
«E per lei?» chiedo alla ragazza che se ne sta in silenzio, seduta compostamente con le mani sul grembo.
«Lei è a posto così» interviene l'altro. Il suo tono pare scocciato. «Merci» aggiunge senza nemmeno guardarmi.
Decisamente seccata, torno al bancone. Che razza di presuntuoso, maschilista e schiavista tratta così la propria compagna? E perché mai lei glielo permette?
Mi ripeto più volte che non sono affari miei, zittendo il forte impulso di tornare indietro e dirgliene quattro.
Verso il whisky e torno al tavolo, sbattendo il bicchiere sul tavolino con più forza di quanto dovrei. Lui punta gli occhi nei miei con uno sguardo severo che mi inchioda al pavimento. «Chiedo scusa» mormoro, anche se sono più irritata che pentita. Eppure quello sguardo duro mi mette i brividi.
Raccolgo ancora un paio di ordinazioni e resto ad osservare quei due da lontano. Lui sorseggia il suo Bourbon, lei resta in silenzio. Un paio di volte lo sorprendo a mormorare qualcosa nella sua direzione, ma la ragazza non gli rivolge mai la parola né alza mai lo sguardo sul suo accompagnatore.
Forse hanno litigato, mi ritrovo a pensare; eppure c'è qualcosa che non riesco a spiegarmi: l'espressione di quella ragazza ogni volta che lui si china verso di lei, ogni volta che le parla, è di pura gratitudine.
Sono talmente presa a spiarli che non riesco a concentrarmi sul lavoro. Alla seconda ordinazione sbagliata, Stefan mi si avvicina preoccupato.
«Tutto bene, Elena?» mi chiede, mentre al banco preparo un Gin Fizz.
Mi sento agitata. Non riesco a fare a meno di guardare quel ragazzo misterioso, il modo in cui se ne sta seduto con aria austera, quello sguardo che è come una calamita ma, nello stesso tempo, incute timore e mi lascia sgomenta.
«Sono stanca» dico invece, anche se non è propriamente una bugia.
Forse la verità è che sono spossata dalla lunga giornata e non riesco a ragionare in maniera lucida.
Mi toglie lo shaker di mano e d'improvviso mi sembra si senta in colpa. «Forse non avrei dovuto chiederti di fare così tardi.»
Mi spingo una ciocca di capelli dietro l'orecchio sentendomi un po' in imbarazzo. «Sai che ho bisogno di lavorare, Stefan. Farò una lunga dormita e domattina sarò di nuovo fresca come una rosa» provo a sdrammatizzare.
Lui mi guarda per un istante, ancora incerto, poi raccoglie la mia giacca da sotto al bancone e me la porge sorridendo. «Allora riposati, Elena.» Mi spettina piano i capelli in un gesto che ormai mi è familiare ed io non posso fare a meno di rispondere al suo sorriso.
«Ci vediamo domani» dico, infilando la giacca e avviandomi verso l'uscita.
A metà strada ci ripenso e torno indietro. «Stefan?»
Lui si volta e per un attimo ho la sensazione che stia per dirmi qualcosa, ma poi si ferma. «Cosa c'è?»
Getto un'occhiata verso il ragazzo misterioso che sta terminando il suo whisky. «La coppia che è entrata poco fa...» Indico con un cenno della testa il loro tavolino. «Sai dirmi che stanza hanno?»
Stefan resta interdetto, osservando di sottecchi i due. «Stanza 3501» risponde in tono atono. «Scusami, Elena, ma ho parecchio da fare, adesso.»
Uscendo dal bar mi fermo alla reception. Caroline sta facendo il turno di notte, seduta dietro l'enorme scrivania in marmo al centro della Hall.
«Devi fare una cosa per me» annuncio, facendola sobbalzare.
Lei arriccia le labbra in un'espressione curiosa, scostandosi una ciocca di riccioli biondi dalla fronte. «A quest'ora di notte? Devo preoccuparmi?»
Rido. «Non farti strane idee, Care. Devi solo controllare una prenotazione. Stanza 3501.»
Il suo sguardo pare accendersi. «Monsieur Damon Salvatore!» esclama con un sorrisetto malizioso. «Ha ventinove anni, è nato in Virginia ma vive a Parigi e, da quello che sono riuscita a scoprire, suo padre è un ricco imprenditore di origini italiane. Credo che abbia a che fare con l'ambiente della moda, o roba del genere.» Fa una breve pausa tentando di ricordare qualche altro particolare. O forse, semplicemente, ha bisogno di prendere fiato. «Oh, dimenticavo...» Mi fa l'occhiolino, sporgendosi un po' oltre la scrivania con fare complice. «La ragazza che è con lui non è sua moglie. Non hanno la fede. E credo che non facciano neanche coppia fissa perché la Suite è prenotata per entrambi solo fino alla fine della prossima settimana, poi lui resterà solo per tutta l'estate. Se io fossi la sua fidanzata, non lo lascerei solo così a lungo.» Annuisce compiaciuta, come se la sua teoria fosse inconfutabile. «In ogni caso, cosa volevi sapere?»
Scuoto la testa divertita. «Niente che tu non mi abbia già detto» rispondo. «Ero solo curiosa. È così...»
Mi interrompo avvertendo il rumore di passi che si avvicinano. Mi volto appena in tempo per scorgere la figura austera in giacca e cravatta del misterioso ragazzo uscire dal bar, seguita da quella minuta della sua accompagnatrice.
Ci rivolge un breve cenno di saluto, poi si dirige verso le porte girevoli che danno verso l'uscita, con la ragazza che lo segue come un'ombra silenziosa.
«Sexy e affascinante?» Care finisce la frase al posto mio, facendomi l'occhiolino.
In realtà, le parole che mi ronzano per la testa mentre quei profondi occhi di ghiaccio si imprimono nella mia mente sono eccitante e spaventoso.
«Tra l'altro lei non è nemmeno un gran che» afferma scuotendo la testa. «E poi è così anonima e remissiva. Che ci troveranno mai gli uomini in queste donne senza alcun carattere?»
Attraverso i vetri, li osservo mentre montano su un taxi: lui così sicuro di sè, l'altra così intimorita dalla sua presenza eppure palesemente riconoscente di averlo al suo fianco.
«Non è una ragazza remissiva» penso a voce alta, senza distogliere lo sguardo dall'automobile che si allontana. «Credo che sia la sua schiava d'amore.»
Angolino Kinky: Okay, okay, sto facendo un altro salto nel buio, lanciandomi in una tematica pericolosa che rischia di sfociare nel pornografico o, ancora peggio, nel ridicolo.
Fatto sta che ho deciso di non combattere più l'ispirazione, assecondando ogni viaggio (perverso o no) della mia mente bacata.
Spero che il risultato sia almeno passabile...
