CAPITOLO 1:PROLOGO
La vita di Annie era semplice prima che i mutaforma la trovassero.
Per buona parte della sua infanzia ha vissuto in isolamento.
Semplicemente non c'erano altre forme di contatto se non suo padre e forse l'occasionale e curioso
spettatore che osservava da una distanza di sicurezza.
Cosa che era preferibile da lei.
Gli altri bambini, per la sua limitata esperienza con loro, erano fastidiosi e crudeli l'uno con l'altro.
Era come guardare un branco di animali selvatici.
Il più forte avrebbe naturalmente predato quelli ritenuti più deboli,stabilendo il dominio e
eliminando qualsiasi minaccia.
E nessuno avrebbe protestato.
Era piuttosto triste, se ci pensava in quel modo.
Ma almeno poteva capirlo.
In ogni caso, il loro impatto sulla sua vita è stato di scarsa importanza.
Mentre si facevano i loro affari, le venivano insegnate le vie dell'autodifesa.
Ha imparato il modo corretto per uccidere un uomo quando aveva sette anni; e lo ha perfezionato
nel tempo.
In primo luogo, i concetti fondamentali.
Un nemico era un nemico.
Uomo o donna, formidabile o debole, potente in abilità fisica o intelletto, i punti di debolezza in un
essere umano erano coerenti.
Le è stato mostrato dove colpire.
Come ottenere l'elemento sorpresa.
Cosa guardare e come rispondere.
Prendeva un coltello nelle sue piccole mani e suo padre le dava istruzioni.
C'era un'arte nella pratica e Annie imparava velocemente.
Ma non aveva bisogno di un coltello per uccidere un uomo.
Spezzargli invece il collo,aprirgli la gola o cavargli gli occhi era più facile.
E c'erano altri modi per sconfiggere il nemico oltre alla violenza fisica.
L'arroganza era facile da vedere.
Possedeva un uomo e lo rendeva sciocco.
Paura.
Rimpianto.
Tutto questo e molto altro era pronto per essere sfruttato, se avesse saputo cosa dire.
"Sei più piccola degli altri "disse suo padre "Ti cacceranno e tu lascerai che lo facciano, perché così
capirai meglio il tuo stato."
La sua più forte impressione su di lui era che fosse meno una persona e che fosse più simile a una
forza.
Non era malevolo, né era privo di empatia.
Ma era un uomo freddo.
Non parlava a meno che non fosse stato sollecitato, a malapena guardava nella sua direzione a meno
che non si allenassero o facessero qualcosa che richiedesse spiegazioni verbali, e così lei imparò a
vivere in silenzio.
Era un po' come vivere con uno sconosciuto.
Era sempre impegnata e raramente aveva molto tempo per riflettere su questioni che andavano oltre
i limiti dell'autoconservazione.
La riflessione non era qualcosa in cui Annie eccelleva, ma la accettava come una specie di male
necessario.
Tuttavia, si chiedeva sempre una cosa.
Se prima dell'alba, quando il cielo era buio e senza stelle, avesse mai conosciuto suo padre come un
suo pari.
A tarda notte, quando il suo corpo era dolorante e il sonno non sarebbe arrivato, si chiedeva se
fossero davvero dello stesso sangue.
Avevano gli stessi occhi, gli stessi capelli e caratteristiche facciali simili.
Suo padre era un uomo più piccolo degli altri e lei era una ragazza più piccola, ma che importanza
aveva?
Lui avrebbe potuto essere qualsiasi altra persona e lei avrebbe sentito lo stesso livello di
connessione.
A volte, quando era più piccola, cercava di immaginare che aspetto avesse sua madre.
C'era un ricordo, ma era più un'immagine sbiadita.
Una voce, o una figura oscura, i suoi lineamenti si erano confusi con il tempo.
Sbiadì man mano che cresceva.
Chiederselo, ovviamente, è stato uno sforzo inutile.
Chiederselo non l'avrebbe messa al sicuro per un altro giorno, né le avrebbe insegnato a combattere.
Stupirsi troppo a lungo le faceva contorcere lo stomaco e il petto dolorante, indolenzito quasi
quanto il suo corpo affaticato, e così evitò.
Dato che questo non era sufficiente, ha imparato a escludere la malattia nel suo cuore.
A poco a poco, ogni notte, da un'età molto giovane che non riusciva a ricordare con chiarezza, fino
a quando non sentì altro che la fatica dei suoi muscoli.
E venne il giorno in cui si svegliò e nel suo petto c'era solo il vuoto.
I vortici di polvere.
E Annie era contenta.
Il suo allenamento si è sviluppato in intensità con l'avanzare dell'età.
Ora doveva imparare a schivare,saltare e perfezionare la sua tecnica.
E lo ha fatto, ovviamente.
Lei doveva farlo.
Ma a volte se lo chiedeva.
Si chiedeva a cosa avrebbe portato la sua vita.
Se mai avrebbe portato a qualcosa.
Per la prima volta da molto tempo, si sentì scoraggiata.
Una volta, quando aveva nove anni, suo padre portò con sé una lanterna.
La fece andare avanti con gli allenamenti tutto il pomeriggio e poi tutta la notte, finché i suoi piedi
non sanguinavano.
Lei pensava che sarebbe morta sicuramente per la stanchezza.
