Harry gettò lontano il giornale.

Di nuovo bugie, di nuovo storie.

Non sarebbe mai finita?

Quella dannata giornalista di Rita Skeeter!

Lanciò un'occhiataccia al giornale che aveva appena buttato.

Quel giorno avevano proprio esagerato!

Un titolo spiccava in prima pagina a caratteri cubitali, con sotto una foto del Ragazzo – che – è - sopravvissuto.

Lui.

Harry Potter: L'infanzia dell'uomo che ha ucciso Voldemort.

"E se il leggendario Ragazzo – che – è - sopravvissuto Harry Potter avesse trascorso l'infanzia in una scuola che l'ha addestrato ad essere l'eroe che è tutt'oggi?"

Che sciocchezze.

Harry guardò la foto dei Malandrini appesa al muro con un incantesimo di adesione permanente dal padrino.

Loro erano i veri eroi, insieme a tutti gli altri morti per combattere.

Morti per lui; per aver voluto alzare la testa all'oppressione.

I suoi occhi percorsero la foto: suo padre, il suo padrino, il suo mentore.

Per quest'ultimo Harry soffriva ancora.

In fondo la ferita era ancora fresca, ancora dolorosa.

Sospirò.

«Manchi tantissimo a Teddy. E come te, anche Tonks. Mancate a tutti noi».

Si maledì nuovamente per le ingiurie lanciate al licantropo quasi un anno prima.

"Codardo".

Come aveva anche solo potuto pensare che Remus Lupin fosse stato un codardo?

Quale codardo sceglie di sua iniziativa di rinunciare a tutto ciò che ama per andare a morire per qualcuno che aveva avuto l'ardire di giudicarlo?

E Remus Lupin aveva sempre saputo ciò che l'aspettava in battaglia.

Sapeva di andare incontro a un destino oscuro.

Eppure non gli era importato.

Lui aveva combattuto.

Loro avevano combattuto.

Tutti quanti.

E lui?

Lui aveva atteso, e con un colpo aveva decretato la fine di un incubo.

Poteva definirsi un eroe, per quello?

Chi era davvero degno di essere considerato un eroe?

Sapeva esattamente quello che il piccolo Teddy Lupin avrebbe sofferto.

Una vita senza genitori; una vita senza poter dire quelle parole che scaldano il cuore a tutti: mamma e papà.

Avrebbe voluto stare un po' con il piccolo Ted; con il suo figlioccio.

Ma non se la sentiva proprio di togliere tempo ad Andromeda.

Povera donna.

La guerra aveva proprio giocato con i suoi sentimenti.

Si era vista morire la figlia, il marito, il genero e anche una sorella.

Era vero che Bellatrix era una Mangiamorte; una delle peggiori.

Ma era pur sempre una sorella.

Una parte di lei.

Ora ad Andromeda non restava che il suo nipotino.

Il suo unico nipote - era convinto, infatti, che la famiglia Malfoy non avrebbe certo iniziato a far parte della vita della donna.

Il ragazzo sospirò, e dopo essersi vestito scese in cucina, pronto ad andare al lavoro.

Era un Auror ora, e come lui anche Ronald.

Non che ne fossero sorpresi.

Sapevano infatti che il Ministero li aveva assunti solamente per poterli esibire come trofei.

Ma a loro non importava.

Non avevano dovuto nemmeno sostenere il corso di tre anni, dato che tutti avevano convenuto che quanto i due avevano passato nelle loro vite fosse già di per sé un ottimo addestramento.

Nulla di più giusto.

Avevano solo dovuto sostenere l'esame, che avevano passato entrambi brillantemente.

Hermione, invece, aveva scelto la via dell'insegnamento.

Ora era la più giovane professoressa di Trasfigurazione che Hogwarts avesse mai visto.

Il castello non era ancora stato completamente ricostruito, ma le lezioni erano tenute regolarmente.

Kreacher – lasciatogli in eredità dal padrino Sirius Black - corse incontro ad Harry, felice di aver preparato la colazione.

Era diverso dall'elfo scorbutico che Harry aveva visto la prima volta che aveva messo piede a Grimmuald Place.

Ora era cordiale, educato, gentile e sereno.

«Buongiorno padrone»

«Buongiorno a te».

Harry si preoccupò di mangiare ogni cosa; senza dimenticarsi di fare i complimenti all'elfo per la sua abilità in cucina.

Poi uscì, smaterializzandosi al lavoro.

Salì nell'ascensore, dove venne raggiunto immediatamente dall'amico e collega Ronald Weasley.

«Fossi in te, starei particolarmente attento alla Umbridge, stamane» gli disse a mo' di saluto.

«Perchè?»

«E' in vena di battute di pessimo gusto».

«Il fatto che oggi sono tre mesi che la guerra è finita è un caso, vero?» sospirò Harry.

«Potrebbe. Potrebbe semplicemente avercela ancora con noi perchè non siamo stati sbattuti ad Azkaban, come invece è capitato a lei. Oh, eccola!».

