CAPITOLO 2: ESONERO

Fu durante il secondo anno di arruolamento che Annie fu presentata a Eren Jaeger,anche se forse

presentata non era la parola corretta.

In verità, lo aveva più o meno mandato a gambe all'aria durante un addestramento.

Non aveva chiesto di allenarsi con lei, ma era amico di Reiner e quest'ultimo lo aveva decisamente

chiesto.

Una volta che entrambi furono stati sufficientemente sistemati, lei poté abbandonare la posizione di

guardia.

Poco prima che se ne andasse, Eren commentò la sua tecnica e una piccola parte di lei trovava

divertente la sua ingenuità.

Man mano che le ore passavano e la noia aumentava, iniziò a studiarlo.

Era facile da comprendere, ancora più facile da sconfiggere e sorprendentemente ardente di

carattere.

Eren le assicurò un flusso costante di vittorie, che divennero sempre più violente in accordo con la

sua esasperazione (sopraffare il ragazzo era ridicolmente semplice anche senza le urla entusiaste dei

loro compagni apprendisti).

Ma ciò che il ragazzo mancava in abilità era compensato da una fonte quasi inesauribile di tenacia e

da un'indole allegra, il che era sorprendente considerando il numero di volte che era stato battuto,

con non troppa grazia, dalla sua mano.

Non passò molto tempo dopo questa serie di sconfitte che Annie si rese conto che lui voleva

imparare da lei; e la sua esuberanza, un tempo fastidiosa, ora diventava insopportabile, ma se lei era

ferocemente determinata a non accettare l'offerta, lui era altrettanto determinato ad essere

addestrato e, alla fine del quarto giorno sul campo, Annie scoprì di avere pochi vantaggi a

continuare questo gioco.

Forse, se lo avesse assecondato, sarebbe stato soddisfatto, avrebbe imparato a cogliere un

suggerimento e a lasciarla stare.

Con suo crescente sgomento, questo atto di riluttante accettazione da parte sua sembrava solo

spronarlo a sforzarsi ancora di più e, man mano che il tempo passava, lei fu costretta lentamente a

riconoscere che, per quanto spericolato e instabile, stava imparando.

Non è stato un cambiamento rivoluzionario; lo batteva tutte le volte, ma i tentativi e gli errori gli

avevano insegnato ad anticipare i suoi colpi.

Questo è stato piuttosto incoraggiante.

Annie non gli avrebbe dato la soddisfazione di sapere che aveva fatto notevoli progressi

naturalmente e, in un certo senso, non ne aveva bisogno; c'era qualcosa nel modo in cui brillavano i

suoi occhi che le diceva che capiva abbastanza chiaramente.

Rendendosi conto di ciò, Annie provò una piccola fitta di fastidio e qualcos'altro a cui non riusciva

a pensare, poi ebbe l'impulso di prendere a pugni qualcosa; preferibilmente Reiner, o lui se è per

questo.

Non le piaceva quel ragazzo.

Non poteva permettersi di farlo.

Eppure era inspiegabilmente diverso.

Lui le sorrise trionfante quando credette di avere il sopravvento, poi lanciò un gemito di dolore

mentre lei lo gettava a terra.

I mesi estivi che seguirono portarono una strana escalation di tensione.

Forse era l'incertezza della missione che incombeva o forse era l'osservazione di Reiner sul suo

comportamento insolito.

L'assedio del Wall Maria sembrava fosse accaduto secoli fa, eppure sapere questo non le alleviò i

nervi.

"Ehi!" disse Eren.

La chiamata la staccò dai suoi pensieri.

Annie inclinò la testa in avanti in segno di saluto "Cosa vuoi, Jaeger?"

Eren sorrise "Hai bisogno di qualcuno con cui addestrarti oggi?"

C'era una grande felicità nel modo in cui lo disse e lei si trovava contemporaneamente affascinata e

un po' invidiosa per la misura della sua ignoranza, che fosse volontaria o meno.

"C'è un motivo particolare per cui me lo chiedi?" chiese Annie.

A questo punto, il ragazzo sembrò bloccarsi e guardò verso la foresta all'estremità del campo.

"Io … volevo allenarmi." disse Eren.

"È così?" chiese lei.

Lui distolse lo sguardo dagli alberi e la fissò, con un po' di agitazione.

In cambio lei gli rivolse un sorriso sottile e fugace, ma spontaneo "Bene."

Per un momento, Eren sembrò fissarsi, poi sbatté le palpebre.

"A meno che tu non abbia cambiato idea?" disse Annie.

"Ah no!" disse lui frettolosamente.

Questo era tutto l'incoraggiamento di cui aveva bisogno.

"Dai su." disse Eren mettendosi in guardia "Iniziamo."

Mentre il mondo intorno a loro scompariva e l'aria diventava più fredda, la curiosità riluttante

sbocciò in uno strano e del tutto inquietante fascino per il ragazzo.

Con suo grande fastidio, questo ritrovato interesse non passò inosservato agli occhi dei suoi

compagni.

Ma cos'altro si era aspettata?

