I tiepidi raggi del sole nascente accarezzavano le sagome scure di quello che restava degli imponenti grattacieli della città che, in un tempo lontano, prima della grande guerra, era stata tra le più influenti del mondo. Nulla era stato risparmiato dalla follia umana, nemmeno i suoi meravigliosi canali che, nei suoi anni d'oro, la rendevano simile a una moderna Venezia, dove però allo sfarzo di antichi palazzi era stata preferita la imponenza di moderni grattacieli. Una sorte simile era toccata anche al lago Michigan che per chilometri era stato coperto di terra e la palude che si formò era l'unica traccia che ricordava ai nuovi abitanti che un tempo c'era un lago talmente grande da sembrare un mare, ma dubito che essi sappiano che cosa sia il mare. Per generazioni hanno vissuto la loro vita rinchiusi all'interno di una enorme recinzione convinti che era stata costruita per la loro sicurezza, per tenere fuori dalla loro città gli orrori di un mondo sconvolto dalla guerra.
Erano ignari che quelle alte mura di cemento e acciaio in realtà non furono innalzate per non lasciar entrare, bensì per non lasciare uscire.
Da quando furono create le fazioni in pochi si avventurarono fuori dalla recinzione, spingendosi molto oltre i campi dei Pacifici, ma nessuno pare abbia mai fatto ritorno e i pochi che ci riuscirono sembravano in qualche modo cambiati.
Osservando il mondo esterno dalla cima della recinzione, non si vedevano altro che prati ingialliti dal sole estivo che si estendevano a perdita d'occhio.
In uno di essi, poco distante dalla base della recinzione, c'era una giovane donna. Indossava abiti neri da Intrepida che quasi stonavano con la sua corporatura minuta e i lineamenti delicati del suo viso. Era stesa sull'erba e sopra di lei volava minaccioso uno stormo di corvi.
Improvvisamente, come nei peggiori incubi, nuvole scure inghiottirono il pallido sole del mattino e gocce di pioggia accarezzarono il viso della giovane Intrepida facendola destare dal suo sonno.
Si alzò di scatto e osservò i corvi che in una lenta spirale si stavano avvicinando a lei. Come richiamato dal suo sguardo lo stormo piombò sopra di lei con una rapidità innaturale. La giovane iniziò a correre verso una baracca nel centro del prato, cercando di proteggersi il viso dai becchi aguzzi dei corvi, ma erano troppi, sembravano moltiplicarsi ad ogni passo che faceva.
A pochi metri dalla salvezza apparve davanti a lei un muro di fuoco. La giovane lo osservò e per un attimo pensò che se ci fosse saltata dentro tutto sarebbe finito. Fece qualche passo avanti, allungò una mano e sfiorò la fiamma con la punta delle dita. Come era accaduto per i corvi, il suo gesto scatenò l'ira del fuoco che iniziò ad avanzare verso di lei inghiottendo e incenerendo i corvi.
La giovane Intrepida riprese a correre nell'unica direzione che il fuoco le concedeva: verso la recinzione. Un vicolo cieco, presto anche lei sarebbe stata incenerita all'istante come i corvi. Nella sua mente si fece di nuovo spazio il desiderio di farla finita, di abbandonarsi alle fiamme e porre fine alla sua sofferenza. Si lasciò cadere sulle ginocchia e chiuse gli occhi in attesa della fine. Le fiamme formarono un cerchio intorno alla giovane donna e il denso fumo invase la sua gola. Sentì la sua testa cominciare a girare e questo fu un sollievo per lei, forse non sarebbe morta bruciata, forse per lei la morte sarebbe arrivata più dolcemente se fosse stata priva di coscienza mentre il fuoco divorava la sua carne. Sentì il suo corpo diventare leggero, come se la gravità avesse cessato di esistere in quel piccolo cerchio di fuoco. Decise di lasciarsi andare e crollò su un fianco. Nel buio e nel silenzio della sua mente esausta e rassegnata sentì una voce chiamare il suo nome.
«Tris…Tris, apri gli occhi, svegliati!»
La giovane riaprì gli occhi e davanti a lei non c'era più il muro di fiamme, non c'erano più neanche il prato e il cielo, non c'era più nulla, solo buio.
Lentamente si alzò e cominciò a camminare con le braccia tese davanti a se, alla ricerca di qualcosa che l'aiutasse a capire dove si trovava. Dopo qualche passo i palmi delle sue mani toccarono una superficie liscia e fredda. Lentamente si spostò di lato seguendo quella strana parete, ma dopo solo un passo la sua spalla andò a sbattere contro un'altra parete.
