Salve a tutti, mi chiamo Tereca e sono italiana. Non sono nuova di questo sito, anzi! Qui ho sempre avuto accesso come lettore e recensore, ma questa è la prima volta che mi inserisco come autore. Come lettore ho sempre fatto uso di un fantastico strumento, google traduttore, grazie al quale ho avuto la possibilità di conoscere storie magnifiche. Spero tanto che la mia storia vi incuriosisca al punto di continuare a leggerla e se non conoscete la lingua italiana fate come me, pigiando il tasto destro del mouse dove troverete il "traduci" nella vostra lingua madre, oppure in alto a destra nella barra di navigazione.

Spero tanto che il primo cap vi incuriosisca al punto di continuare la lettura e vi ringrazio in anticipo se perderete il vostro prezioso tempo leggendo la mia storia e ancora di più se spenderete due parole per recensirla.

Un ultimo appunto: le mie storie (compresa questa) sono già tutte pubblicate sul sito italiano , se vi va potete dargli un'occhiata.

Vi abbraccio tutti,

Tereca


La maggior parte dei personaggi qui trattati non mi appartengono, ma sono proprietà di Yumiko Igarashi; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Era passato poco più di un anno dal loro ritorno in Australia. Tutto era rimasto come lo avevano lasciato. La loro amata fattoria aveva risentito di questa lunga assenza e lo zio Kevin, nonostante la fatica, nonostante le due fattorie di cui occuparsi, era riuscito comunque a prendersene cura.

Ebbe un sussulto che mise a dura prova il suo vecchio cuore quando li vide lì, davanti la porta della sua casa, mentre si prestavano a cingerlo forte in quel meraviglioso abbraccio, felici di essere tornati, di sentirsi finalmente al sicuro, a casa.

Li trovò completamente cambiati, cresciuti sì, ma tanto tanto cambiati. Non riconosceva più in loro quei ragazzi di un tempo, i suoi tre nipotini. Adesso di fronte a sé si ritrovava solo tre persone che erano cresciute sì come fratelli, ma ormai così profondamente diversi e distanti anni luce da quello che erano un tempo. Quello che era accaduto loro in Inghilterra li aveva segnati per sempre e nel profondo, un'esperienza troppo grande per dei giovani ragazzi nati e cresciuti nella semplicità di una fattoria australiana.

Lo zio Kevin, da quando erano tornati, li osservava giorno dopo giorno, cogliendo i profondi cambiamenti in ognuno di loro. Arthur, in particolare, aveva faticato parecchio a riprendersi dalle lunghe torture a cui era stato sottoposto. Nonostante l'aria di casa, il ragazzo non riusciva a lasciarsi alle spalle la dolorosa esperienza. Proprio non vi riusciva, nonostante suo fratello fosse lì, con lui, a sostenerlo tutti i santi giorni; e nonostante Georgie, che aveva scelto di ritornare con loro in Australia, abbandonando persino il padre appena ritrovato. Tutto questo per loro, per vivere la sua vita insieme a loro, ai suoi adorati fratelli. Arthur, però, non riusciva a dimenticare, l'orrore vissuto lo aveva segnato sul corpo, ma anche e soprattutto nell'animo e ne era uscito fortemente provato. Le sue giornate "tipo" erano scandite da intervalli di serenità apparente e improvvisi attacchi di panico a cui succedevano momenti di totale distacco dalla realtà che lo circondava. Il problema era che non riusciva a controllarsi, tutto ciò era per lui imprevedibile, qualunque cosa stesse facendo, in qualsiasi momento, quando un attacco lo coglieva non poteva far nulla per impedirlo, se non cedere al dolore, un dolore paragonabile a quello di una lama conficcata nella testa, che lo stremava al punto di farlo accasciare a terra tremante in un bagno di sudore.

E le notti… beh... le notti erano anche peggio. Gli incubi lo tormentavano. Lo zio Kevin non aveva mai saputo i dettagli di quello che aveva subito durante la sua lunga prigionia. Il ragazzo non era ancora riuscito a confidarsi con lui fino a tal punto e probabilmente non lo avrebbe mai fatto. Era chiuso come un riccio ed era piuttosto evidente che ciò che lo angosciava era qualcosa che non poteva essere curato da una semplice chiacchierata con il suo vecchio zio, perché ciò che aveva vissuto gli aveva lacerato l'anima così profondamente che non gli sarebbe bastata tutta una vita per risanarla.