Il fascino persisteva, non affrontato e incessante, e lei non gli diede neanche il minimo peso fino

alla notte, durante la quale fu scossa da un sogno particolarmente strano.

Sognò di trovarsi avvinghiata tra le lenzuola, con il ragazzo come compagno di letto, mentre la sua

vera compagna di stanza, Mina, era molto innervosita.

"Potresti semplicemente dirglielo, sai?" disse Mina.

Annie si svegliò di soprassalto.

L'addestramento a tarda notte fu una sua idea; un prodotto della noia schiacciante e di certi sogni

sempre più ingiustificabili.

Durante gli allenamenti notturni non provò alcuna paura.

Suo padre le aveva insegnato fin dalla tenera età che la paura non era il suo padrone.

Annie si concesse il privilegio dell'inquietudine, niente di più.

Scelse di non soffermarsi sul fatto che i suoi pensieri rimanessero puntualmente fissi sul ragazzo

dagli occhi verdi e sull'inclinazione di quest'ultimo verso un comportamento del tutto avventato

che da tempo gli era valso il soprannome di "bastardo suicida".

Era solo un ragazzo, dopotutto.

Solo un ragazzo.

Il ragionamento servì come diversivo temporaneo mentre si faceva strada tra le ombre.

Il suo errore è arrivato una sera di novembre.

Lo aveva portato da sola sul campo, adescandolo con la richiesta di allenarsi.

All'inizio si stavano allenando come al solito, poi lei lo baciò.

Lei lo fece troppo in fretta, facendo scontrare i denti, e si allontanò con un'imprecazione soffocata.

Lui non ricambiò il bacio, né la spinse via.

Annie si chiese se fosse semplicemente troppo sorpreso per reagire.

Nel loro mondo, c'era una linea molto sottile che separava l'amicizia tipica da qualcos'altro e lei non

l'aveva attraversata, no, l'aveva superata in modo spettacolare.

Ci fu una pausa imbarazzante a seguito di questo tentativo fallito.

"Non ti ho spaventato?" chiese lei infine.

Lui la guardò, apparentemente colto di sorpresa dalla domanda, poi mormorò: "Uh ... no."

Sebbene l'espressione di Annie rimase impassibile, il suo coraggio aumentò.

"Bene." disse lei che si appoggiò su di lui, godendosi il fatto che, per una volta, niente li avrebbe

interrotti.

Con l'avvicinarsi del freddo pungente dell'inverno, le settimane furono un po 'meno incerte.

Nonostante la minima traccia di speranza, fu questo che segnò l'inizio della fine.

Ogni piccolo e promettente istante che avevano condiviso ... apparentemente era stato inutile; lui

non si tirò mai indietro dagli allenamenti, malgrado le infinite sconfitte, e alla fine Annie è stata

costretta, anche se a malincuore, a concludere che Eren Jaeger non era in grado di cogliere un

suggerimento, oppure era troppo esitante per farlo.

Ammetterlo a se stessa non portò nient'altro che una fitta, da tempo dimenticata, di bruciante

delusione e il pensiero dei commenti di Reiner e il sorriso di scusa di Mina non fecero che

cementare quella sensazione.

Così cercò di fare amicizia con Bertholdt e quando il senso di colpa è tornato a tormentarle il

petto, si è limitata a dire a se stessa che quello era un mezzo per sistemare degli impulsi scomodi;

niente di più e niente di meno.

Non era necessariamente giusto, ma da quando aveva importanza?

In realtà importava perché Bertholdt lo sapeva.

Non disse mai una parola, non mostrò mai la minima inclinazione a parlarne, ma la guardò e capì

fin troppo, capì che, mentre lui l'amava, lei non lo ricambiava.

Ma rimase in silenzio.

Naturalmente, non passò molto tempo prima che fosse chiaro a tutti che Eren aveva tutta

l'intenzione di combattere i Titani a qualsiasi costo.

Lei non aveva mai messo in dubbio questo sviluppo e mantenne un silenzio determinato in sua

presenza.

C'era un senso di rabbia nel suo comportamento, di confusione e una miriade di altre emozioni

fastidiose, ma soprattutto c'era risentimento.

Durante uno dei suoi discorsi, dove lui si metteva in mostra nella sala mensa, dicendo che avrebbe

ucciso da solo tutti i Titani del mondo, lei gli mandò uno sguardo di finta preoccupazione, solo per

testare la sua reazione.

Non appena fu chiaro che lei gli stava proponendo di lasciar perdere i suoi propositi di vendetta

verso i Titani per l'uccisione di sua madre, Eren le lanciò uno sguardo particolarmente velenoso in

cambio e lei si ritrovò a pensare che questo avrebbe potuto essere divertente in qualsiasi altra

situazione.

Poco dopo , Annie fu colta da due impulsi improvvisi e altrettanto sconsiderati, il primo era quello

di provare a farlo ragionare, mentre il secondo era quello di prenderlo a pugni.

Non ha fatto nessuna di queste due cose.

Nessuno le parlava più.

Per essere più precisi, Mina aveva smesso di parlarle.

