Fui sorpreso di vedere Mason lasciare la palestra quando andai a prepararmi per l'allenamento mattutino del giorno successivo.
"Guardiano Belikov", disse mentre ci incrociavamo, mi fece un largo sorriso e un finto saluto militare.
"Ashford."
Non era solito per uno studente alzarsi così presto, e non solo era sveglio, ma sembrava elettrizzato. Il sorriso sul suo volto mi portò a chiedermi cosa avrebbe potuto metterlo lì. Forse era solo una persona mattiniera. Solo perché Rose non sopportava le alzatacce...
… Rose...
La realizzazione mi colpì con potenza, svuotando d'aria il mio petto come un colpo violento.
Riuscii a varcare la porta prima ancora che avesse la possibilità di chiudersi alle spalle di Mason. Rose sembrò quasi stordita per un momento, mentre lo guardava andarsene, ma il suo comportamento cambiò immediatamente quando distolse rapidamente lo sguardo non appena io fui in vista. Evitò di proposito il contatto visivo con me e io non potei fare a meno di chiedermi cosa nascondesse. Sembrava quasi... colpevole. Per cosa poteva sentirsi colpevole? Aveva qualcosa a che fare con il motivo per cui Mason era qui prima?
Più mi evitava, più mi irritavo. Le dissi di iniziare a lavorare con i manichini usando le mosse che avevamo praticato pochi giorni prima, correggendo di tanto in tanto la sua posizione a distanza. Potevo sentire che tutto quello che dicevo era inutilmente scontroso e brusco, ma non potevo evitarlo. Ero stanco che mi ignorasse. Alla fine, raggiunsi il mio punto di rottura.
"Hai i capelli davanti al viso" gridai. "Non solo ostruisci la tua visuale periferica, ma corri anche il rischio di offrire una presa al nemico".
"Quando dovrò sostenere uno scontro vero me li legherò." Rispose seccamente tra i colpi violenti al manichino. "Oggi li porto sciolti, tutto qui."
"Rose" la implorai, pregandola di prestarmi attenzione.
Continuò il suo attacco come se non fossi nemmeno lì.
"Rose! Fermati."
Alla fine esitò, il respiro veloce e pesante, come se cercasse di recuperarlo. Il mio comando doveva averla persuasa a non insistere nel suo atteggiamento di sfida. Si allontanò lentamente dal manichino e si appoggiò al muro. Anche allora, si rifiutò di incontrare il mio sguardo, guardando ostinatamente verso il suolo.
"Guardami," ordinai. Raramente ero così duro con lei, ma raramente lei era così ostinata con me.
"Dimitri…"
"Guardami."
Si fermò e, sebbene non rispose subito, sapevo che l'avrebbe fatto. Nonostante tutto ciò che c'era stato tra noi, ero ancora il suo istruttore e non avrebbe disobbedito a un mio ordine diretto.
Dopo un momento, inclinò lentamente la testa verso l'alto. I suoi capelli però le oscuravano ancora la maggior parte del viso. Istintivamente, allungai la mano per spostarli via dagli occhi e sistemarglieli dietro l'orecchio.
Non appena alzai la mano, la vidi irrigidirsi e sentii il suo respiro affannoso. Fu abbastanza per farmi vacillare. Non voleva che la toccassi? Rose non si era mai ritratta dal mio tocco prima. Questo mi fece più male di ogni altra cosa; più che vederla con Mason, più del fatto che mi avesse evitato per tutta la mattina, ancor più del suo rifiuto di guardarmi negli occhi in quel momento. Mi allontanai, non volendo metterla ancora più a disagio.
Si rilassò solo un momento prima di tirare indietro i capelli e rivelare un grande livido in espansione sotto i suoi occhi che sembrava si sarebbe diffuso sullo zigomo e persino sul ponte del naso. Era molto peggio di quanto avessi immaginato.
Strinsi il pugno al mio fianco per impedirmi di prendere la sua guancia nel palmo della mano. Non ti vuole... non ha bisogno di essere consolata da te, ricordai a me stesso.
"Fa male?" Chiesi, cercando di mantenere la mia voce uniforme.
"No." I suoi occhi lampeggiarono a sinistra, un segno sicuro che mi stava mentendo.
"Non sembra messo così male. Guarirà." Potevo sentire la dura amarezza nella mia voce mentre mi voltavo. Non tentai nemmeno di nasconderla. Odiavo che Roza mi stesse escludendo. Sapevo che le cose tra noi non erano tutte rose e fiori, ma avevamo sempre cercato di trarne il meglio. Adesso non riusciva nemmeno a degnarsi di dirmi la verità?
"La odio," sibilò, con più livore di un serpente velenoso. Provai quello strano brivido alle sue parole, lo stesso che avevo notato a casa Badica.
"No, non è vero." Non ero sicuro di chi cercassi di convincere: lei o me stesso.