«No!» disse con un filo di voce mentre iniziò a singhiozzare.
Sapeva bene dove si trovava e quello che sarebbe accaduto da lì a poco.
Come comandato dal suo pensiero, un grosso faro si accese sopra la sua testa e le diede la certezza di trovarsi davvero dove pensava.
Era all'interno di una scatola di vetro. Sopra la sua testa calò una pesante lastra di vetro chiudendo la sua unica via di fuga. Ai suoi piedi un grosso tubo iniziò a riversare acqua gelida in quella che stava per trasformarsi in una grande bara di cristallo.
Tris sapeva esattamente cosa doveva fare per avere una possibilità di salvezza.
Si tolse velocemente la giacca e si immerse nell'acqua gelida che ormai le arrivava sopra le ginocchia. Cercò di fermare il flusso dell'acqua usando la giacca per tappare il tubo, ma appena la spinse contro l'apertura si ritrovò a stringere tra le mani del fango.
"Non doveva andare così" pensò allungandosi verso l'alto alla ricerca d'aria.
Ormai si stava rassegnando, sapeva che qualsiasi cosa lei facesse non sarebbe servita a salvarla. Sapeva che se avesse continuato a lottare non sarebbe morta affogata ma si sarebbe ritrovata in un nuovo orrore, perché è così che vanno le cose all'inferno: ci si libera da un tormento per passare a quello successivo.
Così erano sempre andate le cose per lei, ma ora lei era stanca di tutto quel orrore e di quella sofferenza, pensava che se avesse deciso di voler morire forse tutto sarebbe finito. Così si lasciò andare, si abbandonò al freddo abbraccio dell'acqua mentre lacrime calde le scivolavano lungo le guance.
Ormai sommersa, guardò la sua immagine riflessa nella lastra di vetro, ma quella che vide non era la sua immagine. Davanti a lei c'era un'esile donna con lunghi capelli bianchi e occhi così chiari da sembrare di ghiaccio. Indossava un lungo abito bianco e sembrava fluttuare nel nulla.
La donna la guardò e le sorrise dolcemente appoggiando le sue mani contro la lastra di vetro. Tris allungò le braccia e cercò di afferrare le mani della donna. Appena i palmi delle sue mani sfiorarono il vetro si sentì invadere da un calore buono e nella sua mente vide lentamente scorre delle immagini. Erano i ricordi della sua vita passata. La sua infanzia, la cerimonia della scelta, l'iniziazione negli Intrepidi, l'attacco agli Abneganti, la fuga dalla città, la grande casa di legno dei Pacifici e il quartier generale dei Candidi dove gli Intrepidi traditori l'attaccarono di sorpresa.
I ricordi si interruppero bruscamente. Tris capì che in qualche modo la sua mente e quella della diafana donna erano collegate ed era stata lei a far cessare il flusso dei ricordi.
«Perché?» chiese alla donna sperando che davvero potesse sentire i suoi pensieri.
«Perché non c'è altro da vedere» le rispose la donna dandole conferma che le loro menti erano davvero unite.
«Non è vero, so che c'è altro!» ma quando cercò di pensare ai ricordi successivi non ci riuscì, la sua mente era completamente vuota.
«Tris, sai bene che ci sono cose che non sono reali»
La donna riattivò il flusso dei ricordi e le fece rivivere attimi del secondo modulo dell'iniziazione degli Intrepidi e subito dopo l'attacco al quartier generale dei Candidi.
Nella mente di Tris sembrava tutto reale. Le vetrate che andavano in frantumi, l'odore del gas, la gente che cadeva a terra, la sensazione di sentirsi mancare e l'oscurità che la avvolgeva lentamente.
Tris guardò incredula la donna.
«Sapevano già chi dovevano prendere, i Divergenti non sono immuni a tutto e...»
La donna interruppe bruscamente il loro contatto mentale e si guardò intorno spaventata.
Picchiettò con un dito sulla lastra di vetro e le disse: «Tris, non è reale, ricordi?» le sorrise e prima di svanire aggiunse: «Svegliati!»
«Non è reale»
Tris ripeté le parole della giovane donna e si accorse che l'acqua non le feriva i polmoni, era inconsistente, non era reale.
Tris guardò la lastra di vetro, fece su di essa una lieve pressione con i palmi delle mani e la mandò in frantumi.
L'oscurità e il silenzio l'avvolsero di nuovo.