"Povero ragazzo.." ripeteva tra sé mentre lo osservava intento a badare alle pecore. Per fortuna il lavoro in fattoria lo teneva parecchio occupato e nonostante la fatica, quelli erano gli unici momenti in cui lo vedeva veramente sereno e lontano dai mostri che lo perseguitavano giorno e notte.

Lo zio Kevin si sentiva impotente, vecchio, stanco. Non avrebbe mai mollato, di questo era certo, ma sentiva di non avere più la forza e l'energia di un tempo per badare a quei ragazzi. Ragazzi! In effetti osservandoli non lo erano più. Non lo era più sicuramente Abel. Più l'osservava più si rendeva conto che l'uomo che aveva di fronte non aveva più nulla in comune con il giovane impetuoso, irruento, irresponsabile di anni addietro che gli procurava solo dei grattacapi. Assomigliava tremendamente al padre, lo stesso fisico slanciato, le spalle larghe, persino la muscolatura era la medesima, ma ciò che li accomunava maggiormente era la stessa capacità di infondere sicurezza in coloro che gli stavano accanto, la stessa immagine di uomo solido e integro sul quale poter contare. Lo zio era sinceramente colpito da questo nuovo Abel. Anche lui si sentiva al sicuro e rincuorato dal fatto che il maggiore dei suoi nipoti era lì con lui, pronto ad aiutarlo.

Sì! Su di lui poteva davvero contare ed era sicuro che non avrebbe mai più lasciato da solo suo fratello, lo avrebbe sostenuto per tutta la vita. Gli avevano raccontato di ciò che era accaduto in Inghilterra, del suo sacrificio per salvarlo, di come si era sostituito a lui in quella cella e di come aveva rischiato di morire, a sua volta, perché condannato per aver ucciso il mostro che lo aveva torturato. Sì, Abel era proprio cambiato. Notava come i suoi occhi si posavano sempre su Arthur, come vegliava su di lui ogni istante della giornata, e lo faceva con tutta la discrezione che poteva senza mai farsene accorgere. Zio Kevin non poteva sapere, ma di certo lo immaginava, quanto e fino a che punto la presenza di Abel fosse indispensabile. E di notte lo era più che mai, quando Arthur era preda degli incubi, quando a causa di quest'ultimi lo sentiva gridare costringendolo a scattare in piedi e a precipitarsi da lui per calmarlo. E ogni santa notte si ritrovava così in lacrime, sofferente per le condizioni del fratello, finendo sempre per addormentarsi con lui cinto forte tra le braccia, provando in questo modo a fargli capire che per nulla al mondo lo avrebbe mai più lasciato solo. Pregava, Abel, nello strazio che era costretto a vivere giorno e notte pregava e confidava in ogni santo posto in cielo che il tempo sanasse le loro ferite e soprattutto di far trovare loro la forza per andare avanti.

Zio Kevin era convinto che Abel ce l'avrebbe fatta prima o poi a tirare fuori il fratello da quell'incubo. Ne era certo. Era solo questione di tempo. C'era, però, qualcos'altro che l'occhio attento dello zio aveva colto nel maggiore dei nipoti. Dal loro ritorno in Australia, infatti, aveva notato un atteggiamento diverso nei confronti di Georgie. Non c'era più quello sguardo languido e trasognato di un tempo ogni volta che si posava sulla sorella. Quello sguardo, adesso, era diverso, sembrava come se non la guardasse veramente, ma non era indifferenza, anzi, era evidente che per lei lui ci sarebbe stato sempre e che le volesse ancora molto bene, ma i suoi occhi su di lei erano diversi, non brillavano più di quella fiamma incontenibile che lo aveva consumato e infuocato allo stesso tempo. Sembrava … sì! forse era così… rassegnato, combattuto. Ogni volta che si rivolgeva a lei o per qualsiasi altro motivo le si trovava accanto, i suoi occhi in automatico si spegnevano, come una fiamma sorpresa da una raffica di vento gelido. Era dunque possibile? Abel aveva davvero smesso di amare Georgie? Se lo chiedeva spesso zio Kevin, ma stentava a credere che il tormento che aveva lacerato quel ragazzo, che lo aveva portato a prendere decisioni estreme senza esitazione, come l'abbandono di suo fratello e della stessa madre, lo avesse del tutto lasciato. Quel tipo d'amore non abbandona mai il malaugurato che lo prova e gli lascia ferite spesso insanabili.
E le ferite di Abel non erano guarite, ne era certo, ma ammirava la sua capacità di non lasciar trapelare nulla così come gli riconosceva la forza e la maturità con cui si prendeva cura di tutti. Era diventato un vero uomo, un vero uomo come suo padre.

