SEQUEL DE "NIENTE SI SPOSA MEGLIO COL FREDDO DELL'OSCURITA'"

NON DOBBIAMO ESSERE SOLI – PARTE 1

Appollaiato sul ramo di un albero Jack scrutò il paesaggio circostante, coperto da un sottile strato di neve che egli aveva personalmente fatto cadere per inaugurare la stagione fredda, e sorrise: aveva trascorso la primavera e l'estate più belle della propria vita, l'inverno era alle porte, il bastone magico era al massimo dei suoi poteri e lui non poteva essere più felice.

Erano ormai passati mesi dal giorno in cui Pitch, preda di una rabbia cieca, aveva evocato Behemuth e si era poi sacrificato per salvare l'amato, rischiando la sua stessa vita pur di preservare quella del compagno e trascorrendo il periodo di convalescenza al Palazzo di Nord, teneramente accudito dai Guardiani, e nessun incidente eclatante era più accaduto da quel momento.

Non appena Frost e l'Uomo Nero avevano posto fine a quella forzata vacanza si erano diretti al covo di quest'ultimo, per controllarlo e renderlo sicuro: come prima cosa l'uomo si era nuovamente calato nella botola che portava alla prigione di quel demone antico, e, una volta assicuratosi che questi fosse bloccato da incantesimi sufficientemente potenti, si era personalmente premurato di richiudere l'accesso, usando la pesante pietra circolare che mai avrebbe dovuto spostare; poi, volando da un estremo all'altro di quell'enorme grotta, aveva sommariamente esaminato ogni angolo, non stupendosi di trovare crepe e pareti crollate, vista la furia che Behemuth aveva dimostrato di saper scatenare; infine, dopo aver recuperato e riposizionato il Globo di ferro, che era miracolosamente sopravvissuto alla distruzione, aveva fissato il giovane negli occhi e aveva annuito, chiudendo definitivamente quel terribile capitolo della loro vita.

Nessuno dei due si era curato di porre rimedio ai danni, ma, del resto, non era necessario farlo: l'antro di Pitch rispecchiava perfettamente lo stato dei suoi poteri, mostrandosi al massimo del proprio lugubre splendore quando questi era forte e andando in decadenza nel momento in cui egli si indeboliva; era stata, quindi, più che sufficiente una settimana scarsa di caccia grossa tra i sogni dei bambini per riportare tutto alla normalità.

Erano passati i giorni, poi i mesi, ma l'Uomo Nero non aveva dato alcun segno di cambiamento: era rimasto affettuoso e premuroso con Jack, non aveva mai esagerato nello svolgere il proprio lavoro, ma non si era nemmeno aperto, né aveva più parlato o chiesto notizie degli altri Guardiani. Il ragazzo aveva deciso di tacere e non forzarlo, nascondendo la propria sofferenza dietro sorrisi di circostanza e cercando di apparire allegro e spensierato, ma, proprio quando aveva ormai perso ogni speranza, l'amato lo aveva lasciato di stucco. Il giorno di Pasqua, di buon'ora, si era presentato al Palazzo di Nord, atterrando nel salone centrale in sella a Voluptas e facendolo dissolvere con un morbido gesto della mano; altezzoso e arrogante come sempre non si era annunciato, né aveva espresso un saluto più appropriato di un mugugno, ma si era frettolosamente accomodato sulla sedia intagliata che Babbo Natale aveva realizzato per lui, spiegando di essersi presentato semplicemente per incontrare il compagno. Nonostante l'atteggiamento inizialmente distaccato, l'uomo non aveva mai scacciato il padrone di casa e Dentolina, uniche Leggende presenti, né aveva tentato di evitare di imbastire una conversazione con loro; a mano a mano che la chiacchierata s'era fatta fluida e distesa s'era lasciato andare, mantenendo comunque un tono controllato, ma dimostrando di apprezzare la compagnia che lo circondava; infine, quando Frost era arrivato, lo aveva abbracciato senza imbarazzo e si era attardato a sorseggiare un tè, gustandolo lentamente, come se non avesse alcuna fretta di abbandonare quel luogo.