Ovviamente, Annie non aveva mai cercato di conversare con nessuno; ma anche così, questa

improvvisa dissoluzione del contatto non doveva essere trascurata.

Ma aveva fatto ciò che il padre l'aveva implorata di fare.

L'umanità non capirà mai cosa sei.

Non è stata una sorpresa per nessuno che Reiner fosse l'unico a sollevare la questione.

"Non so cosa pensi di fare, ma devi cercare di cambiare se vuoi avere una possibilità tra i primi

dieci." disse Rainer.

Ovviamente non aveva la lucidità mentale per ricordare perché erano lì, era successo qualcosa alla

sua mente.

Tuttavia Annie sentiva la rabbia ribollire dentro di lei, incandescente.

Il suo aspetto era inalterato tranne che per il leggero, inconfondibile irrigidimento delle sue spalle.

Se era troppo confuso, a causa del senso di colpa, per ricordare la sua missione, allora era la sua

sconfitta "Sei un soldato, vero?"

Lei non guardò Bertholdt per avere conferma dei suoi dubbi.

Non ne aveva bisogno.

Reiner sospirò pesantemente.

"Senti, ragazzina, capisco che tu stia passando un brutto periodo." disse Reiner "Ma devi agire

insieme..."

Qualcosa scattò dentro di lei, causando un'esibizione di violenza che non si vedeva da anni.

Era come se Annie avesse di nuovo undici anni e lui avesse commesso l'errore insostenibile di

posarle una mano amica sulla spalla.

Annie si voltò, lo afferrò per la parte frontale della maglietta e lo sbatté con tutte le sue forze sul

tavolo, poi ci fu un coro di grida e sussulti degli altri cadetti.

"Ti odieranno per questo." disse lui.

"Chiudi la bocca." intimò lei.

Reiner grugnì, apparentemente non curandosi del colpo, e, più di ogni altra cosa, si mostrò del tutto

indifferente.

L'intera stanza era stranamente silenziosa.

Lei non si spinse a guardare Bertholdt, ma poteva sentire i loro sguardi sconvolti perforarla come

coltelli.

Avevano paura di lei, più di quanto la avessero prima, sbalorditi da quell'anomala manifestazione di

emozioni.

"Sei felice, padre?" pensò Annie "Ho fatto esattamente quello che mi hai chiesto."

Fu con consapevolezza amara che Annie Leonhardt riconobbe di aver perso il controllo.

Eren la cercò in un freddo pomeriggio.

La neve si era sparpagliata sul terreno, ritirandosi con la promessa di un clima più mite.

"Annie?" disse Eren.

Lei non gli parlò.

Erano settimane che aveva assunto quell'atteggiamento ed era stanca.

Ci fu una pausa in cui imprecò sottovoce, mostrando una proverbiale dimostrazione di frustrazione.

"Che diavolo vuoi da me?" disse Annie "Non mi aspetto che un ragazzo come te capisca come mi

sento."

Annie non poteva vedere il suo viso, ma poteva percepire la ferita che aveva inflitto.

Perché si era persino coinvolta con il ragazzo?

Era, in infiniti modi, tutto ciò che lei non era: era umano, era uno sciocco e la sua causa sarebbe

stata per sempre vana.

Ed era una grande misericordia, pensò lei tra se e se, assicurarsi che lui non conoscesse la portata

dei loro obiettivi.

"Allora perché sprecare il tuo tempo con me?" disse Eren.

Annie non riuscì a trovare una scusa per replicare.

Purtroppo, non se l'aspettava.

Non c'era bisogno di guardare nella sua direzione; sapeva che stava aspettando una risposta

adeguata, sapeva che vedeva il piccolo blocco nel suo ragionamento.

Era troppo perspicace.

L'aveva spaventata.

E la paura era inaccettabile.

"Perché non puoi lasciarmi in pace?" pensò lei "Renderebbe le nostre vite più facili."

Annie riuscì a riprendersi.

"Non lo so." disse lei.

Era evidente che lui aveva capito come stavano le cose.

Ancora una volta, ci fu una fitta.

Ma non aveva altra scelta che allontanarsi da lui.

Ben presto, il Titano di Berthold sfondò il muro del distretto di Trost, permettendo agli altri giganti

di entrare e di divorare la popolazione.

Lei e gli altri usarono gli strumenti per il movimento tridimensionale, un particolare oggetto che

permetteva ai soldati di volare e di colpire i giganti dietro la nuca con delle spade, per arrivare su un

tetto, dove si erano radunati gli altri.

Si venne a sapere che tra le persone mancanti all'appello c'erano sia Mina che Eren.

Annie rimase inespressiva, ma per lei fu come ricevere una coltellata al petto.

Mikasa Ackerman guidò il gruppo verso il quartier generale, invaso dai Titani, ed è stato in quei

momenti che fece la sua comparsa il Titano che Avanza, chiamato anche il Titano d'Attacco.

Ci vollero diversi giganti più piccoli per trattenere la creatura e anche allora non collassò finché

tutti i Titani nelle vicinanze non furono uccisi.

Una spessa nuvola di vapore si alzò dal corpo caduto, mentre si disintegrava.