E poi… e poi ecco Georgie. Lo zio Kevin adorava la sua nipotina e questa era veramente cresciuta. Più la guardava più comprendeva lo stato d'animo di quei poveri ragazzi. Si erano ritrovati fin da piccoli, per un disegno perverso del destino e per costrizione, a far da fratelli ad una bambina che crescendo era divenuta sempre più bella, di una bellezza che i loro giovani cuori non potevano combattere, dalla quale non potevano difendersi. Mary aveva tentato con tutte le sue forze di proteggere i suoi figli, ma ogni suo sforzo era stato vano. Nulla aveva potuto contro quel dannato destino, la sua famiglia era stata segnata per sempre e con questo tormento si era spenta una notte nella solitudine della sua stanza. "Sorella mia.." piangeva ogni volta che pensava a lei, al dolore che l'aveva portata alla morte. Spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se fosse sopravvissuta e fosse lì assieme a suoi figli di nuovo riuniti, tutti e tre sotto lo stesso tetto. Avrebbe notato sicuramente i loro cambiamenti e sicuramente avrebbe continuato a preoccuparsene. Chissà come sarebbe stato adesso il suo rapporto con Georgie? Rapporto con la figlia adottiva manifestatosi da sempre d'amore e odio e soprattutto gelosia. Era certo che avrebbe continuato a farle da madre e ad insegnarle tutto il necessario per diventare una donna, ma allo stesso tempo avrebbe continuato, sopra ogni cosa, a proteggere Abel e Arthur, com'era naturale del resto. I suoi due figli sarebbero stati sempre al primo posto per lei, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di prendere il loro posto nel suo cuore e avrebbe smosso l'inferno pur di non farli soffrire. Proteggerli ed amarli incondizionatamente erano vincoli dettati dall'istinto, quel legame naturale che ogni madre percepisce per i propri cuccioli, e per Mary l'unico luogo al mondo dove tenerli al sicuro era proprio lì, nella loro casa, accanto a lei.

Così, mentre rifletteva, lo zio Kevin finì per ammettere a se stesso quanto l'amore possessivo di Mary nei confronti dei figli avesse condizionato le loro vite. Le scelte di Abel in particolare erano la prova evidente delle conseguenze di quell'educazione così serrata. Nel suo stesso modo d'amare c'erano somiglianze con la madre. Una volta compreso di essere innamorato di Georgie, si era infatti fin da subito mostrato irruento e possessivo, arrivando a minacciare il suo stesso fratello se lo avesse scoperto innamorato di lei.

Il ricordo di quegli spiacevoli momenti lo fece rabbrividire. Dio, quanto tempo era passato e com'erano cambiati.

