Under the same roof
Non ci voleva certo un grande intuito per capire che lui si sentisse tremendamente in colpa, altrimenti non sarebbe stato così determinato, o forse era meglio dire avventato, nell'offrirle una stanza nella sua casa.
Grazie, Castle, ma non posso.
Puoi e lo farai.
Non erano state tanto le parole, quanto il tono con cui le aveva pronunciate, accompagnato da uno sguardo che gli aveva visto dipinto in viso solo un'altra volta, non troppo distante nel tempo, quando l'aveva ritrovata dentro le macerie della sua casa esplosa.
Deciso ma altrettanto turbato. E a ripensarci non si era trattato affatto di una timida proposta, al contrario era stata quasi un'imposizione come unica soluzione possibile per tenerla al sicuro.
Devi andare a casa a dormire.
Signore, non ce l'ho una casa.
Sì che ce l'hai. È un palazzo sorvegliato con una stanza per gli ospiti, persone che ti vogliono bene... e una guardia federale alla porta. È il posto più sicuro in città.
Era dall'inizio di quella storia che lui cercava di proteggerla. Si era addirittura spinto a presentarsi alla soglia di casa sua (quando ancora ne aveva una) deciso a farle da scorta per tutta la notte, si era appropriato del divano e niente gli avrebbe fatto cambiare idea, neanche le battute sarcastiche che lei gli aveva lanciato riferendosi alla sua eventuale potenza di fuoco contro l'uomo che la stava minacciando, il suo 'arsenale di frecciatine'.
Non poteva biasimarlo, si sentiva responsabile di quanto fosse accaduto, il personaggio di Nikki Heat lo aveva inventato lui e sempre lui aveva fatto in modo che tutti potessero leggere sui giornali a quale straordinaria detective fosse ispirato. Castle riteneva di averla consegnata in pasto a quel pazzo furioso. Anche lei, del resto, avrebbe fatto lo stesso a parti invertite. Non lo avrebbe mai lasciato in balia di una simile minaccia.
Lasciò la posizione supina girandosi su un fianco, quel letto era decisamente comodo e sicuramente un toccasana per il suo corpo ancora indolenzito e ammaccato dopo quel volo nella vasca di ghisa. Era riuscita a non darlo a vedere, ma l'effetto era stato esattamente quello di una bomba che ti scoppia in casa, l'onda d'urto l'aveva investita in pieno anche se era riuscita a buttarsi dentro la vasca, e poi il fuoco il fumo, le macerie. L'appartamento devastato, l'orologio del padre probabilmente polverizzato nell'esplosione, l'anello di Johanna miracolosamente salvo. Era stanchissima, aveva ragione Montgomery, non si era più fermata, eppure non riusciva a prendere sonno. Ma non a causa di Scott Dunn, lui sarebbe stato fermato e quella storia si sarebbe conclusa in un modo o nell'altro. No, l'uomo che tormentava i suoi pensieri si trovava due stanze più in là, probabilmente profondamente addormentato nel suo grande letto a quell'ora della notte.
Eh già, stava condividendo lo stesso tetto con lui per la seconda volta in poco tempo, con l'aggravante emotiva che lui s'era inserito nel plurale di una frase inaspettata: lei era lì con "persone che gli volevano bene", così s'era espresso poche ore prima cercando di convincerla a venire da lui. Lì per lì era stata così presa dal caso, dall'adrenalina per esserne stata estromessa, che non si era resa conto del tutto del peso di quelle parole, le quali ora invece rimbombavano nelle sue orecchie e l'agitavano più di quanto avesse mai creduto possibile. Forse quello stato alterato delle sue emozioni aveva avuto anche un innesco preciso, sentire la più abile profiler dell'FBI dare per scontato che lei e Castle andassero a letto insieme l'aveva colpita molto più di quanto pensasse. Fino a quel momento era riuscita egregiamente a tenersi lontana da 'pensieri su Castle', non perché non sorgessero spontanei nei momenti più impensati, ma semplicemente lei li evitava, li allontanava, 'sparava' loro mentalmente così come aveva minacciato di fare a lui se solo si fosse avvicinato alla porta della sua stanza da letto.