Alcuni volevano abbandonare il Titano e andare avanti, ma altri continuavano a guardare

qualcosa ... no, qualcuno che emergeva dalla nuca del colosso.

Il vapore rendeva la persona non identificabile, ma con il passare dei secondi iniziò a schiarirsi.

Prima che qualcuno di loro potesse reagire, Mikasa si precipitò giù dal tetto.

I minuti passarono, poi Armin e gli altri la seguirono.

Presto gli ultimi due tornarono, senza la loro compagna, con la faccia bianca e senza parole.

Poco dopo Annie guardò il resto dei cadetti che si prendevano cura del loro salvatore.

Mikasa tenne il ragazzo privo di sensi tra le braccia, piangendo apertamente, mentre Armin si

inginocchiava davanti a lei.

Eren Jaeger era un Titano Mutaforma.

Uno di loro.

Questo cambiò tutto.

Bertholdt e Reiner si scambiarono un'occhiata, mentre Annie faceva finta di non notarli.

Venne la sera e la massa dei cadaveri fu adagiata su dei carretti, per poi essere portati verso dei

roghi e bruciati.

Quando l'ultima brace fu spenta, lontano dagli occhi e dalle orecchie indiscreti dei cadetti, Reiner

fece la domanda: "Allora ... lo sapevi?"

"No." disse Bertholdt "E tu, Annie?"

"Non ne avevo idea." disse Annie.

L'ultima parola fu parzialmente smorzata dai denti stretti.

Bertholdt sembrava aver sentito esattamente quello che si aspettava.

"... Tienilo d'occhio, allora." disse Reiner "Potrebbe essere una spia per quanto ne sappiamo."

Annie lo guardò incredula "Una spia!?

Come può questo ragazzo incompetente essere una spia?"

Persino Reiner sembrava dubbioso.

"Qualunque cosa sia … dovremmo tenerlo d'occhio." disse Rainer guardando Annie "Ti stai

arruolando nella Polizia Militare?"

Lei annuì.

"Bene, questo risolve il nostro problema, vero?" disse Reiner.

Entrambi lo fissarono.

"Non gliene frega niente dei loro membri interni." disse Reiner "È perfetto."

"E per quanto ne sappiamo … Eren potrebbe sapere qualcosa sulla Coordinata." disse Berthold

"Dopotutto, è il figlio del dottor Jaeger."

Con aria rassegnata, Annie alla fine rispose "Vero."

Tempo dopo, Annie si svegliò nel dormitorio, da sola, ricordando di aver fatto più di una dozzina di

vittime e non era riuscita, ancora una volta, a tenere sotto controllo il ragazzo.

Ne a prenderlo.

E rischiava di fare tardi.

I primi giorni di vita nella Polizia Militare erano stati, nella migliore delle ipotesi, scoraggianti; gli

altri soldati la ignoravano o facevano domande stupide.

L'unica indicazione di qualcosa di lontanamente promettente veniva da un ragazzo più grande di

nome Marlowe Freudenberg.

Il tono fin troppo familiare delle sue parole portò, a causa dei ricordi, un'altra fitta che lei ignorò.

Il Sole mattutino si sforzava di proiettare la sua luce attraverso la coltre di nuvole, grigie e gonfie.

Al di sotto del cielo, la gente del distretto di Stohess si occupava dei propri affari.

Un giorno Annie e la sua compagna di stanza, Hitch erano al mercato quando un ragazzo le passò

accanto.

Anche se era in abiti civili, lei ebbe l'impulso improvviso a dargli una seconda occhiata e, contro la

sua volontà, lo fece.

Non appena lo ebbe fatto, lui si fermò, poi si voltò e spalancò gli occhi verdi.

Annie lo fissò furiosamente, per un breve momento, prima di rivolgere con determinazione la sua

attenzione alle persone che camminavano per la strada.

Non sapeva se Hitch se ne fosse accorta, ma non disse niente.

Il motivo per cui l'esercito avrebbe permesso alla loro più grande risorsa di vagare per le strade per

lei era un mistero: forse il prestigio che circondava tale organizzazione era una completa farsa e la

loro sicurezza era peggiore di quella della polizia militare.

O forse se n'era andato di soppiatto.

In ogni caso, il ragazzo l'aveva vista.

Dopo lo shock di Annie, che era misto ad indignazione, lui iniziò a farsi strada verso di lei.

"E questo?" disse Hitch.

Annie si scusò, ignorando l'osservazione dell'altra ragazza, mentre si lasciava seguire da lui lungo

uno dei vicoli vuoti e si voltò solo quando era abbastanza sicura che fossero soli.

"Cosa ci fai qui?" disse lei con una voce calma, ma i suoi occhi tradivano la rabbia nascosta sotto la

sua solita facciata di indifferenza.

Sembrava che Eren si stesse preparando.

Dopo un momento di silenzio, lui rispose: "Sono venuto a parlare."

"Beh, mi dispiace deluderti ..." disse Annie con tono gelido "… ma non ho niente da dirti.

Buona giornata."