Nonostante il sorriso ritrovato una volta arrivata nella sua terra, nella sua casa, assieme alle uniche persone al mondo che veramente amava e che l'amavano, la giovane donna che si ritrovava davanti portava i segni delle vicende che avevano stravolto la sua breve vita. Anche Georgie era cambiata e lo zio se ne era accorto suo malgrado. I suoi occhi erano sempre tristi, apparentemente celati dalla sua indole gioviale, ma non erano più quelli di una volta. Certamente la mancanza del padre si faceva sentire, ma non era solo questo a turbare il suo cuore. Soffriva terribilmente per Arthur, era evidente, anche lei come Abel doveva sentirsi impotente di fronte alle crisi del fratello. Sapeva che al pari di Abel tutti i giorni e tutte le notti di quell'anno aveva vegliato insieme a lui sul fratello, senza mai perderlo di vista, nascondendo spesso l'orrore che provava di fronte a quelle crisi, inorridendo all'ascolto di quelle parole a volte incomprensibili ed altre invece chiare, che non lasciavano dubbi su cosa o chi tormentava i suoi sogni. Lo zio Kevin conosceva la profonda sensibilità di sua nipote e l'amore che provava per quei ragazzi che aveva creduto a lungo suoi fratelli. Era sicuro che soffrisse per loro e come loro. Ed era convinto che la sofferenza che leggeva negli occhi della nipote fosse gravata dal senso di colpa, dalla consapevolezza di essere stata l'artefice di tanto dolore. In effetti, lo zio Kevin non poteva fare meno di ammettere che la presenza di Georgie aveva sconvolto non poco la vita dei suoi ragazzi e nulla, a causa di questo, sarebbe stato più come prima. Ma non avrebbe mai serbato rancore per quella bambina per la semplice ragione che non sarebbe stato giusto addossarle una tale colpa. Sì!.. non sarebbe stato per nulla giusto.

- Ehi zio! Ci sei?.. è da un po' che ti chiamo! – La voce di Georgie lo distolse dai suoi pensieri. - Eri così assorto che hai completamente ignorato che ti chiamavo. Ma cosa stavi pensando? … dai, su! entra in casa, ti ho preparato il tè e ti ho lasciato in caldo lo stufato, così stasera avrai un buon pasto ad aspettarti dopo una così lunga giornata di lavoro".

- Ti ringrazio Georgie, non so cosa farei senza la mia nipotina che si prende cura di questo povero vecchietto. – Le sorrise compiaciuto di tante premure e di tanto affetto. La nipote gli diede un buffetto sul braccio mostrandosi contrariata alla parola "vecchietto" e gli rivolse uno di quei suoi soliti sorrisi, quelli che erano in grado di lenire le giornate faticose come quella che volgeva ormai al termine, lasciando campo libero al crepuscolo e poi alla notte.

- Abel e Arthur hanno ormai finito e fra poco, raccolte le nostre cose, torniamo a casa. Zio, te lo ripeto per l'ultima volta! Sei sicuro di voler rimanere qui tutto solo, piuttosto che trasferirti da noi? Staremmo tutti più tranquilli se lo facessi – Cercava di essere più convincente possibile e lo zio lo sapeva, ma per lui allontanarsi dalla sua fattoria era praticamente impossibile. Voleva passare il resto dei suoi giorni lì e per nulla al mondo avrebbe voluto ritrovarsi altrove il giorno che sarebbe giunta la sua morte.

- Bambina mia, so che vuoi solo il mio bene e che ti preoccupi per me, ma cerca di capirmi, ti ho già spiegato che non potrei mai separarmi da questo posto. E poi … e poi lo faccio anche per un altra ragione. Ebbene sì, lo faccio per voi! – le prese le mani e continuò guardandola serio negli occhi… - Tu, Abel e Arthur avete bisogno di ritrovare quell'armonia che vi distingueva un tempo. Lo so! È difficile, è... diverso. Non siete fratelli naturali, ma siete cresciuti come tali e dovete cercare di ricostruire il vostro rapporto. So che è difficile, ma provare ad essere una famiglia in cui ci si ama e ci si sostiene è l'unico modo per riuscire ad andare avanti. Dopo tutto quello che avete passato è normale che sia così complicato, ma sono sicuro che ci riuscirete, da soli, anche senza il mio aiuto. Avete affrontato così tanti ostacoli e li avete superati, soli, senza nessuno che vi proteggesse e… - chinò la testa sentendosi allo stesso tempo rincuorato e affranto al pensiero di ciò che avevano passato e superato i suoi cari nipoti - ..a questo punto il mio aiuto non serve più, siete abbastanza forti e ormai in grado di badare a voi stessi".

