Guardai di nuovo l'orologio. Era in ritardo di dieci minuti. Speravo davvero che questa non diventasse un'abitudine.
Dopo altri cinque minuti, sapevo che probabilmente sarei dovuto andare a cercarla se avessimo voluto combinare qualcosa quel pomeriggio. Terminai lo stretching che stavo facendo sul pavimento, mi misi in equilibrio sulle spalle e sulla parte superiore della schiena con le mani accanto alla testa, quindi usai le braccia per darmi una spinta in avanti e sollevare il corpo in posizione verticale tornando in piedi.
Uscii dalla palestra, lasciando la mia borsa sulla panca vicino alla porta. Fortunatamente, Rose non era lontana. Era ferma appena fuori dall'edificio, nel cortile centrale, ed era apparentemente presa in un'accorata conversazione con la principessa Vasilisa. Ci vollero solo pochi passi per raggiungerle e potei sentire la fine della loro discussione.
"... non voglio sentire ragioni." La voce di Rose era determinata, ma potevo avvertire un pizzico di timore esitante sotto quella certezza. Vasilisa non si preoccupò di nascondere la sua incertezza mentre annuiva in risposta.
"Rose?" Non ero certo se il tono interrogativo fosse per il suo ritardo o per la loro recente discussione. Il loro improvviso cambiamento di postura indicava che non le avrei cavato una parola di bocca, quindi decisi di concentrarmi sul suo ritardo. "Sei in ritardo per l'allenamento." Entrambe le ragazze si rilassarono visibilmente mentre mi rivolgevo alla Principessa con un rispettoso cenno del capo. Vasilisa mi sorrise velocemente prima attraversare il prato verso la cappella della scuola. Forse qualcuno potrebbe pensare che fosse una strana scelta un rifugio, ma chi ero io per giudicare?
Mi voltai di nuovo verso la palestra, sentendo i passi di Rose dietro di me. Non stava camminando pestando i piedi, ma i suoi movimenti erano tutt'altro che silenziosi e molto più rumorosi dei miei. Presi nota che probabilmente avremmo dovuto lavorare su alcune esercitazioni di furtività in futuro. La mia lista di lezioni stava crescendo più velocemente di quanto potessi tenere conto e ancora una volta mi chiesi se ci fosse un modo per aiutarla a raggiungere il diploma in pochi mesi. Nonostante le mie preoccupazioni, dovevo tentare. Per Rose, per Vasilisa e onestamente ... per me stesso. La monotonia della vita dell'Accademia mi stava lacerando. Non sono mai stato il tipo da scegliere la via più facile, preferendo affrontare delle sfide. Ma qui, raramente c'era qualcosa di stimolante. Nonostante fare da mentore a Rose non fosse il mio test di abilità preferito, non avevo dubbi che lei mi avrebbe spinto al limite tanto quanto io avrei fatto con lei.
Improvvisamente, notai il silenzio. O la sua camminata era diventata molto più silenziosa, o Rose aveva smesso di seguirmi. Per mezzo secondo, mi chiesi se avesse scelto di scappare di nuovo. Mi maledissi per essermi perso nei miei pensieri prima di voltarmi per vedere in che direzione andava.
Invece, era solo pochi metri dietro di me, in piedi, immobile come una statua con un'espressione di shock e preoccupazione sul viso. Fisicamente era presente, ma i suoi occhi erano concentrati sul vuoto tra noi. Era come se stesse guardando una scena che si svolgeva davanti a lei, ma non c'era niente da vedere. Non batteva ciglio.
Cercai di attirare la sua attenzione, "Rose?" Feci qualche passo verso di lei, chiamandola di nuovo per nome. Non dava il minimo segno di sentirmi o vedermi. La mia curiosità si trasformò rapidamente in preoccupazione mentre mi chiedevo se soffrisse di uno strano ictus, di una commozione cerebrale o di qualche altro disturbo. Sapevo che aveva incassato qualche bel colpo dai suoi compagni oggi, e più di uno alla testa.