Annie stava per andarsene, ma lui le prese il braccio e lei si congelò sul posto.

"Aspetta!" disse Eren che si mosse, afferrandole le spalle mentre lo faceva, e si mise davanti a lei.

"Ascoltami, Annie ..." disse Eren a bassa voce "Sei in pericolo."

Lei fece una pausa, mantenendo il suo aspetto impassibile "Sul serio?"

Eren approfittò del suo commento sprezzante per rispondere "Gli altri pensano che tu sia il titano

femmina che ci ha attaccato mentre eravamo in missione."

La paura un tempo assopita dentro di lei si agitò all'improvviso.

Come lo sapeva?

"Non sanno dove sono andato." disse Eren "Ma l'operazione, il piano per prenderti in custodia e

interrogarti ... è domani."

Lei lo guardò con un certo scetticismo a cui lui si era abituato da tempo.

"Perché mi stai dicendo questo?" disse Annie.

"Mi fido di te." disse Eren.

La sua risposta è stata risoluta.

Annie sorrise debolmente "Come puoi essere così sicuro che io sia degna di fiducia?"

"Beh, non sei mai stata brava a mentire." disse Eren.

Annie scoprì di non avere niente con cui controbattere.

Eren si guardò di nuovo intorno.

Erano ancora completamente soli.

Rassicurato, si chinò in avanti e le parlò vicino all'orecchio "Se convinciamo i comandanti che tu

non centri niente questi sospetti cadranno.

Armin verrà a chiamarti, ti chiederà di aiutarmi a fuggire, dicendo che l'esercito mi vuole morto,

poi ti condurremo all'interno di un tunnel dove dei militari ti dovranno interrogare e … penso che

forse ti tratterranno per un po'.

Ora ascoltami bene … è essenziale … eliminare definitivamente questi sospetti ingiustificati e

ingiustificabili … perciò … quando Armin verrà a chiamarti … collabora con lui … fai gli

interrogatori rispondendo sinceramente e i comandanti capiranno subito che tu non centri niente."

"Io..." disse Annie.

"Che succede?" chiese Eren, sorpreso per questa esitazione "Qualche problema?"

"Tu." pensò Annie furiosamente "Sei tu il dannato problema."

Annie vide la preoccupazione negli occhi di Eren.

"Non è niente" disse lei.

"Sicura?" disse Eren che non era convinto.

"Stai praticamente tradendo le stesse persone a cui una volta giurasti fedeltà, sai?" disse Annie

"Per quale motivo?"

Nessun tipo di addestramento la poteva preparare alla risposta.

"Perché ti amo." disse Eren.

Lei rimase in silenzio per molto tempo, poi sbatté le palpebre e la sua finzione di indifferenza fu

dissipata.

"Sei un dannato scemo, allora." disse lei, ma la sua voce tremava leggermente, i suoi occhi erano

stranamente luminosi e non sembrava neanche lontanamente persuasa dalle sue stesse parole.

"Non sembri molto convinta." disse Eren.

Annie imprecò sottovoce "... Stai zitto."

Lei gli toccò la guancia sinistra con la mano destra, poi lo baciò.

Era il primo vero contatto che avevano condiviso da anni.

"Annie..." disse Eren una volta che i 2 si furono separati.

"Qualunque cosa accada ..." disse lei mentre le sue dita toccavano irrequiete il colletto della sua

giacca "… promettimi che non farai niente di stupido.

Voglio la tua parola, Eren."

"D'accordo." disse Eren.

Lei diede un'occhiata al vicolo come aveva fatto lui, vide che non c'era nessuno e poi disse

sorridendo : "Allora abbiamo qualche minuto."

I vestiti di entrambi furono sbottonati, ma non tolti, e quando il contatto divenne più

appassionato,lei si poggiò leggermente contro il muro del vicolo.

Annie mantenne la chiarezza sufficiente per ricordare a se stessa che questo atto di

insubordinazione andava contro tutto ciò che il padre le aveva insegnato.

Aveva tradito la missione, i mutaforma e tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento.

Lui mise il suo bacino a contatto con il suo corpo e lei emise un suono a metà tra un gemito e un

ringhio, mentre lo abbracciava.

Eren le sciolse i capelli e lei gli toccò il retro della testa.

Forse questo era il suo modo di recuperare il tempo perduto.

Annie non aveva voglia di chiederselo.

Aveva già ceduto fin troppo con Hitch, con Mina Carolina e con Marco Bodt, eppure era questo

ragazzo l'unica persona che la capiva veramente.

Questo atto di accettazione ha suscitato in lei una vera paura e per la prima volta nella sua vita era

innegabile.

Ma c'era un'altra emozione; un sollievo momentaneo, un desiderio frenetico, sciocco, eppure

travolgente di cogliere questa opportunità per avere una temporanea libertà dalla missione.

Forse, pensò nel suo insolito stato di vertigini, avrebbe potuto convincerlo.

Dopotutto, era un mutaforma anche lui.

Annie gli strinse le braccia intorno al corpo e le gambe intorno alla vita.

Mutaforma o no, la conoscenza della verità avrebbe solo complicato le cose.