Col senno di poi e l'aiuto dell'infallibile intuito femminile della Fata dei Dentini il giovane aveva compreso il perché di quella lunga attesa: Pitch, infatti, non si era solo preso del tempo per schiarirsi le idee, ma aveva badato di presentarsi in un occasione in cui era certo di non incontrare Calmoniglio, per potersi risparmiare, almeno la prima volta, la fatica di trattenersi dal litigare.

Per la gioia di Jack a quella visita ne erano seguite altre, non frequenti, spesso brevi, ma lui non avrebbe potuto desiderare di meglio: l'Uomo Nero, finalmente, stava uscendo dal proprio guscio e imparando a relazionarsi con coloro che aveva sempre considerato dei nemici, e non v'era motivo che compisse tutti i passi necessari a porre fine al proprio astio in una sola giornata. Il ragazzo era felice di vederlo procedere con calma, ambientandosi pian piano in uno stile di vita completamente nuovo, e di poterlo aiutare quando capiva che era in difficoltà, e quando lo vedeva sorridere si sentiva ripagato di tutti gli sforzi compiuti.

Ovviamente, accanto a quei momenti trascorsi in compagnia, ve n'erano stati infiniti altri che i due si erano riservati per sé stessi, condividendo qualsiasi esperienza: dalle lezioni di lettura alle cavalcate nei prati primaverili colmi di fiori profumati, dagli scherzi alle storie dell'orrore origliate dai gitanti riuniti attorno al fuoco nelle sere estive, dalle dissertazioni su qualsivoglia argomento alle passeggiate tra gli alberi tinti di mille colori dall'autunno, dalla creazione degli Incubi all'attivazione del bastone, dagli abbracci alle coccole, dai baci alle carezze bollenti che si scambiavano, gemendo l'uno contro il collo dell'altro, marchiandosi a vicenda coi denti e con le unghie mentre raggiungevano l'apice.

Sospirando al ricordo di quei magici istanti, che mai avrebbe scordato, Frost sorrise e accarezzò l'ultimo particolare di quel quadro tanto perfetto: la propria felpa blu. L'aveva praticamente distrutta in quegli affannati tentativi di salvare l'uomo, bagnandola del suo sangue e strappandola, ma, quando si era sentito dire da Nord che non era più recuperabile, aveva insistito perché fosse riparata: era la sua tenuta da anni e anni, lo aveva accompagnato in ogni avventura e gli doleva separarsene. Dopo giorni di energici lavaggi e lavoro certosino con ago e filo, gli Yeti gli avevano restituito una maglia tanto bella da parere nuova, pulita e profumata, che Pitch non aveva esitato a decorare con finissimi granelli della propria nera sabbia, e il giovane aveva considerato quell'ultimo tocco la ciliegina sulla torta di quell'anno tanto speciale.

Muovendo la mano in un morbido gesto Jack interruppe la breve nevicata che aveva provocato, assicurandosi di lasciare sul terreno una coltre abbastanza sottile da non allarmare gli abitanti della regione, ma abbastanza spessa da permettere ai bambini di giocare alla loro prima battaglia di neve della stagione, quindi si accomodò meglio sul ramo, poggiando la schiena al tronco per rilassarsi e godersi le proprie riflessioni. Più ci rimuginava e più si convinceva che la propria vita non sarebbe potuta andare meglio di così: l'uomo che amava lo amava a sua volta e lo considerava più prezioso di un tesoro, i Guardiani erano degli amici premurosi e simpatici e dei compagni di lavoro collaborativi e volenterosi, il gelido potere che pervadeva il bastone era tanto intenso da farlo quasi vibrare e tutti i bambini del mondo attendevano impazienti l'arrivo dell'inverno per ricevere una sua visita, che altro avrebbe mai potuto desiderare?

