Castle si svegliò di soprassalto sul lettino dell'ambulanza, con una sensazione di pesante stordimento e senza ricordare esattamente che cosa fosse successo. Aveva ricordi confusi e frammentati. Sapeva solo di avere un unico angosciante interrogativo, che gli martellava in testa: scoprire se anche Beckett si fosse risvegliata e se stesse bene.
Chiese ai paramedici quanto tempo fosse passato. Qualche ora, risposero. Di cui lui non aveva nessuna traccia.
Ricordava solo di aver cercato disperatamente di tenerla sveglia, facendola parlare, perché se c'era una cosa che aveva imparato dai film catastrofici, è che per non morire assiderato, non si deve dormire, anche se a un certo punto si smette di avere tanto freddo e abbandonarsi al sonno sembra così piacevole. Era vero. Lo era.
Le aveva sistemato il cappuccio sulla testa, tirandoglielo bene sugli fronte, con l'illusione di tenerla più al caldo, desiderando proteggerla, anche se sapeva che era solo una vana speranza.
La temperatura era scesa sotto lo zero, e c'era ben poco che potesse fare per salvarli, ma non poteva arrendersi, non prima di aver tentato il possibile.
Purtroppo la sua mente aveva iniziato presto a girare in tondo, prima per brevi attimi confusi da cui riemergeva di colpo, e poi non era stato più in grado di seguire il filo dei suoi pensieri. Sprofondava in brevi istanti di incoscienza, in cui vagabondava saltando da un'immagine senza senso all'altra, per poi tornare lucido all'improvviso.
Ogni volta dopo intervalli sempre più lunghi.
Per distrarsi, aveva cercato di organizzare la scaletta del suo prossimo romanzo, per concentrarsi su qualcosa di concreto. L'avrebbe di sicuro intitolato "Frozen Heat", decise.
Cosa avrebbe fatto Storm per tirarli fuori di lì? Doveva pensare a qualcosa, in fretta. Una delle sue idee brillanti sarebbero state d'aiuto, glielo aveva detto anche lei, quando era ancora in sé. Ma non riusciva a pensare a niente. Perché non c'era più niente che potesse fare.
Lei aveva perso conoscenza per prima, l'aveva sentita sempre più pesante tra le sue braccia. Aveva provato a scuoterla, aveva provato a gridare il suo nome per svegliarla, ma gli era uscito solo un gemito strozzato, mentre il panico gli faceva pulsare il sangue veloce, dandogli una temporanea sensazione di vitalità, che si era spenta rapidamente.
Piano piano l'aveva colto un languore fisico invincibile, a cui non era stato in grado di resistere. Come ultimo tentativo, aveva iniziato a darsi degli ordini, con le ultime forze rimaste. Stai sveglio, si sferzava. Chiudo gli occhi per cinque minuti, aveva contrattato.
Se ti addormenti, sei morto.
Conto fino a dieci e poi li riapro.
Evidentemente, aveva vinto la parte di lui che lottava meno per la sopravvivenza.
Un medico sconosciuto lo calmò e lo convinse a rimettersi disteso, informandolo che la sua partner stava bene e si era ripresa prima di lui. Tipico di lei. Era così competitiva, sorrise tra sé.
Dopo aver passato altro tempo sdraiato, fremente e inquieto, mentre lo visitavano e gli controllavano i parametri vitali, lo lasciarono finalmente libero di andarsene.
Non aveva semplicemente
freddo. Provava un gelo che non riusciva a far svanire, nonostante i fluidi e le coperte che gli avevano avvolto intorno al corpo, per fargli recuperare una temperatura corporea accettabile.
Appena riuscì a mettersi seduto, scorse Beckett non lontana dalla sua postazione, appoggiata a una macchina, intenta a parlare con Esposito e Ryan. Sembrava stare molto meglio di lui, e già operativa.
Chissà se l'avevano riammessa al caso. Se li avevano riammessi.
Si alzò controllando di non avere capogiri, come gli avevano consigliato di fare, e, una volta resosi conto che riusciva a rimanere saldo sulle gambe, si affrettò a raggiungerla, già stufo di avere gente intorno a occuparsi di lui.
L'affiancò, ricevendo in cambio uno dei suoi rari sorrisi. Non ci fu nessun'altra manifestazione di sollievo, per essere sopravvissuti alla morte insieme, ancora una volta, ma loro erano bravi a capirsi attraverso minimi gesti. Erano fatti così.
"Detective Beckett, riesci sempre a portarmi in posti che non mi aspetto", la apostrofò in tono leggero, come se fossero a un evento mondano e il massimo del pericolo fosse rappresentato dalle tartine al salmone avariate.
