Non avevo mai visto un comitato disciplinare dei guardiani organizzato all'Accademia prima. Era raro che ce ne fosse mai bisogno. La preside Kirova gestiva la maggior parte dei problemi sorti tra gli studenti, sia Moroi che Dhampir. Per Alberta ritenere necessario creare una giuria di guardiani per discutere qualunque cosa in cui Rose si fosse cacciata, beh... non era di buon auspicio. C'era una buona possibilità che non sarei riuscito a tirarla fuori da quel pasticcio.

C'erano una manciata di guardiani lì oltre a me e a quelli che alla fine avrebbero emesso il giudizio finale. Testimoni dell'evento, qualsiasi fosse, ne ero sicuro. Per fortuna, non c'erano studenti presenti che potessero creare pettegolezzi in seguito.

Stan fu il primo a fornire il suo resoconto, offrendomi un primo barlume su quanto accaduto.

"La novizia Hathaway ha riconosciuto la minaccia, mettendosi inizialmente tra me ed entrambi gli studenti Moroi. Tuttavia, ha poi proceduto a ignorare completamente l'attacco. Non ha mai tirato fuori il paletto, e si è persino spinta a distogliere lo sguardo e a scuotere la testa in segno di rifiuto. Non si è nemmeno difesa, tanto meno ha difeso gli altri! Sono riuscito a buttarla a terra con un solo colpo e ad impossessarmi del suo protetto e dell'altro studente Moroi senza alcuna forma di resistenza."

"Per l'ultima volta, non l'ho fatto apposta." Notai che Rose lottava per mantenere il controllo del suo temperamento. Era ovviamente furiosa per la situazione, ma potevo vedere che almeno una parte di quella rabbia - e forse gran parte di essa - era diretta contro sé stessa.

"Signorina Hathaway" la voce di Alberta era priva dell'affetto che di solito riservava a Rose, sostituendolo con la necessaria professionalità "dovresti conoscere il motivo per cui facciamo molta fatica a crederlo."

Celeste annuì. "Il Guardiano Alto ti ha visto. Ti sei rifiutata di proteggere due Moroi, incluso quello a cui sei stata specificamente assegnata."

Tecnicamente, non potevamo bocciare uno studente nel suo test se non proteggeva un Moroi che non era il loro protetto, specialmente se avrebbe compromesso la sicurezza della Moroi assegnatogli. Detto questo, era un dato di fatto che un guardiano avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere ogni Moroi nelle vicinanze.

"Non mi sono rifiutata! Io..." la sua protesta si fermò, bloccandosi nella sua gola prima di morire con le sue ultime parole "non ci sono riuscita."

"Non è che non ci sei riuscita."

La mia testa si voltò verso il punto in cui si trovava il Guardiano Alto dopo aver dato la sua testimonianza. Aspettò il permesso di Alberta prima di continuare. "Se mi avessi bloccato o attaccato e poi avessi sbagliato, allora sì che non ci saresti riuscita. Ma non mi hai bloccato. Non hai attaccato. Non ci hai nemmeno provato. Sei rimasta lì come una statua e non hai fatto niente."

La furia si accese dietro gli occhi di Rose. La vedevo letteralmente mordere qualsiasi cosa volesse dire, facendo gonfiare il labbro inferiore mentre lo stringeva tra i denti. "Perché sono finita nei guai per non esserci riuscita? Voglio dire, ho visto Ryan che sbagliava prima. E lui non è finito nei guai. Non è questo lo scopo dell'esercitazione? La pratica? Se fossimo perfetti, ci avreste già mandato in giro per il mondo!"

Capii perfettamente cosa cercava di dire; tutto ciò era stato progettato come una simulazione di ciò che avrebbero potuto incontrare nel mondo reale. Gli studenti erano destinati a fallire di tanto in tanto e non gliene facevamo una colpa finché imparavano dai loro errori. Era meglio che sbagliassero qui che dopo il diploma. Tuttavia, c'era una grande differenza tra l'essere distratti dal proprio Moroi e non essere in grado di recuperare la concentrazione, e il rifiutarsi categoricamente di proteggere tale Moroi. Se Stan aveva ragione con quello che diceva di aver visto, Rose era in molti più guai di quanto si rendesse conto.