Georgie ascoltò attenta le parole dello zio e se ne sentì scossa. In verità quella sicurezza e quella forza a cui si riferiva, lei non riusciva proprio a notarle. Se lo zio fosse stato in grado di leggerle dentro, nel profondo, si sarebbe reso conto di quanto le sue parole erano lontane dalla verità. Il suo stato d'animo era in bilico tra l'angoscia e la frustrazione. Le esperienze che avevano vissuto li aveva distrutti e di questo ne era del tutto consapevole e incapace di porre rimedio. Nessuna forza, nessuna sicurezza, solo dolore. Era così, non poteva fare a meno di pensarla così.

Erano partiti dall'Inghilterra felici, sicuri di poter ricostruire le loro vite, ma quando si erano ritrovati di nuovo insieme nella loro terra, nella loro amata fattoria, dove nulla era cambiato e allo stesso tempo tutto non era più come prima, le cose erano andate diversamente da come avevano sognato e sperato. La realtà li aveva travolti come un fiume in piena e li aveva resi consapevoli. Tutto era cambiato, loro per primi lo erano.

Inizialmente l'abitudine a vivere insieme grazie all'infanzia condivisa li aveva aiutati a superare i primi imbarazzi di quella rinnovata e strana convivenza e le continue ed imprevedibili crisi di Arthur avevano inoltre allontanato ogni loro attenzione dalle rispettive agitazioni.
Quella che si era venuta a creare in quella casa era dunque una situazione del tutto surreale, in cui tutti erano coscienti del reciproco disagio e delle rispettive angosce, ma allo stesso tempo l'ignoravano lasciando che le giornate trascorressero così, semplicemente, evitando di parlarne e di ammettere una volta per tutte che le cose tra loro non andavano affatto bene e che, nonostante gli sforzi, continuavano a soffrire.

Ma.. non volevano farlo. Non volevano cedere. Non erano fratelli, è vero, ma si volevano bene. E Georgie era più che convinta che mai li avrebbe più abbandonati, neppure adesso che li sentiva così distanti, neppure adesso che lei stessa cominciava guardali in maniera diversa, a rendersi conto che non erano suoi fratelli. Era questo che la tormentava sopra ogni cosa, perchè era la sacrosanta verità, non lo erano e per quanto si sforzasse non riusciva proprio a considerarli più come tali, perché di fatto non lo erano, di fatto avevano vissuto troppi sconvolgimenti per riuscire a rimettere ogni pedina al proprio posto. Erano cresciuti ed erano semplicemente diversi.

Lei, ormai, era una giovane donna quasi ventenne con tutte le ripercussioni che la sua condizione naturale le imponeva. Se prima era stata bella, adesso, così cresciuta, lo era infinitamente di più, grazie anche alla maturità acquisita troppo precocemente per via di una vita fin troppo ingiusta che l'aveva indotta a reprimere l'eccessiva spontaneità di un tempo, riuscendo ormai a controllarla senza troppo sforzo, in maniera naturale. La freschezza dettata dall'innocenza della fanciullezza l'aveva ormai abbandonata, lasciando il posto ad una sensualità che traspariva non solo dalle evidenti rotondità di un corpo che sembrava disegnato per una dea su un dipinto, ma da ogni suo gesto, dal suo modo di muoversi, di camminare.

Ad accorgersene di questo cambiamento non erano stati solo i suoi fratelli e lo zio Kevin. Anche lei per la prima volta nella sua vita aveva acquisito piena consapevolezza di sé, del suo corpo, delle nuove emozioni e delle nuove sensazioni che provava e che suscitava. Non le era del tutto chiaro ciò che le stava capitando ed era sola, non aveva nessuna figura femminile con la quale confidarsi, che le potesse spiegare cosa le stesse accadendo. Tantomeno poteva parlarne con Abel e Arthur. Con Abel di certo no! e ripensandoci neppure con Arthur. Ma sapeva che quell'amore con Lowell era stato troppo breve e in realtà per niente vissuto per placare quell'incontenibile bisogno di amare e di essere amata che non le dava pace, che tormentava i suoi sogni e rendeva ogni suo risveglio sempre più penoso da sopportare.
La maschera di autocontrollo che era riuscita a costruirsi in realtà le era costata cara, più di quanto voleva ammettere a se stessa. Per riuscire a sopportare il dolore della separazione da Lowell aveva messo a dura prova tutte le sue forze. E adesso si sentiva come svuotata. In fondo ciò che voleva era solo dimenticare e per farlo si era concentrata con tutta se stessa su Arthur, solo per non pensarci più. Per tale ragione si sentiva un'egoista. Servirsi del dolore del fratello per cercare di placare in qualche modo il suo la faceva sentire una persona spregevole. Ma anche volendo non poteva agire diversamente.

