Mi sedetti al solito posto. Banco posteriore, nell'angolo più lontano a sinistra delle porte principali della chiesa. Era un posto tranquillo, lontano dalle chiacchiere di altri studenti che erano più interessati alla socializzazione che alle Scritture, pur senza occupare i preziosi posti vicino all'altare per coloro che erano veri credenti.

Erano anni che non facevo la Comunione, da quando era morto Ivan. Anche se non mi sentivo indegno di partecipare a causa del mio contributo nella sua morte, c'era sempre stata una radice di dubbio che era cresciuta e aveva messo radici nella mia anima. Sono serio quando dico che volevo credere. Forse avevo paura di non credere. Sia nella paura che nella speranza, partecipavo ogni settimana come mia madre mi aveva insegnato in gioventù. Canticchiavo o cantavo gli inni sottovoce, ascoltavo il sermone e pregavo insieme agli altri nella congregazione. Seguivo il flusso, sperando che un giorno si sarebbe rivelato sufficiente.

Verso la fine del servizio, vidi i lunghi capelli biondi di Lissa alzarsi dal suo posto e camminare attraverso la navata per partecipare all'offerta della Comunione. Diversi altri si unirono a lei davanti al prete. Non mi sorprese che Rose rimanesse indietro, anche se Lissa portò un pezzo di pane benedetto sia per lei che per Christian che si era seduto all'altro lato della principessa. Poco dopo il rito, il servizio terminò e gli studenti iniziarono ad andarsene, praticamente fuggendo verso le altre attività della giornata. Notai che gli studenti Dhampir, in particolare, erano desiderosi di godersi il loro unico giorno di libertà. Tutti tranne uno.

Rose continuò a tenere il broncio nello stesso punto in cui l'avevo vista prima, ora sola. Senza dubbio anche Lissa e Christian erano usciti per godersi un po' della loro privacy. Rose non era mai stata una fanatica del concetto di pentimento e penitenza – non credo di averla mai vista partecipare effettivamente al servizio liturgico – e ora ne sembrava meno che entusiasta. Alberta mi aveva fatto sapere che il suo servizio alla comunità era previsto subito dopo la messa. Mi avvicinai lentamente a lei, facendola trasalire nel momento in cui la mia mano le toccò la spalla.

"E tu che ci fai qui?" chiese. C'era shock sul suo viso, ma anche un misto di emozioni che non riuscii a leggere bene.

"Ho pensato che ti servisse una mano. Ho sentito che il prete vuole fare grandi pulizie."

Mi guardò scettica. "Già, ma non sei tu quello che si è beccato la punizione. È anche il tuo giorno libero. Tutti quanti hanno avuto una settimana pesante, ma voi guardiani avete combattuto in continuazione." La sua attenzione si spostò dai miei occhi alla mia guancia destra, dove sapevo che c'era un piccolo livido guadagnato appena il giorno prima. Era uno dei tanti, ma probabilmente un infortunio minore rispetto a quelli che avrei dovuto affrontare nelle successive settimane.

Le sorrisi semplicemente, assaporando la sua tacita preoccupazione. "E cos'altro potrei fare oggi?"

"Potrei suggerirti almeno un centinaio di cose." Il suo viso rimase vuoto, il suo tono era secco, ma nei suoi occhi c'era una scintilla di malizia. "Magari c'è un film di John Wayne da qualche parte che non hai ancora visto."

"No, non c'è." Cercai di eguagliare il suo spirito, ma riuscivo a malapena a trattenere il mio sorriso. "Li ho visti tutti. Guarda, il prete ci sta aspettando."

Padre Andrew si era già cambiato, scambiando i suoi abiti da cerimonia con qualcosa di più pratico, e ora ci guardava in attesa. Mentre ci avvicinavamo a lui, potevo ancora vedere Rose che mi lanciava di tanto in tanto uno sguardo interrogativo.

"Grazie ad entrambi per esservi offerti volontari per aiutarmi." La voce di padre Andrew irruppe prima che potessi pensarci ulteriormente. "Oggi non faremo niente di troppo complicato. Anzi, diciamo pure che sarà alquanto noioso. A parte ovviamente le pulizie di routine, vorrei dare una sistemata a certi vecchi scatoloni conservati su in soffitta."