"La vita dei poliziotti è piena di avventure, signor Castle", gli rispose con lo stesso tono.
"Ma almeno questo non puzzava come i cassoni dell'immondizia".
"A parte il cadavere".
"Che non puzzava perché era congelato". A logica era bravo quanto lei.
Mentre parlava del niente, di cui avevano entrambi bisogno, si prese la libertà di osservarla senza farsi notare, per controllare con i suoi occhi se fosse veramente tutto a posto.
Aveva perso conoscenza prima di lui ed era quindi rimasta svenuta più a lungo. Questo aveva causato delle conseguenze? Gli sembrava di no, per il momento. Per quello che poteva vedere, stava bene, era quasi in forma, mentre lui si sentiva ancora sottosopra. Capacità di recupero uno a zero per lei.
Non si sentiva di poter manifestare troppo apertamente la sua apprensione per la sua salute, né la felicità di vedere che avevano superato anche questa prova, insieme.
Con lei doveva sempre essere cauto, perché tendeva a diventare spinosa come un riccio, se le si stava troppo addosso. E anche perché lei era di un altro.
Non giriamoci intorno, Rick. Faceva i conti con questa realtà da diversi mesi e aveva pensato che con il tempo avrebbe fatto meno male.
Che a un certo punto sarebbe stato normale vederli insieme. Lui poi aveva avuto Gina, fino a un certo punto. Erano stati pari.
Non era andata così. Più passava il tempo e peggio si sentiva. Come se ogni giorno che passava con Josh, diminuisse le possibilità che stesse con lui. Come se fosse una corsa contro il tempo. E ogni giorno si scopriva sempre meno vicino al traguardo, e sempre più ansioso.
Doveva smettere. Non lasciava mai che questo pensiero risalisse dal caos primordiale e penetrasse nella sua mente senziente, perché, per poter mantenere la calma, doveva sminuire la sua ossessione. Altrimenti avrebbe passato le notti camminando avanti e indietro e scavando solchi nel pavimento, si sarebbe dannato e avrebbe rovinato tutto. Andava bene così. Erano partner, una recente, piacevole, conquista. Partner era bellissimo, quando glielo aveva proposto non si era reso conto di aver trattenuto il fiato per un momento, finché era stato travolto dal sollievo quando lei aveva sorriso e aveva accettato la nuova definizione del loro rapporto. Un passo avanti nella direzione giusta, aveva sperato.
Partner voleva dire essere amici, fidarsi l'uno dell'altro, proteggersi, esserci sempre per l'altro, a prescindere da tutto. Certo, non era bello quanto "anime gemelle" o "anime karmiche", come gli era venuto in mente una volta (tante volte) in cui aveva cercato, senza nessuno scopo, o speranza, di definire il loro rapporto.
E poi le anime karmiche erano meno romantiche di quanto si pensasse. Infatti. Che cosa c'era di romantico tra di loro? Niente, appunto.
Certe domande, quindi, non spettavano a lui. C'erano dei limiti che non poteva oltrepassare. Dei limiti che a lui pesavano come macigni, ma che doveva rispettare facendo buon viso a cattivo gioco. Per il momento doveva bastargli quello che aveva. Una vita ai margini di Beckett era meglio di una vita senza Beckett.
E poi, andiamo, le poteva davvero piacere il motociclista capellone? No.
Il dottorino non la capiva come lui, ne era certo. Facile andarsene in giro per il mondo a salvare i bisognosi, quando la persona di cui doveva occuparsi era invece lì con lui. Ed era lui a proteggerla, o almeno a provarci.
Troppo facile così, Josh. Non sei tu che le porti al caffè al mattino, caricandolo di intenzioni amorevoli, perché è l'unica cosa che puoi fare. Non sei tu che le copri le spalle, che passi ore con lei e che sai con un attimo di anticipo quando sta per cambiare umore.
Non sai il punto esatto in cui si massaggia il collo quando è stanca. O tesa.
Non capisci istintivamente quando hai margine per farla stare meglio, o quando è meglio lasciarla da sola. Non vedi curvarsi le sue labbra, quando non vuole farsi scoprire a sorridere. Non sai fare un elenco delle piccole cose che la fanno divertire. Non le leggi la rabbia o l'impotenza negli occhi, quando le cose non vanno bene.
Ma sei tu che la porti a casa di sera. Ingiusto.
Interruppe l'eterna litania della sua mente, perché sapeva dove l'avrebbe portato, avendo già percorso questa strada infinite volte, quando li salutava fingendo allegria e se ne andava, crollando poi in ascensore.
