Dopo due giorni, la dottoressa Maura Isles fu dimessa dall'ospedale, con l'ordine di non muoversi da casa e di riposare per almeno una settimana. Così fece, nonostante avesse la tremenda voglia di andare dalla sua migliore amica Jane Rizzoli, che era ancora in terapia intensiva a lottare tra la vita e la morte. A tenerla occupata ci pensarono Hope e Constance, con infinite partite a scacchi, e anche Nina Holiday le fece compagnia qualche sera a vedere film, d'azione ovviamente, e mangiare cibo giapponese. Le mancava maledettamente il suo lavoro, le mancava maledettamente la sua migliore amica. Ogni sera si stendeva sul letto, sua madre al suo fianco, e sperava con tutta l'anima di svegliarsi con la chiamata dall'ospedale che le dicesse che Jane era sveglia, viva e vegeta, e che poteva tornare a scherzare e a vivere la sua vita come se non fosse successo nulla. E ogni sera la sua parte razionale sapeva che questo non sarebbe mai accaduto perché, anche se si fosse svegliata, il recupero sarebbe stato difficile e lungo, anche per una persona forte come Jane. Nel frattempo, aveva subito altre due operazioni per estrarre gli ultimi frammenti dei proiettili e le sue condizioni erano stabili, ma era ancora in pericolo di vita e questo rendeva inquiete tutte le persone che amavano Jane.

Passata la settimana di clausura in casa, Maura aveva completamente recuperato le forze, mentre mentalmente era affranta. Il primo giorno di "libertà" si svegliò all'alba per l'impazienza che aveva di andare da Jane; si vestì di tutto punto, come nel suo stile, e andò in ospedale, accompagnata da Hope. Arrivata in terapia intensiva, si sedette con la famiglia Rizzoli in attesa che Jane si svegliasse; Frankie e Tommy andarono a casa a riposare, mentre Angela non voleva sentir parlare di lasciare la figlia nemmeno per un attimo. La giornata passò tra sospiri, lacrime, tensione e abbracci di conforto e, al tramonto, Maura salutò tutti e si avvicinò al vetro «Ci vediamo domani, Jane. Mi manchi». Andò a casa e, dopo una bella camomilla rilassante, riuscì ad addormentarsi; quella notte fu tremendamente agitata, più del solito. Nel suo sonno c'erano gli Hoyt, padre e figlio e poi c'era Jane, che si metteva tra lei e la pistola e che cadeva, esanime, a terra.

Si svegliò di soprassalto quando il suo cellulare squillò. La madre non c'era accanto a lei e le prime luci del mattino filtravano dalle veneziane ancora abbassate: ne dedusse che fosse mattina presto, intorno alle 7.30.

Prese il cellulare dal comodino e lesse sullo schermo "Frankie". Iniziò a tremargli la mano, ansiosa perché non sapeva che tipo di notizia stava per ricevere. Constance apparve sullo stipite della porta; Maura la guardò negli occhi e trascinò il dito sullo schermo per rispondere.

«Frankie» disse. Dopo qualche secondo di silenzio la dottoressa Isles urlò alla cornetta «Frankie, maledizione, dì qualcosa!»

Dall'altro lato del telefono sentì dei singhiozzi «È sveglia, Jane si è svegliata».

Maura non voleva sentire altro: chiuse la telefonata, si vestì in fretta e corse in ospedale. Arrivata nella camera della terapia intensiva, Angela l'abbracciò piangendo e disse «Ha chiesto di te, tesoro».

Entrò nella camera di Jane, al di là del vetro; aveva gli occhi chiusi, così Maura le si avvicinò e le accarezzò il braccio. Jane aprì gli occhi e quando vide il viso di Maura di fronte a lei, si illuminò in un sorriso a 32 denti «Maura...sei viva». La detective non riusciva a dire più di due parole prima di dover prender fiato, ma reagiva a tutto quello che sentiva e vedeva attorno al suo letto.

Alla dottoressa scappò una risata, mentre piangeva per la gioia, «Solo grazie a te, grazie Jane. Mi hai salvato la vita».

«Diciamo che mi devi una birra» rispose la detective, con la solita ironia.

«Mi sei mancata…perdonami, ok? È colpa mia se sei finita in questo ospedale, per salvare la mia vita. Ma ti prometto che ti aiuterò a rimetterti in forma, verrai a casa mia, ti starò accanto e…» aveva iniziato a parlare a manetta, come suo solito.

Jane la interruppe con un dito sulla bocca e dichiarò «Non è colpa tua, lo sai che farei qualsiasi cosa per qualunque innocente e…» fece ancora una pausa per riprendere fiato «…e sai anche che sei una sorella per me. Non potevo permettere che tu morissi. Per quanto riguarda la casa, verrò da te solo se sfratti mia madre».

«La sfratterò solo se per almeno una sera eviterai di vedere i Red Sox per un bel documentario sulla balenottera azzurra», la provocò Maura.

La detective esitò, ma poi rispose «Affare fatto, ma solo una sera».

«Ti voglio bene, Jane».

«Anche io, Maur. Comunque, balenottera azzurra? Sul serio?».

«Ehi» iniziò offesa Maura «La balenottera azzurra è, in termini di massa, il più grande animale conosciuto mai vissuto sulla Terra e…».

«Certo, certo. Non vedo l'ora di scoprire di tutto sulla balenottera azzurra».

«Ne rimarrai affascinata!».

Quella sera Maura tornò a casa con uno spirito diverso: ora Jane stava meglio, avrebbe recuperato tutte le sue forze e sarebbero ritornate insieme a lavoro, per ricominciare la loro vita. Non ebbe bisogno di una camomilla per addormentarsi, le bastò pensare al viso di Jane sorridente per rilassarsi; ora il suo cuore non era più in mille pezzi.

Poi all'improvviso una chiamata, nel bel mezzo della notte, arrivò per spezzare quella favola che si era scritta in quella giornata.

La dottoressa prese il cellulare dal comodino e sullo schermo c'era scritto di nuovo "Frankie". Iniziò a piangere, sapendo che la notizia non doveva essere bella, per una chiamata alle 2.30 della notte.

«Frankie, dimmi» disse timorosa.