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Titolo della storia: Dimenticato in un sogno – Merlino sì, sembra una roba harmony scadente, ma GIURO che ho scartato tanti di quei titoli che non sapevo più che mettere =_= l'altro 'papabile' era "La chiave negli occhi", a metà fra lo stesso harmony e una roba splatter. Beh, alla fine conta il contenuto, no?
Pacchetto scelto/coppia: 5 – Tom/Harry
Rating: rosso
Contesto: da un what if a fine secondo libro
Genere: introspettivo, dark
Note/avvertimenti: tematiche delicate, violenza
Note dell'Autore: a fine storia. Sono troppe e non voglio rischiare di fare spoiler.
Dimenticato in un sogno
Prologo
Harry corse, corse a perdifiato, fermandosi solo quando dovette per forza di cose pronunciare la parola in Serpentese.
"Apriti."
E poi, appena i serpenti scivolarono di lato, la vide.
In fondo, ai piedi di un enorme statua, Ginny stava stesa, come abbandonata.
Con le pupille dilatate al massimo e la paura che gli attanagliava le viscere, Harry corse ancora, fino ad inginocchiarsi accanto alla sorella del suo migliore amico. La bacchetta gli scivolò fra le dita.
"Ginny." disse, prendendole il polso e scostandole i capelli dal viso, con la mano libera "Ginny!"
Urlò, non riuscì ad impedirselo. Nessun battito, nemmeno quando provò a premere sul collo, là dove sapeva esserci un'arteria importante.
Era morta, era arrivato troppo tardi.
"No! Ginny! GINNY!"
"E' troppo tardi."
Aveva riconosciuto la voce, anche se l'aveva sentita una volta sola. Sembrava ancora fatta di carta e inchiostro, ma, non appena voltò la testa, Harry vide Tom Riddle – un Tom Riddle reale, e non un ricordo sbiadito, in carne ossa e sangue – e seppe che la voce proveniva da lui, e non dalle pagine del libricino nero che teneva in mano.
"Tom…"
Esitò, perché non si era aspettato di trovarlo lì, e soprattutto non in un corpo. Per lui Tom era uno spirito rinchiuso fra le pagine incantate di un diario, e faceva uno strano effetto vederselo davanti così. Comunque, l'urgenza riuscì ad avere presto la meglio, e Harry ricominciò a parlare, velocemente e mangiandosi le parole.
"Tom, devi aiutarmi, potrebbe non essere troppo tardi, e inoltre c'è un Basilisco da qualche parte e noi…"
"No, è troppo tardi, Harry."
"No, tu non capisci, dobbiamo essere in grado di far qualcosa, madama Chips sarà sicuramente in grado di far qualcosa, e poi Silente…"
"Ah, Silente." continuò Tom, sereno e serafico "Lui non potrà fare assolutamente nulla, credimi."
"Ma Ginny…"
"Basta."
Harry ammutolì. Aveva visto qualcosa fra gli occhi di Tom, qualcosa che aveva avuto il potere di zittirlo.
Come se l'ordine fosse stato pronunciato con la forza di una maledizione silenziante, e all'improvviso lui aveva compreso: era meglio, molto meglio, non contraddire Tom Riddle. Un brivido di paura corse lungo la sua magra schiena, mentre un sinistro presagio si fece strada nella mente del ragazzino.
"Quella è la mia bacchetta." disse, alzandosi in piedi, forzando il suo corpo ad allontanarsi da quello da Ginny, conscio che ogni secondo perso poteva già essere un secondo di troppo – o forse non c'era stato più niente da fare sin dall'inizio…
"Lo so. Harry Potter." disse, soppesando la bacchetta, girandosela fra le dita "Ho un quesito per te."
Harry serrò le labbra, spostando il peso da una gamba all'altra. I suoi occhi saettarono lungo tutta la navata, alla ricerca del Basilisco, e lui li socchiuse per ogni evenienza.
"Il Basilisco non verrà, Harry. Ma mi chiedevo… Come ha fatto un neonato assolutamente normale a sconfiggere il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi?"
