*Altri due giorni e due notti*
Il capitano Jonathan Archer osservava dalle vetrate della navetta l'azzurra distesa di Riza sotto di lui. Inizialmente, sentendo descrivere il pianeta come il paradiso delle vacanze, non era del tutto convinto che tale fama potesse essere meritata. Forse anche per il tatto che tale informazione proveniva da T'pol, una vulcaniana, la cui affinità con il concetto di divertimento era paragonabile a quella tra materia e antimateria. Ma ora, avendo osservato dall'orbita la presenza sul pianeta di mari limpidi, spiagge sabbiose e natura pressoché incontaminata, il comandante della prima missione umana nello spazio profondo dovette ricredersi. E non solo sul pianeta, ma anche su se stesso. Si era fermamente opposto all'idea di prendersi una licenza dal suo ruolo di capitano: riteneva che la sua posizione, il centro dell'attenzione e della fiducia dell'equipaggio, non gli permettesse di mostrare debolezze come il bisogno di prendersi un periodo di relax. Non pensava neanche di averne bisogno. Ma dopo le insistenze della vulcaniana sopracitata, tutte basate su argomentazioni assolutamente logiche, si era finalmente convinto che un po' di svago non avrebbe avuto effetti deleteri sul morale dell'equipaggio.
Pensando ai suoi sottoposti, il temporaneamente non-capitano Archer si voltò per osservare i suoi compagni di viaggio, seduti accanto a lui nella navetta. Travis sembrava molto emozionato all'idea di poter scalare una parete di roccia mobile, Malcolm e Trip si stavano già scaldando, come i galletti che erano, per i loro dichiarati fini "esplorativi", mentre Hoshi (*Senza la divisa è molto più attraente* pensò) sembrava interessata unicamente alle pressoché infinite possibilità di studio e allenamento linguistico che un pianeta cosmopolita poteva offrire. Dal canto suo, Jonathan Archer riteneva che una villetta sulla costa, una spiaggia dove poter portare a passeggio Portos e un buon libro (T'pol gliene aveva consigliato uno, anche se non si aspettava che potesse essere interessante) fossero le uniche cose che gli sarebbero servite durante la vacanza per rilassarsi.
Riteneva.
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*La villetta, in effetti, non è male*, pensò il capitano, mettendo piede in quella che sarebbe stata la sua residenza per i successivi due giorni e due notti. L'ambiente era luminoso e arieggiato, dai colori caldi, e il panorama (si trovava in un incavo artificiale di una scogliera a picco sul mare) era mozzafiato. C'era molto spazio anche per il suo animale domestico, molto meno abituato di lui agli ambienti ridotti e chiusi della sua astronave. Fu proprio il suo cane, o meglio il suo abbaiare, a riscuotere l'umano dai suoi pensieri. Abbandonò sul divano il libro consigliatogli dal suo, appunto, consigliere scientifico ('Surak', un mattone vulcaniano D.O.C.) ed uscì sul balcone, notando così il motivo dell'agitazione del suo compagno di stanza quadrupede. Sulla terrazza di una villetta contigua alla sua, ma situata ad una decina di metri più in basso, una donna aliena stava prendendo il sole in costume da bagno. A prima vista sembrava umana, ma le macchie ben visibili lungo le spalle erano la prova della differenza del suo DNA da quello del capitano dell'Enterprise. Per il resto, comunque, risultava fisicamente attraente: pelle di un rosa abbronzato, gambe snelle, e capelli biondi lunghi fino alle spalle.
L'aliena parve finalmente accorgersi del suo novello dirimpettaio, o forse dell'inusuale verso del suo animale da compagnia, perché si mosse leggermente e rivolse i suoi occhi (Jonathan poteva vedere già da quella distanza che erano azzurri) verso il balcone contiguo, riparandoli subito dopo dal sole con una mano.
*Anche questo è un primo contatto* pensò l'esploratore umano, ed alzò la mano per salutare, ma in quel momento, dall'interno della casa, fuoriuscì una seconda donna, a prima vista identica alla prima come corporatura e colore di capelli, sorreggendo due bicchieri ricolmi di un non meglio identificato liquido blu scuro. Non appena questa mise piede sulla terrazza, la prima aliena, ancora sdraiata, si volse verso di lei e mosse brevemente la mano in direzione del nuovo vicino, pronunciando qualcosa che il capitano non sentì, e tornando subito dopo a voltarsi in contemporanea con la coinquilina verso il nuovo arrivato, sorridendo e, nel caso della donna sdraiata, salutando cortesemente con la mano. Jonathan Archer sorrise e salutò di rimando, rientrando poco dopo in casa. Se fino a quel momento aveva creduto di avere bisogno solamente di un buon libro per distendere i suoi nervi, ora cominciava a considerare un'invitante alternativa alla lettura. E con due vicine di casa simili, pensò che non correva più il rischio di annoiarsi.