"Saremo lieti di fare tutto quello che serve." Il suo entusiasmo per il nostro aiuto era evidente e mi chiesi se fosse abituato a pulire tutto da solo, quando nei paraggi non c'erano una delinquente e il suo mentore malato d'amore costretti a farlo. Mia madre spesso ci chiedeva di aiutarci a pulire la cappella dopo la messa nella mia città natale, e forse avrei dovuto iniziare a prendere l'abitudine di offrire una mano anche qui, di tanto in tanto.

Mi porse uno straccio per spolverare, e mi misi al lavoro per lucidare ogni banco. Rose prese la scopa e il secchio. Lavorammo in silenzio. Era un lavoro ripetitivo, poco impegnativo, che offriva sempre una grande occasione di riflessione e meditazione. Era simile alla corsa, con cui ci si può concentrare così tanto che tutto il resto scompare. Tuttavia, per quanto cercassi di concentrarmi, non potei fare a meno di incontrare lo sguardo di Rose più e più volte.

Di tanto in tanto, si fermava, prendendosi un momento per guardarmi mentre lavoravo. Ogni volta, mi guardava con smarrimento e attendevo che quel sentimento si dissipasse lentamente prima di incrociare il suo sguardo e offrire un sorriso in cambio. Non durava mai a lungo però. Uno dei due distoglieva sempre lo sguardo appena qualche istante dopo, continuando a lavorare con vigore finché l'intero ciclo non si ripeteva cinque o dieci minuti più tardi.

Una volta terminate le pulizie, padre Andrew ci condusse in soffitta. Rabbrividii quando il ricordo di Lissa, che giaceva in una piccola pozza del suo stesso sangue, tornò a perseguitarmi. Mi chiesi se Rose vedesse la stessa cosa che vedevo io, ma basandomi sul suo sbuffo, ne dubitavo.

Ci vollero diversi viaggi, ma riuscimmo a spostare tutte le vecchie scatole di libri senza problemi o danni, e presto ci ritrovammo nel ripostiglio sul retro, dividendoli in pile da salvare o buttare via in base alle istruzioni di padre Andrew. Era così bello rilassarsi un po' dopo la lunga settimana. Ed era ancora meglio passare del tempo con Roza. Avrei preferito che ci fosse un po' più di privacy e un po' più di conversazione, ma non avevo intenzione di disdegnare neanche il più breve momento in sua compagnia.

La guardai distrattamente stirare i suoi muscoli stanchi, ricordandomi di non fissarla. Per carità, ero in compagnia di un prete. Per fortuna, lui non sembrò notare nulla di strano e nemmeno lei. Chiese educatamente a Rose delle sue lezioni e chiese persino come stesse la mia famiglia. Rimasi sorpreso che si ricordasse di loro, anche perché ne avevamo parlato solo una volta appena dopo il mio trasferimento all'Accademia. La conversazione continuò piacevolmente nell'ora successiva mentre lavoravamo, ma come da sua natura, Rose ci sorprese.

"Senta, lei crede nei fantasmi?" Sia padre Andrew che io ci bloccammo davanti alla sua domanda prima che continuasse. "Voglio dire, c'è qualche menzione di loro in... in questa roba?"

La risatina bonaria del prete soffocò il mio gentile rimprovero. "Beh...dipende da cosa intendi per 'fantasma', suppongo."

Rose sfiorò con le dita un vecchio libro di teologia. "Il punto è che quando si muore, si va in paradiso o all'inferno. Quindi i fantasmi sono solo storie, giusto?" Non potei fare a meno di notare che si rifiutò intenzionalmente di guardare uno di noi due. "Non sono nella Bibbia."

"Anche in questo caso, dipende dalla tua definizione." Padre Andrew mise da parte la pila di libri che stava spulciando e offrì a Rose tutta la sua attenzione. "La nostra fede ha sempre sostenuto che dopo la morte, lo spirito si separa dal corpo e può effettivamente trattenersi in questo mondo".

"Cosa?" Il tonfo sordo di una ciotola di legno che colpiva il pavimento echeggiò sulle pareti. Rose la teneva in mano solo pochi istanti prima, ma ora rotolava per terra sotto le sue mani e la sua espressione ansiosa. Si affrettò a raccoglierla prima di continuare ad interrogare disperatamente il prete. "Per quanto tempo? Per sempre?"