"Ma non hai ascoltato?" Sembrava che Stan stesse per esplodere tanto quanto Rose. Nonostante il modo in cui parevano essere sempre in disaccordo, avevano una cosa in comune: il loro carattere irascibile. "Non hai sbagliato, perché 'sbagliare' implica fare qualcosa."

"Okay, allora. Mi sono bloccata!" So che non avrebbe mai permesso loro di cadere con così tante persone che la guardavano, ma potevo vedere lacrime di frustrazione crescere nei suoi occhi. "Mi sono bloccata, okay? Questo conta come sbaglio? Non ho retto alla pressione e sono andata nel pallone." Rose distolse lo sguardo, fissando il muro piuttosto che qualcuno in particolare. "A quanto pare non ero preparata. Il momento è arrivato e sono andata nel panico."

I suoi occhi si spostarono su di me e non riuscii a individuare le emozioni dietro di essi. Una parte di lei sembrava ribellarsi, l'altra sembrava quasi chiedere scusa.

"Succede sempre ai novizi." Aveva ragione ovviamente. Succedeva sempre, ma dal modo in cui lo affermò era quasi come se avesse bisogno della conferma che non era l'unica ad essersi congelata di fronte a un attacco. Come se fosse preoccupata che ci fosse qualcosa che non andasse in lei.

"A una novizia che ha già ucciso degli Strigoi? Sembra improbabile." La voce di Emil non era così accusatoria come quella del Guardiano Alto, ma sottolineò una questione valida. Se c'era qualcuno pronto per questo, quel qualcuno era Rose.

Rose però non sembrava essere d'accordo, se il modo in cui fissava lui e tutti gli altri nella stanza era indicativo. "Oh, capisco. Dopo un solo incidente, ora ci si aspetta che io sia un'esperta assassina di Strigoi? Non posso farmi prendere dal panico, avere paura o altro?" La sua voce si incrinò e si accasciò all'indietro sulla sedia con le braccia incrociate in modo protettivo. "Grazie, ragazzi. Giusto, mi pare giusto."

Rimase in silenzio per un paio di secondi prima che Alberta emettesse un sospiro. Vedevo che tutto ciò era duro anche per lei. Voleva credere il meglio di Rose, ma per il momento doveva mantenere un atteggiamento di distacco. "Stiamo discutendo di semantica. I tecnicismi non sono il tema in questione. Quello che importa è che stamattina hai detto molto chiaramente che non volevi proteggere Christian Ozera. In effetti…" abbassò lo sguardo, come se stesse decidendo se volesse davvero dire quello che sapevo sarebbe venuto dopo. "In effetti, mi pare che tu abbia persino detto che volevi che sapessimo che lo facevi contro la tua volontà e che avremmo presto capito che era un'orribile idea."

Distolsi lo sguardo, provando un senso riflesso di imbarazzo per lei. Perché doveva essere così testarda sull'argomento? Perché aveva bisogno di avere sempre l'ultima parola? Da parte mia c'era anche un certo senso di colpa. Se avessi semplicemente preso la strada più facile e avessi lasciato che Vasilisa fosse la sua protetta, o se mi fossi preso il tempo per spiegare, prima che venissero assegnati gli incarichi, il perché pensassi che avrebbe dovuto proteggere Christian, allora tutto ciò sarebbe stato irrilevante.

La mia reazione fu però molto diversa dalla sua. Laddove io provai vergogna e delusione, Rose reagì con rabbia.

"È di questo che si tratta? Credete che non lo abbia protetto per una specie di strana vendetta contro di lui?"

Gli sguardi placidi e pregnanti dei tre membri del consiglio avrebbero dovuto essere una risposta sufficiente, ma Celeste rispose lo stesso. "Non sei esattamente famosa per accettare con serenità e rispetto le cose che non ti stanno bene."

