Kinky

Respiro sommesso, odore confortante del suo dopobarba, calore. L'appagante sensazione di tornare lentamente alla coscienza sapendo di averlo accanto, mentre i sensi vibrano ancora ricordando ciò che è stato quella notte. Le mani che scivolavano sulla pelle, indugiando in luoghi nascosti e turgidi, le labbra che assaporavano avidamente ogni stilla di piacere. La mano abbandonata sul torace di lui registrava i movimenti lenti dei suoi respiri. Avrebbe voluto crogiolarsi all'infinito in quel luogo indistinto a metà tra il sonno e la veglia, tra il sogno e la realtà.

Sogno

Realtà

Castle?

Disteso accanto a lei?

Lei poggiata su di lui?

Avevano fatto 'qualcosa', erano ricordi?

Provò a tirarsi su, manette.

Era stato tutto un sogno, solo un meraviglioso assurdo inconcepibile sogno.

I suoi movimenti avevano provocato una reazione anche in colui che divideva il materasso con lei.

"Hmm. Non alzarti ancora. Stai a letto."

"Castle!"

"Kate. Ciao." Le aveva sorriso ancora non del tutto sveglio, anche lui al termine di un viaggio onirico che doveva comprendere anche lei. Non le era certo sfuggito che l'avesse chiamata per nome, come se avessero appena condiviso qualcosa di decisamente più intimo di quel materasso buttato per terra.

Lei ora era più che lucida, spaventata da ciò che il suo inconscio le aveva così vividamente proposto, soprattutto perché le era piaciuto un bel po'.

Lui la guardava ancora beatamente confuso. Ma lo sguardo accigliato di lei gli diede una scossa.

"Cosa?"

"Hai fatto questo?" Beckett tirò su di scatto la mano trascinando con sé anche quella di Castle. Eccola la scappatoia, qualsiasi cosa fosse accaduta doveva essere colpa di Castle, un modo per riprendere velocemente le distanze da un'idea che lei non era in alcun modo pronta ad affrontare, lui e lei insieme.

"Cosa?"

"Smettila di dire 'Cosa?' e svegliati."

"Io no ... Siamo ammanettati. Perverso."

"Castle, non è divertente."

"Non ho detto 'divertente', ho detto 'perverso'. E non sono stato io ad ammanettarci."

"Cosa, pensi che lo abbia fatto io?"

"Beh, sembrano manette della polizia."

"Qualcun altro ci ha fatto questo. Riconosci questo posto?"

"No. Ma se stessi scrivendo un libro, è qui che accadrebbero le cose brutte."

Erano chiaramente in una pessima situazione. Qualcuno li aveva drogati, portato via cellulari, pistola e distintivo. Il luogo poi non era dei più rassicuranti così come non lo era stato affatto riuscire ad aprire quella cassa scoprendo un arsenale di strumenti che sembravano usciti direttamente dall'ultimo episodio di Saw.

Eppure, nessuno dei due riusciva a trovare una sintonia con l'altro.

La lucidità di Castle aveva vacillato più volte in quei momenti, non ricordava nulla o quasi di come fossero finiti lì e quel buco cozzava tremendamente con le sensazioni di benessere che aveva raccolto al risveglio, trovandosi davanti il viso di Kate. I suoi stessi pensieri, in quei secondi, lo avevano spiazzato, nella sua mente si era formulata la frase 'la sua Kate'. Droga pesante, non c'era dubbio, che li aveva fatti viaggiare un bel po'.

Poi quando le aveva toccato il fianco scoperto in cerca dei segni di qualche puntura, aveva indugiato più del dovuto, facendo scorrere la mano sulla pelle della sua schiena fino alla vita. Lei aveva tagliato corto, ma lui era rimasto folgorato. La sua mente gli aveva riproposto forse un pezzo dei suoi sogni lisergici di poco prima. La sua mano che afferrava i suoi fianchi nudi, guidandola su di lui… oddio se non fossero usciti presto da lì…aveva bisogno di una doccia fredda.