Eppure si era stancata di aspettare che qualcosa accadesse tra di loro e questa era un'opportunità.

Non aveva bisogno di capire cosa fosse.

Non ancora.

Ci sarebbe voluto tempo per spiegare, ore per chiarire.

Sinceramente, lei dubitava che sarebbe stato d'accordo quanto lo era adesso.

Il pensiero le fece venire un altro fremito nel petto,tanto che iniziò a tremare tra lui e il muro.

Poco dopo i 2 si distanziarono.

Lei provò a restare in piedi, ma le ginocchia le cedettero e lui la aiutò a rialzarsi.

Per un po' non ci fu altro che il suono del loro respiro.

"Dovresti andare." disse lei a bassa voce "Non voglio farli aspettare."

Lui si tirò ancora più indietro e lei iniziò a riallacciarsi la camicia; Annie poteva sentire che la stava

guardando e non era del tutto sicura di come sentirsi, nonostante il leggero brivido che la attraversò.

"E tu?" disse Eren.

"Ce la farò." disse Annie.

Eren rimase in silenzio per un lungo momento, come se pensasse alla sua risposta, poi disse

"Annie?"

Lei alzò lo sguardo.

Lui la prese per le spalle e le diede un bacio sulla bocca, poi andò via.

Lei lo guardò finché non svanì dietro l'angolo.

"Che voleva?" chiese subito Hitch, quando Annie la raggiunse.

"Niente di che." disse Annie.

Hitch la guardò con curiosità "... Sembri un po 'diversa."

Annie continuò a ignorarla, ma dentro di sé pensò, con un tocco di compiacenza "Non ne avete

idea."

Lei si svegliò la mattina dopo e si rese conto che sarebbe stata di nuovo in ritardo.

Non che le importasse molto.

Gli eventi del giorno precedente erano più che altro una cospirazione; dopotutto, nessuno dei suoi

colleghi sapeva cosa sarebbe successo.

Annie si concesse un piccolo sorriso nella solitudine del dormitorio vuoto.

"Sei finalmente sveglia!" proclamò Hitch ad alta voce, mentre i soldati, che si erano messi in fila

davanti alla parete, si voltarono e la guardarono scendere i gradini.

"Negli ultimi tempi sei stata poco curante dei tuoi doveri." aggiunse Marlowe.

Annie lo ignorò e si appoggiò alla parete, concentrandosi sulle assi lucide del pavimento per evitare

di essere accecata dal Sole che filtrava dalla finestra.

"Scusa se non ti ho svegliata." disse Hitch "Ma tendi a fare facce piuttosto spaventose quando

dormi, quindi ..."

La ragazza non disse altro.

Un brivido di terrore emerse in lei a questa affermazione.

Quanto tempo sarebbe passato prima che venisse scoperta?

Marlowe emise un suono di stanca esasperazione "È una causa persa, Hitch."

Hitch alzò gli occhi al cielo.

"Basta, voi due." disse un altro dei soldati "È l'unica di noi ad aver combattuto a Trost.

Sono sicuro che le ci vorrà un po' per superarlo."

Hitch sorrise.

"Ah, quindi ti piace già?" disse la ragazza "Non riesco a immaginare cosa vedi in lei, però!"

"Buffo che tu dica una cosa del genere, Hitch." disse il soldato.

"Non sono del tutto sicura di capirti." disse Hitch "Parla chiaramente."

"Zitti, voi due!" sibilò Marlowe "L'ufficiale sta arrivando."

Mentre l'uomo entrava nella stanza tutti rimasero sull'attenti, poi si misero tutti il pugno destro sul

cuore.

"Ve l'ho già detto." disse l'uomo irritato "Nessun saluto."

Annie e il resto dei soldati, tranne Marlowe, abbassarono il braccio.

"Giusto, vi ho chiamati qui perché c'è del lavoro da fare." disse l'uomo "Qualcosa che riguarda il

Corpo di Ricerca e la recente convocazione nella Capitale."

Annie si irrigidì, ma tenne la testa china, ascoltando attentamente.

"I nostri superiori ci hanno comunicato che oggi passeranno per la strada principale." disse l'uomo

"Il vostro compito sarà fornire ulteriore sicurezza al convoglio.

L'utilizzo del movimento tridimensionale entro i limiti della città è stato autorizzato."

"Signore?" disse Marlowe "Da cosa dovremmo proteggere esattamente il convoglio?"

L'uomo lo guardò.

"Non ho mai sentito di nessuno che sfidi il governo." disse Marlowe "Ci sono piccoli criminali,

certo, ma trovo difficile immaginare che qualsiasi tipo di gruppo organizzato esistente all'interno

delle mura proverebbe a colpire la capitale.

Che tipo di movente avrebbero?"

L'ufficiale grugnì "Beh, sembri affidabile.

Va bene, ecco qua."

L'ufficiale gli diede un foglio di carta.

"Tutto quello che devi sapere è proprio qui." disse l'uomo che si voltò verso la porta, la aprì e si

fermò sulla soglia.