Come se fosse determinata a dimostrare quel punto esatto, Rose balzò dalla sedia e fece un passo avanti. "Non è vero. Ho seguito ogni singola regola che la Kirova mi ha imposto da quando sono tornata. Sono andata a tutti gli allenamenti e ho rispettato il coprifuoco." Aveva ragione su uno di quei punti. L'altro era un po' forzato e lei lo sapeva. Ma continuò comunque ad insistere. "Non avevo motivo di comportarmi così per vendetta! Che cosa potevo ottenere? Sta… il guardiano Alto non avrebbe fatto davvero male a Christian, perciò non avrei avuto la soddisfazione di vederlo picchiare o cosa. L'unico risultato sarebbe stato di finire coinvolta in un pasticcio come questo, con la possibilità di essere esclusa dall'esercitazione."

"Tu stai per essere esclusa dall'esercitazione."

Ogni scintilla di fuoco, ogni grammo di coraggio e ogni goccia della fiducia di Rose sembrarono svanire con una semplice frase. "Oh."

Cadde il silenzio, rotto solo dal suono di Rose che tornava alla sua sedia, stordita. Finalmente consapevole di quanto fosse grave la situazione, sembrava incapace di difendersi... quindi lo avrei fatto io.

"Di una cosa bisogna darle atto." Tutti gli occhi puntarono su di me, per lo più pieni di domande tranne che per un singolo paio che mostrava disperata speranza. "Se avesse voluto protestare o vendicarsi, lo avrebbe fatto in un modo diverso."

Vidi Rose sussultare leggermente, ferita dalle mie parole, ma non disse nulla per confutarle. Tuttavia, Celeste lo fece.

"Sì, ma dopo la scenata di stamattina..."

Mi spostai dal margine della sala per stare accanto a Rose, sperando di manifestare solidarietà nei confronti della mia allieva. In tal modo, mi alleai con lei e qualsiasi segno contro Rose sarebbe stato un segno anche contro di me. Tuttavia, proprio come il giorno in cui ci incontrammo per la prima volta, credetti in lei.

"Tutto questo è puramente circostanziale. Per quanto a voi possa sembrare sospetto, non ci sono prove. Escluderla dalla pratica - che in sostanza significa impedirle di diplomarsi - mi sembra una misura troppo estrema." Potevo solo sperare che fossero d'accordo con me. Rose si era messa in una posizione molto precaria, ed era altrettanto probabile che il consiglio considerasse le sue azioni come basate sulla vendetta piuttosto che sull'errore.

Fissai Alberta, sperando di aver detto abbastanza per convincerla a riporre la sua fiducia in Rose, in entrambi. Con la coda dell'occhio, vidi Rose che guardava tra me e i tre dietro il tavolo, e potevo solo immaginare che anche lei stesse silenziosamente implorando un buon esito della loro deliberazione.

Con un cenno rassegnato di Alberta, il trio sembrò prendere una decisione e sapevo che non c'era più nulla che potessi fare.

"Signorina Hathaway, ha qualcosa da dire prima le annunciamo la nostra decisione?"

Sono sicuro che c'erano molte cose che Rose voleva dire. Alcune certamente appropriate, ma immagino che la maggior parte avrebbe solo danneggiato le poche possibilità che le erano rimaste. La implorai senza parole di stare zitta ancora per qualche minuto.

"No, Guardiano Petrov" disse alla fine, suonando più sottomessa di quanto l'avessi mai sentita prima. "Nient'altro da aggiungere."

"Bene. Ecco cosa abbiamo deciso. " Trattenni il respiro aspettando la dichiarazione di Petrov. "Sei fortunata che il guardiano Belikov abbia preso le tue difese, altrimenti la decisione sarebbe stata un'altra. Ti daremo il beneficio del dubbio. Proseguirai l'esercitazione e continuerai a proteggere Christian Ozera. Ma resterai sotto stretta osservazione, a titolo di prova."

"D'accordo" la voce di Rose conteneva lo stesso sollievo che provavo anch'io. "Grazie."

"E... poiché il sospetto resta, trascorrerai il tuo giorno libero di questa settimana facendo servizi per la comunità."

"Che cosa?!"

