«È sotto i ferri, un frammento del proiettile che non avevano potuto estrarre prima si è mosso e ha provocato una nuova lesione al polmone destro».
Il cuore di Maura era di nuovo in mille pezzi; rimase immobile per qualche minuto, poi Constance, che era affianco a lei, la scrollò e le disse di vestirsi in fretta. Si affrettarono e nel giro di una mezz'ora erano fuori alla sala operatoria dove i dottori stavano cercando di salvare la vita di Jane.
Angela, appena vide Maura, si gettò tra le sue braccia piangendo disperatamente; la dottoressa le accarezzò la schiena e non disse niente. Non sapeva dire le bugie e non poteva tirare a indovinare: non poteva dire che si sarebbe salvata se non ne era certa e in quel momento non lo era. Si sentiva impotente, avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare la vita alla sua Jane, ma non poteva fare nulla. Poteva solo aspettare che qualcuno uscisse da quella dannata sala operatoria. Dopo tre ore di intervento, il dottor Telley uscì e subito dopo lo seguirono gli infermieri che spingevano il letto di Jane, diretti in terapia intensiva. «L'intervento è riuscito, dobbiamo solo aspettare che si svegli». Maura lo ringraziò e poi si diresse in terapia intensiva insieme alla famiglia Rizzoli, con Angela ancora aggrappata al suo petto.
«Mi manchi tanto. La vita senza di te non sarebbe la stessa cosa. È tutto più monotono in questi giorni al dipartimento, è tutto più triste. Non ci sei tu che vieni a fare domande e a pretendere risposte quando faccio un'autopsia. Non ci sei tu a portare il caffè la mattina e ad ascoltarmi quando mi si spezza un'unghia ed entro in crisi».
Maura si fermò per asciugarsi le lacrime e tirò su con il naso.
«Manchi tanto a tutti noi, ma a me un po' di più. Mi mancano le nostre corse mattutine e le deliziose cenette italiane. E finora non mi ero mai accorta di quanto io abbia terribilmente bisogno di te, Jane. Ma ora lo so e non ho più paura dei miei sentimenti; devi svegliarti perché devo dirti tutto quello che ho da dirti. Ti devo dire che ti amo, devi sapere quanto sei importante per me. Ora che lo so, devo dirtelo. Per piacere ritorna, ho bisogno di te.»
La dottoressa Isles credeva che nessuno la stesse ascoltando quella mattina all'alba; era andata in ospedale a salutare come ogni giorno la sua amica Jane. Quell'ultimo intervento aveva provato gravemente il fisico della detective, che ormai da più di un mese era in coma. Non c'erano nuove notizie: né miglioramenti, né peggioramenti. Credeva che nessuno la stesse ascoltando, eppure proprio Jane Rizzoli aveva sentito tutto: aveva sentito la sensuale voce di Maura Isles dirle che la amava, aveva sentito che aveva bisogno di lei, che le mancava. E avrebbe voluto aprire gli occhi, prenderle la mano e dirle dolcemente "Ti amo anche io". Voleva urlarlo al mondo intero, ma prima voleva urlarlo a lei, alla donna che amava dalla prima volta che l'aveva vista, da quando la sua voce si era presentata come "Dottoressa Maura Isles". Voleva urlarlo a lei.
«Anch'io ho bisogno di te», Jane non lo urlò, lo sussurrò e questo fu abbastanza per raggiungere le orecchie della dottoressa Isles, che si era appoggiata sul petto della sua - più di - un'amica e piangeva silenziosamente. Maura alzò lentamente la testa e incrociò gli occhi di Jane: era sveglia davvero, non aveva sognato quelle parole.
«Finalmente sveglia Jane Rizzoli» le disse felicemente Maura e stampò un bacio sulle labbra un po' secche della sua - ormai non più solo - un'amica.