E si è fermata.
Era tutto ciò che poteva fare per restare in piedi.
"Di nuovo!" disse suo padre.
Annie poteva sentire che lui la osservava.
Ma lei non lo guardava.
Si rese conto che questo era un test.
E lei strinse i denti, raddrizzò le spalle ossute e prese a calci il sacco, più forte di prima.
Non c'era grazia nella sua violenza, solo sfida.
Determinazione.
Non sarebbe stata la prima a cadere.
Non si sarebbe arresa a niente.
Poi suo padre parlò "Può bastare."
All'inizio non si era fermata.
Non si fermò finché la mano del padre non le afferrò la spalla,poi lei sobbalzò e si voltò, con gli
occhi furenti e spaventati.
"Basta così!" ripeté il padre.
Annie lo fissò.
Non le aveva mai ordinato di fermarsi nel bel mezzo di una rissa.
Mai.
Tremava mentre guardava il suo viso e non c'era niente da comprendere dietro quello sguardo.
Annie non ricordò di essere svenuta poco dopo.
Sbatté le palpebre e il mondo scomparve.
Sognò che lui la portava a casa,che le puliva le ferite e la lasciava riposare.
E nel sogno le disse questo: "Sarà solo più difficile da qui.
Ma so che starai bene.
Lo hai dimostrato a te stessa."
Il Sole era alto nel cielo quando Annie si svegliò il giorno successivo.
Era ancora dolorante e i suoi piedi erano intorpiditi.
Ma era in grado di alzarsi.
Si vestì e si prese cura dei suoi piedi feriti, mediante delle bende.
Gli stivali erano semplicemente fuori questione: faceva abbastanza male anche solo camminare.
Ma questo, poteva tollerarlo.
Mangiò in silenzio la sua misera quantità di cibo, zoppicò attraverso la stanza e andò verso la porta.
Aveva appena messo un piede fuori dalla camera quando la voce parlò.
"Andavi da qualche parte?" disse la voce.
Lei si voltò e vide che suo padre era in piedi, vicino allo stesso tavolo da cui si era appena alzata.
Non lo aveva notato.
"Anche tu hai dei limiti." disse il padre "Vedi di riconoscerli."
C'era qualcosa di strano nei suoi occhi, quasi come una sottile tristezza.
O orgoglio.
Non poteva esserne sicura.
Era il massimo che fosse mai arrivato a mostrare per quanto riguarda le emozioni umane.
Annie sostenne il suo sguardo e passò.
Non raccontò a suo padre del sogno e i due ripresero la vita come se nulla fosse mai successo.
A dieci anni si era indurita, a causa del tempo e della pratica.
Due uomini si presentarono in una giornata di Sole di giugno, vestiti con abiti troppo semplici per
essere reali, ma troppo belli per essere civili.
Il primo era più vecchio e piccolo di statura, con i capelli brizzolati e gli occhi scuri.
Somigliava molto a un corvo.
Il secondo era più grosso, bruno e solenne, e sembrava essere più giovane di anni del suo
compagno.
Annie non aveva idea di cosa volesse questa strana coppia, ma emanavano un'aria che la teneva in
allerta.
"Ciao, piccola." disse il primo, con una voce calma e sottile come la sua figura.
Annie fissò l'uomo con diffidenza.
I suoi occhi brillavano come quelli di un cane selvatico.
Non le piacevano.
Le sue dita si chiusero saldamente intorno al pugnale che aveva in mano.
L'uomo non sembrava essersene accorto.
"Tuo padre è in giro?" disse l'uomo "Mi piacerebbe molto parlare con lui."
Lei rimase dov'era, tesa per il disagio.
Ma c'erano poche anime che passavano vicino alla loro casa e ancora meno che intrattenevano
conversazioni con suo padre.
Forse questa era solo una strana coincidenza, ma Annie voleva indagare.
Guardò verso la loro casa, poi di nuovo verso l'uomo, e pensò di chiamare suo padre, poi decise di
non farlo.
Erano solo uomini, non importava quanto li trovasse inquietanti.
Tra i presenti lei era quella con un'arma.
Aveva il sopravvento.
"Tu chi sei?" chiese lei.
Il sorriso dell'uomo si allargò.
"Siamo solo di passaggio." disse lui "Non c'è bisogno di sembrare così cupa, mia cara."
Annie si accorse che quest'uomo le piaceva meno ogni secondo che passava.
Lei lanciò un'occhiata al viso dell'altro e per la prima volta notò che c'erano delle linee deboli che
andavano lungo le sue guance, giù dagli angoli dei suoi occhi, simili a una serie di fossati intricati.
La ragazza si chiese cosa li avesse fatti.
"Questo è Marcel," disse l'uomo, notando il suo interesse "Temo che non sia molto socievole.
Ma non possiamo esserlo tutti, no?"
Lui accarezzò la spalla del ragazzo con una mano ossuta, ma Marcel non lo guardò.
"Ah ... ma sto andando fuori strada." disse l'uomo "Tuo padre è vicino?"
Annie annuì.
Suo padre era tutt'altro che ansioso di salutarli.
"Cosa vuole?" chiese freddamente.
"Solo parlare di sua figlia, signore." disse l'uomo "Credo che possieda le qualità che stiamo
cercando."