Sentii che Rose stava iniziando a tirarsi su, ma la mia mano fu subito sul suo polso e la tirò indietro prima che si alzasse in piedi. "Siediti" le ordinai, lanciandole uno sguardo che le avevo già rivolto una volta, uno che le avevo rivolto dopo meno di 24 ore dal nostro primo incontro, uno che era stato rivolto l'ultima volta che il suo diploma era stato messo a rischio: "Prendi quello che ti danno."

Durante la nostra silenziosa conversazione, sentii l'avvertimento di Celeste. "Se è un problema, possiamo farlo anche la prossima settimana. E forse anche le successive cinque."

Rose mi rivolse uno sguardo pentito prima di scuotere la testa. "Mi dispiace. Grazie."

Fu abbastanza per accontentare tutti, ma non persi lo sguardo semi interrogativo che Alberta mi rivolse dopo aver stemperato lo sfogo di Rose. Sembrò quasi... impressionata.

"Bene. Ora che tutto è sistemato, mi aspetto che torni dal tuo Moroi, Signorina Hathaway. Ti contatterò quando avremo organizzato il tuo servizio alla comunità, e confido che non avremo più problemi. Giusto?"

Rose annuì, ma quasi stancamente, come se farlo fosse una sfida che non era sicura di poter sopportare.

I presenti alla riunione iniziarono a disperdersi e, mentre si allontanavano, catturai l'attenzione di Alberta un'ultima volta. "Guardiano Petrov, posso restare un momento con Rose prima che se ne vada?"

Il suo viso non tradì nulla mentre guardava tra noi, prima di annuire e raccogliere le sue carte. Quando lasciò la stanza, Rose ed io fummo improvvisamente soli.

Rose doveva ancora alzarsi dalla sedia e la sua testa era ancora mitemente china verso il pavimento. Era quasi sconcertante quanto fosse docile, e mi sentivo teso in attesa che accadesse qualcosa. Quando divenne chiaro che avrei dovuto essere io a rompere il nostro strano silenzio, mi diressi verso il carrello delle bevande nell'angolo e presi due bicchieri di polistirolo dalla pila. Nonostante il caffè fosse la bevanda preferita da queste parti, notai una manciata di familiari sacchetti bianchi in fondo al cestino dei tè.

"Ti va una cioccolata calda?"

Ovviamente non era quello che si aspettava da me e la sua fronte si corrugò per la confusione. "Certo."

Versai due pacchetti in ogni tazza, quattro in totale, prima di aggiungere l'acqua calda. Sorrisi, ricordando tanto tempo prima quando qualcuno calmò i miei nervi con il dolce e casalingo calore del cacao e quanto insolito l'avessi trovato anche in quel momento.

"Il segreto è raddoppiare la dose" spiegai, imitando le parole esatte che mi erano state dette allora.

Prese la tazza che le porsi, ma esitò quando mi voltai verso il cortile nascosto appena fuori dal lato della stanza. Era un po' un segreto, una sorta di oasi nel mezzo dell'edificio. Non era molto grande, forse solo dieci metri quadrati, ma era un bel posto dove pranzare nei mesi più caldi e dimenticare per un momento le pressioni dell'essere un guardiano.

Durante l'inverno era di scarsa utilità, ma la piccola veranda a vetri che si trovava tra la porta e l'aria aperta offriva un po' di protezione dal freddo esterno. Non era caldo, ma speravo che la privacy e la bevanda bollente avrebbero compensato la bassa temperatura. Spazzai via la polvere da una delle sedie per Rose, ma lei aveva imitato le mie azioni e si era seduta di fronte a me prima che potessi offrirle il posto.

Vidi in lei una sorta di sorpreso divertimento mentre bevevo dalla mia tazza, le mie papille gustative insensibili alle scottature dopo anni trascorsi a bere caffè giorno dopo giorno. Non ero sicuro di cosa avessi fatto per meritare quella reazione, ma ero felice di vedere in lei un qualsiasi tipo di risposta.