Il modo in cui restò in attesa della sua risposta mi sorprese. Rose tendeva a dire quello che pensava, e di tanto in tanto questo significava che vagava a caso da un argomento all'altro, ma mi sembrava che questo non fosse solo il frutto della sua curiosità. Sembrava quasi che avesse bisogno di sapere.

"No, no, certo che no. Questo andrebbe contro i concetti di risurrezione e salvezza, che costituiscono le pietre miliari del nostro credo. Ma si ritiene che l'anima possa restare sulla terra da tre a quaranta giorni dopo la morte. Alla fine riceve un giudizio 'temporaneo' che da questo mondo la manda in paradiso o all'inferno, anche se nessuna delle due esperienze verrà sperimentata veramente fino al Giorno del Giudizio Universale, quando il corpo e l'anima si riuniranno per vivere l'eternità come una cosa sola."

"Sì, ma è vero o no? Gli spiriti vagano davvero sulla terra per quaranta giorni dopo la morte?"

"Ah, Rose... coloro che hanno bisogno di chiedere se la fede è vera aprono una discussione per la quale potrebbero non essere pronti."

Rose sospirò, annuendo in un piccolo gesto di assenso forse venato anche di delusione.

"Ma, se può esserti d'aiuto" disse gentilmente il prete, "sappi che alcune di queste idee trovano rispondenza in certe credenze popolari dell'Europa orientale riguardo ai fantasmi, che esistevano prima della diffusione del Cristianesimo. Tradizioni secondo cui gli spiriti restano sulla terra per un breve periodo dopo la morte… specie se la persona in questione è morta giovane o in modo violento."

E in un attimo, la mia mente schizzò al punto in cui la sua era stata sicuramente imprigionata per tutto quel tempo. Mason. Era morto solo poche settimane prima. Non potevo immaginare che fossero passati già quaranta giorni. E se la morte di qualcuno poteva essere considerata prematura o violenta, era proprio quella del suo amico ed ammiratore.

Era naturale che fosse ancora preoccupata per la sua morte. Vi aveva assistito in prima persona. Nonostante avessi cercato di convincerla del contrario, sapevo che in parte incolpava ancora sé stessa. Era così strano che lei si preoccupasse di cosa sarebbe potuto succedere a lui dopo la sua breve vita? Sentii una punta di fastidio per il fatto che ancora una volta mi avesse nascosto le sue preoccupazioni, ma me ne liberai rapidamente. Non ero certo un'autorità sull'aldilà. Il mio unico ruolo nel comprendere la morte era inviare creature senz'anima a qualunque cosa ci aspettasse dall'altra parte.

La sua voce, debole e cauta, spezzò la crescente tensione. "Perché? Perché dovrebbero restare? È... è per vendicarsi?"

Il prete lanciò un'occhiata veloce nella mia direzione, inviando un silenzioso messaggio interrogativo pieno di preoccupazione. "Sono certo che alcuni credono sia questo il motivo, proprio come altri ritengono che sia perché l'anima non riesce a darsi pace dopo un evento così sconvolgente."

"E lei cosa crede?"

Padre Andrew ci pensò un attimo e sorrise. Non era per gioia, ma per conforto. "Io credo che l'anima si separa dal corpo, proprio come i nostri padri ci hanno insegnato, ma dubito che il tempo che l'anima passa sulla terra sia qualcosa che gli esseri viventi possano percepire. Non è come nei film, con le case infestate o le apparizioni alle persone che conoscevano. Io immagino questi spiriti più come una forma di energia che ci circonda, qualcosa che va al di là della nostra percezione, mentre aspettano di andare avanti e trovare pace. In ultima analisi, ciò che conta è quello che succede dopo la vita terrena, quando guadagneremo la vita eterna che il nostro Salvatore ci ha donato con il suo estremo sacrificio. Questo è l'importante."

Dal modo in cui Rose si morse le labbra, non riuscii a capire se stesse considerando le sue parole, o se stesse pensando di discutere con la sua logica. Alla fine rimase in silenzio. Non guardò nessuno di noi, raccolse lentamente l'ennesimo tomo impolverato e lo mise nella pila appropriata.