I due si appiattirono sul fondo dell'ascensore, permettendo alla donna di entrare.

Aveva scontato qualche tempo ad Azkaban, dopo la guerra.

Ma con il Ministero indebolito da quanto accaduto, servivano tutte le persone possibili, e seppur a malincuore, il Ministro aveva dovuto riabilitare lei e tutti coloro che la seguivano come ipnotizzati.

Nel corso della sua carriera Dolores Umbridge si era macchiata di crimini tremendi: aveva deliberatamente rubato l'occhio di Alastor "Malocchio" Moody dal suo cadavere; aveva osato subentrare nel corpo insegnante di Hogwarts e distruggere decine di vite di studenti; aveva giocato con le esistenze di metà dei semiumani del mondo magico solo per capriccio...

Dolores Umbridge si tolse un po' di polvere dal cardigan rosa con aria di sufficienza.

Poi squadrò i due giovani maghi, borbottando un flebile: «Vedo che almeno sul luogo di lavoro mostrate un po' di puntualità»

«Già» replicò laconico Harry.

«Sa? Mi chiedo ancora come, dopo la vostra scampagnata qui l'anno passato, voi due abbiate potuto diventare Auror»

«Evidentemente il Ministro è dell'idea che io e il mio amico siamo all'altezza dei ruoli assegnatici» replicò Ron, diffidente.

«E... Il fatto che l'attuale Ministro sia vostro amico ha influito sulla sua decisione?»

«Se non ricordo male, praticamente tutti i predecessori dell'attuale Ministro rientravano nella sua lista di amici» soffiò Harry, maligno.

La donna parve piccata.

«Può darsi, signor Potter. Ma suppongo lei capirà che non faccio certo attenzione a certi minuscoli particolari»

«Oh, non sia mai detto che lei faccia caso a particolari così… minuscoli».

La Umbridge si morse il labbro, inviperita.

«E il piccolo Lupin come sta?» chiese a tradimento.

Ron vide distintamente il pugno di Harry serrarsi, e sbottò: «Come crede che possa stare un bambino che ha perso entrambi i genitori prima ancora di poterli conoscere?».

«Fossi in lui, non sarei molto dispiaciuto di non aver potuto conoscere certi elementi della sua famiglia»

«Si riferisce a quale dei due eroi di guerra esattamente?» chiese Harry, la voce che tremava.

«Dubito faccia differenza. E definire due… persone che non hanno saputo farsi gli affari loro "eroi"… Beh, diciamo solo che mi pare un po' troppo».

Harry e Ron erano sul punto di esplodere.

«Mi ascolti bene, Miss Umbridge» ringhiò Ronald.

«Se la sentiremo nuovamente proferire parola sulle persone che hanno dato la loro vita solo per permettere a tutti - compresa la feccia come lei - di vivere liberamente, in toni che non ci piaceranno, stia pur certa che faremo in modo che la sua prossima gita ad Azkaban sia a tempo indeterminato»

«Mi sta forse minacciando?» domandò la donna, affabile.

«La sto avvisando. Le rammento che ora è in presenza di due Auror; e che lei è sì una dipendente del Ministero; ma una dipendente con una spada di Damocle grossa come un troll appesa sopra la testa».

I due scesero non appena l'ascensore si fermò, lasciandola sola.

Harry prese per un braccio l'amico.

«Tutto bene Ron?» chiese, preoccupato.

«Se penso che Fred ci ha rimesso la vita per… Per quelli come lei…» sibilò Ron, fuori di sè.

Il fratello di Ron aveva infatti perso la vita, come molti altri, nella battaglia di Hogwarts - conclusasi ormai tre mesi prima.

«Mi chiedo davvero come facesse Lupin a sopportare una simile... megera!»continuò Ron, iniziando a calmarsi.

«Remus aveva da tempo imparato a convivere con le sue stupide decisioni, Ron».

«Se solo fosse possibile trovare un modo per riaverli tutti indietro… Tu non puoi immaginare mia madre, mio padre, George... Sono… Siamo ancora distrutti, non riusciamo ad avere pace»

«Posso capire bene, Ron. Ginny mi dice spesso…».

Ron annuì lentamente, facendo capire ad Harry che fosse giunto il momento di chiudere quella faccenda.

Così raggiunsero ognuno il proprio cubicolo, e lì lavorarono tutto il giorno.

Solo così riuscivano a non pensare.

Non era un periodo molto impegnativo, era vero, ma c'era sempre qualcuno disposto a mandare un gufo, giurando di aver visto un Mangiamorte o una figura incappucciata nei pressi della propria casa.

La suggestione, unita alla paura che tutta quella pace fosse solo un effimero momento o un sogno...

[*]

Quella sera Ron invitò volentieri Harry a cena alla Tana, dove il ragazzo scoprì anche Hermione.

Com'era ovvio la cena non fu nemmeno lontanamente simile a quelle che si facevano una volta nella casa dei Weasley; ma tutti cercavano di fare del loro meglio.