Soffiò sul suo drink, bevendo un piccolo sorso per controllare la temperatura prima di leccarsi la schiuma dalle labbra. Era quasi rassicurante vedere da lei una cosa così innocente. Doveva ancora diventare dipendente dal caffè come mezzo di sostentamento per i nostri rigidi orari lavorativi, e il caffè che beveva in questo periodo era qualcosa che assaporava piuttosto che tracannarlo tra un turno e l'altro. Ciò sarebbe sicuramente cambiato negli anni a venire, ma per ora poteva ancora aspettare e prendersela comoda.

Non riuscivo a guardarla direttamente, ancora incerto su come dire quello che volevo, ma notai che mi guardava. I suoi occhi erano quasi una sensazione fisica mentre li sentivo scorrere tra i miei capelli, il mio viso, la mia postura. Cercai di non reagire sotto il suo sguardo, ma mi sentii comunque raddrizzare a schiena con un movimento automatico. Mi faceva sempre desiderare di essere migliore di quello che ero...

Piuttosto che la tensione imbarazzante che aveva accompagnato ogni singolo momento di quiete di recente, sentii che entrambi ci stavamo rilassando nei postumi del consiglio disciplinare. L'unico suono proveniva dal nostro respiro e dai piccoli sbuffi di vapore che si gonfiavano nell'aria invernale.

"Cos'è successo là fuori? Non sei crollata per lo stress." Incontrai i suoi occhi, cercando di mostrarle che ero preoccupato, non deluso. Il modo in cui ricambiava il mio sguardo era come se si aspettasse una specie di ramanzina, ma non avrei mai potuto. Certo, Rose era ancora una novizia dell'Accademia, ma era anche la mia compagna. Non avevo alcun interesse a rimproverarla o farla sentire male per quello che era successo. Tutto quello che volevo era sapere come aiutarla.

"Invece sì." Guardò verso sinistra prima di fissarsi sulla sua tazza mezza vuota.

Mi morsi la lingua per non replicare alla sua bugia. Ormai conoscevo tutti i suoi segnali rivelatori, ma sapevo anche che palesarli avrebbe solo peggiorato la situazione.

"A meno che tu non creda che io abbia davvero permesso a Stan di 'attaccare' Christian" continuò.

"No. Non ci credo. Non ci ho mai creduto" Tra tutte le possibili risposte, quella era forse una delle meno probabili. Rose era impulsiva, ma raramente era vendicativa e non avrebbe mai permesso che Christian venisse ferito come punizione per qualcosa in cui non era nemmeno coinvolto. Ancora più importante, non avrebbe mai messo a rischio la sua opportunità di diplomarsi e proteggere Lissa. "Sapevo che l'incarico ti avrebbe deluso, ma non ho mai dubitato che avresti fatto comunque il tuo dovere. Sapevo che non avresti permesso ai tuoi sentimenti personali di interferire col lavoro."

"È così. Ero furiosa… E lo sono ancora, un po'. Ma quando ho detto che accettavo, intendevo davvero. E dopo aver passato un po' di tempo con lui… be', non lo odio affatto. Anzi, penso che sia il ragazzo ideale per Lissa. Ci tiene molto a lei, quindi non posso avercela con lui." Si strofinò la frustrazione residua dagli occhi, e sapevo quanto fosse difficile per lei ammettere che teneva davvero a Christian, anche se solo un po'. "Ogni tanto ci scontriamo, tutto qui."

Mi sforzai di mantenere un'espressione neutra, combattendo il divertimento per la sua ultima dichiarazione. Avevo la sensazione che uno dei motivi per cui lei e Christian si scontrassero così spesso fosse perché in realtà erano molto simili. Leali, supponenti, sarcastici e non disposti a mostrare alcun segno esteriore di debolezza. Per non parlare del fatto che entrambi avrebbero fatto quasi tutto per Vasilisa.

"Insieme abbiamo fatto squadra contro gli Strigoi." Il suo tono, pesante e pieno di terribili ricordi, fu sufficiente a farmi tornare sobrio. "Ci ho pensato oggi mentre eravamo insieme, e oppormi all'assegnazione mi è sembrata una cosa stupida. Così ho deciso di fare del mio meglio."

