Alberta mi stava aspettando appena fuori dal corridoio. Avrei dovuto sapere che non sarei stato in grado di evitarla. Nel momento in cui uscii dalla stanza, i suoi occhi si fissarono su di me.
"Nel mio ufficio. Subito."
La seguii diligentemente, senza nemmeno scomodarmi a protestare. Mi aspettavo di parlare con lei ad un certo punto della giornata, quindi sarei stato sorpreso se mi avesse lasciato andare ora senza spiegare le cose.
Mi sedetti e aspettai che si versasse un bicchiere d'acqua prima di offrirmene uno. Accettai e le sue mani tremarono per la frustrazione repressa mentre l'acqua riempiva il bicchiere. Quando me lo porse, sia il bicchiere che la sua tolleranza erano traboccate.
"Cosa è successo là fuori?"
"Proprio quello che ha detto Rose. Si è bloccata. È stato un incidente e lavorerò con lei per assicurarmi che in futuro non accada di nuovo." Sapevo che quello che dicevo era una bugia, perché Rose mi stava mentendo su ciò che era realmente accaduto, ma era la migliore spiegazione che potessi offrire.
Alberta scosse la testa, sorseggiando dal bicchiere come se contenesse qualcosa di un po' più forte. "Anche se questa fosse tutta la verità, cosa che non dico di credere pienamente, c'è qualcos'altro che non va. Rose è sempre stata una combinaguai, ma ha fatto progressi con la tua influenza. Ora, con questi ultimi sfoghi e atti di sfida, è come se fosse tornata la vecchia Rose. O peggio ancora. La vecchia Rose ha avuto la sua giusta dose di punizioni, ma è sempre stato per qualche stupidaggine come bere nel campus o sgattaiolare fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco. Niente che potesse mettere seriamente a rischio la sua possibilità di diplomarsi. Ma ora... tra quella catastrofe durante le assegnazioni e il problema di prima con Stan... non so cosa le stia succedendo, Dimitri."
I suoi occhi incontrarono i miei mentre la sua invettiva esplodeva e il forte, equilibrato capitano della Guardia Scolastica svanì completamente, sostituito da una figura materna quasi terrorizzata sul punto di perdere sua figlia. Il suo terrore faceva gonfiare il mio e non sapevo cosa dire per migliorare la situazione.
"Lei è... stressata." La scusa sembrava sempre meno confortante ogni volta che la ripetevo, al punto che non ero più sicuro di essere abbastanza convincente quando la usavo. "Ne ha passate tante. Ne sta ancora passando un bel po'. Dalle tempo. Sono sicuro che tornerà presto quella di prima."
Alberta annuì debolmente, forse volendo credere alle mie parole più che crederci davvero. "Sì, probabilmente hai ragione. Rose è forte. Si riprenderà. Supererà i suoi nervi e la sua rabbia per Christian e il processo..."
Sussultai, sapendo esattamente cosa sarebbe successo dopo.
"A proposito del processo Dashkov, come hai potuto lasciarti sfuggire una cosa del genere?" Il tono da capitano stava tornando rapidamente.
"Ti assicuro che non ho detto a Rose del processo." Non potei fare a meno di notare l'ironia di difendermi proprio dalla persona che inconsapevolmente si era fatta sfuggire quel segreto. "Tuttavia le ho dato più informazioni quando me le ha chieste."
"Perché non hai semplicemente negato l'intera faccenda?"
"Non voglio prendere l'abitudine di mentire al mio partner... o al mio studente." Recuperai tanto velocemente che non pensavo si fosse accorta del mio errore. "Ho bisogno che Rose si fidi di me e merita la mia onestà. Non dirle qualcosa è un conto, ma mentirle apertamente è qualcosa di completamente diverso."
Alberta rifletté sulla mia affermazione per un momento o due prima di cedere apparentemente alla mia logica. "Cosa le hai detto?"
"Essenzialmente, le stesse informazioni che mi hai detto tu. Che solo i guardiani sarebbero andati all'udienza e ciò dovrebbe essere più che sufficiente a farlo giudicare colpevole. Non era felice, ma c'è poco che lei o chiunque altro possa fare al riguardo."
"Purtroppo, hai ragione. Immagino che avrei dovuto sapere che Rose l'avrebbe capito prima o poi. Ha sempre avuto l'abitudine di sapere cose che non avrebbe dovuto sapere."