Suo padre sostenne lo sguardo dell'uomo, con un tono gelido.
"Scusi." disse il padre che stava per chiudere la porta "Non mi interessa."
L'altro annuì leggermente e Marcel si protese in avanti, afferrando la porta.
"Insisto: chiedo solo pochi minuti del suo tempo." disse l'individuo.
Suo padre fissò i due per un momento, prima di lanciare a Annie uno sguardo acuto.
Il messaggio era chiaro: resta dentro.
Annie entrò nella casa e lui uscì.
Incuriosita, premette l'orecchio contro la porta e si sforzò di ascoltare, riuscendo a distinguere le
voci.
"... temo che lei non sia in grado di fare richieste, signor Leonhardt." disse la voce dell'uomo "C'è
talento in sua figlia e la imploro di vederlo nel modo in cui lo vedo io."
Suo padre rimase imperturbabile "E cosa dovrei vedere esattamente?"
"La consideri l'opportunità di una vita, sia per lei che per sua figlia." disse l'altro.
Ci fu una pausa.
"Non mi interessa la sua offerta." disse freddamente suo padre.
"Al contrario, signor Leonhardt, penso che troverà questa proposta come qualcosa che non può
rifiutare." disse la voce dell'uomo magro con un tono cordiale, ma lei capì che c'era un pericolo in
agguato sotto le sue parole "Torneremo per eseguire alcuni test la prossima settimana.
La sua collaborazione è molto apprezzata."
I passi dei due si allontanarono.
Annie si sedette su una sedia e poi si alzò di scatto, quando la porta si aprì di nuovo.
"Chi erano?" chiese lei.
Suo padre scosse la testa "Non lo so."
Lei sapeva che non le avrebbe detto altro.
I 2 non tornarono più; tuttavia, fedeli alla loro parola, fu solo una settimana dopo che giunse un'altra
coppia.
Il primo non era degno di nota, ma lei studiava i suoi movimenti con silenziosa precisione.
Il secondo uomo era un po 'più ordinario, aveva i capelli castani, sfoggiava una barba sottile,
indossava un abito che mostrava un indizio di squallore e scrutava l'ambiente circostante tramite
degli occhiali sottili, trasudando un accenno di calore.
Fecero diversi test in una settimana.
Agilità, attitudine, resistenza e simili.
E Annie era esultante in privato: ecco la sua occasione per mettersi alla prova.
Suo padre, tuttavia, non era così entusiasta.
Annie non riusciva a capirne il motivo, ma almeno era contenta che l'uomo magro dagli occhi
lucenti non fosse tornato.
Così ha combattuto.
Ha dimostrato le sue tecniche.
E poteva dire che erano rimasti colpiti mentre ne discutevano tra di loro.
Dopo che se ne furono andati, suo padre rimase in silenzio per un po ', guardando la strada che
avevano preso.
"Ti hanno accettata nella loro organizzazione." affermò il padre che poi si voltò e si diresse
all'interno della casa.
Lei non lo seguì.
L'ultima settimana fu davvero strana.
Suo padre la addestrò ancora.
Quando parlava, lo faceva per imprimere in lei l'importanza della sua missione.
Questo avvenne.
Si allenava fino a svenire e poi lui la lasciava riposare.
E poi avrebbero ripreso di nuovo.
E poi di nuovo, finché non sarebbe diventata insensibile al dolore, insensibile a tutto tranne che alle
parole di suo padre.
Ma col passare dei giorni, si è stancata.
Era stanca del vuoto nel suo corpo, stanca, per la prima volta nella sua memoria, del fervore
inspiegabile di suo padre e di parlare di una missione che non aveva mai voluto.
Ma era tutto ciò che aveva, la parola di suo padre era Vangelo, e lei obbedì.
Un giorno, quando erano arrivati alla fine di un allenamento e lui le disse di smetterla, Annie tenne
alzati gli avambracci e i pugni chiusi.
E attese.
Passarono diversi secondi.
Lei li contò nella sua testa "Quattro, sette, dodici..."
Poi è successo.
"Rientra!" ordinò il padre "Riposa e domani farai di più!"
"Sto bene, padre." rispose lei e non si mosse.
Annie lo guardò in cerca di una spiegazione e lui non le comunicò nulla.
Così Annie decise di chiedere a se stessa, ad alta voce: "Cosa mi insegni a fare?"
"Le circostanze della tua missione richiedono che tu sia attrezzata per proteggerti." disse il padre.
"Da cosa?" chiese lei.
"Da quelli che cercheranno di ucciderti..." disse lui che la afferrò, correggendo la sua posizione "…
ma sarai pronta… "
Lei lo guardò, e lui la lasciò andare, anche se i suoi occhi non la abbandonavano mai.
" ... e li ucciderai prima tu." disse il padre "Ora vieni con me. "
Eppure c'era qualcosa di diverso nel modo in cui si comportava.
Il suo silenzio non era più freddo, non più incomprensibile.
C'era della tristezza.
Annie respinse quel pensiero.
Lei guardò verso suo padre, con gli occhi socchiusi per la concentrazione.
E colpì.
Così arrivò il giorno della partenza.
Annie si svegliò e vide la luce della Luna che filtrava attraverso la finestra, illuminando una figura
al suo capezzale.