Potei vedere il rimpianto formarsi nel suo volto, forse preoccupata che avesse già detto troppo, ma continuai a pressarla prima che potesse chiudersi di nuovo.

"Cosa è successo allora? Con Stan?"

Immediatamente, guardò di lato, già preparando la sua prossima bugia e sembrando orribilmente in colpa per il questo. Non importava quello che avrebbe detto, sapevo che non sarebbe stata la verità, o almeno non tutta la verità. Tutto ciò mi preoccupò ancora di più, perché qualunque cosa stesse succedendo era qualcosa che sentiva di non poter condividere con me.

Sembrava quasi... spaventata. Di qualunque fosse il problema? Di me? Della mia reazione? Non ne ero sicuro. Ma non avrei potuto aiutarla se non avesse parlato con me.

Aspettai pazientemente, sperando che alla fine avrebbe cambiato idea. Non lo fece.

"Non so cosa sia successo là fuori. Le mie intenzioni erano buone... ho solo... ho solo incasinato tutto."

"Rose. Sei una pessima bugiarda."

"No, non è vero. " si difese, praticamente insultata dal fatto che avessi messo in dubbio la sua capacità di mentire. "Ho detto un sacco di bugie in vita mia, e la gente ci ha sempre creduto."

Sentii le mie labbra contrarsi, divertito dal fatto che si fosse offesa per il mio commento mentre confermava il mio sospetto che, in effetti, mi stesse mentendo. "Ne sono convinto, ma con me non funziona. Tanto per dirne una, non mi guardi negli occhi..."

Rose mi guardò immediatamente con aria di sfida.

"…e poi… non so. Lo intuisco." Non avevo intenzione di rivelare il mio unico metodo infallibile per valutare se stesse nascondendo qualcosa, ma c'era qualcosa di più. C'era qualcosa che si irradiava da lei che mi mise in allarme. Non riuscii a dare un nome a quella sensazione, ma sembrava un peso ingombrante che ci soffocava entrambi.

Piuttosto che essere rassicuranti, sembrò che le mie parole aumentassero solo la sua angoscia. Si alzò rapidamente e si diresse verso la porta che conduceva all'interno, fermandosi solo quando la sua mano fu sulla maniglia. Parlò senza neanche voltarsi indietro. "Ascolta, apprezzo che tu sia preoccupato per me... ma davvero, va tutto bene. Ho solo fatto un casino e me ne vergogno. Mi dispiace di averti fatto fare brutta figura come mio istruttore, ma mi rifarò. La prossima volta farò il culo a Stan."

La sua falsa spavalderia vacillò insieme alla sua voce e fui al suo fianco in un istante. Misi la mano sulla sua spalla, incerto su come confortarla e farle sapere che ero al suo fianco, qualunque cosa accadesse. La sua guancia si inclinò verso le mie nocche, sfiorandole leggermente, ma non ci fu altra reazione da parte sua.

"Rose" mi chiedevo se potesse sentire la disperazione nella mia voce "non so perché stai mentendo, ma so che non lo faresti senza una buona ragione. E se c'è qualcosa che non va… qualcosa che hai paura di dire agli altri…"

Si girò verso di me come una vipera, mostrando anche le zanne come se fosse una vipera.

"Io non ho paura" gridò, tradendo le sue parole con lo sguardo pericoloso nei suoi occhi. "Ho le mie ragioni, e credimi, quello che è successo con Stan non è stato niente. Davvero. Soltanto una stupidaggine che è stata montata oltremisura. Non sentirti dispiaciuto per me o in dovere di fare qualcosa. Il guaio è mio e mi sporcherà il curriculum. Ma sistemerò le cose, come sempre." I suoi gesti selvaggi e violenti finirono con i pugni sul suo petto e con lei che praticamente tremava sul posto.

Non riuscii a proferire parola. Di tutte le volte in cui non sapere cosa dire, la mia mente scelse quel momento per svuotarsi. Come facevo a dirle che non la compativo o mi sentivo obbligato, ma che volevo essere lì per sostenerla e supportarla? Che guardarla soffrire era come soffrire io stesso? Che volevo aiutarla a risolvere i problemi perché non sopportavo il pensiero di non essere una fonte di bene nella sua vita? Che non avrebbe dovuto occuparsi di tutto da sola perché meritava molto di meglio...?

