Characters: Leo Aiolia & Eagle Marin.
"Te ne vai?"
La voce del giovane risuonò fra le antiche colonne della quinta casa, scossa da un lieve tremito di sorpresa e irritazione per quello che gli suonava come il capriccio di una bambina cui il gioco non va più bene.
Eppure Marin, giovane donna dal volto di bronzo, bambina più non era. Forse un po' capricciosa, ma non certo creatura tanto instabile, né tanto meno così volubile da lasciarsi condizionare dall'emotività del momento.
Marin era un sacro guerriero d'argento.
"Si."
Rispose sicura, mentre si dirigeva verso l'uscita del tempio.
Ad ogni suo passo un tintinnio la accompagnava. All'esile polso, Marin teneva avvolta una lunga catenina dalle maglie sottili, che sosteneva il peso leggero di un ciondolo a forma di piccola campana.
Non era la prima volta che Aiolia la vedeva, quell'odiosa catenina, o che ne udiva il suono sempre uguale.
Quella catenina, quel ciondolo. Quel suono. Aiolia detestava ciò che quell'oggetto rappresentava.
Era solita portarla sempre nascosta nel pettorale della corazza da allenamento, la giovane Marin, santo d'argento.
Vergine come la dea Atena.
Devota ad ella come il più fedele dei suoi santi d'oro.
Ed era solita mostrarla all'amico e compagno, Aiolia.
Irrequieto Leone dall'animo scheggiato.
Ogni volta che i ricordi del fratello scomparso, annebbiati dal tempo e dalla separazione, quasi offuscati dalla lontananza, si facevano largo nella sua mente e nel suo cuore, la giovane tirava fuori quel ciondolo, lo faceva dondolare fra le dita lunghe e affusolate, e quel suono appena percepibile, quel tintinnio ridestava d'un colpo ogni passata memoria.
Senza neppure conoscerlo, Aiolia si ritrovava a essere profondamente geloso di questo fratello dal volto sconosciuto.
Sconosciuto proprio come quello della sua Marin.
Appena varcata la soglia dell'uscita della quinta casa, i due furono inondati dalla luce del sole calante. L'astro nel suo malinconico morire quotidiano incendiava il cielo che sovrastava il Santuario, con i suoi colori accesi e soffusi allo stesso tempo.
Il rosso del fuoco che inondava il cielo di Grecia, lo stesso che brillava fra i capelli della giovane Marin.
Lo stesso che divorava il cuore del giovane Leo.
E l'indaco i cui riflessi si spandevano sul volto inespressivo della fanciulla, disegnando ombre e contrasti affascinanti sulla maschera di bronzo che la guerriera portava.
L'indaco che si fondeva e confondeva nell'azzurro delle iridi tristi di Aiolia.
Abbandono.
La vita di Aiolia era stata caratterizzata da questa infelice condizione. All'inizio era stata una novità improvvisa, disperatamente osteggiata, ma col tempo il santo vi aveva fatto l'abitudine.
Si era rassegnato.
Eppure questo nuovo abbandono lo lasciava spiazzato, sconcertato.
Non era pronto, non si era potuto preparare neanche questa volta, ad affrontare un'altra, dolorosa, separazione da chi amava.
"Perché proprio ora?"
Chiese, raggiungendo la giovane e mettendosi di fianco a lei.
Nessuno dei due guardava l'altro.
Aiolia fissava un punto indistinto nel vuoto, cercando di placare il martellante battito del suo cuore. E Marin… non si poteva davvero cogliere la direzione del suo sguardo, Aiolia non poteva perché quell'odiata maschera glielo impediva. E forse si sarebbe quietato un poco, se avesse potuto vedere il volto di lei: le palpebre abbassate, quasi infastiditi erano gli occhi dalle luci penetranti del tramonto; e i bei lineamenti per sempre nascosti e indecifrabili, tradivano tutta la difficoltà che l'aver preso quella decisione comportava, nell'espressione contrita e tesa delle labbra scarlatte piegate verso il basso.
Il leggero venticello, che saliva dalla costa permeando l'aria del dolce profumo del mare calmo, era sufficientemente forte da far vibrare il ciondolo appeso al polso della giovane. Come l'alito di vita di un fantasma, che richiama a sé da chissà dove.