Arthur, il suo caro, dolcissimo Arthur. Egli incarnava tutto ciò che la parola fratello significava. Non avrebbe mai potuto fare a meno di quell'amore. Avrebbe voluto parlargli, condividere con lui le sue preoccupazioni, ma ogni volta che provava a farlo era subito costretta a reprimere ogni tentativo, terrorizzata di dire o di fare qualcosa che lo turbasse e lo facesse ripiombare nel suo solito inferno. - Hai finito dallo zio Kevin? Sei riuscita a convincerlo a trasferirsi da noi?" Era così assorta nei suoi pensieri non si era accorta che Abel le si era avvicinato. Aveva finito assieme ad Arthur di sistemare le pecore nell'ovile ed era venuto a cercarla per fare ritorno alla loro casa. - No, è più testardo di un mulo! Ti assicuro che ho provato in tutti i modi a convincerlo, ma niente! È irremovibile".

- Forse è il caso di non provarci più. Dobbiamo rispettare la sua volontà e farcene una ragione. In fondo possiamo capirlo, anche per noi è stato difficile lasciare la nostra casa e alla fine abbiamo scelto di tornarvi e vivere lì la nostra vita".

Georgie lo ascoltò senza replicare, sapeva che aveva ragione. Era vero! Avevano scelto di ritornare in Australia, nella loro fattoria, di vivere tutti e tre assieme. Ma era consapevole che non era stato per niente facile. E non era facile tutt'ora vivere con loro sotto lo stesso tetto. L'intimità di quella casa la faceva sentire terribilmente a disagio, come un pesce fuor d'acqua, nonostante fosse la sua casa, il luogo dove era cresciuta. Ed era la presenza dei suoi fratelli a rendere tutto così difficile ed era anche per questa ragione che voleva che lo zio Kevin andasse a vivere con loro, per aiutarla ad affrontare il disagio che provava. Ne era consapevole. Con Abel, in particolare, lo percepiva di più assieme ad un duro distacco. Non le mostrava indifferenza o meno dolcezza rispetto ad Arthur, ma qualcosa in lui era cambiato. Lo avvertiva. Si era accorta della freddezza dei suoi occhi ogni volta che incrociavano i suoi, nonostante quel cenno di sorriso sulle sue labbra e quell'apparente calma nella sua voce. Si sentiva ogni volta spiazzata, turbata e seppure lo conoscesse da tutta una vita, che sapesse così tanto di lui non riusciva a capire cosa provasse, quale fosse il suo stato d'animo di fronte a quella strana situazione tra loro. Abel era più che mai impenetrabile.

E poi… poi c'erano quelle notti, le notti in cui usciva e non rincasava. Non accadeva spesso, lo faceva di rado e solo quando si assicurava che Arthur stava meglio. Chissà dove andava, cosa faceva? Se lo chiedeva spesso, non poteva fare a meno di chiederselo. Quando, nel cuore della notte, sentiva il cavallo spronato al galoppo sapeva che era lui e si precipitava alla finestra per scorgere un minimo indizio, qualsiasi cosa che le rivelasse dove stesse andando. Ma poi, una volta che i suoi occhi non riuscivano più a scorgere nulla, rammaricata finiva per tornarsene nel suo letto, aggiungendo nuove angosce alla sua anima già provata. Odiava quando lo faceva, quando permetteva alla curiosità di prendere il sopravvento. Non poteva stare in pena anche per lui. Non ne aveva la forza. Doveva concentrarsi solo su Arthur, lui più di tutti aveva bisogno di lei, ed era ciò che continuava a ripetersi ogni volta fino allo sfinimento, fino a quando ormai esausta finiva per cedere al sonno.

Continua…