Invece, strinsi un po' la presa sulla sua spalla. Era un pessimo sostituto per quello che avrei voluto dire, ma aveva bisogno di sapere che non l'avrei mai lasciata andare.

"Non devi farcela da sola."

"Dici così" sbuffò incredula "ma dimmi la verità. Tu corri dagli altri quando hai problemi?"

"Non è la stessa cosa…"

"Rispondi alla domanda, compagno."

"Non chiamarmi così." Non riuscivo a pensare lucidamente quando usava quel soprannome. Era quasi certo che mi facesse cedere, qualunque cosa mi stesse chiedendo.

"E tu non evitare la domanda."

"No." Sputai, arrabbiato perché aveva visto attraverso di me. "Cerco di affrontare i miei problemi da solo."

Tolse delicatamente la mia mano dalla sua spalla, con uno sguardo quasi malinconico sul viso. "Vedi?"

"Ma hai molte persone nella tua vita di cui ti puoi fidare, persone che ti vogliono bene." Hai me. "Questo cambia le cose."

"Tu non hai persone che ti vogliono bene?"

Le avevo, ma non era lo stesso. "Beh, ho sempre avuto brave persone nella mia vita... e ci sono state persone che mi hanno voluto bene. Ma questo non significa necessariamente che possa fidarmi di loro o che possa dirgli tutto."

Avevo una famiglia meravigliosa e una madre fantastica. Tuttavia, a quel punto della nostra relazione, mi prendevo cura di lei tanto quanto lei si era presa cura di me da bambino. Le dinamiche erano cambiate il giorno in cui avevo cacciato mio padre e da allora erano diventate sempre più squilibrate. Si assicurava che la mia famiglia fosse nutrita e amata, io mi assicuravo che ci fossero soldi per mettere il cibo in tavola e mantenere un tetto sopra le loro teste. Tutte le mie sorelle maggiori lavoravano e contribuivano, ma avevano anche le loro famiglie a cui pensare. Era più che giusto che gli inviassi soldi ogni mese. Ne avevano bisogno più di me. In quanto guardiano, il mio bisogno di alloggio, cibo e altre necessità di base era soddisfatto. Loro non avevano quel lusso.

Avevo più che abbastanza per me stesso. Avevo un lavoro sicuro, il rispetto dei miei coetanei, la mia reputazione. Tra questo e i miei romanzi, cos'altro avrei potuto volere?

Ed era passato molto tempo dall'ultima volta che mi ero confidato con mia madre o con chiunque altro. Confidavo a Ivan quasi tutto, ma aveva portato tutti i miei segreti con sé nella tomba quando era morto. Da allora, tutto ciò che condividevo con gli altri era solo una piccola parte: una parte dei miei pensieri, una parte dei miei problemi e una parte di me. Non avevo mai avuto intenzione di aprirmi a Rose, ma aveva un modo unico di abbattere i miei muri e sentirsi a casa nel mio cuore.

Senza che me ne rendessi conto, Roza era diventata la persona più importante della mia vita. Il modo in cui mi guardava in quel momento, mi ricordò che non avrebbe potuto essere diversamente.

"Ti fidi di me?" Chiese.

Era una domanda significativa, perché non avrei dovuto. Era la mia studentessa, ma la verità era che avevo totale fiducia in lei. In effetti, non c'era nessun altro di cui mi fidassi di più. Non ero ancora sicuro di quando o come o anche perché fosse successo, tanto meno come dirle tutto questo, ma meritava la verità. "Sì."

"Allora fidati di me adesso, e solo per questa volta non preoccuparti per me."

E con ciò se ne andò, lasciandomi solo nel mezzo dell'inverno nevoso con una tazza di cioccolata calda e senza alcuna idea di come fare ciò che mi aveva appena chiesto. Non preoccuparmi per lei era impossibile, ma avrei fatto del mio meglio per fidarmi di lei.