Mi ritrovai proprio di fronte a lei, chinandomi in modo che i nostri volti fossero solo a breve distanza. Sembrava ancora non vedermi. Stava guardando attraverso di me. Le scossi le spalle chiamando il suo nome più e più volte, sentendo la mia voce diventare ogni volta più disperata.
Alla fine, dopo quelle che sembravano ore ma erano solo pochi minuti, sbatté le palpebre. I suoi occhi si rimisero a fuoco e sussultò quando riconobbe quanto fossi vicino.
"Stai bene?" Feci un passo indietro, cercando di sembrare calmo e tranquillo. Ero ancora un po' sconvolto da ciò a cui avevo appena assistito. Il mio cuore stava tornando al suo ritmo normale, ma i miei pensieri stavano ancora correndo.
Si guardò intorno, riconoscendo ciò che la circondava, ma sembrava confusa quasi quanto me riguardo alla situazione. "Io... sì. Ero... ero con Lissa..." Si portò una mano alla fronte, massaggiandosi delicatamente la tempia prima di incrociare di nuovo il mio sguardo. "Ero nella sua mente."
Che diavolo ...? "La sua… mente?" Avrei voluto un qualche chiarimento, ma non riuscivo a pensare a nessuna spiegazione che mi aiutasse a dare un senso alla situazione.
"Già." Fece un respiro profondo come se finalmente si stesse scrollando di dosso l'esperienza. "Fa parte del legame."
Immaginavo fosse la migliore spiegazione che avrei potuto avere in quel momento. Non lo capivo, ma sapevo che avrei avuto bisogno di apprendere alcuni dettagli in più su ciò che comportava il loro legame. Riuscivo chiaramente a intuire che problema costituisse essere... nella testa di Vasilisa ... durante un combattimento. Il legame era così al di fuori del mio ambito di comprensione, che non sapevo da dove cominciare per aiutare Rose a imparare a controllare e utilizzare le sue abilità extra. Mi chiedevo cosa avesse innescato l'evento. Rose è entrata da sola o l'ha chiamata Vasilisa? Era intenzionale o qualcosa che accadeva spontaneamente durante i periodi di stress? Vasilisa era in pericolo?
Il pensiero del mio Moroi in pericolo mi riportò alla realtà. "Lei sta bene?"
"Sì, lei è ..." Rose esitò cercando il termine giusto. Aggrottò le sopracciglia per la concentrazione e si morse l'angolo del labbro. C'era un po' di confusione nella sua espressione, ma soprattutto era uno sguardo preoccupato. "Non è in pericolo." Anche se non sembrava del tutto convinta delle sue stesse parole, sembrava averle pronunciate per rassicurare sé stessa.
Anche se non era l'affermazione più confortante del mondo, mi fidavo del suo giudizio sulla questione sapendo che non avrebbe mai volontariamente permesso che accadesse qualcosa a Vasilisa. Riportai la mia preoccupazione su di lei. "Ce la fai a continuare?" Sapevo che oggi era stata dura per lei, fisicamente ed emotivamente. Tuttavia, rimasi un po' sorpreso dalla mia stessa ansia quando si trattava di Rose. Di solito non ero uno che si preoccupava degli altri. Non ero esattamente duro o indifferente, ma sapevo che la mia "distanza professionale" nei confronti del benessere degli altri era un tipo di meccanismo di difesa per me. Mi veniva richiesto di preoccuparmi della sicurezza fisica del mio Moroi, ma non avevo alcun interesse a essere uno psicologo, un terapeuta o persino un amico per loro... o per chiunque altro per quel che importava.
Con Rose, invece, avevo un desiderio inconscio di proteggerla, di capirla. Lo attribuivo al fatto che fossi il suo mentore. Mi importava di lei come mia studentessa. Sebbene qualcosa di profondo dentro di me suggerisse che questa non era tutta la verità, non riuscivo a trovare nessun altra ragione per le mie motivazioni.
Rose mi stava ancora fissando e potevo vedere... qualcosa... lampeggiare nei suoi occhi. "Sì, sto bene."
I suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi un po' mentre mi guardava. Sembrava che stesse guardando attraverso di me... no... dentro di me. Sentii il mio polso agitarsi sotto il suo sguardo. Ma non volevo concentrarmi su (o persino riconoscere) cosa potesse significare. Invece, mi voltai e finii il tragitto verso la palestra, ascoltando i suoi passi dietro di me.
Eravamo ormai a 30 minuti dall'inizio della nostra ora di allenamento programmato quando Rose finalmente uscì dallo spogliatoio con un paio di pantaloni della tuta e una canotta. Potevo vedere che i suoi movimenti erano cauti; i muscoli doloranti che cercavano di resistere a qualsiasi ulteriore abuso.
"Perché non prendiamo le cose con calma oggi... sai, magari un pisolino." I suoi muscoli potevano essere stanchi, ma il suo spirito sembrava non avere riposo. Feci una risata mentre mi dirigevo verso la pista da corsa.
"Che c'è di tanto divertente?" Questa volta non c'era umorismo nella sua voce.
"Oh, dicevi sul serio." In realtà mi dispiacque averla turbata.
"Certo che dicevo sul serio! Ascolta, tecnicamente sono sveglia da due giorni. Che bisogno c'è di iniziare questi allenamenti adesso? Lasciami andare a dormire." La sua voce stava gradualmente passando da rabbiosa a supplichevole mentre guardava l'orologio. "È soltanto un'ora."
Nonostante la mia precedente preoccupazione, non ero il tipo che tollerava lagne. Inoltre, non si rendeva conto che ero rimasto sveglio quanto lei, forse anche di più? È vero, ero un guardiano a tutti gli effetti, ma speravo lo diventasse presto anche lei. Stanchezza, spossatezza, quelle facevano parte del pacchetto. Doveva capirlo e accettarlo subito. Incrociai le braccia e la fissai. "Come ti senti adesso? Dopo l'allenamento fatto finora?"
"Ho un male del diavolo." Il suo tono era piatto, come se dovesse essere ovvio. E lo era.
"Domani ti sentirai peggio." Mimai il suo tono, dato che era altrettanto ovvio.
"E quindi?" Sapevo che aveva capito cosa stavo dicendo, ma stava ancora cercando di vincere la battaglia. Sentii il dolore crescere alla schiena e ai piedi e scoprii che la mia determinazione vacillava leggermente. No, nessuno di noi due aveva tempo da perdere nel riportarla in carreggiata.
"Quindi, è meglio che ti butti a capofitto mentre ti senti ancora... non così male."
"Ma che razza di logica è questa?" La vidi sventolare la proverbiale bandiera bianca della resa, ma sapevo che non poteva arrendersi senza un'ultima battutina finale. Indipendentemente da ciò, mi seguì nella sala pesi. Non gliel'avrei data vinta, e non avrei neanche forzato i suoi limiti come avevo inizialmente pianificato oggi con giri e cardio, ma le offrii la tregua di un po' di esercizi basici di rinforzo muscolare. Le mostrai quali pesi e quante ripetizioni volevo che facesse, e poi mi ritirai in un angolo per riprendere il romanzo che avevo letto sull'aereo.
Mi sentivo un po' ipocrita a non allenarmi con lei, tuttavia ero anche esausto e quasi pronto a terminare la giornata. Inoltre, non ero io quello che aveva un disperato bisogno di mettersi in pari con i suoi coetanei. Avevo ancora difficoltà a concentrarmi sul mio romanzo. Continuavo a guardare Rose mentre si concentrava e si impegnava nell'allenamento. Niente più piagnistei o lamentele. Dovevo ricordare a me stesso che era ancora un'adolescente, aveva diritto a qualche sfogo infantile, ma quando arrivava il momento critico sembrava molto più dedita e matura di molti degli altri studenti. Mi ritrovai ad ammirare di nuovo quei tratti e sentii un sorriso affiorare sulle mie labbra mentre la guardavo. Il suo respiro controllato e ritmico faceva da sottofondo rilassante alla stanza altrimenti silenziosa.