"Ah, e ancora una cosa." disse l'ufficiale "Non fare un pasticcio, d'accordo?

La nostra reputazione è in gioco qui."

E con questo chiuse la porta dietro di sé, lasciando Marlowe sbalordito.

Quando uscirono, il ragazzo iniziò a parlare furiosamente.

"Che diavolo sta facendo?" disse Marlowe "Siamo qui da un mese e ci stanno dando già incarichi

di questo tipo!"

Hitch sospirò "È per questo che ho scelto di unirmi a questo gruppo in primo luogo.

Non è per questo che ti sei iscritto anche tu?"

Marlowe le lanciò un'occhiataccia.

"No." disse lui "Non sono per niente come il resto di voi.

Sono venuto qui per riportare l'ordine nella Polizia Militare."

Ci fu un breve silenzio in cui le sue parole sembrarono riverberare nell'aria, quasi ridicole.

"E come pensi di farlo?" chiese uno dei soldati.

"Raggiungerò la vetta." disse lui "Farò tutto il necessario per arrivarci.

E quando lo farò, mi assicurerò che il resto di questa organizzazione si guadagni da vivere."

Tutti lo guardarono increduli e lui proseguì.

"Non sto dicendo che la gente debba farsi uccidere." disse Marlowe "Voglio solo riportare questa

organizzazione al suo stato originario."

Hitch lanciò un urlo e si piegò in due, sconvolta dalla forza della sua risata"Oh, Dio!

Pensavo saresti stato noioso!"

Lei fece dei respiri profondi, tremando di gioia "Ti ho davvero sottovalutato, no?

Scusa!"

"Questo è un obiettivo ammirevole" disse l'altro soldato "Spero che tu ci riesca."

"Lo pensi davvero?" disse Annie e tutti la guardarono "Penso che quando le cosiddette brave

persone come te raggiungono il potere, allora è finita.

Li schiacciano.

Vengono ingoiati dal sistema.

Ingoiati e digeriti."

"Che vuoi dire?" disse Marlowe.

"Sto davvero cercando di parlare con loro?" pensò seccamente Annie, ma dopo una pausa disse: "...

Combatti per le giuste ragioni, suppongo.

Non ci sono molte persone così oggigiorno.

Ma so che esistono."

Lei fece una piccola pausa "Quando la società ritiene che la tua specie sia utile, vieni chiamato

speciale.

Allora come chiami le persone che si mettono al di sopra degli altri?

Ieri le hai chiamate cattive.

Codardi.

La maggior parte dei cadetti che conoscevo voleva solo un posto nella Polizia Militare."

Marlowe inarcò le sopracciglia "Stai cercando di giustificarli?"

"No." disse lei "Penso che siano codardi.

Che siamo codardi.

E siamo decisamente malvagi.

Ma questo non ci rende normali?

Se le persone sono davvero brave come dici, allora questa organizzazione non dovrebbe essere così

corrotta.

Sbaglio?"

Annie fece una pausa e poi parlò "Se dovessi riuscirci sarò contenta..."

"Perché non provi anche tu a farlo?" disse Marlowe.

"Non sono il tipo." disse Annie alzando la testa verso l'alto "Io vorrei solo farmi trasportare dalla

corrente."

"Hai già finito?" disse Hitch "Non avrei mai pensato di volere che tornassi a tacere."

"Immagino sia come dice." disse il terzo soldato "Una volta che quelli come si deve arrivano ..."

Marlowe guardò un orologio da taschino "Abbiamo perso abbastanza tempo a parlare.

Andiamo!"

Borbottando il loro stupore per il suo senso del dovere, si avviarono tutti verso la loro destinazione.

Annie sospirò, poi si voltò per seguirli, ma qualcosa attirò la sua attenzione.

C'era una figura nell'angolo del suo campo visivo, vestita di verde.

"Annie." sibilò Armin.

Lei lo guardò, dopo di che osservò gli altri, che erano già avanti, e poi si diresse verso di lui.

Poco dopo Annie si trovava all'imboccatura del tunnel che fungeva da ingresso alla Città

Sotterranea e osservava il trio, composto da Mikasa, Armin e Eren, che veniva inghiottito

dall'oscurità.

Non ci sarebbe stata la luce del Sole ad aiutarla li sotto.

Una sensazione di terrore le era balenata nel pensiero.

Eren aveva ragione, dopotutto.

"Annie?" disse Armin che fu il primo a notare la sua esitazione a scendere i gradini.

Gli altri due si voltarono.

"Che succede?" disse Armin.

"Non posso aiutarti se andiamo li sotto." disse Annie.

Il suo tono era calmo, quasi colloquiale.

"Il buio mi spaventa." disse lei.

Eren le lanciò un sorriso dubbioso.

"Ma dai!..." disse Eren "È uno scherzo.

Dai, dobbiamo sbrigarci."

Lei non si mosse.

"... Annie?" disse Eren.

Le labbra della ragazza iniziarono a tremare "Non mi aspetto che un dannato che ha solo fretta di

farsi uccidere capisca quello che prova una debole fanciulla."