"Va bene. Castle, voglio che tu ci pensi... intensamente. Qual è l'ultima cosa che ricordi di questa mattina?"

Castle ebbe la conferma del vuoto completo che albergava nella sua testa, poi un barlume che però non portava esattamente verso qualcosa di neutro.

"Ero con te. Eravamo... in un posto squallido... Un albergo che affitta camere a ore."

"Vuoi piantarla?" possibile che non riuscisse a fare il serio neanche in circostanze simili?

"È dove eravamo. Mi hai chiamato e mi hai chiesto di incontrarti lì." Ma lui era serissimo e preoccupatissimo di cosa avrebbe comportato ricordare oltre 'un albergo ad ore!'

"Oh, è vero." Anche lei si stava preoccupando e la rughetta era lì a denunciarlo sfacciatamente.

"Sì."

"E poi ti ho accompagnato fino alla camera... e poi noi..."

"E poi noi..."

Oddio possibile che non fosse stato un sogno? Lo avevano fatto davvero, insieme in un motel… come poteva essere possibile! Improvvisamente le sembrò di essere tornata ai tempi del college, una specie di déjà-vu, svegliarsi senza sapere bene cosa si fosse fatto la notte precedente. Le era capitato solo una volta con un tale, amico di corso… Rogan… Rogan O'Leary che sbaglio enorme! Aveva fatto lo stesso con Castle? Possibile? No, doveva esserci un'altra spiegazione doveva, doveva…

"Un cadavere. Siamo andati a vedere un cadavere." Ma certo! Subitaneo sollievo.

"Giusto." Rispose lui, deluso. Sarebbe stato così tremendo? A giudicare dall'espressione sollevata e vittoriosa per lei sicuramente sì.

Ciò che era accaduto l'estate precedente aveva creato una cesura, c'era un prima e un dopo e loro stavano ancora cercando di capire dove collocarsi in quel 'dopo'. Era chiaro che Beckett stesse ancora guarendo, se non dalle ferite fisiche, soprattutto da quelle che quel proiettile le aveva inferto nello spirito. Lui faceva quotidianamente i conti con il motivo per cui aveva accettato di tornare a lavorare con lei, quella tenue speranza che il muro crollasse, o che lei ricordasse.

Non era facile per nessuno dei due e quella situazione che li obbligava ad agire all'unisono per salvarsi, stava invece evidenziando quanto si sentissero dissonanti. Era come se avessero perso la capacità di sintonizzarsi del tutto l'uno sull'altro. Era frustrante e destabilizzante. E il tentativo di trovare un equilibrio li stava spingendo ad arroccarsi su posizioni egoriferite.

Soprattutto perché avevano bisogno anche di un 'equilibrio' nel senso letterale del termine, se non si fossero accordati non sarebbero stati in grado neanche di muoversi per la stanza.

"Castle, puoi aiutarmi?" Beckett aveva appena tirato in una direzione trovando l'opposizione del corpo di Castle che invece ne aveva presa un'altra

"Perché non aiuti tu me? Perché devi sempre avere il comando?"

"E perché tu mi devi sempre pestare i piedi?"

"Da quando io... ok, sai cosa? Rispondi: perché devi sempre andare tu per prima? La prima ad uscire dall'ascensore, la prima a passare la porta."

"Sono un poliziotto. Sono quella con la pistola. Passare per prima dalle porte è il mio lavoro."

Possibile che Castle non capisse… era il suo lavoro che la metteva in prima linea, non il suo, lui… non avrebbe mai dovuto finirci, neanche al funerale di Montgomery. Cosa avrebbe fatto lei se il cecchino avesse preso lui?

"In ascensore? Che mi dici di questo? Ti ucciderebbe lasciare che qualcuno ti apra la porta, una volta tanto?"

Perché mai lei non accettava aiuto o una semplice gentilezza, perché non capiva che non sarebbe stato un segno di debolezza, che lui non l'avrebbe mai letto in quel senso, anzi la considerava straordinaria, e avrebbe semplicemente voluto… ahh glielo aveva già detto, ma lei non ricordava. Punto.