Dopo circa 40 minuti, notai i suoi movimenti diventare più deboli e meno controllati ad ogni ripetizione. Continuò a spingersi oltre senza lamentarsi, ma sapevo che aveva raggiunto il suo limite per quel giorno. La chiamai per fare alcuni esercizi di defaticamento sul materassino e mi unii a lei nella speranza di alleviare un po' della mia rigidità.
"Come sei finito a fare il guardiano di Lissa? Qualche anno fa non eri qui. Non sei neppure stato addestrato in questa scuola, no?"
La sua domanda non era di per sé scortese, ma era comunque abbastanza personale da causarmi un po' di disagio mentre ricordavo gli eventi che mi portarono qui. Decisi invece di spostare l'attenzione sulla mia formazione alla St. Basil. "No. Ne ho frequentata una in Siberia."
"Wow." I suoi occhi si spalancarono per un momento mentre elaborava la mia risposta. "Deve essere l'unico posto peggiore del Montana."
Sorrisi al ricordo delle estati trascorse a casa, ricche dei vividi verdi e azzurri delle valli. L'esplosione di fiori di campo dai colori vivaci. Acri di foreste piene di fauna selvatica. L'abbondanza di laghi e fiumi. Le montagne che sembravano sorgere senza fine intorno a noi. Persino la tranquilla quiete dell'inverno, dove il mondo intero era ricoperto da una sottile lastra scintillante di ghiaccio e neve. Il Montana condivideva forse alcune delle qualità della mia patria, ma niente era paragonabile alla bellezza dei luoghi in cui sono cresciuto. Sapevo che Rose stava immaginando il deserto duro, freddo e arido che viene in mente alla maggior parte delle persone quando pensa alla Siberia, ma niente potrebbe essere più lontano dalla verità.
"Dopo essermi diplomato, divenni guardiano di un lord degli Zeklos." Immagini di lui a faccia in giù in quella pozza di sangue balenarono nella mia memoria interrompendo i miei pacifici ricordi d'infanzia, e sentii la mia voce oscurarsi. "È stato ucciso di recente." Perché le ho detto questo?
Incrociai lo sguardo di Rose aspettandomi shock, pietà o persino accusa. Invece mostrò comprensione e... preoccupazione? Forse pensava a Lissa. O era preoccupata per me? Mi scrollai di dosso l'idea, riguadagnando la calma e continuando con la mia spiegazione. "Mi hanno mandato qui perché avevano bisogno di rinforzi per il campus. Quando è arrivata la principessa, mi hanno assegnato a lei, dato che ero già qui. Non che questo abbia qualche importanza, fino a quando non lascerà il campus."
Rimase in silenzio per un momento e sentii la tensione salire tra di noi. Alla fine, ruppe il silenzio: "Questo lord è morto durante il tuo turno?" Cercai un'ombra di accusa nella domanda, ma il suo tono era così diverso dal tipico modo sarcastico per cui Rose era nota. Tutto quello che potevo sentire era preoccupazione. Ancora più sorprendente era che non fosse preoccupata per la mia presunta incapacità di proteggere Lissa, il mio nuovo incarico e la sua migliore amica. Era onestamente preoccupata per me; per come stessi affrontando la perdita del mio amico. Non sapevo cosa pensarne.
"No. Era con l'altro guardiano. Io non c'ero." Perché continuo a dirle queste cose? Continuai a fissarla mentre mi studiava. Non avevo mai sentito il desiderio di parlare con nessuno di Ivan e della sua morte, ma per qualche motivo mi sentivo a mio agio a condividere tutto ciò con lei. Forse era perché sapevo che si prendeva cura di Lissa tanto quanto io avevo fatto con Ivan, o forse volevo avvertirla di non fare gli stessi errori che avevo fatto io. No... sapevo che non era vero. Per qualche ragione Rose mi aveva messo a mio agio e mi faceva sentire al sicuro nell'aprirmi a confidenze che non avrei detto a nessun altro, senza giudicarmi. Come faceva a capirmi?