Non era sano torturarsi così, ma non poteva fare diversamente.
Tornò su di lei, al presente. Gli sembrava in forma e con la testa già coinvolta dalle indagini.
La conosceva abbastanza bene da sapere che era il suo modo per non farsi prendere dalla paura e contrastare l'ondata di sollievo per essere sopravvissuti alla morte.
Se avesse lasciato via libera alle sue emozioni, avrebbe avuto le gambe di gelatina e le mani tremanti. Lo sapeva perché era così anche per lui. Doveva concentrarsi su qualcosa d'altro, qualcosa di importante, che non gli permettesse di pensare. Salvare il mondo, per esempio.
La vide controllare ossessivamente il suo cellulare, sempre più frustrata, come aveva fatto per tutto il giorno, di pessimo umore e rendendo infernale la vita di chiunque intorno a lei. La sua per prima, ma lui era abituato. Evidentemente di Josh nessuna traccia. Forse era ancora sull'aereo per Haiti. Di certo non si erano salutati nel migliore dei modi, si disse, ripensando a quando li aveva interrotti durante quello che, ai suoi occhi non imparziali, era sembrato un battibecco in piena regola.
Non che gli importasse, ovviamente. Finché lei era felice, lui era felice. Come no. Saltava di gioia, pensò con una smorfia.
Era così altruista che il suo ego maschile aveva fatto un triplo salto carpiato, nel vedere "Mr Salvo Il Mondo Senza Spettinarmi", andare via seccato.
Davanti a lei fingeva una indifferenza che era ben lontano dal provare. Indossava la sua maschera di bronzo, sorrideva e si comportava in modo neutrale.
Come sta Josh? No, certo, vai pure, non c'è nessun problema, avete un appuntamento, divertitevi, non pensare a me. Nel frattempo, dentro alla sua mente gli aveva già frantumato la testa contro il cemento armato centinaia di volte. Poi vediamo se non ti scompigli i capelli, cardiochirurgo dei miei stivali.
Si era stupito quando, rinchiusi in quarantena, lei si era aperta con lui. Non per il fatto di avergli detto che con Josh le cose andassero male. (Certo, anche per quello). No, la verità era che lei non si confidava mai con nessuno, ed era stato sorpreso, e grato, che avesse scelto lui per raccontarsi.
Avrebbe voluto tirar fuori il maestro spirituale che albergava in lui e, con aria ispirata, dirle qualcosa di semplice, ma efficace, una qualche frase filosofica che avrebbe illuminato il suo cammino e grazie alla quale lei avrebbe trovato finalmente un senso alle cose e che l'avrebbe indotta a guardarlo con occhi ammirati, come se fosse il suo eroe.
Invece era successo tutto l'opposto. Non aveva detto niente di memorabile, l'aveva solo ascoltata. Quello lo sapeva fare bene. Le donava sempre la sua attenzione, piena di reale interesse e affetto, perché di lei gli importava davvero. E non solo come corteggiatore all'ultimo posto della lista.
Erano stati interrotti quando lui si stava lanciando senza paracadute giù dalla montagna, nel candidarsi come "uomo che era lì per lei " (Kate, Kate, sono qui, sono sempre stato qui, non mi vedi?), ma gli era stato provvidenzialmente impedito di farlo. E adesso ne era contento. Sarebbe stato sbagliato e imbarazzante e poi sarebbero dovuti rimanere nella stessa tenda di contenimento e lui non sarebbe nemmeno riuscito a risolverla con una delle sue brillanti battute. Cosa avrebbe detto ai loro nipoti? Mi sono dichiarato alla nonna mentre pensavamo di morire per esposizione a radiazioni pericolose e il mondo ci stava trattando da paria? E questo prima di stare quasi per morire congelati, abbracciandoci.
No, meglio tornare alla solita prudenza e cautela, che erano ormai per lui come una seconda pelle.
Beckett lo aggiornò brevemente su chi e come li avessero trovati, lo informò che erano rimasti senza conoscenza forse per un'ora, rischiando davvero di morire e che il salvataggio era stato tutto merito di Alexis. Come, si chiese, non era via con sua madre? Doveva allontanarle subito dalla città. Era troppo pericoloso farle rimanere lì.
Le sue riflessioni furono interrotte dall'arrivo di Fallon, che, pur fuori di sé per il loro piccolo fuoriprogramma, dovette a malincuore riammetterli all'interno dell'indagine. Fallon non li conosceva ancora abbastanza per sapere che era meglio tenerli sotto controllo, perché di certo non sarebbero rimasti con le mani in mano ad aspettare che un qualsiasi funzionario della sicurezza interna salvasse la città. Così insopportabile, per giunta.
