IMPROBE AMOR
"Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!
Ire iterum in lacrimas, iterum tempatare precando
cogitur et supplex animos summittere amori,
ne quid inexpertum frustra moritura relinquat."
"Malvagio amore, a cosa non costringi i cuori dei mortali!
E' costretta a scendere ancora alle lacrime, a provare ancora
con le preghiere e supplice a piegare l'orgoglio all'amore
per non lasciare nulla di intentato nel correre invano alla morte."
Capitolo 1 - Vita brevis, ars longa (La vita è breve, l'arte lunga.)
"Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum pericolosum, iudicium difficile"
La vita è breve, l'arte lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile
Suona la sveglia.
Hermione Granger apre gli occhi controvoglia, desiderosa di rimanere ancora tra le calde braccia del suo piumino e continuare con serenità a sognare il sogno che sognava.
Cos'era? Non lo ricorda, ma sa, ne è certa, che era qualcosa che valeva la pena di sognare. Altrimenti non le avrebbe lasciato quella dolce sensazione di torpore e appagamento che prova ora e che, con un lieve disappunto, non le permette di alzarsi dal letto.
Ma deve farlo. Non può arrivare ancora una volta tardi. Il lavoro l'aspetta.
Ed è così che con un immane sforzo, Hermione Granger si alza dal letto.
Rabbrividisce, al tocco della fredda aria invernale.
Prende la bacchetta, e ad un rapido gesto un caldo vento meridionale invade la stanza. Ah, come ama unire la tecnologia babbana alle comodità della magia.
Il privilegio di essere una Mezzosangue.
Si lava, si veste, fa colazione, ed esce. Ma non dalla porta.
Si avvicina al camino, che scoppietta quieto, e vi getta dentro una strana polvere che ne rende le fiamme verdi.
Fa un passo avanti, immergendosi in quel colore, assolutamente certa che quel fuoco non la brucerà.
"Ministero della Magia" pronuncia, con voce forte e chiara.
Hermione Granger è un Auror. Una fiera, indomabile e abile Auror.
La guerra contro Voldemort si è conclusa da anni, ma i suoi strascichi sono ancora ben visibili. Ancora, piccole faide, piccole lotte, piccole ribellioni, rompono la quiete che altrimenti regnerebbe nel mondo magico.
La maggior parte dei Mangiamorte è stata rinchiusa ad Azkaban, ma non tutti.
Alcuni, come il Signor Malfoy e la Signora Narcissa Black, sono riusciti a rimanere fuori dalla prigione, dopo aver collaborato in lungo e largo con l'Ufficio Auror per la cattura dei seguaci di Voldemort, altri invece, seguaci minori, anonimi, sono riusciti a rimanerne fuori per mancanza di prove.
La maggior parte di essi, ad ogni modo, si trova tra le braccia della fredda prigione, dove, secondo Hermione Granger, devono stare. Dove dovrebbero stare tutti.
E' una di quelle che si è battuta contro la scarcerazione di Lucius Malfoy e Narcissa Black, la giovane Auror.
Nessuno, nessuno di coloro che ha contribuito alla morte di Alastor Moody, Fred Weasley, Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Albus Silente, Colin Canon, Sirius Black, James Potter, Lily Evans, Severus Piton e tanti, tanti altri, può rimanere libero, per Hermione Granger.
Ed è per questo che il suo stupore è stato grande, quando ha sentito il suo migliore amico, suo fratello, Harry Potter, testimoniare a favore dei Malfoy e rendere possibile la loro scarcerazione.
Harry Potter. Il Salvatore del Mondo Magico. Colui che ora dirige, con un po' di inesperienza ma molto entusiasmo, l'Ufficio Auror.
Ufficio Auror che è, quando Hermione vi entra, in preda al caos più assoluto.
"Hermione! Hermione, grazie al cielo sei arrivata!"
Harry le corse incontro, con una marea di gufi che gli svolazzavano intorno e numerosi rotoli di pergamene tra le braccia.
Aveva un aspetto piuttosto affaccendato.
Hermione lo guardò stralunata, avvicinandosi e togliendoli un po' del carico, aiutandolo.
"Harry, calmati, che succede? Da dove vengono tutti questi gufi?"
L'amico alzò lo sguardo – sguardo nel quale era ben visibile una grave preoccupazione, e la fissò negli occhi.
"Sono un disastro. Non so neanche come dirtelo, io.."
Gli scivolarono parecchie cose dalle braccia e, imprecando, fece ad Hermione cenno di seguirlo all'interno del suo ufficio personale.
Lei lo seguì, titubante e vagamente turbata.
Harry si sedette al suo posto, ed Hermione lo imitò, senza smettere di fissarlo. Cominciava ad avere un vago, vaghissimo sentore di ciò che stava per dirgli.
"Hermione.. devo dimettermi."
"Eh? Sei impazzito? Vuoi spiegarmi, per favore, cosa è successo?"
"Ricordi quando avevo dato disposizioni affinché i dissennatori venissero allontanati da Azkaban?"
"Si, ricordo. E' questo il problema? Harry non potevi fare altrimenti."
"Potevo evitare di mettere degli Auror a guardia dei mangiamorte."
"Harry. Cosa.. è.. successo?"
Cominciava a spazientirsi. Se era avvenuto qualcosa di grave aveva bisogno di agire in fretta, non poteva certo rimanere lì a consolare il suo Capo Ufficio, per quanto potessero essere amici.
"Un'evasione. Di massa. Almeno quindici mangiamorte sono riusciti a fuggire. I Lestrange, Nott, Tiger, Goyle, Greyback e.. e altri. Non sappiamo dove sono finiti, e temiamo possa esserci la complicità di quelli.. beh, di quelli che io stesso ho scarcerato."