La domanda lo distrasse, facendogli sbattere le palpebre due volte. Ma ogni secondo era prezioso, e lui aveva già perso abbastanza tempo…
"Non lo so." rispose, cercando di sbrigarsi "Nessuno lo sa. Non ho alcun ricordo di quel giorno, ma perché me lo chiedi? A cosa t'interessa? Tom, ti prego, dobbiamo prendere Ginny e andare via subito da qui…"
"Harry Potter." ripeté Tom, sorridendo appena "Sei uno sciocco. Ma io lo sono stato di più, perché non ho capito l'evidenza. Qualsiasi cosa sia successa quel giorno, non avevo alcun motivo di temerti."
Anche questa affermazione prese Harry di sorpresa.
"Cosa…? Perché avresti dovuto temerti?"
Tom si mosse, per la prima volta. Fece un passo di lato, e poi un altro, sempre continuando ad osservarlo.
Come una belva feroce che gira in tondo alla sua preda.
"Perché tu sei riuscito a sconfiggermi, e io me ne sono chiesto il motivo per tutto questo tempo."
"A sconf…? No, io ho sconfitto Voldemort, semmai, ma non…"
Una terribile comprensione si stava facendo strada in lui.
Ma era sbagliato, tutto sbagliato. Lord Voldemort era un mostro, come poteva avere qualcosa a che fare con quel ragazzo con la divisa scolastica e i capelli pettinati ordinatamente?
Il viso di Tom fu attraversato dalla furia. Le sue narici si dilatarono e lui stese la bacchetta, puntandogliela al petto.
"Tu osi pronunciare il mio nome?!" esclamò, prima di deviare la traiettoria e di formulare un incantesimo.
Lettere di fumo si materializzarono e si stesero davanti a lui, formando un nome.
Tom Marvolo Riddle.
Poi, con un altro colpo di bacchetta, si mischiarono e si ridisegnarono.
I am Lord Voldemort.
Il dubbio divenne certezza e Harry sentì le gambe irrigidirsi, inchiodandolo lì dove si trovava.
Lord Voldemort.
Aveva davanti l'adolescente che sarebbe diventato Lord Voldemort.
E il cuore di Ginny era ormai fermo da tanto, troppo tempo.
"Imparerai, Harry." disse ancora Tom, la furia scomparsa dal volto e sostituita da una strana espressione curiosa e concentrata "Sono certo che imparerai."
Harry sapeva di dover fare qualcosa. Di doversi muovere, girare il busto e scappare più veloce che poteva, per mettersi in salvo.
Le sue gambe erano già pronte; già le stava forzando verso quel balzo che l'avrebbe portato alla salvezza, quando con un guizzo involontario i suoi occhi si spostarono verso sinistra, dalla parte opposta di quella dove sarebbe dovuto andare, per fissarsi su Ginny. Non poteva abbandonarla, non poteva…
Un attimo di esitazione che gli fu fatale.
Non udì l'incantesimo, ma fece in tempo a vedere un lampo di luce rossa.
E, poi, più nulla.
Tom si avvicinò al ragazzo, studiandone i lineamenti dall'alto della sua postura eretta. Inclinò la testa, sorridendo.
No, non aveva finito con lui.
Come ogni bravo bugiardo che si rispetti, aveva mentito. Non era vero che non avesse più nulla da temere. Perché, dopotutto, se anche Harry non sapeva come avesse fatto a sconfiggerlo, era anche e soprattutto vero che l'aveva fatto.
Doveva vederci chiaro, prima di fare qualsiasi altra cosa. E, per venire a capo del mistero, avrebbe dovuto avere a disposizione il ragazzo vivo.
Ciò non voleva dire che non si sarebbe potuto divertire.
Agitò la bacchetta di Harry, che stranamente rispondeva ai suoi ordini quasi fosse la sua. In effetti, non avvertiva alcuna resistenza, nemmeno la più lieve. Quella era un'altra parte del mistero da risolvere.
Il corpo privo di sensi di Harry si alzò, seguito da quello di Ginevra. Tom tenne stretto a sé il diario, aprì la bocca della statua e iniziò ad incamminarsi nel passaggio, richiudendo il tutto dietro di sé.