"Capisci che, se qualcuno mi aprisse la porta, entrerei per prima in ogni caso, vero" era stato più forte di lei, un pizzico di logica per rovinargli la storia, non andava sempre così tra loro?

"Vero. Dimenticavo. Sei anche la più furba. È tutto una competizione con te." Era così lei era la donna che lo avrebbe fatto impazzire, non c'era dubbio alcuno.

"Non è assolutamente vero. Sei sempre così la mattina?"

"Sai, discuterei con te, ma poi dovrei lasciarti vincere."

"Ok, va bene. Avanti. Guida tu."

"Grazie… Dove volevi andare?" era stato così preso dall'unico obiettivo di non voler dargliela vinta che non si era nemmeno reso conto di non avere alcuna idea o meta. Cosa che invece lei…

"Credo ci sia un interruttore là. O vuoi restare al buio?"

In quella circostanza forse sarebbe stato meglio non vedere lo squallore e la totale mancanza di vie di fuga che li circondava.

Pe tutto il resto forse Castle avrebbe preferito invece la luce, la chiarezza, uscire da quell'indeterminatezza che aveva contraddistinto quelle ultime settimane tra di loro.

Aveva pensato più di una volta di prendere il coraggio a due mani e dichiararsi, di nuovo. Ma poi aveva desistito, soprattutto quando aveva capito quanto fosse difficile e doloroso il cammino di Beckett per superare la sparatoria e il suo ferimento. Invece di imporre la sua presenza, si era ritirato lasciandole tutto lo spazio di cui aveva bisogno. Ma più passava il tempo e più si chiedeva quanto avrebbe resistito ancora.

Dammi la mano, gli aveva detto Kate ad un certo punto e lui era rimasto interdetto, come sempre quando sembrava che lei facesse un passo verso di loro. Poi era arrivata la spiegazione pratica 'così non ci tagliamo con le manette', e lui aveva rimesso i piedi saldamente a terra, in quella realtà che gli andava sempre più stretta, quasi quanto le manette.

Ciò che non aveva visto Castle, in quel momento, era il sorriso di Kate che si era girata verso il muro.

Ciò che ignorava Castle era la lotta interiore che combatteva lei. Spesso sul punto di dirgli che lo aveva sentito quel giorno al funerale di Roy e che ricambiava dio se ricambiava. Ma, come gli aveva detto quando si erano rivisti, c'era un muro da abbattere ed era difficile farlo.

Intrappolati in uno scantinato, ammanettati, con una tigre pronta a sbranarli, in bilico su un cassone precario. Ma erano insieme, ci erano arrivati insieme, ciascuno aveva abbandonato un po' di sé ed aveva dato un'opportunità all'altro.

Poteva essere la metafora della loro relazione in quel momento e chissà forse avrebbero trovato il modo di saltare da quel cassone, liberarsi dalle manette e ritrovarsi nello stesso punto del loro cuore.

Era difficile dirsi certe cose direttamente, le metafore e le allusioni erano ancora le benvenute.

"Questo è stato l'incontro con la morte più strano che abbia fatto."

"Anche per me, ma ti dirò, dopo questa esperienza, se mai dovessi legarmi a qualcuno, vorrei che fossi tu."

"Legarti?"

"Legarmi? Non ho detto 'legarmi', ho detto 'ammanettarmi'. Ammanettare, non legare, in senso lato, o qualsiasi altra accezione del termine..."

"Ok, Castle, ho capito cosa intendevi."

"E per quanto può valere...se mai dovessi passare un'altra notte ammanettata a qualcuno, anche a me non dispiacerebbe che fossi tu."

"Davvero?"

"Ma la prossima volta... facciamolo senza tigri."

"La prossima volta?"

Già la prossima volta, una prossima volta ancora solo sognata, unico regalo di quei trafficanti di animali, qualsiasi cosa fosse quella droga, le aveva regalato un viaggio che sperava fosse nel prossimo futuro, con lui.

Kinky!

Fine