Ora si sentiva 'scoperta', senza più alibi verso sé stessa. Quell'uomo impossibile l'attraeva come una calamita, la intrigava, le faceva desiderare cose, disegnare futuri, le era diventato necessario, come il caffè che le portava ogni mattina. Ma era impossibile, complicato, sfiancante.
La terza volta che cambiò posizione dentro quell'immenso letto capì che non avrebbe preso sonno molto facilmente. Scivolò fuori dalle lenzuola e, senza accendere la luce, scese nell'ampio spazio del loft occupato dal divano. Considerò l'opzione di cercare qualcosa da leggere nella grande libreria che divideva il salone dallo studio di Castle, ma dovette fermarsi a metà strada quando s'accorse che il divano aveva già un occupante. Addormentato abbracciato ad un libro, i capelli arruffati, era così carino da guardare...
S'era persa in considerazioni che mai avrebbe pensato di poter associare a Richard Castle quando si rese conto che non avrebbe dovuto trovarsi lì, soprattutto in quella posizione, quasi china su di lui a 'guardarlo dormire'! Cercò di battere in una frettolosa ritirata ma si ritrovò un tavolinetto tra le gambe, un tonfo e la frittata era fatta.
"Beckett? Che succede tutto bene? È tutto ok?" il padrone di casa si tirò su stropicciandosi il viso, il movimento fece cadere il libro sul tappeto. Non le sembrò disturbato dalla sua inquietante vicinanza, eppure lei si sentì molesta e cercò immediatamente di scusarsi.
"Sì sì, perdonami Castle davvero, non volevo svegliarti…non pensavo di trovarti… ma che ci fai sul divano?"
"No, non preoccuparti, non riuscivo a dormire, allor preso un libro… ma poi Morfeo è arrivato all'improvviso, sono crollato… ma tu? Neanche tu riesci a dormire?"
Lei scosse la testa
sono crollato, aveva già iniziato le manovre di allontanamento, ma lui continuò a parlarle e soprattutto a guardarla ancora con quel misto di apprensione e calore che lei non riusciva in nessun modo a gestire.
Le sorrise e poi la rassicurò ", in realtà non pensavo neanche che ci sarei riuscito ad addormentarmi… invece Morfeo è arrivato all'improvviso, sono crollato… ma tu? Neanche tu riesci a dormire?"
"Uhm, no in effetti, penso… troppa adrenalina… chi l'avrebbe mai detto che sarei rimasta senza casa... e senza caso in un solo giorno?" scrollò le spalle come se volesse liberarsi anche del peso emotivo di quelle ultime ore, lui parve cogliere al volo il suo malessere e cercò di alleviarlo mostrandole tutto il suo appoggio.
"Già…So che sono il migliore a disobbedire, ma... hai fatto bene ad inseguire Dunn."
"E l'agente Shaw ha fatto bene a... escludermi dal caso. Avrei fatto la stessa cosa, al suo posto. Sono troppo coinvolta."
Per la prima volta ritrasse lo sguardo da lei "Sono certo che, dopo tutto questo, un po' ti dispiace di avermi permesso di seguirti." Eccolo di nuovo quel senso di colpa che non lo abbandonava da quando avevano trovato i primi proiettili con inciso il nome di Nikki.
Qualcosa la spinse a trovare un modo per rassicurarlo e allo stesso tempo evitare che quella conversazione scivolasse su terreni in cui lei non avrebbe in alcun modo saputo muoversi.
"No, per questo no. Per tutte le altre cose seccanti che fai sì, ma non questa." Sorrise canzonatoria, poi però aggrottò lievemente la fronte, l'assalì un dubbio, che le contorse lo stomaco, forse era l'inizio di una specie di addio? Forse s'era pentito d'aver scritto… riuscì a mostrare una calma apparente quando glielo chiese "Che mi dici di te? Ti dispiace di aver scritto Heat Wave?"