Ridendo sollevò lo sguardo, fissando la luna piena che campeggiava al centro dell'orizzonte e spostando i propri pensieri su di lei, o, per meglio dire, sul colui che la abitava: da secoli era silenzioso spettatore di ciò che accadeva nel mondo e, ad esclusione della nomina di Frost, non era mai intervenuto, quindi era difficile intuire cosa pensasse della situazione. Senza dubbio era a conoscenza della relazione che lui aveva intrapreso con Pitch, ma cosa ne pensava? Non l'aveva mai né ostacolata né favorita, quindi pensava fosse giusto lasciare loro libertà? S'era forse ricreduto sulla natura malvagia dell'Uomo Nero? Avrebbe mai comunicato con lui?

Mentre questi e altri interrogativi nascevano nella sua mente, catturandone sempre più l'attenzione, Jack si rese conto di aver messo a fuoco solo ed unicamente il satellite, escludendo dalla propria visuale il cielo stellato e il terreno, e quando provò a distogliere gli occhi non vi riuscì. Adducendo questo fatto al troppo tempo passato in contemplazione non si allarmò e provò a chiudere le palpebre, ma, sentendo che i muscoli del proprio corpo non rispondevano, fu assalito da un lieve panico: tentò con tutte le proprie forze di muoversi, ma più si sforzava, più sentiva le proprie iridi spalancarsi e le pupille dilatarsi, assorbendo quella luce che era ormai diventata tanto intensa da farlo lacrimare e rimanendone accecato.

Quando la paura che l'aveva attanagliato lo colmò al punto da raggiungere il collo e impedirgli di respirare, l'incantesimo si dissolse e il ragazzo fu nuovamente padrone del proprio corpo, sebbene fosse troppo stanco per provare ad alzarsi. Ansimando chiuse gli occhi, cercando disperatamente di riacquistare il controllo di sé ed eliminare le fastidiose macchie luminose dalle retine, e, quando si sentì pronto, li riaprì per guardarsi intorno.

Il paesaggio che gli si parò di fronte era decisamente diverso da quello che si aspettava: invece della tundra innevata, in cui si trovava fino a pochi minuti prima, vide un paesaggio piatto e monotono, interrotto saltuariamente da crateri e piccole rocce e completamente ricoperto da una polvere bianca scintillante.

Completamente disorientato Frost si tirò in piedi, scuotendosi la sabbia di dosso e cercando di raccapezzarsi, ma, mentre si affannava a trovare una spiegazione a quell'improvviso e ingiustificato cambiamento, notò, alla propria destra, una figura in avvicinamento.

Aguzzando lo sguardo notò che si trattava di un uomo dalla struttura fisica simile a quella di Sandy: basso e grassottello, era abbigliato con dei pantaloni a sbuffo ed una maglia bianchi, assicurati in vita da una cintura cremisi, e indossava un buffo paio di scarpe con la punta all'insù e una elaborata giacca, entrambi color senape. Il suo capo era completamente pelato, ad eccezione di un lungo e sottilissimo ciuffo di capelli biondi che gli cresceva subito sopra la fronte, sfidando la gravità e reggendosi ben dritto, salvo ricadere, nella parte finale, in una morbida onda; ciò che colpiva di più, ad ogni modo, era decisamente il suo viso: perfettamente tondo, caratterizzato da occhi piccoli e scuri e due soffici guance, era animato da un sorriso tanto lieto e sereno da mettere allegria solo a guardarlo.

Ancora troppo confuso per poter fare altro il giovane rimase immobile, fissando lo sconosciuto che s'avvicinava sempre più, e, quando se lo trovò a pochi passi di distanza, lo udì parlare.

«Benvenuto, Jack».

Dopo un rapido ragionamento Jack chiese: «Sei... sei l'Uomo Nella Luna?».