Ma Eren non avrebbe potuto capire quelle parole più chiaramente.

La sua voce si alzò per la paura e per disperazione: "Non è più divertente, Annie ..."

"Sai, Armin ..." disse lei, interrompendolo "Non capisco cosa ti abbia spinto a chiedere il mio aiuto

se non ti sei mai fidato di me."

Armin divenne molto pallido.

"Hai rubato l'attrezzatura di Marco." mormorò Armin "Sapevo che era sua … l'ho montata con lui."

Lei non negò le sue parole.

Come poteva?

Eren e Mikasa la stavano osservando attentamente.

"Hai ucciso i Titani che abbiamo catturato." disse Armin.

"Forse." disse Annie "Se sei così sicuro che li abbia uccisi, perché hai aspettato un mese per fare

qualcosa?"

Armin diventò sempre più pallido.

"Io ... non volevo crederci." disse Armin che riusciva appena a parlare "Non volevo credere che

avessi pianificato tutto questo."

Lui fece un respiro profondo, tremando e costringendosi a guardarla "E tu, Annie?

Perché non mi hai ucciso quando ne hai avuto la possibilità?"

Lei fece una pausa, pensando a quell'evento.

"Non lo so." disse lei "Se avessi saputo che eri così consapevole ... suppongo che avrei agito

diversamente."

Eren si fece avanti, con un tono di panico "Annie, questo non è un dannato scherzo!

Vieni qui!

Ti prego!

Dacci una spiegazione di quello che sta succedendo e noi dimenticheremo tutto!"

Annie combatté contro una strana voglia di ridere e pensò "Cosa credevi che sarebbe successo?"

Armin tese la mano nella sua direzione, cercando di ragionare "Senti, non possiamo parlarne?"

"Adesso basta!" disse Mikasa che sguainò la spada "È inutile.

Questa volta ti farò a brandelli!

Bestia che non sei altro!"

Questa volta quasi scoppiò a ridere.

La sconfitta?

Era tutto ciò che Ackerman la considerava?

Un nemico da abbattere?

Non capiva cosa stava per succedere, cosa sarebbe successo alla loro piccola civiltà

indipendentemente dal risultato?

Bertholdt e Reiner erano ancora nei loro ranghi e la missione sarebbe andata avanti.

Un silenzio sbalordito seguì a questo annuncio.

Armin ed Eren si voltarono a guardare Mikasa, poi guardarono di nuovo Annie, che sorrise loro con

aria cupa, e, nel brillante contrasto proiettato dalle ombre, sembrava strana mentre si rivolgeva al

trio.

"Annie...ti prego..."disse Eren.

"... Non capisci." disse lei che era tranquilla e incredula.

Per la prima volta, c'era un accenno di paura nella sua voce.

"Non posso andare laggiù." disse Annie "Ho fallito.

Eren … grazie per avermi considerato una brava persona … ma Armin ha scoperto il mio gioco..."

Eren la guardò disperato.

I suoi occhi lanciarono un avvertimento discreto, che diceva chiaramente: "Non farlo."

Lo scambio di sguardi è durato solo pochi secondi, ma non è passato inosservato ai suoi compagni.

Insieme i due si voltarono a guardarlo, poi si osservarono a vicenda, dopo di che guardarono di

nuovo verso di lei.

Sarebbe stato comico in qualsiasi altra situazione.

"Ma ora ..." disse Annie, mentre le lacrime le scendevano dagli occhi "… è il momento … DI FARE

SUL SERIO!"

Armin sparò un razzo verde con una pistola nella mano sinistra.

Le grida risuonarono intorno a loro e la piazza, un tempo vuota, si riempì di gente.

I soldati ,camuffati da civili, emersero da ogni luogo immaginabile; dai tetti, da dietro i muri e

dalle casse.

Annie ebbe solo pochi secondi per reagire; si voltò e venne afferrata.

Uno le prese le gambe, un altro la imbavagliò, mentre altri due le tenevano le braccia.

Ma lei non diede loro attenzione.

Eren provò ad avvicinarsi, del tutto scosso, ma Mikasa allungò il braccio davanti a lui e gridò:

"Eren!"

I tre nel tunnel guardarono Annie e lei guardò loro.

Il suo sguardo passò da Mikasa ad Armin e infine, per un breve momento, guardò Eren.

La rapida successione di confusione, quindi comprensione, disperazione e amore nei suoi occhi era

troppo da sopportare.

Mentre sostenne il suo sguardo, per una frazione di secondo, qualcosa si spezzò e poi si ruppe

dentro di lei che pensò "Mi dispiace."

Annie attivò, con il pollice destro, la lama sull'anello di suo padre, poi vide gli occhi di Armin

spalancarsi per la comprensione, proprio mentre Mikasa lo afferrava per il braccio e prendeva Eren

per la parte posteriore del mantello, correndo giù nelle profondità del tunnel, lontano dal

pandemonio che ne seguì.

"LASCIAMI!" urlò Eren disperato.

"SCAPPATE!" urlò Armin.

A quel punto era troppo tardi.

Tutte le loro grida furono soffocate dal fragore assordante.