"Sì."
"Non hai il tempo per odiare qualcuno. Non con la tua professione." Se Rose avesse davvero potuto odiare sua madre, allora avrebbe potuto odiare chiunque, me compreso. Non potevo sopportare il pensiero che lei mi odiasse, e sapere che aveva la ragione perfetta per farlo mi uccideva. "Dovresti fare pace con lei."
"Fare pace con lei?" ripeté con una risata, più amara che dolce. "Dopo che mi ha fatto un occhio nero di proposito? Come mai sono l'unica ad accorgersi di quanto tutto questo è assurdo?"
"Non l'ha fatto apposta." Avevo visto che aspetto aveva un genitore quando ti picchia di proposito. Ricordavo come mi aveva guardato mio padre. Non importa quanto fosse arrabbiata Janine, non importa quanto Rose l'avesse fatta arrabbiare, sapevo con tutto il cuore che quello che era successo era stato un errore. Il solo vedere Janine dopo l'accaduto fu sufficiente per confermarmelo.
"Non importa quanto tu ce l'abbia con lei, devi crederci", insistetti. "Non l'avrebbe mai fatto di sua volontà. L'ho vista più tardi quel giorno, dopo che era successo. Era preoccupata per te."
Alzò gli occhi al cielo, chiaramente incredula. "Magari era preoccupata che qualcuno l'accusasse di abuso su minore".
Sapevo che non sarei arrivato da nessuna parte quando si comportava in quel modo. Feci un respiro pesante, già stanco di litigare. "Non pensi che questo sia un periodo dell'anno adatto al perdono?"
"Questo non è l'episodio di Natale di una serie TV!" Si passò le dita tra i capelli e si morse il labbro prima di voltarsi di nuovo verso di me. "Questa è la mia vita. Nel mondo reale, i miracoli e le buone azioni non esistono, punto."
Il fatto che Rose, ancora così giovane, fosse già così cinica verso il mondo era straziante. Una parte di me capiva - aveva passato tante cose in così poco tempo - ma l'idea che avesse già smesso di credere ai miracoli e alla bontà nel mondo?
"Nel mondo reale, puoi realizzare i tuoi, di miracoli," la sollecitai, cercando di rassicurarla.
Le mie parole però mi si ritorsero contro. Invece di calmarla, vidi un lampo di fuoco nei suoi occhi. Era solo una scintilla, ma era tutto quello che ci voleva per scatenare un inferno.
"Okay, vuoi finirla una volta tanto?"
"Finirla?"
"Con tutte queste cazzate Zen." La sua voce si alzò sempre di più fino a quando non mi stava praticamente urlando contro. Le sue mani si alternavano tra tirarsi i capelli per la frustrazione e gesticolare selvaggiamente. "Parli come se non fossi una persona in carne e ossa. Non fai altro che dispensare sagge lezioni di vita senza senso. Sembra davvero che tu sia in un film di Natale. Giuro, a volte dai l'impressione di parlare solo per il gusto di starti a sentire! E so che non sei sempre così..."
E poi lo vidi. Per la prima volta quella mattina incontrò i miei occhi e tutto quello che vidi era dolore. Era arrabbiata con me, irritata da me, ma era anche ferita a causa mia...
"... eri perfettamente normale quando parlavi con Tasha." La sua voce era più morbida, tradendo la sua vulnerabilità, anche attraverso la sua furia. "Con me, invece? Ci riesci a stento. Non ti importa niente di me..." Disse qualcos'altro dopo, ma non lo sentii.
"Non mi importa niente di te?" Chiesi, incredulo per quello che aveva appena detto. Credeva davvero che non mi importasse di lei? Dopo tutto quello che era successo... pensava davvero che non mi importasse?
"No," confermò risentita. Sentii il mio temperamento scivolare mentre mi spingeva fisicamente lontano da lei. "Per te sono solo una studentessa come tante. Non fai altro che ripetermi le tue stupide perle di saggezza in modo che..."
Non ce la feci più. Le afferrai la mano con cui mi stava colpendo il petto e la bloccai contro il muro dietro di lei. Ne avevo abbastanza della sua rabbia infondata e delle sue accuse, quando in realtà passavo ogni mattina, ogni notte, ogni dannato giorno a pensare a lei.
"Non dirmi cosa provo." Stavo praticamente ringhiando contro di lei.
Rose sembrò nervosa per un momento, forse scossa dal mio tono o dal fatto che fosse stata fisicamente strattonata. Non l'avrei mai ferita davvero, ma non ero mai stato così duro con lei al di fuori delle esercitazioni di combattimento.
Mi fissò, con gli occhi spalancati e tesa quanto me. Ma poi fece qualcosa che non mi aspettavo: sorrise. Sorrise, soddisfatta, come se avesse appena scoperto uno dei grandi misteri del mondo.
"È così, non è vero?"