«Sì, Jack. Ti stavo aspettando» rispose tranquillamente l'altro.

Incapace di trattenersi il ragazzo esclamò: «Sei tu, sei l'Uomo Nella Luna! Sei il mio creatore! E' da così tanti anni che voglio incontrarti! Perché non mi hai mai parlato prima? Avrei avuto così tante cose da chiederti... Aspetta, hai detto che mi stavi aspettando? Perché?».

L'Uomo Nella Luna rise sommessamente a quell'entusiasta interrogatorio e commentò: «Oh, Jack, sei esattamente come appari: pieno di energie e incapace di contenerti. Scommetto che se ti lasciassi libero di parlare andresti avanti per ore intere, non è così? Così tante domande... e così poco tempo: non possiamo permetterci il lusso di perderci in chiacchiere. Vieni, voglio mostrarti una cosa».

Lievemente interdetto per essere stato stroncato in quel modo, Frost si zittì e andò dietro al proprio interlocutore, seguendolo lungo un serpeggiante sentiero che aggirava i piccoli crateri della superficie di quella che, ormai, aveva intuito essere la Luna, e poi giù per una tortuosa scala che si tuffava nel sottosuolo.

In pochi minuti i due raggiunsero un ampio salone rettangolare, luminosissimo grazie alla polvere scintillante che ne ricopriva ogni superficie e al soffitto di vetro a volta, e il giovane impiegò un poco a capire che le strutture che sostenevano quest'ultimo erano colonne e non alberi: sottili e allungate, affondavano nel terreno con tentacoli molto simili a radici e, nella parte superiore, si dividevano in decine di appendici somiglianti a dei rami, che s'intrecciavano l'uno nell'altro fino a formare piccoli spicchi da cui penetrava la luce. Incuriosito fece per avvicinarsi e toccarle, desideroso di scoprire di quale materiale erano composte, ma l'Uomo Nella Luna lo richiamò.

«Vieni, Jack: ecco ciò che volevo mostrarti».

Guidandolo lungo la navata centrale lo portò fino ad una pedana rialzata sulla quale si stagliava una perfetta riproduzione del pianeta Terra: identico in tutto e per tutto al Globo di Pitch era, tuttavia, di un bianco latteo e brillava di lucine dai mille colori.

«Come puoi vedere, Jack, anche io possiedo un Globo» spiegò l'uomo; «Rispetto a quello dei Guardiani, tuttavia, è molto più sofisticato. Avrai senza dubbio notato che, invece delle classiche luci monocolore, qui ne sono presenti di vari tipi. Ciascuna di loro rappresenta un bambino che crede in uno di voi: il rosso simboleggia Nord, il rosa Dentolina, il verde Calmoniglio, l'oro Sandman e l'azzurro, invece, rappresenta te. Come avrai di certo notato, l'azzurro, in questo momento, è il colore preponderante, e non c'è da stupirsi: sei la novità del momento e, ovviamente, visto che ti ho nominato Guardiano solo pochi mesi fa, mi sono premurato di far sì che i bambini del mondo facessero la tua conoscenza, inducendo Sandman a inviargli sogni dei tuoi scherzi e scatenando nevicate là dove gli infanti le desideravano ma tu non arrivavi. Ora, però, guarda le luci che rappresentano i tuoi amici: sono scarse e poco intense, e, soprattutto, non sono fisse. Restano accese per qualche ora, poi si spengono, a volte anche per giorni interi, poi si riaccendono, ma sempre per poco: i bambini che credono in loro sono sempre più scostanti, e questo, alla lunga, li indebolirà».

Esterrefatto Jack fissò quelle piccole lucine pulsanti, avvertendo una stretta al cuore nel sapere che, per ciascuna che vedeva spegnersi, un Guardiano perdeva potere e rischiava di scomparire, e domandò: «Perché sta succedendo tutto questo? Perché i bambini sono diventati così scostanti? Una volta non era così, ne sono sicuro: ricordo perfettamente che passavano giornate intere a parlare dei regali che avrebbero trovato sotto l'albero a Natale o delle uova che avrebbero cercato il giorno di Pasqua. Che cosa li distrae tanto? E perché tu non intervieni?».