"Ehi," mi liberò dalle mie divagazioni mentali con un brusco cambiamento di argomento, "li hai aiutati tu a elaborare il piano per riportarci indietro? Perché non è stato niente male. La forza bruta e tutto il resto." Sorrise, ovviamente cercando di creare un'atmosfera più leggera. Tuttavia, mi stupii che l'argomento scelto fosse la sua cattura. Non che avessimo molte altre esperienze condivise da cui attingere.
Inarcai il sopracciglio in risposta, "Per caso era un complimento?" Mi alzai e iniziai a raccogliere il resto della nostra attrezzatura.
"Beh, è stato di gran lunga meglio dell'ultima volta che ci hanno provato."
Mi bloccai a metà passo, "L'ultima volta?" Quello era stato il primo e unico recupero che avevamo tentato.
"Sì. A Chicago. Con il branco di psico-segugi." Si strinse nelle spalle come se non fosse nulla di che, ma avevo visto gli psico-segugi in azione e potevano essere assolutamente letali. Non sarebbero mai stati adoperati per rintracciare le ragazze, era un rischio troppo grande per loro. Inoltre, nessuno dei nostri rapporti le aveva mai rintracciate a Chicago, né nelle vicinanze.
"Questa era la prima volta che riuscivamo a localizzarvi. A Portland." Ed era anche stato un colpo di fortuna, aggiunsi silenziosamente. Senza la soffiata anonima, forse non avremmo mai trovato Rose e la principessa.
"Mmh, non penso di essermi immaginata gli psico-segugi. Chi altri avrebbe potuto mandarli? Rispondono solo ai Moroi. Magari nessuno te ne ha parlato."
"Può darsi." Sembravo distratto e sprezzante, ma la mia mente andava a mille all'ora per la sua domanda: chi altri avrebbe potuto inviarli?
Rose mi fece un cenno con la mano sorridendo prima di andarsene, tornando al suo dormitorio. La salutai sovrappensiero e le diedi appuntamento per l'indomani. La guardai mentre tornava verso i dormitori dei novizi e seguii lo stesso percorso a passo molto più lento verso la mia stanza. La mia mente era ancora scossa per quello che mi aveva detto. Chi altro avrebbe potuto inviarli?
Alla fine andai in camera mia e gettai la borsa sul letto. Prima non vedevo l'ora di riposarmi, ma ora non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa. Adocchiai il fascicolo sulla scomparsa della Principessa Vasilisa e Rose sulla mia scrivania, e mi sedetti per sfogliare di nuovo i documenti.
Niente. Dopo ore passate a revisionare i file non c'era niente su psico-segugi, niente su Chicago, niente su nessun "primo tentativo" di recupero. Solo una soffiata anonima qualche settimana fa che affermava che erano state individuate a Portland. È stata la prima vera pista dal momento della loro scomparsa.
"Forse l'hanno immaginato?" Non ne ero convinto, ma non avevo altra spiegazione. Chi altro le avrebbe cercate? Chi altro poteva avere connessioni tali da riuscire a trovarle? E perché avrebbero cercato di catturarle invece di denunciarle alle autorità?
Erano passate diverse ore dal coprifuoco quando finalmente mi sdraiai nel mio letto. Anche così, non mi addormentai subito nonostante la stanchezza. La mia mente ripercorse gli eventi degli ultimi giorni. La missione. Vedere Rose da quella finestra, incontrare i suoi occhi per la prima volta, vedere la sua determinazione mentre combatteva con me per proteggere Vasilisa. Guardare quella stessa determinazione nell'allenamento di oggi. La preoccupazione nei suoi occhi mentre parlavo di Ivan, quella strana comprensione... L'ultima cosa che ricordai prima di addormentarmi era che quella stessa sera si era voltata per salutarmi, come i suoi lunghi capelli scuri ondeggiavano e le incorniciavano il viso... il suo sorriso. Dormii più profondamente di quanto avessi mai fatto da mesi.