"Che cosa?" Chiesi, preoccupato di cosa potesse farla sentire così soddisfatta di sé stessa in quel momento.
"Devi sempre lottare contro te stesso per riuscire a dominarti. Sei come me." Sembrava quasi divertita al pensiero.
Ma io non lo ero. Aveva colpito troppo vicino al segno. Certo, potevo mantenere il controllo quando si trattava della maggior parte – o quasi – delle cose, ma lei... demoliva quell'abilità tanto duramente conquistata senza alcuna resistenza. Poteva farmi venir voglia di urlare e sbraitare un momento, e portarla a letto quello dopo. Metteva alla prova i miei limiti ogni giorno e il pensiero che una persona potesse influenzarmi così tanto mi terrorizzava.
"No," insistetti, cercando di mentirle per il bene di entrambi, "ho imparato a controllarmi."
Mi conosceva bene. "No. Non l'hai fatto. Fai buon viso a cattivo gioco, e riesci a dominarti nella maggior parte dei casi. Ma a volte non puoi. E altre volte invece..." si sporse in avanti, abbassando la voce in un modo tale che il mio cuore batté in maniera incontrollabile, "altre volte non vuoi farlo."
"Rose..." Non saprei dire se la stessi implorando o avvertendo. Sapevo cosa voleva fare, cosa volevo che facesse... sì, la stavo implorando. La stavo implorando di smetterla. La stavo implorando di fare quello che io non potevo.
I suoi occhi guizzarono sulla mia bocca solo un momento prima che sentissi le sue labbra schiantarsi contro le mie. Era sbagliato, molto, molto sbagliato, ma al momento non volevo avere ragione. Tutto quello che volevo era questo. Tutto quello che volevo era lei. Settimane di ricordi e sogni non erano niente in confronto a quello che stava accadendo in quel momento. Era esplosivo, disperato, ma eravamo noi.
Quello era il primo bacio che ci eravamo scambiati dopo l'incantesimo. Era il primo bacio in cui eravamo veramente solo io e lei. Anche senza la compulsione della magia, era altrettanto potente e onnicomprensivo. Forse ancora di più con la consapevolezza che era stata lei a baciarmi. I dubbi che avevo provato pochi istanti prima vennero dimenticati in un batter d'occhio.
Chiusi definitivamente la distanza tra noi, premendola contro il muro e intrappolandola contro di me. Potevo sentire le dita della sua mano libera afferrare la mia maglietta, tenendomi vicino a lei. Le sue labbra si aprirono facilmente al mio ordine. Il bacio fu un rilascio catartico e urgente della passione e della rabbia che si erano accumulate tra di noi. Era tanto emotivo quanto fisico, e le cose stavano decisamente diventando fisiche. La sentii sospirare mentre dondolava i fianchi contro i miei, rompendo la mia trance come una secchiata di acqua ghiacciata.
All'improvviso, mi resi conto di cosa stesse succedendo tra di noi. Ancora peggio, immaginai come sarebbero andate le cose se qualcuno ci avesse sorpresi in quel momento.
Usai il muro per fare leva e allontanarmi all'improvviso, prima che la mia mente avesse la possibilità di convincermi a fare diversamente. Feci qualche altro passo indietro per andare sul sicuro. Mi si sentivo la gola stretta e non riuscivo a riprendere fiato. Cazzo, cosa ho fatto...?
Rose sembrò sorpresa dal mio movimento repentino.
"Non farlo mai più," la rimproverai, in qualche modo ancora più frustrato in quel momento di quanto non fossi stato prima.
"Allora tu non ricambiare," ribatté lei in tono di sfida.
Aveva ragione. Per quanto mi sarebbe piaciuto evitare quella responsabilità, ero colpevole quanto lei. Avevo voluto baciarla. Diavolo, se dovevo essere onesto con me stesso, volevo ancora baciarla. Non potevo ammetterlo, però, dovevo continuare questa stupida messinscena che mi stava divorando dentro. Contai lentamente fino a dieci, assicurandomi di essere calmo prima di parlare di nuovo.
"Non do 'lezioni di Zen' per il gusto di sentirmi parlare", dissi. "E neppure perché sei una studentessa come gli altri. Lo faccio per insegnarti l'auto controllo." La mia argomentazione sembrava debole, anche alle mie stesse orecchie.
A quanto pare, non ci credette neanche lei. Potevo vedere la sua delusione in me mentre ruotava quei bellissimi occhi marroni.
"Stai facendo un ottimo lavoro."
Feci un respiro profondo, pizzicandomi il ponte del naso e cercando di nuovo di contare fino a dieci. Arrivai a tre prima di decidere che era inutile.
Non ce la faccio più, mormorai tra me e me, optando per la mia lingua madre. Poi uscii dalla porta, senza preoccuparmi di congedarla.
L'avevo delusa. L'avrei delusa sempre.