L'interlocutore rise sommessamente e replicò: «Jack, pensi forse che io sia qui apposta per voi, e che il mio scopo sia promuovervi? E' compito vostro far sì che i bambini credano in voi, non mio: se non ci riuscite significa semplicemente che non siete adatti al ruolo che vi ho affidato, o, in alternativa, che al mondo non servite più. Tuttavia, c'è da considerare che i quattro Guardiani esistono da secoli e sono stati selezionati da me con estrema cura, quindi non è possibile che, improvvisamente, abbiano perso tutte le loro capacità: la spiegazione a quello che sta accadendo è un'altra. Questa generazione di bambini è vittima di un mondo in cui ogni cosa ha una spiegazione scientifica, in cui crescere il più in fretta possibile è l'obiettivo primario, in cui fare dubbie esperienze è più importante di sognare: è una generazione disincantata, annoiata, priva di qualsiasi curiosità e dell'aiuto dei genitori. Sempre più spesso, infatti, gli adulti sono troppo presi dai propri impegni e preoccupazioni per far caso ai propri figli: per semplificarsi l'esistenza li lasciano abbandonati a sé stessi e se ne disinteressano, interrogandoli saltuariamente sui risultati conseguiti a scuola o nello sport e rimanendo assenti per il resto del tempo, senza accorgersi degli splendidi momenti che si perdono, né dell'infanzia che negano loro. Bambini come questi non hanno speranza per sé stessi, non provano alcuna meraviglia per ciò che li circonda, non hanno memorie degne di essere ricordate, né sogni che li spronino a cercare di realizzarsi: vivono alla giornata, inseguendo desideri effimeri e chiudendosi in sé stessi».

Il ragazzo, che inizialmente era rimasto basito di fronte all'atteggiamento superiore e distaccato dell'altro, rimase sconvolto da quella rivelazione e intervenne: «Ma è terribile! Cosa possiamo fare per evitare che tutti i bambini diventino così? Se i nostri poteri non funzionano non abbiamo modo di aiutarli!».

«Non potete» disse semplicemente l'Uomo Nella Luna; «Non c'è nulla che voi possiate fare per salvarvi. E' per questo che ho deciso di nominare un nuovo Guardiano, il cui compito sarà strappare gli esseri umani da questo stato catatonico, ricucire i rapporti che si sono rotti o, addirittura, non sono mai esistiti e rendere di nuovo i bambini felici e aperti ad esperienze a loro consone».

Lo sguardo di Frost si illuminò nell'udire quella proposta ed egli esclamò, sovreccitato: «Oh, un nuovo Guardiano, sul serio? E' un ottima idea! Cosa simboleggerà? Quando lo nominerai? Ma, soprattutto, chi è? La marmotta, per caso? Perché se hai scelto lei temo dovrai aiutare Calmoniglio a riprendersi!».

L'uomo rise sommessamente e commentò: «Sempre pronto a scherzare, vero, Jack? No, non è la marmotta, né alcuno degli spiriti immortali che già popolano la Terra: nessuno di loro è adatto a questo compito».

Confuso il giovane domandò: «Come farai a nominare un nuovo Guardiano senza sceglierlo tra gli spiriti che già esistono? Sceglierai un essere umano e lo trasformerai, come hai fatto con me?».

«Non dire sciocchezze, Jack» contestò l'Uomo Nella Luna; «Non ho scelto io di farti morire, né di farti diventare immortale prima che salvassi tua sorella. Ad ogni modo non è il momento di divagare: no, non farò come hai detto, ma in un'altra maniera. E' per questo che ti ho chiamato. Ora sbrigati e togliti la felpa».