Salazar Serpeverde non era stato uno stupido. Sarebbe stato totalmente inutile, per lui, creare un luogo dentro Hogwarts che fosse confinato nelle mura del castello, e che non gli avrebbe più permesso di accedere. Che senso avrebbe avuto, allora, inserire un Basilisco nella Camera, se non avesse più potuto dargli ordini?
Tom superò l'enorme corpo del serpente, arrotolato su se stesso. Il Basilisco non aprì gli occhi, riconoscendo la discendenza del suo vecchio padrone dall'odore del suo sangue, e si limitò a sibilare un saluto, rispettoso e formale.
Tom sorrise. Era riuscito ad uscire dal diario, e aveva riacquistato in tutto e per tutto il suo vecchio corpo. Non un corpo qualsiasi, non solo carne e ossa e sangue, ma un corpo che fosse il suo. Con la sola differenza che, dato che era stato ricreato da un Horcrux, non avrebbe dovuto invecchiare mai più, se non volontariamente.
La morte non poteva ghermirlo, e lo spavento che un altro sé aveva avvertito, in un futuro che era già passato, nel momento in cui si era sentito strappare la carne… Non l'avrebbe più provato, questo era poco ma sicuro.
Tom arrivò alla fine del corridoio, con appena un velo di sudore a imperlagli la fronte. Il percorso era stato lungo, perché la Camera terminava fuori dalle protezioni di Hogwarts.
"Apriti."
La spessa parete di pietra, che in quel punto sembrava in tutto e per tutto roccia naturale, scivolò di lato in seguito al suo comando. Tom emerse in una grotta e fece un passo fuori dalla Camera.
Sarebbe bastato.
Si girò, richiudendo l'ingresso e afferrando le caviglie dei suoi due ostaggi.
E si smaterializzò.
Tom non era uno stupido, non lo era mai stato.
Quando aveva deciso di salire al potere, sapeva che la mera magia non sarebbe bastata. Per combattere una guerra servivano denaro e strategia.
Lui aveva messo la strategia, e il denaro gli era stato dato da molti dei suoi fedelissimi. Il regalo più grande, però, lo aveva ricevuto da Evan Rosier, che gli aveva donato un'immensa villa di proprietà del lato Crouch della sua famiglia – oh, quanto aveva riso, rilassandosi nelle stanze della sua nuova casa, mentre Barty senior era diventato un traditore del suo sangue e aveva iniziato ad utilizzare il 'pugno duro' con i suoi alleati! – e una discreta quantità di oro e Elfi Domestici, per permettergli di fare una vita agiata a prescindere dalla guerra.
Non che Tom ci passasse molto tempo, a conti fatti, dato che era sempre assieme ai suoi Mangiamorte, pronto a pianificare la prossima azione. Ma la casa si era rivelata utile, e mai nessuno ne aveva sospettato l'esistenza – le protezioni erano passate a lui, dopo che Rosier gli aveva ceduto la proprietà, e persino gli stessi Elfi erano stati sottoposti a vincoli di segretezza simili ad un Voto Infrangibile. Solo Evan, il vecchio proprietario, sapeva della cosa: dal canto suo, Tom non aveva mai invitato nessuno a casa, preferendo abusare dell'ospitalità dei suoi Mangiamorte, per rimarcare ancora una volta quanto fosse superiore, e come loro si dovessero trovare sempre al suo servizio.
Apparve nel grande ingresso.
Il rumore attirò subito un Elfo Domestico, che si inchinò profondamente e si profuse in saluti.
Tom lo congedò con un cenno della mano, dopo avergli ordinato di preparare una sostanziosa cena.
Era tanto, troppo tempo che non mangiava. Aveva vissuto per cinquant'anni essendo meno che spirito all'interno di carta e inchiostro, e adesso era affamato di ogni sensazione corporea, reale. Mangiare gli sembrava un buon inizio, per riprendere ad assaporare tutto ciò che lo circondava.
Sempre utilizzando l'incantesimo di levitazione, Tom condusse Ginny e Harry al piano superiore. Depositò il ragazzo su un letto, in una delle camere, fermandosi persino a rimboccargli le coperte.