A partire da Ginny – a Hogwarts per frequentare il settimo ed ultimo anno - che si metteva tutte le sere in contatto via camino, e che non perdeva occasione per fare qualche battuta, così da distrarre tutti.

Harry, Ron ed Hermione si trovarono nel giardino, subito dopo cena.

«Spero che tu abbia avuto una giornata migliore della nostra» disse Ron alla fidanzata, in tono tetro.

«Ho avuto una splendida giornata, in effetti»

«Come mai? Che è successo?» chiese Harry.

«Prima voi. Avete un'aria distrutta…»

«Oh, solo la Umbridge».

Ron narrò quanto avvenuto nell'ascensore.

«Io mi chiedo ancora come possa Kingsley averla riabilitata» borbottò Hermione, stizzita.

Harry sospirò.

«Il Ministero non è mai stato più debole di così, Hermione. Abbiamo bisogno di più persone possibili, e beh... Lei ha molto seguito».

Hermione annuì comprensiva.

«Altro?»

«Solo le solite segnalazioni di streghe anziane che sostengono di aver visto "una figura incappucciata" passare vicino le loro case nelle notti scorse» replicò Ron.

«Avete controllato?»

«Ogni volta. Abbiamo già schiantato la bellezza di dodici gatti» sbottò Harry.

«E tu?»

«Io invece ho iniziato a chiedermi se esista qualcosa che potrebbe far tornare i nostri cari»

«E...?» chiesero i due ragazzi in coro, improvvisamente incuriositi.

Se avessero trovato qualcosa...

«E allora ho fatto un salto in...»

«In biblioteca» completò Ron.

Hermione arrossì.

«Esatto. Fortunatamente non è andata completamente perduta. E ho trovato questo».

Estrasse dalla borsa un enorme libro.

«Letture leggere, eh?» fece Harry con un ghigno.

La ragazza aprì il libro in corrispondenza di un segno, passandolo poi ai due ragazzi.

«Leggete».

Ron ed Harry si guardarono, poi iniziarono a leggere:

PIETRA DEL DESTINO

"Questa eccezionale pietra è capace di richiamare coloro che sono stati strappati alla vita prematuramente e in occasione di una potente ingiustizia. Nessuno sa dove la pietra fu nascosta dalla sua custode. Leggende parlano di un luogo segreto, nascosto nei meandri della Foresta Proibita (confinata nel territorio di Hogwarts), in cui la custode avrebbe lasciato la pietra dopo essere stata inseguita da nemici che volevano impossessarsene. Per secoli gli archeomagi hanno tentato invano di trovarla, tanto da arrivare alla conclusione che la foresta non ne racchiuda il nascondiglio."

Sotto vi era un'immagine: una ninfa - probabilmente la custode - teneva tra le mani una pietra dal colore rosa acceso.

I due giovani guardarono Hermione, che sembrava molto soddisfatta.

«Non sappiamo neppure se esiste veramente, Hermione…» mormorò Ron.

«Certo che esiste!» replicò lei, piccata.

«E come lo sai?»

«Non ricordate? Durante l'estate del nostro quarto anno, a Grimmuald Place. Sirius non ci mostrò un album di foto dei Malandrini? Tutti avevano un oggetto con una piccola pietra rosa…».

Harry sgranò gli occhi.

«Ron... Hermione ha ragione! Ricordo che quando chiedemmo a Sirius che cosa fosse, ci disse che avevano trovato quella pietra nella Foresta Proibita, durante una delle loro innumerevoli scampagnate al chiaro di luna»

Anche Ron parve ricordare.

«E' vero! Sirius ci disse anche che avevano sempre creduto che quella pietra fosse speciale. Come se una sensazione continuasse a suggerirglielo».

I tre sembravano incredibilmente eccitati.

«Ma… Se fosse solo una coincidenza?» borbottò Ron, improvvisamente.

«Non ci resta che provare, Ron. Che abbiamo da perdere?» disse Harry.

«Infatti. Pensa Ronald. Se tutto questo è possibile... Potremmo riavere i nostri cari qui, di nuovo con noi» gli fece eco Hermione.

Alla fine anche Ron si convinse del tutto.

«Avete ragione. Che aspettiamo allora? Partiamo subito!» esclamò, risoluto.

«Aspetta. Dobbiamo prima capire cosa cercare. Ci serve quell'album» l'ammonì la ragazza.

«Dovrebbe essere ancora a casa mia» disse Harry.

Sembravano tornati i tre ragazzi di un tempo, quando tutto veniva accolto come una nuova avventura.

«Allora domani inizieremo le nostre ricerche».

«Io mi preoccuperò di avvisare la McGrannit di una mia assenza» disse Hermione, allegra.

«E noi ci occuperemo del Ministero. Otterremo il consenso di lavorare a questa cosa da soli, così da evitare problemi».

I tre sorrisero e si strinsero le mani.

Erano di nuovo in gioco, tutti e tre, per riportare fra loro gli amici.

E niente o nessuno sarebbe riuscito a fermarli dall'intento di andare fino in fondo a quella nuova e grandiosa avventura.