Alberta mi congedò, risparmiandomi la sua ira per la soffiata sul processo Dashkov, ma lasciandomi più nervoso di prima ogni volta che ricordavo l'espressione sul suo viso mentre si preoccupava per Rose. Alberta conosceva Rose da più tempo di chiunque altro sulla faccia della terra, e se era preoccupata per lei, non potevo fare a meno di pensare che ci fosse seriamente qualcosa di cui preoccuparsi.
Quelle conversazioni si ripresentarono nella mia mente più e più volte durante il giorno, in particolare le parole che io e Rose ci eravamo scambiati. Ogni volta che rivivevo la scena, non potevo fare a meno di pensare a cosa avrei dovuto dire qui, o cosa avrei dovuto fare lì. La mia ossessione con quella questione mi stava incasinando fino al punto da distrarmi ed ero contento di non avere in programma altri attacchi ai novizi per quella sera. In caso contrario, sarei stato praticamente inservibile.
Per fortuna, il resto della giornata prometteva di essere abbastanza tranquillo. Fui in grado di finire i miei rapporti giornalieri dopo averli trovati ordinatamente messi da parte nel salotto da Dustin, e decisi persino di cenare tardi con alcuni altri guardiani che staccavano dal loro turno. Era sicuramente insolito per me socializzare volontariamente con alcuni degli altri guardiani, ma speravo che ciò mi avrebbe distratto il più possibile dagli eventi di quel pomeriggio.
Non funzionò molto bene.
Fidati di lei, ricordai a me stesso. Lei sa che ci sei. Tornerà quando avrà bisogno di te, quando sarà pronta.
Alla fine, senza nient'altro da fare, feci la lunga passeggiata di ritorno all'edificio che ospitava gli alloggi dei guardiani. Il coprifuoco c'era stato poche ore prima, presto perché l'indomani c'era lezione, quindi fu una passeggiata tranquilla e vidi solo un'altra persona quando il Guardiano Chase mi salutò dall'altra parte del cortile mentre faceva il suo giro di ronda. Tuttavia, mentre mi avvicinavo al mio appartamento, vidi qualcuno che non mi aspettavo in attesa appena fuori dall'ingresso dell'edificio.
"Lord Ivashkov, il coprifuoco è passato da un pezzo. Posso chiederle chi sta aspettando?"
Adrian si staccò dal muro di mattoni, lasciando cadere la sigaretta mezza consumata nella neve nonostante uno dei pochi cestini della cenere del campus fosse a meno di tre metri di distanza. Sebbene agli studenti non fossero riservate delle aree fumatori, c'erano alcuni membri dello staff che avevano preso quell'abitudine e gli alloggi erano stati adattati per loro.
Si avvicinò a me e più si avvicinava, più mi rendevo conto del fatto che fumare non era l'unico vizio a cui aveva ceduto quel giorno. In realtà reggeva abbastanza bene, senza inciampare o farfugliare, ma si sentiva ancora il debole odore di liquore nel suo alito.
"Che tu ci creda o no, sto cercando te, Belikov."
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo, ma per il resto aspettai in silenzio che continuasse. Dopo un momento o due, lo fece.
"C'è qualcosa che non va in Rose."
Immediatamente, il mio corpo si tese, pronto per la battaglia. "Cosa vuol dire? Dov'è?"
"Calma ragazzo" osservò, allungando una mano per impedirmi di decollare verso i dormitori Moroi dove sapevo che avrebbe dovuto essere con Christian. "Sono sicuro che è tutta rannicchiata al calduccio e sogna pacificamente di flessioni o calci rotanti o qualunque cosa voi due consideriate corteggiamento romantico. Quello che voglio dire è che sembra che ultimamente abbia raggiunto il limite."
Sbuffai, sia in risposta alla sua frecciatina sia per il fatto che sapevo che voleva mettermi in agitazione con la sua precedente dichiarazione. Sfoderai automaticamente la mia solita risposta. "Ne ha passate tante di recente. Tra Spokane e lo stress della prova sul campo, c'è un bel po' da affrontare. Inoltre ultimamente non ha dormito molto bene..."
Adrian mi interruppe: "Aspetta. Te l'ha detto?" Tra lo shock e la confusione, potei quasi percepire un po' di nervosismo nella sua voce.