Un tintinnio quasi impercettibile, che Aiolia era in grado però di udire distintamente, e che lo irritava perché sapeva bene cos'era in realtà.
Quel suono così debole era un segnale.
Da qualche parte nel mondo, un altro ciondolo del tutto simile a quello della sua Marin, stava risuonando esattamente in quel medesimo istante, con lo stesso tintinnio lieve e fastidioso, per richiamare la sorella lontana.
Per portarla via da lui.
" Devo ritrovarlo."
La voce di Marin era dolce, seppure filtrata dal bronzo inespressivo della maschera. Era dolce e ferma.
Non l'aveva mai sentita tanto ferma e sicura, come in quel momento.
"Mio fratello ha bisogno di me, come io ne ho di lui."
Fratello.
A quella parola Aiolia tremò impercettibilmente. La sua stessa anima tremò.
Fratello.
Non era più capace di pronunciarla, quella parola, per quanto la memoria di Aiolos non fosse più macchiata da nessuna colpa, e il santo di Sagitter era tornato a essere il nobile guerriero che i suoi più antichi ricordi custodivano. E non solo per lui.
Aiolia comprendeva bene quel bisogno fraterno. Più di chiunque altro sapeva quanto fosse importante, estremamente fragile e solido allo stesso tempo, il legame invisibile che lega due fratelli. La malinconia con cui era abituato a convivere, e che non lo abbandonava mai, filtrando la luce chiara dei suoi occhi con una più spessa e opaca coltre di amarezza, fu sollecitata dalle parole di speranza della giovane.
Marin poteva andare, cercare suo fratello, trovarlo forse, riabbracciarlo per non separarsi mai più da lui.
Egli invece no.
Ad Aiolia, Leone dagli occhi sempre più tristi e consapevoli, questa possibilità era stata preclusa molti anni prima.
Non era invidia, la sua.
O forse un poco invidiava la fanciulla dalle ali d'argento?
Alzò lo sguardo al cielo, Aiolia, sempre scostato dal volto della ragazza. La sua attenzione fu rapita dalla meridiana dello zodiaco. I dodici fuochi erano spenti, ma i deboli raggi del sole, gli ultimi barlumi di luce di quel giorno, illuminando fiocamente il grande orologio creavano uno strano riflesso che pareva infiammarne i dodici spicchi. Un brivido lo attraversò. La meridiana si accendeva solo in particolari occasioni. Solo in caso di estrema urgenza, com'era accaduto poche settimane prima, quando una giovane giunta da Tokyo versava in fin di vita ai piedi della prima casa. Allora, i dodici fuochi azzurri batterono le ultime ore di vita della dea, le ore rimanenti ai cinque giovani vestiti di bronzo per salvarla. E ora, per quello strano gioco di luci estreme e riflesse, la meridiana sembrava di nuovo scandire il tempo di una prova decisiva.
Chi è costretto dagli eventi a vivere un'esistenza intrisa di sofferenza e dolore, di certo diviene persona dalla sensibilità genuina, autentica. Chi si vede strappare, d'improvviso, senza ragione, senza spiegazione alcuna, la persona che più ama al mondo, che scompare inghiottita da una notte profondamente buia, trascinando con sé anche i ricordi propri; chi sperimenta su di sé questo terribile dolore, il dolore del distacco e della perdita, diviene inevitabilmente persona solidale e altruista.
Aiolia era così.
E Marin era stata l'unica presenza umana capace di consolare lo strazio della sua lunga solitudine. Solo Marin gli era stata vicina, silenziosa e discreta.
Solo Marin non gli aveva mai rimproverato la colpa del suo sangue.
Così, malgrado Aiolia desiderasse con tutto se stesso chiedere alla giovane di restare al suo fianco, preferì non esprimere il suo rammarico, e tacere.
Lasciarla andare voleva dire salvarla.
Perché il cosmo d'ebano che saliva dalle profondità più recondite della terra, il cosmo splendidamente oscuro di Ade, si stava risvegliando, e con esso l'esercito che avrebbe da lì a poco dichiarata guerra al Santuario.
Lasciarla andare voleva dire salvarla.