Alzò lo sguardo per vedere il volto di suo padre, oscurato dall'ombra.
"Questo è il giorno." disse il padre "Preparati e andiamo."
E la lasciò senza ulteriori informazioni.
D'altronde, pensò Annie, non era così insolito.
Ciò che la infastidiva era la sua ansia.
Partirono dalla loro casa, coperti dall'oscurità, e percorsero uno dei sentieri principali del loro
villaggio.
Dopo pochi minuti, e con sorpresa di Annie, svoltarono a destra fuori dal sentiero, muovendosi
direttamente attraverso la foresta, finché non arrivarono in una radura.
Una carrozza era li, in attesa.
Il cavallo che tirava il mezzo era nero e robusto.
Suo padre ruppe il silenzio "Ricordi gli uomini che sono venuti poco tempo fa?"
Lei annuì.
A questo punto, suo padre sembrò vacillare.
Sembrava molto più vecchio, all'improvviso.
Più debole.
Era un pensiero inquietante.
"Quelle persone fanno parte di un gruppo che può proteggerti." disse il padre.
Annie lo fissò.
"Mi sbagliavo su di loro, bambina." disse lui con un tremito nella sua voce "Devi capire, non avevo
scelta."
Era spaventato.
"Non capisco, padre." disse Annie.
Suo padre fece uno strano rumore, silenzioso e teso, come se qualcosa gli fosse rimasto in gola.
Lentamente la guardò, cadde in ginocchio e la prese per le spalle.
Dopo questo iniziò a parlare, in un modo tale da sembrare che non stesse dicendo abbastanza: "Non
ti chiederò di perdonarmi per quello che ti ho fatto in questi anni.
L'umanità non capirà mai cosa sei.
Ti odieranno per questo.
Ma giuro che sarò dalla tua parte."
La sua voce si spezzò mentre le prendeva la mano destra con la sua "Mi hanno detto che ci
sarebbero stati altri come te.
Altri bambini.
Voglio pensare di averti cresciuta per essere in grado di gestire te stessa."
All'improvviso si rese conto di un piccolo oggetto, freddo e pesante, nel palmo della mano.
Un anello.
Dopo questo lui la abbracciò, borbottando ripetutamente che gli dispiaceva.
All'improvviso si rese conto dell'umidità sulla sua spalla, di come stesse tremando.
"Promettimi che tornerai da me." sussurrò il padre.
Annie era immobile.
Il cocchiere non aveva fretta di portarla via.
Probabilmente era abituato a questo tipo di reazioni.
Il campo a cui si recarono era nascosto, nel profondo delle montagne.
Era bellissimo, se ti piaceva quel genere di cose.
Una volta arrivata, iniziò la sua formazione.
Si unì ai ranghi di un gruppo di bambini.
Non indossavano stemmi, né emblemi per identificarsi.
E non erano soldati.
Erano guerrieri.
Mutaforma.
Erano i migliori tra i migliori e le loro azioni avrebbero determinato il destino dell'umanità.
Così le è stato detto.
Così è stato detto loro.
Con la perdita di suo padre fresca nella sua mente, si impegnò nelle prove che le venivano date.
E lei eccelleva.
Per la prima volta, rimase in piedi da sola, senza aiuto.
Durante questo periodo, è stata avvicinata da un paio di mutanti più anziani.
Un ragazzo, dai capelli color sabbia e dalle spalle larghe, di nome Reiner Braun aveva commesso
l'errore di cercare di combattere con lei, durante gli allenamenti corpo a corpo, e Annie si assicurò
che si sarebbe pentito della sua decisione, facendolo schiantare a terra e spezzandogli la mano
destra.
Con sua sorpresa e rabbia suprema, lui era sembrato molto divertito da questo fatto, e lei era
cosciente a malincuore che a cena l'avesse menzionata come "La nuova ragazza".
Conobbe meglio anche Marcel, ma presto Annie scoprì che le piaceva meno di Reiner; era fin
troppo orgoglioso e si pietrificava alla menzione delle persone all'interno delle mura.
Un altro ragazzo, alto e dai capelli scuri, le si avvicinò il giorno successivo.
Era un po' più diffidente nei suoi confronti mentre parlava.
"Sei Annie, immagino..." disse lui "Reiner ti ha menzionata ieri."
Lei restò in silenzio.
"Può essere un po '... diretto." disse il ragazzo sorridendo "Quando lo conosci da tempo come me,
non è davvero così scioccante."
Lui si mise seduto vicino a lei.
"Sono Bertholdt, a proposito." aggiunse il ragazzo.
Lei gli concesse uno sguardo, ma niente di più.
Ci sono stati in totale tredici mesi di preparazione.
Tredici mesi di apprendimento su come cambiare, come usare la lama nell'anello di suo padre
in modo sicuro e, soprattutto, istruzioni militari aggiuntive.
Il primo momento importante durante il suo addestramento è avvenuto circa tre mesi dopo
l'arruolamento.
È stata svegliata da uno dei loro superiori, prima che gli altri bambini si svegliassero, non per
allenarsi o fare colazione come al solito.
Invece è stata scortata in un edificio separato oltre a quello principale.
Percorse un lungo corridoio dove uomini e donne in camice bianco entravano e uscivano dalle
porte.