Dopo qualche momento, il prete cercò di persuaderla a riguadagnare un po' del suo precedente umore gioviale. "Ho appena ricevuto dei nuovi libri da un amico di un'altra parrocchia. Storie interessanti su San Vladimir. Sei ancora interessata a lui? E ad Anna?"

So che Rose aveva già parlato in precedenza di san Vladimir e della sua guardiana, Anna. Aveva studiato attentamente la coppia all'inizio dell'anno, e alla fine le sue scoperte avevano chiarito il legame tra lei e Lissa. San Vladimir era un conoscitore dello Spirito, anche se le testimonianze su lui e le sue capacità erano state mascherate dal tempo e dal linguaggio. Su Anna, la sua compagna nel legame, come Rose lo era per Lissa, c'erano ancor meno testimonianze scritte. Conoscere Anna era come conoscere sé stessa in qualche modo, e non era una sorpresa che avesse cercato tutte le informazioni che poteva su di lei. Quindi, mi sorprese davvero quando la sua risposta fu tutt'altro che entusiasta.

"Sì, mi interessa… ma non credo di potermici dedicare al momento. Sono molto impegnata con tutto questo" agitò vagamente la mano libera accanto alla testa "sa… l'esperienza sul campo e il resto.»

E quello fu tutto. La nostra conversazione si riprese gradualmente nella mezz'ora successiva, sebbene Rose offrisse solo risposte di una sola sillaba e solo quando le veniva posta direttamente una domanda. Per il resto, il padre ed io parlammo della vecchia cappella nella mia città natale e di alcuni degli eventi che organizzava per la comunità durante tutto l'anno. Padre Andrew, che aveva trascorso un anno a Tula, a qualche migliaio di chilometri dalla casa della mia famiglia, raccontò bei ricordi della Maslenitsa. Fuori dei confini della Russia, dovevo ancora vedere qualcosa di paragonabile a quel colorato festival della durata di una settimana che precedeva la Quaresima, anche se il Mardi Gras potrebbe essere considerato simile, immagino. Era caratterizzato da colori, danze, banchetti e ogni sorta di strane tradizioni. Lui parlò del falò annuale dell'effigie della Signora Maslenitsa vestita in abiti femminili di stracci o di paglia con cui si dà l'addio all'inverno, e io raccontai delle gare di slittino per le quali molti dei bambini si allenavano tutto l'inverno. Ma più di tutto, parlammo delle tante, tante frittelle che venivano consumate in soli sette giorni. Se c'era un aspetto di quella festa di cui mia madre era orgogliosa, era il suo contributo di blinis ripieni di formaggio.

Rose, che di solito si accendeva ogni volta che offrivo un pezzo del mio passato, rimase curiosamente silenziosa per tutto il tempo. Sembrava persa nella sua mente, meditando su pensieri che si rifiutava di condividere con me. Laddove il giorno prima ero infastidito e quasi arrabbiato per la sua mancanza di apertura, in quel momento ero più preoccupato che altro.

Alla fine, finimmo di riordinare i libri e padre Andrew ci disse che c'era un ultimo compito prima di terminare.

"Ho bisogno che portiate questi al campus della scuola elementare" disse, indicando quattro delle scatole che avevamo appena organizzato, due grandi e due più piccole. Se ricordavo bene, erano pieni di Bibbie illustrate e altro materiale per bambini. Molti libri erano vecchi e considerati obsoleti, ma in ogni caso, non è che la Bibbia fosse cambiata molto di recente. "Lasciateli pure nel dormitorio dei Moroi. La signora Davis fa scuola domenicale per alcuni bambini dell'asilo e potrebbe trovarli utili."

Rose prese automaticamente la scatola più grande e pesante, ma io gliela tolsi velocemente di mano. Mi lanciò uno sguardo torvo per quell'azione, ma non protestò mentre prendeva la seconda più grande della pila. Nessuno di noi riusciva a portare altro, quindi a quanto pareva ci sarebbero voluti due viaggi per portare a termine il lavoro.