Lui invece sembrò felice di quella domanda, la guardò con un lampo negli occhi "Per come la vedo adesso, se non fosse stato per Nikki Heat, questo tizio avrebbe ucciso ancora perché non avrebbe incontrato una persona tanto intelligente da catturarlo. Ovviamente parlo dell'agente speciale Shaw." Sorrise beffardo, poi si sporse verso di lei per raccogliere il libro caduto a terra, provocandole un brivido lungo la schiena che per qualche secondo inibì le sue capacità di rispondere a quella battuta.
Si guardarono negli occhi senza riuscire a respirare per un tempo indefinito, fino a quando lei non decise che quella situazione fosse assolutamente inopportuna. Si tirò su di scatto, sorrise nervosa e augurò la buona notte, poi filò velocemente verso le scale, bofonchiando qualcosa riguardo al fatto che anche lui avrebbe dovuto andarsene a letto.
Castle le rispose con un 'a domani' sussurrato, era rimasto piegato verso il tappeto, con il libro in mano, e il suo profumo nelle narici.
Forse avrebbe dovuto confessarle il vero motivo per cui era su quel divano e non nel suo letto, ma poi cosa sarebbe accaduto alla loro relazione? Si poteva definire così? Relazione? Rapporto di amicizia? Scosse il capo lasciandosi cadere sul morbido schienale del divano.
Non sopportava l'idea che Beckett fosse in pericolo a causa sua, ma questo era naturale, chi non si sarebbe sentito in colpa se una sua azione avesse messo in chiaro pericolo mortale un'altra persona. E forse tutto ciò che aveva fatto e pensato, prima che l'appartamento di Beckett saltasse in aria, aveva avuto come spinta propulsiva esattamente quello, il senso di colpa. Ma dopo, quando era corso per le scale avvolte dal fumo, quando era entrato in quell'inferno di fuoco in cui sembrava impossibile che qualcuno si fosse salvato, lì era cambiato tutto, o meglio, lì aveva capito tutto.
L'energia creativa che lei gli ispirava, gli incontri in punta di intuizioni che si scambiavano spesso, il mare in tempesta che spesso vedeva nel fondo del suo sguardo quando qualcosa la impensieriva o l'addolorava, il sorriso incredibilmente vivo che regalava sempre troppo poco secondo lui. C'era già tutto lì davanti a lui, da mesi ormai, e lui non avrebbe più potuto farne a meno.
Mentre l'aveva aiutata ad uscire dall'appartamento in fiamme, quando l'adrenalina stava scemando insieme alle ultime stille lasciate dal terrore di non trovarla viva, si era generato un pensiero nella sua testa, o un desiderio o una proiezione del futuro, non avrebbe saputo darne una definizione precisa, sapeva solo che avrebbe volentieri fatto quello con lei per l'eternità. Stare accanto a lei, saperla al suo fianco, magari per sempre.
No, in alcun modo avrebbe potuto dirle che si era installato su quel divano solo perché in quel modo sarebbe stato più vicino alla sua stanza, un modo del tutto irrazionale per credere di poterla proteggere di più. Sapeva benissimo che lei era più che in grado di difendersi da sola, ma non era quello il punto. Il punto era che lui l'amava e questo cambiava tutto.
Si alzò con poca voglia dal divano, sistemò il libro nella libreria sospirò e si diresse verso la sua camera da letto, non prima di aver guardato verso le scale sulle quali si era dileguata lei. Alzò le spalle come se stesse avendo una silenziosa conversazione con sé stesso, poi tornò sui suoi passi e si risistemò sul divano. Era più forte di lui.
Una bella colazione, ecco cosa ci voleva, gli avrebbe preparato una colazione con i fiocchi, come quelle che Johanna le preparava la domenica mattina. Era il minimo che potesse fare per sdebitarsi per l'ospitalità sua e della sua famiglia. E poi, in fin dei conti, aveva anche un debito diretto di una colazione a base di pancakes da rifondere. Senza tutti quei doppi sensi e allusioni sotto cui li avevano sommersi Ryan ed Esposito.