Alcuni di loro guidavano altri bambini, altrettanto esanimi e rassegnati come lo era stato Marcel.
E proprio come Marcel, tutti loro, bambini e adulti, avevano cicatrici sui loro volti.
Annie si chiese, non per la prima volta, se fossero state tutte vittime di una setta o di un crimine
terribile.
O forse erano ferite autoinflitte?
Non aveva idea di cosa pensare di loro.
Le stanze che attraversò e quella in cui entrò non erano dissimili dal resto delle loro abitazioni;
erano semplici e composte principalmente di legno, ma erano anche molto più pulite di qualsiasi
stanza avesse visto, li o altrove.
Un uomo era seduto sopra un tavolo, con le spalle rivolte verso di lei, ma Annie non poteva vedere
cosa stesse facendo.
"Dottore?" disse la persona che l'aveva accompagnata "Ho portato la recluta."
L'uomo non la guardò.
"Signore?" disse l'altro, ma l'uomo alzò una mano.
"Puoi andare, Otis." disse la figura seduta.
Otis se ne andò senza dire un'altra parola.
Quando l'uomo in camice bianco si voltò, Annie notò che portava gli occhiali e aveva le strane
cicatrici.
"Leonhardt, vero?" disse lui.
Annie sbatté le palpebre sorpresa e l'uomo sorrise.
"Io sono il dottor Jaeger." disse l'uomo "Potresti ricordarti di me dal tuo esame di poche
settimane fa."
Annie non rispose.
Questa era la sua prassi, fortificata dal tradimento di suo padre e dalla consapevolezza che il
mondo era un nemico.
Si limitò a guardare mentre l'uomo estraeva una siringa dal cappotto e la riempiva con un liquido
traslucido.
"Questo è qualcosa che diamo a tutte le nuove reclute" spiegò l'uomo "Tendi il braccio."
Gli effetti di questa iniezione furono presto evidenti.
Prima è arrivato il caldo.
Era troppo calda, troppo calda.
La sua pelle bruciava, si tingeva di rosso.
Quando è fuggita dalla stanza in preda al panico cieco, nonostante le proteste del medico, e si è
gettata nel fiume il suo corpo ha emesso abbondanti quantità di vapore.
Annie guardò se stessa, tremando "Cosa mi hanno fatto?"
Proprio in quel momento, il dottore la raggiunse.
"Va tutto bene!" disse lui "La tua temperatura alla fine si stabilizzerà!
Calmati, aiuterà ad accelerare il processo!"
Annie ubbidì e scoprì che diceva il vero.
Il vapore cessò di uscire dal suo corpo e lei rimase con lievi ustioni su tutta la carne, ma per il resto
sembrava essere tornata a una parvenza di normalità.
Subito dopo fu sconvolta da un dolore infernale.
Il calore le tornò, così come una sensazione simile a quella che avrebbe provato se centinaia di
minuscoli frammenti di vetro fossero stati cuciti all'interno del suo corpo.
Poco dopo sentì qualcuno che la trascinava per le mani.
La poggiarono su un materasso, dove si raggomitolò, tremando come un animale ferito, e
tenne i denti serrati sulla manica per cercare di soffocare i suoi versi pietosi.
Il dolore era solo una parola.
Non significava niente per lei.
Ma questo era diverso.
Non le dava tregua e non poteva sfuggire alla sua mente.
"Temo che questo faccia tutto parte del processo." disse una voce maschile.
Lei sospirò pesantemente.
"Mi dispiace, bambina." disse la voce "Dovrebbe passare domani."
Annie fece un altro rumore strozzato.
Il dolore diminuì lentamente, ma la fece agonizzare per tutta la notte.
Fu solo il giorno dopo, la mattina presto, che il sonno le venne.
La prima cosa che sentì al risveglio fu il cinguettio degli uccelli.
Aprì gli occhi e fissò il soffitto, illuminato dalla luce del Sole che entrava dalla finestra.
Quando li chiuse, poté quasi fingere di essere di nuovo a casa.
Il dolore nel suo corpo era familiare; poteva immaginare che suo padre stesse per venire a
svegliarla.
Ma Annie sapeva che era meglio non sognare.
"Sei sveglia." disse una voce familiare.
Annie sbatté le palpebre, poi si mise a sedere e vide il ragazzo alto incontrato poco tempo prima.
"Qual era il suo nome?" pensò Annie "Bertholdt?"
Lei lo fissò con sguardo assente.
Il suo viso era ancora fresco di giovinezza, ma c'era un lieve dolore che rivestiva i suoi lineamenti.
I suoi occhi erano più vecchi e più saggi di quanto ci si aspetterebbe da uno così giovane.
E c'erano le cicatrici.
Tutti in questo accampamento sembravano averle.
Lei si toccò il viso con mani tremanti e non sentì ... niente.
Niente cicatrici.
"Qualcosa non va?" le chiese il ragazzo.
Lei si mise il viso tra le mani ed espirò lentamente "Per quanto tempo sono stata svenuta?"
"Un giorno." disse il ragazzo "È stata una fortuna.
Molte reclute non arrivano così lontano."
Il suo stomaco si contorse.
Annie abbassò le mani, aprì gli occhi e si fissò le nocche.
"Cosa mi succederà adesso?" chiese lei.