Rimase in silenzio mentre lasciavamo la cappella e percorrevamo la lunga distanza fino al campus elementare. A metà strada non ne potei più. In genere, non mi dispiacevano i momenti tranquilli tra Rose e me. Erano spesso sereni e pacifici. Non avevano bisogno di parole che riempissero lo spazio. Tuttavia, in quel momento, qualsiasi sensazione di pace mi aspettassi era in realtà mascherata dall'ansia.

"Perché ti interessano i fantasmi?" Cercai di mantenere il mio tono leggero.

"Così, tanto per fare conversazione."

"Non riesco a vedere la tua faccia in questo momento" grazie a una scatola che curiosamente sembrava in qualche modo diventare più pesante ad ogni passo, "ma ho la netta sensazione che tu stia mentendo di nuovo".

Potevo praticamente sentire i suoi occhi roteare alla mia accusa. "E che cavolo, ultimamente tutti pensano sempre il peggio di me. Stan mi ha accusato di essere un'egoista in cerca di gloria."

"L'ho sentito dire." Avevo fatto del mio meglio per non rivangare il conflitto tra loro, ma se lei era disposta a condividere, non avrei rifiutato quell'opportunità. "È stato un po' ingiusto da parte sua."

"Un po', eh?" Il mio cuore sussultò sentendo il sorriso nella sua voce, ma svanì non appena arrivato. "Beh, grazie, ma sto iniziando a perdere fiducia in questa esperienza sul campo. E a volte nell'Accademia in generale."

"Non dici sul serio." L'Accademia l'aveva istruita, persino cresciuta. Era a tutti gli effetti la sua casa.

"Non lo so. A volte la scuola mi pare troppo ingessata in regole e politiche che non hanno niente a che fare con la vita reale. Ho visto cosa c'è là fuori, compagno. Sono entrata dritta nella tana del mostro." Il modo in cui lo disse era pieno di rimorso, non di vanto. "Sotto certi aspetti… dubito che la scuola ci prepari in maniera adeguata."

"Per certi versi... sono d'accordo." Credo che la mia ammissione ci abbia sorpreso entrambi.

Il piede di Rose inciampò sull'ultimo gradino dei dormitori dei bambini Moroi, per fortuna spostò l'equilibrio appena in tempo per evitare che lei e la scatola si rovesciassero. "Sul serio?"

"Sul serio" confermai. "Voglio dire, non che i novizi debbano essere spediti nel mondo quando hanno dieci anni o giù di lì, ma a volte penso che la pratica dovrebbe svolgersi effettivamente sul campo. Probabilmente ho imparato più nel mio primo anno come guardiano che in tutti gli anni di addestramento." La mia mente ripercorse tutto quello che era successo quel primo anno, dalla mia prima uccisione alla prima volta che avevo pensato che sarei morto. No... quello non fu sul campo, quello era stato tra le quattro mura della casa della mia infanzia. "Be'… magari non tutti. Ma è una situazione completamente diversa."

Sono contento che la mia ammissione sembrò tendere un ponte sulla distanza che avevo sentito tra noi per tutto il giorno. Sembrò quasi grata per il mio tranquillo sostegno. Sfortunatamente, quello non era il momento di parlare dell'utilità dell'esperienza sul campo. Rose aggiustò ancora una volta il peso dello scatolone tra le braccia e io controllai l'atrio alla ricerca di un adulto. Tutto quello che vidi era un gruppo di giovani adolescenti.

"Oh. Siamo nel dormitorio delle medie. I bambini più piccoli sono alla porta accanto."

"Sì, ma la signora Davis abita qui. Vado a cercarla e vedere dove vuole questi." Posai la mia scatola su una delle panche vicino all'ingresso e Rose seguì l'esempio. "Torno subito."

Si sistemò contro il muro mentre mi avviavo verso le scale. Alisa Davis era una dei pochi altri nativi russi alla San Vladimir. Era cresciuta a San Pietroburgo e aveva incontrato suo marito a Corte. Lui morì pochi anni dopo il loro matrimonio e invece di tornare nel posto che conosceva una volta, Alisa si trasferì all'Accademia. Ora insegnava russo al campus elementare, attratta dai piccoli bambini che non avrebbe mai chiamato suoi.

In modo simile, ero stato attratto da lei quando mi ero trasferito qui per la prima volta. Mi ricordava mia madre, e di tanto in tanto passavamo una serata gustando piatti familiari e conversazioni familiari sulla nostra terra natale. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che ero venuto a trovarla, però.