"A dopo." sussurrò, facendo scorrere le dita sulla sua guancia.
Sapeva che non si sarebbe svegliato per parecchie ore e, anche se lo avesse fatto, non sarebbe potuto andare da nessuna parte. Le protezioni della casa erano a doppio senso, e nessuno poteva né entrare né uscire senza il suo consenso.
Ginevra la lasciò in un'altra camera da letto. Non si premurò di coprirla, ma depose il diario, la sua vecchia prigione, sul comodino accanto a lei.
Sorrise, osservando il corpo della bambina. Ah, Ginevra! Gli era stata così utile.
Non era morta, ovviamente. Ma Tom aveva ottenuto quello che voleva, attraverso uno scambio equo: una vita per una vita, che non significava morte.
Ginevra, o ciò che rimaneva di lei, era stata volontariamente rinchiusa nel diario.
Sì, Tom, farò quello che vuoi.
Anche se significa non poter più vivere una vita normale, mia piccola Ginevra?
Va bene. Solo per te, Tom.
E, allora, io ti prometto che riuscirò a donarti Harry, se è questo tutto quello che desideri.
Ah, l'aveva sentita esitare. Non solo nell'attesa prima della risposta, in quei secondi che si erano allungati in modo terribile. Poteva vederla, giunto a quel punto, attraverso il diario, e senza che fosse necessario disegnare degli occhi sulle pagine.
La fronte le si era corrugata un attimo e lei aveva dischiuso le labbra, incerta su come rispondere. Ma poi un sorriso tremulo si era disegnato sul suo volto e Ginny, incespicando appena, aveva scritto la sua risposta.
Va bene, Tom. Ti ringrazio.
La condanna di lei, la vittoria e vita di lui.
E c'era un'ulteriore differenza: Ginevra era solo una ragazzina, solo una mortale, e non aveva il potere o la facoltà di vivere per sempre. Il suo corpo sarebbe andato avanti, invecchiando, e, alla fine dei suoi giorni, sarebbe appassito e morto, trascinando con sé l'anima imprigionata nelle pagine e nell'inchiostro.
E lui non avrebbe più avuto attorno una presenza così fastidiosa, che aveva dovuto manipolare attraverso le lusinghe per tutto l'anno scolastico. Sarebbe stato libero, libero di essere finalmente se stesso, con una guerra da vincere di nuovo e i suoi piani di gloria eterna.
Scese a cena, riflettendo sulla sua nuova situazione.
Di certo Silente avrebbe notato la scomparsa di due dei suoi studenti; anzi, Tom aveva annunciato a gran voce il rapimento di Ginevra, sperando proprio di attirare in trappola Harry. Oh, lei gliel'aveva detto: Harry aveva buon cuore, e la sua amica Hermione era intelligente abbastanza da capire. Fino all'ultimo non era stato sicuro della riuscita del piano, e si era limitato ad attendere. Se solo Harry fosse arrivato qualche minuto dopo, forse si sarebbe già arreso… O, meglio, sarebbe salito lui stesso a cercarlo.
Il tarlo della sua vecchia sconfitta lo rodeva ancora, scavando incertezze nella sua anima mutilata.
Ma, ora che Harry era ospite in casa sua, non c'era più l'urgenza: avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per scoprire il segreto del Bambino Sopravvissuto, giorni, mesi e anche anni. Non era importante fare in fretta, e lui era sempre stato un ragazzo paziente.
Gli Elfi gli portarono diverse tartine come antipasto, che Tom prima divorò, in un accesso di vera fame, e poi, rallentando il ritmo, cercò di gustarsi al meglio. La fragranza del pane tostato che si sbriciolava sul palato, il sapore salato del salmone, la nota più fresca del basilico… Ah, quanto gli era mancato essere vivo!
La cena, oltre l'antipasto, era stata veramente sostanziosa. Lasagne, pasta al pesto, arrosto, orata… Sembrava di essere ad un ricevimento solitario. Tom gustò tutto, riempendo ogni centimetro del suo stomaco, fino a che fu costretto a rifiutare il dolce – una torta enorme ricoperta di panna e crema – per non stare male. Non importava, avrebbe potuto continuare a mangiare la mattina seguente e, con il tempo, era certo che avrebbe trovato di nuovo la giusta misura per ogni cosa.