"Ti riposerai." disse il ragazzo "Quando sarai pronta, mi aspetto che verrai reinserita nel nostro
programma di allenamento.
Ma non finché non sarai pronta."
Lui sorrise gentilmente.
Annie avrebbe voluto che non lo facesse.
"Ne vuoi parlare?" disse lui "Non sono il dottor Jaeger, ma posso provare a spiegarlo al meglio
delle mie capacità."
Annie aggrottò la fronte, grattando irrequieta il suo lenzuolo.
Aveva molte domande.
"Cosa c'era nell'iniezione che mi ha fatto il dottor Jaeger?" chiese lei.
"Il siero che ti ha dato il dottor Jaeger è, in breve, ciò che forma o uccide un candidato." disse il
ragazzo "Dovrai chiedere a lui se vuoi conoscere tutti i tecnicismi, ma il punto cruciale è questo: da
ora, tu non sei più la ragazza che eri.
Il freddo non può più darti fastidio.
Puoi guarire rapidamente se vieni ferita.
La tua necessità di cibo e acqua è quasi azzerata.
Sei più forte e più veloce.
E il tuo invecchiamento è completamente cessato. "
"Quante volte hai fatto questo discorso?" chiese lei freddamente.
Bertholdt sorrise in modo cupo.
"Più di quante avrei voluto." disse lui "Abbastanza per spiegarlo in modo competente.
Ma solo se sei disposta ad ascoltare."
Lui fece una pausa "Conosci i Titani?"
"Sì." disse lei che non era sicura di dove stesse andando a parare.
Non ne aveva mai visto uno.
"Immagina, per un momento, di poterne controllare uno, fonderne il corpo alla tua volontà."disse il
ragazzo.
Lei si mise a sedere di colpo, ignorando il dolore.
"Cosa mi hanno fatto?" disse Annie.
L'emozione negli occhi di Bertholdt era indicibile.
Sembrava molto, molto più vecchio della sua età apparente.
"Sei qualcosa di più grande di qualsiasi Titano umano privo di intelletto." disse lui "Sei una
mutaforma, un umano che può diventare un Titano."
Annie sentì le prime scariche di paura affiorare dentro di lei.
Terribili implicazioni si manifestavano nella sua mente, una più inquietante dell'altra.
"Perché sono stata scelta?" era l'unica domanda a cui riusciva a pensare, per quanto sciocca.
La sua voce suonava estranea alle sue orecchie, in quanto era appena udibile e spaventata.
Bertholdt la guardò con compassione e ciò la faceva arrabbiare.
Non voleva la pietà di questo sconosciuto.
Lei sussultò quando lui le mise una mano sulla spalla.
Non era certo una mano grande, ma era una ragazzina.
Ma lei non si mosse.
Qual'era il punto?
Non poteva tornare a casa da suo padre.
Era un mostro.
"Sei eccezionale, Annie." disse Bertholdt "Siamo eccezionali."
Non pronunciò queste parole con orgoglio o con il fuoco negli occhi.
C'era rassegnazione e comprensione nella sua voce.
Aveva condiviso il suo dolore.
E lei era grata di questo.
Il giorno dopo stava abbastanza bene per camminare.
Le settimane passarono e poi divennero mesi.
Un ciclo infinito.
Alzati, combatti, dormi, continua.
Annie imparò a fidarsi di Bertholdt.
Non era eccessivamente amichevole come Reiner, né era altezzoso come Marcel.
Era silenzioso, ben informato e semplicemente aveva la voce della ragione.
Entro la fine del quarto mese, sapeva come adattarsi al suo nuovo stato.
Si è persino costretta a tollerare i tentativi di cameratismo di Reiner.
Entro la metà del quinto mese, si era quasi perfezionata.
Poteva diventare una creatura formata dalla sua volontà, formando pelle, ossa e fuoco.
Era come un sogno.
Poi il suo corpo da Titano si dissolveva e lei usciva dalla carne, tornando umana ancora una volta.
Ad ogni trasformazione, la sua mente diventava un po 'più chiara.
Le cicatrici incise momentaneamente sul suo volto segnavano la sua ascesa alla divinità.
Erano un costante promemoria della sua disumanità.
Non avendo più niente da fare, rinunciò alla sua vecchia vita e ricominciò.
La promessa fatta a suo padre, tuttavia, restava nella sua coscienza.
Teneva la sua richiesta vicino al suo cuore, come un segreto.
"Torna da me." l'aveva supplicata.
"Lo farò, padre." pensò lei "Ritornerò."
Commise un errore quando disse a Marcel che soldato e guerriero erano sinonimi.
Era una cosa sciocca di cui preoccuparsi, col senno di poi.
Lui la guardò a malapena quando rispose: "Bisogna ricordare che non siamo soldati, Annie.
Siamo guerrieri."
"Siamo un gruppo militare organizzato." disse Annie, alzando il sopracciglio destro "Perché ci
definiamo qualcosa di così infantile?"
Marcel interruppe quello che stava facendo e la fissò come se lei lo avesse appena offeso
pesantemente.
"Chiedo scusa, Leonhardt..." disse Marcel velocemente "...ma abbiamo ottenuto molto di più con le
nostre vite di quanto quei piccoli servitori che vivono dietro le loro mura potrebbero mai sognare in
mille anni.