"Mitya!" Spalancò la porta al primo colpo. La signora Davis aveva richiesto di essere una delle sorveglianti dei dormitori e il suo appartamento si trovava alla fine del corridoio.

"Tyotya" risposi con un sorriso. Alisa mi aveva chiesto di chiamarla zia la prima volta che ci siamo incontrati e sicuramente era stata all'altezza del titolo. "Come stai?"

"Meravigliosamente, mio caro ragazzo. Anche se è passato troppo tempo dall'ultima volta che ti ho visto. Cos'è che ti ha tenuto lontano? Ti sei finalmente trovato una signora?"

Feci una piccola risata. Zia Alisa era ancora più preoccupata della mia vita amorosa (o della sua mancanza) di mia madre e delle mie sorelle. "Sì, ma non nel modo in cui evidentemente speravi. Sono stato impegnato a istruire una studentessa. Rosemarie Hathaway."

I suoi occhi si illuminarono a quel nome e mi ci volle un momento per rendermi conto che la signora Davis era qui da anni, ovviamente a un certo punto si era imbattuta in Roza. "Oh, quella ragazza è un tesoro. E anche molto carina." Alzò un sopracciglio verso di me, suggerendo qualcosa che era stato ovvio per me fin dall'inizio, anche se difficilmente avrei rivelato quel piccolo segreto.

"Comunque, Roza e io abbiamo portato alcune scatole da parte di padre Andrew. Ha pensato che potresti usarle nelle tue classi della scuola domenicale. Volevo solo sapere dove vorresti che le mettessi."

"Oh, lasciale pure alla reception, andrà benissimo. Padre Andrew è stato così gentile ad aiutarmi con i piccoli. Quando avrai dei bambini, Mitya? Sei così bravo con loro."

Una volta. L'ho aiutata con la sua classe una sola volta... "Grazie, zia. Ti lascio le scatole dove hai detto."

"Preparo i pel'meni questo fine settimana. Dovresti venire a pranzo. Porta anche Rose con te. Mi piacerebbe rivedere anche lei". Si allungò, dandomi una pacca affettuosa sulla spalla.

Iniziai a dirigermi verso la porta, sapendo che non potevo prometterle di accettare l'offerta quando in quel momento ero praticamente soffocato di impegni per l'esperienza sul campo. "Vedrò cosa posso fare. Anche i tuoi pirozhki mi mancano."

"Sei un bravo ragazzo, Mitya. Ci vediamo presto. Do svidaniya!"

"Do svidaniya."

Scesi le scale, due alla volta, e vidi Rose che parlava con una ragazzina che sembrava quasi saltare sulle punte dei piedi. Rose pareva leggermente a disagio. Non appena entrai nel suo campo visivo, il suo comportamento cambiò.

"Hey!" I suoi occhi mi guardarono quasi imploranti. "C'è qualcuno che vuole conoscerti. Dimitri, questa è Jill. Jill, Dimitri."

Ero sorpreso che, tra tutte le persone, un giovane studente Moroi fosse interessato a incontrarmi, ma sorrisi e allungai la mano.

Jill la prese con esitazione, il suo viso completamente rosso, e per un attimo mi chiesi se avesse paura di me. Non sarebbe stata la prima volta che qualcuno si sentiva intimidito. Cercai di metterla a suo agio. "Ciao Jill, come stai?"

"Bene" squittì. "Io... devo andare. Ciao." Girò sui tacchi e praticamente schizzò fuori dalla porta.

Rose accolse il mio sguardo interrogativo con un'alzata di spalle prima che spostassimo le scatole dietro la reception e tornassimo a dirigerci verso la cappella.

"Jill sapeva chi sono." Rose sembrava stupita che la sua reputazione l'avesse preceduta. "Aveva un atteggiamento tipo venerazione, come se fossi un'eroina."

"Ti sorprende? Che gli studenti più giovani ti ammirino?" Nonostante le sue buffonate più selvagge, Rose aveva davvero delle qualità molto ammirevoli. Non sarei stato sorpreso di sapere che molti studenti la ammiravano.

"Non lo so" scosse la testa, "è solo che non ci ho mai pensato. Non credo di essere esattamente un modello da imitare."