Lo guardai con cautela, non del tutto disposto a rivelare che Rose si svegliava diverse notti alla settimana afflitta da incubi e ricordi terrificanti, ma ero anche curioso di sapere di cosa fosse a conoscenza. Era ovvio che pensasse che fossi all'oscuro di qualcosa di cui lui invece era al corrente. "Gli incubi?"
"Incubi?" La sua faccia si contrasse un po' prima di tornare al suo naturale stato di arrogante laissez-faire. "Beh, dannazione. Comunque, non stavo parlando dei suoi 'incubi' o comunque voglia chiamarli. Sono più preoccupato per l'oscurità."
Stavo cominciando a chiedermi se non avesse bevuto un po' più di quanto avessi pensato inizialmente, soprattutto perché le creature notturne non erano note per aver paura del buio, ma lo assecondai lo stesso. "L'oscurità?"
"Sì. La sua aura continua a diventare sempre più oscura. Penso che abbia qualcosa a che fare con il suo temperamento irascibile e il recente cambiamento di personalità."
Ora ero sicuro che fosse ubriaco. "La sua... aura. Lord Ivashkov, perché non la riaccompagno all'alloggio degli ospiti e ne parliamo domattina dopo che ha dormito un po'?"
Gli misi una mano sul braccio, pronto a guidarlo attraverso il campus, ma rimasi sorpreso quando se la scrollò di dosso. Arrivò persino al punto di avvicinarsi, colmando il divario in modo quasi intimidatorio se non fossi stato più alto di lui di diversi centimetri e non fossi stato fisicamente superiore per anni di allenamento.
"Non prendermi per il culo. Non hai dubitato di me quando Rose era rinchiusa in quel seminterrato, ma ora vuoi liquidarmi?"
Aveva ragione. Non mi ero mai chiesto dove o come Adrian avesse ottenuto le sue informazioni su Rose e gli altri a Spokane. Ero anche disperato però. Avrei seguito qualsiasi pista fossi riuscito ad ottenere, non importava la fonte o quanto folle sembrasse. "Mi dispiace. Ha ragione. E le devo i miei ringraziamenti per averci aiutato a trovarla." Quell'uomo poteva non piacermi, ma sapevo che Adrian era stato determinante nel localizzare gli studenti e che meritava un riconoscimento per questo. "Tuttavia, non ho mai saputo come sapessi dove trovarla."
"Non te l'ha mai detto? Sono un conoscitore dello Spirito."
"Ha menzionato il fatto che lei sia rimasto nel campus per studiare con la principessa Vasilisa, ma non sono ancora sicuro di come le sue capacità di guarigione siano state in grado di determinare la posizione di Rose."
"Wow. Non ti ha detto niente di me, vero?" Sembrava quasi divertito dalla mia confusione.
"Non parliamo di lei."
E così, il suo divertimento svanì. Cercai di non mostrare la mia soddisfazione, ma non era una bugia. Il massimo che Rose abbia mai menzionato su Adrian era il consueto rapido commento su quanto fosse fastidioso o su come avrebbe desiderato che la lasciasse in pace. Qualche minuto al sacco pesante o al ring, e di solito si dimenticava di quel pomposo reale.
"Mi sembra giusto. Non sono specializzato nella guarigione come Lissa. Tendo a lavorare su un livello più mentale che fisico. Riesco a leggere aure ed emozioni e posso camminare nei sogni." Le sue parole mi suonarono tutte piuttosto prive di senso, ma non si fermò abbastanza a lungo da permettermi di chiedere chiarimenti. "Rose ha un'aura che non ho mai visto prima. Le auree mutano e cambiano colore, ma la sua è cerchiata di nero dal momento in cui l'ho incontrata e sembra diventare sempre più scura."
Anche se non capivo esattamente cosa stesse dicendo, mi sentii assalire da un senso di terrore. Non riuscivo ad immaginare una situazione in cui un'aura oscura significasse qualcosa di piacevole. "Che cosa significa?"
Lui scosse la testa. "Vorrei tanto saperlo. Non ha senso per me e non ho mai visto niente di simile prima. Tutto quello che posso dirti è che più diventa scura, più Rose sembra squilibrata."
"Come ho detto, è solo stressata. Sono sicuro che starà bene. Ha solo bisogno di tempo." Non riuscivo a capire se stessi cercando di calmare le sue preoccupazioni o le mie.
"Ah sì? È per questo che ho dovuto strapparla via dalla Moroi Conta prima che la strangolasse oggi?"
"Che cosa?"