Sono codardi.
Non ci associamo a loro."
Detto questo, lui si voltò dando l'impressione di essersi offeso.
Annie non era interessata a proseguire la questione, ma più tardi chiese a Bertholdt di parlarne.
"Non si tratta di giustificare il titolo." disse Bertholdt "Non siamo soldati.
Ci differenziamo in questo modo dagli uomini e dalle donne che danno la vita per il loro paese.
Non stiamo cercando di difendere il nostro paese, ma cerchiamo di riprendercelo."
"Riprenderlo da chi?" disse Annie.
Bertholdt chiuse gli occhi, immerso nei suoi pensieri.
Quando li riaprì, sembrava stanco.
"È una storia lunga, non per le tue orecchie." disse lui "Basti pensare che abbiamo cercato di
negoziare con un altro gruppo all'interno delle Mura e non è andata bene.
Sono in armi contro di noi e hanno la volontà delle persone.
Non abbiamo altra scelta che contrattaccare, prima che possano attaccarci. "
Lui alzò la testa.
Annie seguì il suo sguardo e vide Reiner che li salutava.
"Perché prende così sul serio i suoi doveri?" chiese lei, guardandosi le nocche.
Bertholdt le lanciò un'occhiata.
"Non so cosa abbia." disse lei freddamente "È inutile quel comportamento.
Stiamo tutti combattendo contro i Titani, alla fine.
Consentire pregiudizi personali non risolverà nulla."
"A te, forse." disse Bertholdt "Ma per lui, è tutta un'altra storia."
Reiner le diede una gomitata sul braccio.
"Non prenderlo troppo sul serio, ragazzina." disse Reiner "È quello che vuole."
Tempo dopo fu chiamata dai loro superiori in un campo che usavano per gli esperimenti sui Titani
,in una mattina senza nuvole di aprile.
Annie arrivò da sola e più che sospettosa per la repentinità di quell'assemblea.
Bertholdt e Reiner erano già lì e, con suo lieve sgomento, c'era anche Marcel.
Reiner sembrava confuso quanto lei, mentre Bertholdt e Marcel erano tranquilli e sull'attenti.
"Bene." disse la voce di un ufficiale "Siete tutti qui."
L'uomo li osservò.
"Sarò onesto con voi." continuò l'ufficiale "Molte delle nostre reclute non sono arrivate così
lontano.
Ma voi vi siete dimostrati abbastanza capaci.
Pertanto, vi daremo la possibilità di dimostrare il vostro valore."
L'uomo fece una pausa.
"Voi quattro aprirete un percorso attraverso le mura, iniziando da Shiganshina, e se tutto va bene,
dirigetevi verso la capitale." disse l'uomo "Questo è il primo piano.
Tuttavia, se per qualche motivo le cose si mettono male, rivolgete tutti i vostri sforzi alla
localizzazione e al recupero della Coordinata."
L'ufficiale si fermò di nuovo.
Annie lanciò un'occhiata a Bertholdt e Reiner, che sembravano confusi.
Anche Marcel ora sembrava a disagio.
"Signore?" intervenne Annie "Che cos'è la Coordinata, esattamente?"
"Il nostro nemico l'ha usata per guadagnare potere nelle mura e scacciarci ogni volta." disse
duramente Marcel "Non è un motivo sufficiente per portarglielo via?"
"Va bene, Marcel." disse l'ufficiale "Nell'eventualità che qualcosa vada storto, il che non è affatto
escluso, ma improbabile, cercherete tutti la famiglia Reiss: sapranno dove condurvi."
I quattro si guardarono.
Annie sperava di non essere l'unica a pensare che questo piano fosse, nella migliore delle ipotesi,
interamente dipendente dalla fortuna e che fosse messo in pericolo dall'inclinazione all'arroganza
del gruppo.
"Molto bene." disse l'ufficiale "Voi due…"
L'uomo fece un cenno verso Bertholdt e Reiner "...andrete in tre, compreso Francis."
Un altro uomo, dai capelli rossi e di corporatura esile, annuì.
"E tu, Leonhardt, sarai con Marcel." disse l'ufficiale.
Marcel spostò lo sguardo verso di lei e annuì rigidamente, senza incrociare i suoi occhi.
"I vostri compatrioti comunicheranno a ciascuno di voi i dettagli della vostra missione." disse
l'uomo "Questo è il giorno per cui vi abbiamo addestrato.
Buona fortuna."
Come si è scoperto, il ruolo di Annie era relativamente semplice.
Quasi in modo offensivo, ma Annie lo tenne per sé.
Tutto quello che doveva fare era spostarsi, correre al limite degli alberi, mentre era nella sua forma
da Titano, e urlare.
Secondo Marcel, il suo urlo avrebbe attirato i Titani puri verso di lei.
Letteralmente, quella fu la fine del suo coinvolgimento.
Bertholdt e Reiner sarebbero stati nel bel mezzo delle cose, ma per quanto riguardava Annie,
probabilmente era meglio.
Il gruppo arrivò su un'isola.
"Come funziona, esattamente?" chiese lei, incapace di nascondere lo scetticismo nel suo tono "Devo
solo ... far correre un'orda di titani verso Shiganshina con la mia mente?"