"Non sono d'accordo. Sei brillante, ti impegni al massimo e riesci in tutto quello che fai. Ti sei guadagnata più rispetto di quanto pensi."

Mi guardò incredula. "Già, ma non abbastanza per andare al processo di Victor, a quanto pare."

So che non avrei dovuto essere sorpreso, ma rimasi un po' deluso. "Ancora!"

Si mise davanti a me, bloccandomi la strada e forzando la conversazione. "Sì, ancora! Perché non capisci quant'è importante? Victor è una minaccia enorme."

"Lo so" sibilai di rimando. Non aveva capito che avevo fatto tutto quello che potevo? Volevo vederlo rinchiuso tanto quanto chiunque altro. Non sopportavo l'idea che lui le facesse del male, o che lo facesse a Lissa.

"E se torna in libertà, ricomincerà con i suoi folli piani."

Potevo vedere quella preoccupazione e quella paura sopraffarla di nuovo così, per quanto fosse difficile, presi un respiro e cercai di reprimere la mia frustrazione. "È davvero molto improbabile che torni libero, lo sai. La maggior parte delle chiacchiere secondo cui la Regina potrebbe rilasciarlo sono, appunto, chiacchiere. Proprio tu, fra tutti, dovresti sapere che non si deve credere a tutto quello che si sente in giro."

Immediatamente, iniziò a mordicchiarsi il labbro inferiore, evitando di proposito di guardarmi. "Comunque dovreste farci venire. Oppure..." sospirò e alla fine alzò lo sguardo, "... lasciare almeno che venga Lissa."

Capivo quanto fosse difficile per lei dirlo, ma quando arrivava il momento critico, faceva sempre ciò che era nel migliore interesse di Lissa. O almeno, avrebbe sempre fatto quello che pensava fosse nel migliore interesse di Lissa, e in quel momento, ciò significava mandare Lissa a lasciare la sua testimonianza e consolidare la sentenza di Victor anche se lei non poteva aggiungere la propria. Tuttavia, rimasi un po' sorpreso dal fatto che fosse disposta a lasciare che la Principessa si allontanasse dalla sua vista per un solo momento, anche se io sarei stato lì a proteggerla.

"Hai ragione, lei dovrebbe essere presente, ma ti ripeto che non posso farci niente." Avevo bisogno che lo capisse. "Continui a pensare che io abbia voce in capitolo, ma non è così." Ammetterlo era doloroso per me quasi quanto sapevo sarebbe stato per Rose sacrificare la propria opportunità di rinchiudere Victor per sempre.

"Ma hai fatto tutto il possibile?" Praticamente mi stava implorando, e mi faceva male essere una tale delusione per lei. "Hai molta influenza. Dev'esserci qualcosa. Qualsiasi cosa."

"Non tanta influenza quanto pensi." Mi morsi la lingua, vergognandomi di non essere all'altezza dell'uomo che lei credeva che fossi. "Godo di un certo prestigio qui all'Accademia, ma nel resto del mondo dei guardiani, sono ancora piuttosto giovane. E sì, ho già parlato in vostro favore."

Vidi i suoi occhi allontanarsi da me, mentre lasciava uscire le sue parole in uno sbuffo d'aria fredda e pungente. "Forse avresti dovuto parlare più forte."

La mia mascella si tese e cercai di ignorare l'impulso di difendermi o di arrabbiarmi. Forse aveva ragione. Forse c'era qualcos'altro che avrei dovuto dire, qualcos'altro che avrei dovuto fare. Forse c'era qualcun altro con cui avrei dovuto parlare.

Camminammo ancora un po' in un silenzio inquieto, la caratteristica croce della cappella che si avvicinava sempre di più a ogni passo. Rose concentrata sulla sua rabbia nei miei confronti, io sul disprezzo per me stesso.

"Victor sa di noi." La sua preoccupazione nascosta fu pronunciata quasi senza rumore. Anche se eravamo soli, dubitavo che qualcuno avrebbe potuto sentirla a meno che non fosse stato proprio accanto a noi. Io stesso l'avevo sentita a malapena. "Potrebbe raccontare qualcosa."