Interdetto da una richiesta tanto assurda Jack sussultò e, ridacchiando nervosamente, chiese: «Perché me la dovrei togliere?».

L'uomo, che per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi fissi sul Globo, sospirò stancamente e rispose: «Sapevo che mi avresti dato problemi: sei un ragazzo troppo ribelle e indipendente per poter capire che, in certe situazioni, dovresti obbedire senza fare domande. Non ho tempo per i tuoi capricci: l'hai voluta tu, Jack».

Senza dare al ragazzo nemmeno il tempo di reagire alzò il braccio sinistro e schioccò le dita, dandogli ostinatamente le spalle: a quel suono centinaia di sottilissimi fili luminosi fuoriuscirono dal pavimento e dalle colonne circostanti, lanciandosi rapidi verso Frost e attorcigliandosi attorno ai suoi arti. Nel tentativo di liberarsi questi indietreggiò, contorcendosi per sfuggire alla presa, ma, più rapide di un fulmine, le funi si tesero, immobilizzandolo definitivamente e costringendolo in ginocchio, con la schiena piegata e le gambe aperte.

Sollevando il capo il giovane gridò: «Perché mi hai legato!? Cosa hai intenzione di farmi?».

L'Uomo Nella Luna, finalmente, si voltò, mostrando uno sguardo compassionevole e intenerito, e mormorò: «Oh, Jack, non ti allarmare: è solo per il bene dei bambini. Ora ti aiuterò a rilassarti».

Avanzando a piccoli passi lo accostò, un largo sorriso stampato sul viso paffuto per tranquillizzarlo, quindi gli posò una mano sul capo e iniziò a vezzeggiarlo, arruffandogli i capelli e scendendo poi lungo la guancia e la giugulare. Tutti quei gesti premurosi, tuttavia, non risultarono affatto rassicuranti per Jack: la sola vicinanza di quell'essere di cui non conosceva le reali intenzioni lo turbava, le sue dita grassocce e appiccicaticce lo facevano sudare freddo, il suo tocco viscido lo faceva rabbrividire di terrore, il suo fiato caldo lo nauseava e, in generale, tutta la situazione lo disgustava fin nel profondo. Non riusciva nemmeno a sopportare l'idea di trovarsi accanto a lui, e il fatto che questi lo stesse coccolando non faceva altro che rendere l'esperienza ancora più inquietante e disturbante: quelle falangi corte e tozze erano troppo diverse da quelle affusolate di Pitch, la capacità con cui riuscivano a lambire i punti più sensibili del suo collo preoccupante e fonte di ansia crescente, e il fatto che, da un momento all'altro, potessero decidere di scendere ancora più in basso, motivo di ribrezzo e paura.

Con la forza della disperazione il ragazzo riacquistò un minimo di audacia e tentò di mordere l'altro, poi gli urlò: «Non osare toccarmi!».

L'uomo, che aveva abilmente evaso l'aggressione, gli tirò uno schiaffo tanto forte da tagliargli il labbro, quindi gli afferrò il mento e, fissando i propri terribili occhi neri nei suoi, lo sbeffeggiò: «Ti piace mordere, eh, Jack? So cosa fai con Pitch... ma io, purtroppo per te, non sono Pitch. Vuoi complicare le cose? Così sia».

Dopo avergli tirato un manrovescio, ancora più forte del primo, per stordirlo, gli passò il palmo sulla bocca sanguinante e fece apparire uno stretto bavaglio, compiacendosi con un sorriso del silenzio ottenuto; tendendo ulteriormente le funi che gli intrappolavano le braccia lo fece tornare con la schiena ben eretta, pur continuando a costringerlo in ginocchio, quindi si chinò e gli sollevò frettolosamente felpa e maglia.