In quel momento, rimaneva una sola questione da sistemare.
Avrebbe di nuovo combattuto, scatenando così la terza guerra magica? A chi dire del proprio risveglio, quando i pochi di cui si fidava ciecamente erano ad Azkaban o morti, mentre tutti gli altri gli avevano voltato le spalle?
Come fare?
Beh, anche per quello c'era tempo. Silente avrebbe comunque sospettato qualcosa – Silente sospettava sempre qualcosa –, ma non sapeva… Avrebbe compreso che era tornato, che era di nuovo carne e ossa e sangue, o si sarebbe limitato a pensare che un intermediarlo aveva agito per lui?
L'incertezza, più di ogni altra cosa, lo rendeva insicuro circa la sua prossima mossa. E questa era una sensazione che odiava dover provare.
Veleggiava in un sogno.
Salta… Salta…
C'erano immagini davanti ai suoi occhi, ma non sembravano essere importanti.
Vedeva un ragazzo, e sapeva che si chiamava Tom. Ogni volta che incrociava il suo sguardo era come se sapesse di doversi ricordare una cosa importante, ma non riusciva a focalizzarla. In effetti, non riusciva a focalizzare l'attenzione su nulla.
Salta… Salta…
Piegò le gambe e seguì l'ordine, eseguendo una sorta di piroetta.
Si fermò davanti a quella che sembrava Ginny, che però aveva qualcosa di strano, come se… Come se non fosse reale.
Tendi una mano… La mano…
Ma, in fondo, che importava? Nulla era reale, e quello era solo un sogno di pace dai colori ovattati, dove la beatitudine aveva sostituito ogni altra cosa.
Tese la mano.
Tom, che era seduto su una poltroncina alla destra di Ginny, agitò una bacchetta: un mazzo di rose apparve fra le sue dita, e lui si ritrovò ad offrirlo a quella Ginny strana, dai colori traslucidi, che sorrise amorevolmente, ma non a lui.
"Oh, Tom."
"Visto, mia piccola Ginevra? Ti ho donato Harry, proprio come ti avevo promesso."
Tom si era divertito abbastanza ad assoggettare Harry alla maledizione Imperius.
Ginny si era ripresa dal rituale e, essendo ancora legata in un certo qual modo al suo corpo fisico, era riuscita ad emergere dalle pagine, ma era poco meno che reale. Non un fantasma, poiché possedeva colori e calore, ma nemmeno viva, perché non aveva un corpo di carne, ossa e sangue. Quello l'aveva donato a lui, la sera prima.
Lei era venuta cercarlo, come prima cosa. Tom se l'aspettava, e soffocò il moto di impazienza e irritazione dietro ad un sorriso cortese.
"Sei felice, Tom?" gli aveva chiesto.
"Certamente, mia piccola Ginevra. Vieni, ho un regalo per te."
L'aveva lasciata ad attendere in salotto, ed era salito da Harry.
Il ragazzino dormiva ancora. Tom rimase qualche istante a fissarlo, poi sussurrò la maledizione.
In un certo qual senso, fu deluso di vedere come Harry non oppose resistenza. Aveva sperato forse in qualcosa di più, ma nonostante tutto aveva… Quanto? Dodici anni? Persino lui, alla sua età, forse non sarebbe stato in grado di combattere la maledizione, sebbene Tom si fosse sforzato di imprimere meno decisione possibile nell'incantesimo. Sarebbe stato divertente, se solo Harry avesse provato a reagire.
Scese con il ragazzino al seguito, e imbastì un piccolo spettacolino per Ginevra. Poi, stanco di tutte quelle sciocchezze, mandò Harry a rendersi utile agli Elfi, e congedò Ginevra adducendo una scusa.
Aveva riflettuto, durante la notte.
Aveva soppesato i nomi di tutti i Mangiamorte, e aveva fatto qualche ricerca, per essere sicuro di chi fosse ad Azkaban, di chi fosse libero e di chi, purtroppo, fosse invece morto.