Il pensiero non mi era proprio passato per la mente. Sì, sapevo che Victor aveva scoperto i sentimenti nascosti tra me e Rose, sfruttandoli a suo vantaggio la notte in cui aveva cercato di rapire Lissa. Tuttavia, non poteva provare nulla di nefando tra me e la mia studentessa. Avevo coperto ogni traccia della nostra quasi infrazione ed ero stato attento a ridurre al minimo tutto il resto. Non avrebbe avuto alcuna prova... giusto? Che cosa gli importava nel grande schema delle cose, comunque?

"In questo processo Victor ha ben altre preoccupazioni, che non noi due."

"Già, ma sai com'è fatto. Non si comporta esattamente come una persona normale" offrì lei con uno sguardo di sbieco, piena di preoccupazione. "Se pensasse di non avere più nessuna speranza di tornare in libertà, potrebbe spifferare tutto solo per il gusto di vendicarsi."

Forse questo era un motivo in più per Rose per non essere presente al processo. Non volevo metterla nella posizione di mentire sotto giuramento su quella notte. Se Victor avesse presentato in qualche modo prove della nostra relazione, allora non volevo davvero che fosse testimone delle conseguenze di ciò che sarebbe potuto accadere. Avrebbe sicuramente comportato una macchia sulla sua reputazione, ma nel complesso sarebbe stata al sicuro. Tuttavia, non volevo che mi vedesse finire in prigione. Non volevo che li combattesse se mi avessero arrestato...

"In quel caso, dovremo affrontare la questione meglio che potremo. Ma se Victor ha intenzione di dirlo, lo farà a prescindere dalla tua testimonianza al processo."

Rose rimase in silenzio per il resto del tragitto. La sua postura era tesa, ma non riuscivo a capire se fosse a causa della preoccupazione o della frustrazione. La cosa certa era che quel pomeriggio non era andato così bene come avevo sperato.

Rose afferrò l'ultima piccola scatola, l'altra fu portata nel ripostiglio da padre Andrew dopo che decise di tenere quei libri qui, per il momento. "Ci penso io. Non c'è bisogno che venga anche tu." Ancora una volta, si rifiutava ostinatamente di guardarmi e arrivò persino al punto di provare a girarmi intorno.

"Rose, per favore, non farne una questione di stato."

"E invece è un grosso problema!" scattò. "E sembra che tu non lo capisca."

"Io lo capisco" ribattei, mimando quasi perfettamente il suo tono. "Credi davvero che voglia vedere Victor libero? Pensi che voglia vederci di nuovo tutti minacciati?" Non ero arrabbiato con lei, non proprio. Potevo essere frustrato dal fatto che lei continuasse a sollevare quell'argomento, ma l'unica persona con cui ero arrabbiato ero io. "Ma te l'ho detto, ho fatto tutto il possibile. Non sono come te, non posso sempre fare una scenata quando le cose non vanno come voglio."

"Non lo faccio."

"Lo stai facendo proprio ora."

Sapeva che avevo ragione, ma Rose non si arrese facilmente.

"Perché sei venuto ad aiutarmi oggi? Perché sei qui?"

L'accusa di Rose bruciò. "Ti sembra così strano?"

"Sì. Voglio dire, stai cercando di spiarmi? Di capire perché ho sbagliato? Assicurarti che non mi metta nei guai?"

Il coltello si contorceva nel mio cuore mentre lei vomitava tutte le presunte ragioni che avrei potuto avere per essere lì, nessuna di esse contemplava l'idea di voler passare del tempo con lei. "Perché deve esserci qualche secondo fine?"

Esitò, come se si chiedesse 'E se forse…?' ma la sfiducia vinse. "Perché tutti hanno dei motivi."

"Sì. Ma non sempre i motivi che pensi tu." Colsi l'occasione per allungare una mano e sistemarle una ciocca di capelli errante dietro l'orecchio. Era sempre fuori posto, andava per fatti suoi sia che Rose portasse i capelli sciolti a scuola o legati per l'allenamento. Non potei fare a meno di studiarla, chiedendomi quale peccato avessi commesso per renderla così diffidente nei miei confronti di recente, ma alla fine non aveva importanza. Così aprii la porta, lasciandola a finire il lavoro da sola. "Ci vediamo."

Lei non salutò.