A quel gesto Frost cadde completamente nel panico: ciò che stava accadendo era così assurdo da sembrare irreale. Non sapeva perché si trovava lì, perché l'Uomo Nella Luna avesse scelto proprio lui, per cosa lo avesse scelto, perché si stesse comportando in quel modo e, soprattutto, cosa stesse per fare. Quando avvertì i suoi polpastrelli sudaticci tastargli lo stomaco urlò contro quell'ignoto tessuto che gli impediva di parlare, ma, quando li sentì scendere decisi verso il basso, si sentì morire: terrorizzato provò a divincolarsi, senza successo, ma, proprio quando fu certo che li avrebbe sentiti proseguire fino a violarlo, essi si fermarono, pericolosamente vicini all'inguine, ma non in contatto con esso.

Pietrificandosi sul posto, come se, in quel modo, potesse anche impedire all'altro di muoversi, il giovane aspettò, tremando di paura; l'uomo, però, non lo lasciò in attesa a lungo: gli premette con decisione la destra sul ventre, affondando leggermente nella sua carne, quindi lo strinse a sé col braccio sinistro, nascondendo il viso contro il suo collo.

«Sarai tu a partorire il nuovo Guardiano, Jack: solo così egli potrà acquisire tutti i poteri che gli saranno necessari» gli soffiò direttamente nell'orecchio.

Immediatamente Jack avvertì un forte calore nella parte bassa del proprio torace, che lo pervase, togliendogli ogni forza e strappandogli un debole gemito sofferente; quando l'interlocutore indietreggiò di qualche passo, lasciandolo senza sostegno, non fu in grado di reggersi da solo e si piegò su sé stesso, lasciando il capo ciondoloni e cercando di focalizzare ciò che aveva di fronte: con grande sforzo vi riuscì, ma, non appena ciò accadde, desiderò essere cieco.

Il suo corpo, da sempre magro e sottile, era deformato da una protuberanza che mai avrebbe dovuto appartenergli: una pancia, piccola e soda, ma ugualmente sbagliata, ne ammorbidiva le linee del bacino, così dolce, eppure così terribile.

Sbarrando le iridi colme di lacrime il ragazzo iniziò a tremare, alzando lo sguardo verso l'Uomo Nella Luna come per chiedere spiegazione di quell'orrore, ma in risposta ottenne solo un ghigno soddisfatto e derisorio. Ormai fuori di sé urlò, dimenandosi per spezzare le funi che lo imprigionavano e per sfuggire a colui che non sembrava essere altro che un sequestratore deviato: tirò e tirò, sempre più forte, mettendoci ancora più convinzione quando vide l'uomo avvicinarsi per toccarlo, e, quando questi fu ad un soffio dalla sua pelle, riuscì a liberarsi.

Gridando cadde per diversi metri, atterrando su una superficie fredda e sabbiosa, ma, quando riaprì gli occhi, chiusi nella foga di scappare, si rese conto di trovarsi nuovamente nella tundra che aveva personalmente provveduto a ricoprire di neve. Spaesato e confuso rimandò ad un momento successivo il controllo del paesaggio e si affrettò, invece, a sollevare felpa e maglia, per verificare lo stato del proprio ventre; con grande sorpresa vide che non era affatto cambiato: era piatto, come era sempre stato, e il lieve accenno di addominali non era coperto da alcuna grottesca protuberanza. Mentre vi passava sopra i palmi, come per assicurarsi che fosse realmente tutto a posto, si accorse che le proprie labbra non erano più tagliate e che il sapore del sangue non gli permeava più la bocca, e sussultò, interdetto: come avevano potuto quelle ferite guarire così in fretta senza che lui avesse assunto alcuna medicina?

Sempre più perplesso si volse, per guardare l'astro sul quale si era compiuto lo scempio, ma, con sommo stupore, non lo trovò: il cielo era perfettamente sgombro e le stelle erano le uniche luci che lo illuminavano.