Se Castle mostrava segni di sensi di colpa, lei sicuramente ne aveva altri causati dal sentirsi in debito con lui. Ma forse c'era di più. Qualcosa di indefinito che neanche stavolta le consentì di prendere sonno. Non sopportava di saperlo tormentato, e quella notte non sopportava neanche stare da sola. Era una circostanza nuova, lei non aveva mai avuto bisogno di 'appoggiarsi' a qualcuno, ce l'aveva sempre fatta da sola, e questa volta non sarebbe stato diverso. Eppure, le tornava in continuazione in mente ciò che aveva provato quando s'era appoggiata letteralmente a lui per uscire dal suo appartamento in fiamme, una sensazione nuova e antica allo stesso tempo, qualcosa che aveva a che fare con il sentirsi 'a casa' e che forse era ancora lì, in quel momento, in cui una casa, un tetto, lo stavano condividendo.
Scese di nuovo dal letto, scese ancora le scale chiedendosi cosa gli avrebbe detto presentandosi alla porta della sua stanza. Ma anche questa volta non ebbe bisogno di altro, lui era lì, non era tornato nel suo letto.
"Castle?"
La voce di Kate lo fece sobbalzare stavolta, era in piedi accanto al divano. Guardò l'ora, erano passati solo dieci minuti dal loro primo incontro notturno, ora cosa succedeva?
"Ehi, tutto bene?"
Lei alzò le spalle come per scusarsi, stavolta silenziosamente, d'averlo svegliato, di nuovo. Si stropicciava le mani, era chiaramente nervosa.
"che ci fai ancora sul divano?"
"sei scesa a controllare dove dormo?"
"uhm, no io…"
"ehi scherzo…È complicato da spiegare… ti va bene un 'adoro dormire sui divani' ?"
"non ci credo molto… ma me lo farò andare bene" sospirò mentre lui stavolta le fece cenno di sedersi accanto a lui, cedette, prese posto, tesa come una corda.
Era chiaro che lei avesse qualcosa da dire e lui la invitò a proseguire con uno sguardo accogliente.
"Io penso che… non devi sentirti in dovere di… insomma non è colpa tua se Dunn fa quello che fa"
Avevano già affrontato quel discorso, più o meno, ma lui apprezzò il suo sforzo di rendergli la situazione più leggera.
"Lo so, come so che sei qui per ordine federale, altrimenti non ti saresti mai lasciata convincere da me" la guardò da sotto in su lanciandole uno sguardo significativo.
"Beh io…" ora era imbarazzata da quelle parole, che forse non si aspettava.
"Ti assicuro che starò alla larga dalla tua porta, ricordo le minacce dell'altra sera…e so perfettamente che sai difenderti da sola"
Lei non parlò ma gli rivolse uno sguardo interrogativo, lui proseguì
"so benissimo che un 'arsenale di frecciatine' non è molto efficace contro un serial killer…ho solo pensato che non fosse giusto che tu…insomma che rimanessi da sola, né l'altra sera, né a maggior ragione questa notte."
"Grazie Castle"
Rick percepì chiaramente il momento in cui il corpo della sua ospite decise finalmente di rilassarsi, ma fu il suo turno di irrigidirsi, quando quel cedimento annullò quasi del tutto la distanza tra loro.
"Ma io non ho fatto niente per cui essere ringraziato"
"Credo che tu mi abbia offerto una cosa di cui non ho voluto ammettere a me stessa di averne bisogno"
"Un tetto?" rispose con fare pratico, ma solo perché non riusciva a credere che si stesse parlando di altro
"No, qualcosa di intangibile e forse anche indefinibile, ma c'è e te ne sono grata"
Lui non disse più nulla, allargò il braccio stendendolo sul cuscino del divano, lei ci posò la nuca chiudendo gli occhi.
Si addormentarono così, quasi all'istante. Uno al fianco dell'altro.
S'erano detti tutto con niente, era troppo presto per provare ad andare oltre quella linea che piano piano avevano deciso di disegnare tra di loro, un appiglio per non cedere alla paura di perdersi. Però intanto erano lì sotto lo stesso tetto.
fine
e buon inizio settimana a tutti
Uni