Hermione non disse nulla. Rimase immobile, pietrificata dall'orrore e dalla rabbia.
Perché, perché – si chiedeva – quegli schifosi servi di Voldemort dovevano sempre cavarsela, in un modo o nell'altro.
Harry la guardò preoccupato, poi continuò a parlare.
"Dobbiamo.. Ho mandato squadre intere di Auror a setacciare il territorio ma mi serve qualcuno abbastanza abile che vada ad interrogare i mangiamorte pentiti."
"Vado io."
"Hermione, può essere pericoloso. Stai attenta. Se hai bisogno che qualcuno venga con te, non hai che da chiedermelo."
Hermione scosse la testa.
Tutto ciò che riusciva a pensare, in quel momento, è che c'erano quindici assassini in libertà.
Quindici persone che non conoscevano la parola pietà, né la parola compassione.
Quindici persone che odiava con tutta se stessa, per quello che avevano fatto, per il dolore che avevano portato.
Li odiava, come mai aveva pensato di poter odiare qualcuno.
I suoi occhi di riempirono di lacrime di rabbia, mentre usciva dall'ufficio sbattendo la porta. Sperò che Harry non se la prendesse. Non era affatto colpa sua, lo sapeva. Sapeva che non poteva permettersi di allearsi nuovamente ai dissennatori, dopo che questi avevano servito Lord Voldemort, così come sapeva che se non si fosse fatto aiutare da alcuni mangiamorte, regalando poi loro la scarcerazione, ne avrebbero catturati la metà.
Eppure, una piccola, irrazionale parte di lei non poteva fare a meno di essere arrabbiata con lui.
Pensò che quello era il brutto dei posti di responsabilità. Anche quando la colpa non era tua, dovevi comunque accettarne le conseguenze. E che Harry si dimettesse non aveva alcun senso. Erano tre anni, ormai, che svolgeva il suo lavoro egregiamente, a parte qualche piccolo errore ogni tanto. Ma Kingsley, il ministro in carica, non disdegnava mai di dargli una mano.
Passò nell'ufficio accanto, dove Ron Weasley svolgeva accurate faccende burocratiche con un'espressione estremamente annoiata e scocciata.
"Ron!"
"Hermione…"
Il giovane ragazzo dai capelli rossi stava, con dei pigri colpi di bacchetta, creando aereoplanini di carta per lanciarli poi in giro. Hermione lo guardò con uno sguardo di disapprovazione che lui, d'altra parte, conosceva fin troppo bene.
"Ron piantala di giocare. Non hai sentito dell'emergenza?"
Le sopracciglia del rosso svanirono nella frangetta dei suoi lunghi e ribelli capelli.
"Certo che l'ho sentito. Ma a quanto pare Harry Potter teme che mandarmi per una volta lì fuori a fare.. a fare qualcosa, sia troppo pericoloso, per me."
Lo sguardo di Hermione si addolcì leggermente. Quella era una battaglia che andava avanti da anni. Harry cercava in tutti i modi di proteggere i suoi due migliori amici, senza rendersi conto che a volte risultava un po' asfissiante.
Ma non era quello il momento di parlarne.
"Capisco. Beh Ronald, mi serve la lista completa di tutti i mangiamorte pentiti che sono stati scarcerati."
"Certo.. si.. un attimo.."
Ron si alzò dal suo posto e aprì un grosso schedario. Vi frugò dentro per diversi minuti, tanto che Hermione cominciò a fremere di impazienza.
Poi, finalmente, tirò fuori quello che cercava.
"Ah-ah! Eccolo!"
Lo porse ad Hermione che glielo strappò dalle mani e, senza aggiungere altro, corse fuori dalla stanza.
Una volta giunta in strada, aprì la pergamena che Ron gli aveva dato: diversi nomi erano tracciati con l'inchiostro su quella carta particolare, e alcuni, spiccavano tra gli altri.
Jasper Wilbourne
Anthony Beckett
Caspar Edwin Fortesque
Narcissa Black
Lucius Malfoy
Avrebbe cominciato dal principio, seguendo l'ordine di quella lista. Certo, avrebbe voluto andare subito dai Malfoy, convinta com'era che fosse tutta colpa loro, ma non poteva escludere nessuna pista. E Wilbourne, Beckett e Fortesque si erano dimostrati feroci quanto loro. Anzi, più di loro.
In realtà era anzi rimasta stupita dal fatto che tutte le testimonianze contro Lucius e Narcissa Malfoy fossero molto.. morbide. A quanto pareva, i due, benché avessero compiuto molte delle atrocità dei compagni, avevano preferito, per la maggior parte delle volte, tenersi fuori dalla mischia.
La fiducia che Voldemort aveva riposto in Lucius prima del fiasco al ministero aveva fatto si che questi, nel dirigere le operazioni, se ne chiamasse molto spesso fuori.
Per Hermione non era certo un comportamento più nobile di quello degli altri – anzi, riflettendoci, era addirittura più meschino, nella sua ignavia.
Eppure, anche questo piccolo particolare, insieme a molti altri, aveva risparmiato a Lucius una nuova visita ad Azkaban.
Hermione schioccò la lingua, irritata. Quei pensieri la mandavano sempre fuori di testa. Non vedeva nella vendetta un motivo di riscatto – non li avrebbe uccisi ed era contenta che Harry avesse finalmente tolto i dissennatori dalla prigione. Ma che ne uscissero del tutto incolumi, era inconcepibile.
Solo la reputazione era stata intaccata e per chi, come lei, la reputazione era un concetto assolutamente astratto quanto inutile, quella era una punizione disastrosamente insufficiente.
Infilò la pergamena in una tasca interna della giacca e si incamminò per le vie di Londra, diretta all'ultimo indirizzo conosciuto di Jasper Wilbourne.