"Questo è esattamente quello che farai." disse Marcel con decisione "E per favore, non usare
quel tono con me."
"Dovrò usare il Titano, comunque." disse lei "Tanto vale farlo ora che dopo."
Con sua sorpresa, Marcel era a favore.
La trasformazione è stata facile, ormai era familiare.
Lei torreggiava in alto, sopra la foresta.
Marcel era leggero come una piuma sulla sua spalla.
Ma anche nella forma di Titano, il viaggio verso Shiganshina ha richiesto ore; tanto che quando
arrivarono, il Sole stava raggiungendo il suo punto più alto nel cielo.
Splendeva su un terreno erboso.
In lontananza, c'era una striscia bianca che si estendeva attraverso il panorama, lunga e infinita….
Il Wall Maria.
All'interno del Titano, Annie trattenne il respiro.
Fissò il muro per un intero minuto prima che Marcel richiamasse la sua attenzione e lei si ricordasse
del suo scopo.
Man mano che si avvicinava, il muro diventava sempre più impressionante.
E poi è entrata nel raggio d'azione.
"Adesso!" disse Marcel.
Annie espirò pesantemente e il suo Titano emise un sibilo tremolante.
Mandò indietro la testa ed emise un suono lungo, penetrante e lamentoso.
Non era niente che potesse provenire dalla gola di un umano.
Poi smise.
Cosa avrebbe dovuto fare adesso?
"Aspetta." ordinò Marcel.
Non dovettero aspettare a lungo.
La terra rimbombò, scossa sotto il peso di quelli che dovevano essere un centinaio di Titani.
Lei non girò la testa per confermare la loro presenza.
"Dirigili!" urlò Marcel "Immagina l'obiettivo nella tua mente e attira la loro attenzione!"
Facendosi coraggio, il Titano di Annie emise un altro grido.
"Dirigetevi verso il Wall Maria!" pensò Annie.
Come una singola unità i Titani si voltarono, barcollando verso la maestosa costruzione che ardeva
al Sole, ignorandola completamente.
"Eccellente." disse Marcel, con la voce traboccante di sollievo e orgoglio "Torniamo indietro."
Man mano che si avvicinavano alla loro destinazione, videro altri Titani nella foresta.
La maggior parte di loro correva, ma alcuni la notarono.
Annie li ignorò e continuò a correre.
La stanchezza doveva ancora manifestarsi e, per quanto ne sapeva, la missione era ancora in corso e
non sarebbe finita finché lei non fosse tornata e avesse fatto rapporto.
Tutto sembrava andare bene finché non raggiunsero l'accampamento e trovarono il campo
devastato dai Titani.
Quelli rimasti alla base erano l'élite.
Erano maestri, erano mutaforma ed erano completamente impreparati a una simile violazione.
Definirlo un massacro sarebbe un eufemismo.
Non sapendo cosa fare, fuggirono nella foresta.
Annie non smise di correre finché non fu certa di essere molto, molto lontana da ogni
minaccia.
Solo allora tornò umana.
Marcel fu così gentile da aiutarla a uscire fuori dal corpo enorme, poi si incamminarono nella
foresta.
"Va avanti." le disse Marcel "Arriva al muro."
"Preferisco arrivarci con te." insistette lei "Siamo più forti in due.
Non essere stupido."
"Non sto facendo lo stupido!" ringhiò Marcel "Chiaramente c'è stata un'irruzione e ,come tuo
comandante, è mio dovere proteggerti.
Ti ordino di metterti al sicuro."
Annie valutò le sue opzioni.
Da un lato, poteva lasciare che Marcel andasse da solo, facendo affidamento sul fatto che avrebbe
attirato l'attenzione dei Titani.
Disonorevole, ma pratico.
D'altra parte, sarebbe stata sola, debole e vulnerabile.
Ma sapeva che Marcel era un idiota e un testardo che non voleva ascoltare.
Quello era il suo problema.
Quindi lei ubbidì.
Fu una dei pochi fortunati che fuggirono nei campi all'interno del Wall Rose, fingendosi una dei
tanti cittadini terrorizzati.
Per alcuni aspetti, questo non è stato difficile.
Ma non in tutto.
Da sola, nel cuore del paese del nemico, era difficile non sentirsi a disagio.
E quando li vide non poté fare a meno di sospirare per il sollievo.
Prima trovò Bertholdt; un'impresa facile, era un ragazzo incredibilmente alto.
C'era anche Reiner con lui.
Era fuori di sé, silenzioso e scosso, sembrando a tutti gli effetti un bambino smarrito.
"Marcel è morto, Annie." disse Bertholdt "Penso che lo siano tutti.
Siamo stati traditi da uno di noi."
Annie non sapeva cosa dire.
Reiner iniziò a piangere.
Bertholdt si voltò, dandogli una pacca sulla spalla nel modo in cui un fratello maggiore potrebbe
consolare un fratello minore spaventato.
Da quel momento in poi erano diventati una squadra.
Insieme hanno lavorato, vissuto e dormito, chiedendosi sempre dove fosse la Coordinata.
Chi la avesse.
Come potessero portarla via.
Per due anni non hanno avuto risposte e nessuno a cui rivolgersi, se non l'un l'altro.
Alla fine di questo periodo, il trio entrò nell'Accademia Militare.