"Già. L'ho trovata vicino all'edificio accademico con la mano intorno alla gola della ragazza mentre un novizio arrogante cercava di dissuaderla. Sembrava quasi impazzita. Ha lasciato andare la poverina solo quando l'ho costretta a farlo."
Il mio shock si trasformò rapidamente in rabbia. Il pensiero che Adrian fosse in grado di controllare Rose, di influenzarla a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto, mi fece infuriare. "Hai usato la compulsione su Rose?"
"Ho fatto quello che dovevo." Rispose seccamente, imponente, e completamente fuori dal suo solito carattere. "Era per il suo bene."
Ci guardammo dall'alto in basso, entrambi nervosi ed entrambi testardi sull'accaduto. Fui io quello che alla fine cedette, rendendomi conto che se un guardiano o un insegnante l'avesse trovata in quella situazione, specialmente dopo l'udienza di quel pomeriggio, Rose sarebbe stata in guai tali che non avrei mai potuto salvarla. Non potevo dire di essere grato per l'intervento di Adrian, ma ero grato che l'avesse trovata lui piuttosto che qualcun altro.
"Cosa vuoi che faccia? Sei venuto qui per un motivo. Perché?"
"Onestamente, non lo so." Le sue spalle si abbassarono in segno di sconfitta mentre distoglieva lo sguardo. "Non dovresti essere tu l'eroe della storia? Quello che salva la situazione, prende la ragazza, cavalca verso il tramonto e ottiene il suo 'per sempre felici e contenti'..."
Alzai gli occhi al cielo, sapendo che il 'per sempre felici e contenti' era realistico quanto qualsiasi altra cosa in quelle stupide favole. Anche se era qualcosa per cui valeva la pena sperare, era troppo fuori portata per me o per qualsiasi altro guardiano.
Il silenzio si trascinò, finché Adrian non parlò di nuovo. "Non so cosa speravo che avresti fatto, ma le sta succedendo qualcosa. L'oscurità sta crescendo sempre di più e mi sta spaventando. Penso che stia iniziando a spaventare anche lei."
"Aspetta. Di cosa stai parlando? Come fai a saperlo?" L'espressione di pura preoccupazione sul suo viso attirò la mia attenzione quasi quanto le sue parole.
"Lei..." mi guardò esitante. "Mi ha solo detto alcune cose." Adrian non offrì nient'altro e la mia ansia si mescolò al fastidio. A quanto pare si sentiva abbastanza a suo agio da parlare con Adrian... perché avrebbe dovuto avere bisogno di me?
"Come ho già detto, ne ha passate tante. Probabilmente è solo..."
"Stressata. Lo so." Concluse, ovviamente stanco della rotta circolare che stava prendendo la nostra conversazione. "Sono sicuro che scoprire del processo Dashkov non ha reso le cose più facili a lei e agli altri."
"Gli altri? Adesso lo sanno anche Christian e Lissa?" Grandioso, qualcosa mi diceva che Alberta non me l'avrebbe fatta passare liscia così facilmente.
"Sì. Ha pensato che valesse la pena dirglielo, a differenza di altre persone." L'accusa era chiara. "L'hai saputo per tutto il tempo, vero?"
Il mio silenzio fu una risposta sufficiente.
"È incazzata, sai? Per essere stata lasciata in disparte. Lo sono tutti. Anche le loro voci meritano di essere ascoltate."
"Ci ho provato. Penso che dovrebbero testimoniare, ma non tutti sono d'accordo. La mia richiesta è stata respinta".
"E quindi? Tutto qui? Ti arrendi?"
"Cosa ti aspetti che faccia?" Risposi, la mia irritazione – più rivolta me stesso e alla mia incapacità che a lui – crebbe.
"Combatti per lei!" gridò, alzando le mani in segno di esasperazione. "Vale la pena lottare per lei. È quello che farei io. In effetti, è quello che farò. Se non combatterai per Rose, lo farò io, e che vinca l'uomo migliore."
Quando si voltò per andarsene, vidi un pericoloso luccichio nei suoi occhi. Un uomo con un obiettivo ben preciso di solito è qualcosa da ammirare ed elogiare. Tali uomini spostano montagne e diventano leggende. Tuttavia, quando l'obiettivo di quell'uomo è portarti via la donna che ami, specialmente quando ha i mezzi per farlo, allora diventava qualcosa da temere seriamente.