Alla fine, aveva deciso di tentare la sorte con Lucius Malfoy. Oh, era arrabbiato con lui, davvero molto, molto arrabbiato. Aveva dato ad una ragazzina stupida il suo diario, che lui, in un futuro che ormai era già passato, gli aveva raccomandato di tenere al sicuro, di proteggere con il più alto numero di incantesimi che gli venissero in mente. Ma, alla fine, il suo colpo di testa si era dimostrato risolutivo: Tom era riuscito a riemergere, ed era di nuovo vivo.
Con una semplice contrazione della volontà, si preparò per accogliere il suo servitore. Il suo braccio, in quel corpo, era ancora pallido e non segnato, ma sapeva che avrebbe funzionato lo stesso. Dopotutto, da qualche parte, Lord Voldemort era esistito, e aveva legato a sé i Mangiamorte attraverso il marchio.
Il suo passato, il suo presente, il suo futuro.
Si chiese, per un secondo, cosa sarebbe successo se avesse incontrato l'altro sé, quello che doveva vagare sotto forma di spirito. Lui non era in grado di avvertirne la presenza, così come non era in grado di sentire i suoi altri Horcrux. Avrebbe fatto la differenza? Avrebbe potuto inglobarlo a sé, riuscendo a ridiventare nuovamente se stesso – il se stesso che era realmente il suo futuro, e non un pallido emergere di meri ricordi dalle profondità del suo essere? –. Non lo sapeva, e, per il momento, non voleva scoprirlo. Stava bene così, con la conoscenza teorica di ciò che era avvenuto, senza doversi perdere nelle sensazioni specifiche. Semmai avesse trovato quella parte di sé… Beh, se ne sarebbe preoccupato poi.
Premette l'indice sull'avambraccio, là dove sapeva che, prima o poi, ci sarebbe stato disegnato il marchio. Pensò intensamente a Lucius Malfoy, e sentì l'uomo arrivare, prima ancora di vederlo.
Lucius aveva afferrato la maschera al volo, riuscendo solo a portarsela dinanzi al viso, senza indossarla completamente. Aveva il fiatone, e Tom considerò che doveva aver corso per recuperarla e che si fosse smaterializzato l'istante successivo, per arrivare immediatamente dal suo padrone.
Ah, la giusta dose di servilismo! Niente a che vedere rispetto a quando doveva convincere i suoi compagni di scuola a stare dalla sua parte, usando parole e lusinghe. Ora bastava un suo ordine, una sua parola o persino un suo stesso pensiero, e i suoi Mangiamorte sarebbero accorsi.
Gli era mancato, anche se non ne aveva un ricordo preciso.
"Mio… Signore?"
Poteva capire il turbamento di Lucius. Dopotutto, lui non aveva mai conosciuto il ragazzo rispondente al nome di Tom Riddle, ma sempre e solo Lord Voldemort.
"Lucius." disse, alzandosi dalla poltrona in cui era sprofondato prima della chiamata "Mio vecchio amico. Penso che non basti un volto ad ingannarti, dico bene?"
"Mio Signore." rispose l'uomo, prontamente, cercando di mascherare il nervosismo "Mi chiedevo solo come…? Il suo aspetto, ecco… E poi lei, come avete fatto a…?"
"Ti chiedi come ho fatto a tornare, Lucius?" Tom aveva iniziato a muoversi, scartando di lato esattamente come aveva fatto con Harry.
Un predatore che bracca la sua preda.
"Forse dovresti congratularti con te stesso e con la tua stupidità…"
"Mio Signore?"
"… Ma, devo ammetterlo, ho riflettuto parecchio. Non ti punirò per i tuoi sbagli, Lucius, dato che hanno portato a questo. Ritieniti fortunato."
"Mio Signore, la ringrazio. Ancora, però, non capisco…"
Tom alzò la bacchetta e vide Lucius incespicare, arretrando. Sorrise: il timore che era sempre stato in grado di suscitare la sua persona era in grado di divertirlo oltre ogni buon senso. Persino in quel corpo, con quel viso, Lucius Malfoy aveva paura di lui.