Prendendosi il capo tra le mani Frost si stese sul terreno e cercò di ragionare: come aveva potuto visitare la Luna se questa era dall'altra parte della Terra? L'uomo che la abitava si era forse premurato di recuperarlo di persona e riaccompagnarlo nuovamente lì, una volta concluso l'incontro? Era impossibile: il ragazzo era sicuro di aver visto il satellite subito prima di ritrovarsi su di esso. Forse l'altro lo aveva successivamente spostato, sfruttando un qualche incantesimo? No, nemmeno quello era possibile: sarebbe stato necessario un potere immenso per portare a termine un simile compito. Era dunque stato tutto solo un sogno, o, per meglio dire, un incubo?

Coprendosi il viso con le mani, come per nascondersi, il giovane convenne che era l'unica risposta possibile: lui non aveva mai visitato la Luna, non aveva mai incontrato colui che la abitava, né, tantomeno, era stato da lui torturato. Riflettendoci meglio, tuttavia, gli sovvenne un nuovo dubbio: chi era stato ad inviargli delle visioni tanto sconvolgenti? Sandman, da creatore di dolci sogni qual era, era escluso a priori; Pitch, del resto, era un candidato altrettanto poco probabile: senza dubbio era perfettamente in grado di provocare incubi terribili a chiunque, ma perché mai avrebbe dovuto attaccare proprio la persona che amava? Forse quelle scene raccapriccianti erano state inviate a qualcun altro, e lui si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato? Eppure nemmeno quella spiegazione aveva senso: per quanto crudele l'Uomo Nero non avrebbe mai inviato un incubo simile ad un infante.

Rannicchiandosi su sé stesso Jack si sforzò di non pensare, allentando la tensione che lo attanagliava ormai da diversi minuti e rilassando ogni muscolo, e infine riuscì a concepire l'unica soluzione possibile a quell'enigma: la sabbia dorata di Sandy e quella nera di Pitch dovevano essersi incontrate e fuse insieme, lottando per prevalere l'una sull'altra ma non riuscendo nell'intento, dando quindi vita ad un sogno unico nel suo genere, dolce e rassicurante in certi momenti, ma inquietante e disturbante in altri.

Fugato finalmente il panico il ragazzo si alzò in piedi, recuperando a fatica il bastone, che era rimasto appeso ad un ramo dell'albero su cui si era appollaiato, quindi si preparò a partire: non era più preoccupato per ciò che aveva visto, ma preferiva chiedere conferma ai diretti interessati.

Richiamando i gelidi venti del Nord si alzò in volo, dirigendosi verso ovest per cercare Sandman e sorridendo al pensiero di Pitch: senza dubbio questi, udendo la terribile storia che egli aveva vissuto, sarebbe giunto in suo soccorso, confortandolo con dolci frasi, stringendolo a sé e coccolandolo dolcemente. Come sempre Frost sarebbe stato libero di chiedergli ciò che più desiderava e l'Uomo Nero avrebbe accondisceso a tutte le sue richieste: gli avrebbe pettinato i capelli perennemente arruffati, gli avrebbe fatto i grattini sulla nuca, gli avrebbe baciato il viso, la bocca e il collo, gli avrebbe massaggiato le gambe e, infine, gli avrebbe accarezzato delicatamente lo stomaco, controllando personalmente che nulla lo deturpasse.

Sospirando il giovane si concentrò sui ricordi che lo avevano pervaso e sulle sensazioni che, di lì a breve, avrebbe provato: aveva disperatamente bisogno di stendersi accanto all'uomo che amava, accettare le sue dimostrazioni di affetto e addormentarsi tra le sue braccia, disperdendo gli ultimi brandelli di quella orrenda esperienza con sogni dorati.

Con questi pensieri ben fissi in mente liberò maggiormente il potere del bastone, aumentando la velocità delle correnti su cui viaggiava, e senza alcun timore di cadere volò rapido sopra l'oceano, inseguendo il sole per poter finalmente dormire.

Il prossimo capitolo verrà pubblicato questo sabato (22 marzo)