Aiolia sospirò, più per la fatica di pensieri tanto gravi da analizzare in fretta che per qualsiasi altro motivo. Aveva la possibilità di salvare una persona a lui così cara, come non era stato possibile fare in passato. Non avrebbe permesso alla sua gelosia, ai suoi sentimenti, al timore di sentirsi nuovamente solo di trascinare Marin nel vortice fatale di una battaglia dalla quale non sarebbero sopravvissuti.
Lui, di sicuro, non sarebbe sopravvissuto.
Si voltò verso la giovane, che ancora teneva lo sguardo rivolto al vuoto innanzi a sé, e le sorrise. Un sorriso dolce e amaro gli si allungò sulle belle labbra, rasserenò l'espressione perennemente imbronciata che si ritrovava a portare in volto. E gli illuminò i begli occhi azzurri, che per un breve, brevissimo istante abbandonarono la severità, la rigida tristezza che sempre li avvolgeva. Era il suo un sorriso che rivelava un desiderio, innocente e puro, un anelito struggente sempre contenuto e mai oltrepassato.
"Sono sicuro che lo ritroverai" disse, infondendo al tono della sua voce tutta quella preziosa dolcezza che Marin ben conosceva. "E una volta che l'avrai ritrovato, non lasciarlo mai. Per nessuna ragione al mondo."
Il volto di Marin era nascosto dalla maschera, e Aiolia non poté scorgere lo stupore che si era impadronito della giovane. Né poté scorgere le chiare gocce piacevolmente salate, che salivano agli occhi dal colore ignoto. Ma poté invece il giovane percepire la spontanea vibrazione nata nel cosmo della fanciulla.
E la riconobbe: era la stessa che avvertiva sempre pervadere l'aura della guerriera ogni qual volta egli le sorrideva, in quel modo tanto raro quanto unico e infinitamente affettuoso, che toccava l'anima di Marin come una nota particolarmente intensa e viva.
Avrebbe dato qualunque cosa, Aiolia, pur di vedere anche solo per una volta, anche solo per un istante necessariamente breve, rubato all'eterno infinito del tempo e per questo perfetto, il volto che amava senza neppure conoscere.
Avrebbe dato qualunque cosa, Marin, per potersi concedere una trasgressione tanto innocente come quella di mostrare un semplice sorriso al giovane che le stava accanto.
Ma non potevano infrangere la regola.
Nemmeno ora che la fine si approssimava inesorabile, nemmeno ora che entrambi sapevano, sentivano, di doversi salutare per sempre.
Nel cielo andavano comparendo, puntini indistinti e dalla luce fioca, le prime stelle di quella sera. L'aria rinfrancata dal tramonto e dalla brezza che ancora saliva dal mare, profumava di tenerezza. Marin si voltò completamente verso Aiolia, sollevò piano, con delicatezza, la mano, e il ciondolo che le dondolava sul dorso ricadde all'indietro sul braccio, col suo solito tintinnio che ora però, chissà perché, giungeva ad Aiolia in una tonalità più gradevole.
Erano uno di fronte all'altra, a pochi centimetri l'uno dall'altra.
Con la mano sollevata a mezz'aria, Marin andò a coprire lo sguardo del giovane Leone. Al tocco soffice e fresco della mano che tremava appena, Aiolia abbassò le palpebre, e trattenne il fiato.
Con l'altra mano Marin si levò la maschera.
E sentì, Aiolia, le labbra di lei poggiarsi sulle sue, morbide e leggere, il profumo delicato della sua pelle ed il respiro caldo a solleticargli il viso.
"Aspettami Aiolia…"
Sussurrò Marin, fanciulla d'argento, in un fremito sottile, quando ancora la sua bocca lambiva quella del compagno; prima di ricoprire nuovamente il suo volto con la maschera inespressiva e fredda, quale invece non era l'espressione calda, diafana e innamorata che regalava al giovane.
Ma Aiolia tenne gli occhi chiusi anche dopo che la mano di Marin si allontanò da lui, in un'estrema osservanza delle regole del Santuario; sebbene desiderasse ardentemente imprimersi, prima e già ultima volta, quell'immagine dentro al suo animo.
Scolpirla nel cuore, dove nulla al mondo avrebbe mai davvero potuto strappargliela.
Neanche la morte.
Quando riaprì gli occhi, il volto della giovane era di nuovo celato dal bronzo.
Anche quella notte, il volto di Marin sarebbe rimasto sconosciuto.