E faceva bene.
Tom, comunque, si limitò ad appellare il vecchio diario, che un tempo aveva consegnato all'uomo che gli stava di fronte, raccomandandogli di proteggerlo al meglio. Vide Lucius sgranare gli occhi – capendo di essere solo, non aveva indossato la maschera, alla fine – e la comprensione farsi strada sul suo volto.
"Mio Signore, io…"
"Hai fatto un buon lavoro, Lucius." lo interruppe Tom, rispedendo il diario là dove era il suo posto, ovvero il suo comodino accanto al letto di Ginevra. Non voleva toccarlo, non avrebbe voluto toccarlo mai più: non voleva rischiare neanche per sbaglio di rimanere ancora una volta intrappolato fra pagine e inchiostro "Anche se, sicuramente, non ti saresti mai aspettato un risultato simile. Oserei dire che il tuo gesto era stato programmato per essere solo un dispetto alla famiglia Weasley."
Il silenzio si tese fra loro, mentre Lucius assorbiva il pieno significato di quelle parole. Tom poté leggerlo immediatamente, sul suo volto: non sapeva se essere felice di quella sua rinascita, e al contempo non osava giustificarsi per quel gesto immensamente stupido che aveva fatto, mettendo il diario fra i libri di una bambina, perché non sapeva se lui l'avrebbe preso come una scusa per aver contravvenuto agli ordini o un rimpianto per non averli eseguiti.
"Molto bene." disse infine Tom, inclinando la testa "Adesso che tutto è spiegato, possiamo parlare di… Affari. Accomodati, Lucius."
Fece sedere l'uomo su un piccolo divanetto di fronte alla sua poltrona, dove si risistemò.
Ci aveva riflettuto: non intendeva cominciare una nuova guerra, non senza aver prima svelato il mistero della vittoria di Harry Potter, e non finché Silente si sarebbe potuto consumare fra i sospetti – senza, tuttavia, avere certezze.
Aveva deciso che avrebbe portato avanti un gioco più sottile, e Lucius Malfoy era l'alleato perfetto, in quel senso, potendo contare su una prestigiosa carica nel consiglio di amministrazione di Hogwarts e, soprattutto, sull'amicizia del ministro in persona.
Il piano di Tom prevedeva l'eliminazione – attraverso incidenti molto verosimili – della più agguerrita concorrenza – ovviamente sarebbe stato prudente e avrebbe dovuto far trascorrere del tempo ragionevole fra una morte e l'altra –, e la corruzione degli elementi più facilmente malleabili. Avrebbe preso controllo del ministero in quel modo, senza che nessuno sospettasse di lui – a parte Silente, ma Silente aveva sempre sospettato di lui… Perciò non contava.
Sarebbe stata una partita lunga, una sorta di guerra di logoramento.
Non importava.
Tom era sempre stato molto paziente.
La sera andò nella stanza dove Harry Potter dormiva e si sedette su una sedia fatta apparire per l'occasione.
Una volta definiti i suoi piani verso il mondo esterno, non restava che cercare le risposte nel ragazzo.
Harry sembrava sereno, del tutto inconsapevole della situazione in cui si era venuto a trovare. Tom passò le sue lunghe dita su una guancia, risalendo fino alla fronte. Scostò, quasi con dolcezza, i capelli neri e mossi, alla ricerca della famosa cicatrice a forma di saetta.
Lì, lo sapeva, era rinchiusa la chiave che cercava.
Con la mano libera, seguì la linea a zigzag della ferita magica.
"Ah, Harry…" sussurrò, avvicinandosi con il viso a quello del ragazzino "Così tante domande, così poche risposte…"
Premette le labbra sulla cicatrice, come a saggiare il sapore della sua sconfitta.
Qualcosa si mosse, ma lui si rese conto solo del pulsare sordo del suo cuore, che aveva aumentato i battiti nel momento in cui la sua bocca aveva trovato la fronte di Harry.
"Harry, Harry…" sussurrò ancora, staccandosi da lui, sentendosi accaldato e ebbro di vita "Riuscirò a svelare il tuo mistero."