"Quindi, domani si ricomincia", disse a Beckett, tanto per non rimanere in silenzio, guardando l'altro andare via. Sentiva di nuovo l'eccitazione del cane da fiuto di fronte alla prospettiva di una buona battuta da caccia. E, certo, ovviamente voleva salvare il mondo da una reale minaccia. Il pensiero lo fece stare subito meglio e pieno di forze, anche se temeva che la sua temperatura corporea non si fosse ancora normalizzata. Si chiese se avrebbe mai di nuovo avuto caldo. Chissà, forse la prossima estate afosa in città.
"Vuoi un passaggio, Castle?", lo riscosse Beckett dai suoi pensieri, per una volta concentrata su di lui e non su quel maledetto telefono.
"Sarai stanca. Non preoccuparti, prendo un taxi. Domani ci aspetta una lunga giornata, dobbiamo riposarci".
E andare nei centri commerciali con l'aria condizionata. E tenerci idratati. Si chiese a che punto fosse diventato così noioso. Tutta quella cautela gli faceva male.
"Non ti serve un taxi, ti accompagno io", stroncò decisa le sue obiezioni.
Castle si fermò mentre stava per ribattere che, no, grazie, non era di strada. Apprezzava la gentilezza, ma non voleva che guidasse più del necessario. Ma qualcosa che non riuscì a cogliere con precisione - un istinto, l'abitudine a leggere i messaggi nascosti nelle impercettibili variazioni del tono della voce -, lo convinse a non proseguire.
"Avanti, sali in macchina", gli ordinò.
D'accordo, se era quello che desiderava. Forse non voleva stare da sola. Forse l'idea di morire congelata l'aveva spaventata più del previsto. Forse era fobica del freddo. La gente ha tante fobie insospettabili.
Si sedette al suo solito, scomodo, posto, in silenzio. Era il momento che lui chiamava, dentro di sé, "Stanare Beckett". Si trattava di rimanere ai margini, fingere di interessarsi ad altro, aspettare, e poi calare con il retino quando la farfalla arrivava a portata di mano.
Oddio, no, non così. Non nel senso di volerla intrappolare. Una volta aveva letto un articolo su certi gesti che la mente ordina al corpo di fare istintivamente. Era una cosa stupida, tipo quando si gioca a colpire le mani tese dell'altro, prima che le sposti. Se ci pensi razionalmente, arrivi troppo tardi. Se ti fidi dell'istinto, vinci.
E con Beckett si trovava a fare lo stesso. Lei gli era inaccessibile e imperscrutabile per la maggior parte del tempo. Non serviva mai forzarla. Potevano passare giorni, e poi spuntava all'orizzonte del suo radar emotivo. E lui era lì pronto ad accoglierla. Bisognava cogliere il cambiamento di atmosfera e farsi trovare, delicato e attento al punto giusto. Era uno di quei momenti. Si preparò a dare ascolto al suo istinto.
Viaggiarono per le strade quasi deserte, Beckett era concentrata sulla guida, persa nei suoi pensieri. Lui guardò per tutto il tempo fuori dal finestrino.
Inaspettatamente, accostò a un marciapiede qualsiasi, non lontano da casa sua e spense il motore. Non erano nemmeno lontanamente vicini al loft. Forse aveva cambiato idea, era stanca e lui avrebbe potuto prendere un taxi da lì.
Si girò verso di lui. "Stai bene?". La voce era esausta, come se tutta la sua grinta avesse ceduto di colpo, ma non riuscì a decifrare l'espressione del suo viso, che rimaneva in ombra.
"Io? Sì, certo. Tu stai bene?".
A casa tutti bene? Ha fatto bel tempo?
"È che... ", Beckett toccò il volante con una mano, insicura su come continuare. Castle aspettò il prossimo flusso di parole, che arrivò puntuale come previsto.
"Sono tutte queste cose insieme. La bomba, la cella frigorifera. Credo che non riuscirò a dormire". Fece una pausa. Castle non si mosse.
"Vuoi salire?", propose lei dal nulla.
Cosa?
Cosa?!
Si accorse che lei aveva scambiato il suo shock per titubanza, e la sentì aggiungere velocemente: "Per parlare del caso, le novità emerse stasera".
Lo stava rassicurando che non intendeva sedurlo? Gli venne da ridere. Era l'ultimo dei suoi pensieri, purtroppo. O per fortuna.
"Sì, certo, va bene. Anche io sono troppo sveglio per pensare di dormire".
