Il ritorno fu lungo e silenzioso. Tutto era ricoperto di cristalli di ghiaccio ed il paesaggio era in effetti piuttosto bello, ma era difficile concentrarsi su qualcosa che non fosse la possibilità che Victor l'indomani parlasse. Strinsi e aprii il pugno in un futile sforzo di alleviare lo stress, ma fu inutile.
"Stai bene?" la voce di Rose era esitante e non dubitavo che stesse captando la mia tensione.
"Sì." La risposta fu automatica, anche se non avrebbe potuto essere più lontana dalla verità. Ovviamente Rose non ci cascò.
"Sei sicuro?"
"Bene per quanto possibile." Sapevo di essere freddo quasi quanto l'aria intorno a noi, ma stavo facendo fatica a capire se avessimo effettivamente ottenuto qualcosa facendo visita a Victor. L'unica cosa che potevo dire con certezza era che ero molto più preoccupato e incazzato di prima.
Dopo qualche istante, fece una domanda che speravo davvero non facesse.
"Pensi che dirà a tutti di noi?"
"No." Era una bugia. Ero abbastanza certo che l'avrebbe fatto. Onestamente, avrei dovuto accettare che lo avrebbe fatto sin da quando mi aveva mostrato quella stupida nota. Cosa pensavo sarebbe successo? Non avevamo niente che lui volesse; niente con cui contrattare, nessuna informazione con cui potessimo corromperlo. Non potevamo di certo chiedergli gentilmente di riconsiderare le sue intenzioni. Nemmeno supplicare avrebbe funzionato, anche se penso che probabilmente lo avrebbe divertito vedermi in ginocchio. L'unico potere che avevo era una vaga minaccia che ero abbastanza certo che avesse compreso bene.
Non potevo dirlo a Rose. Sapevo che già prima era agitata all'idea che venissimo smascherati. Dirle che ora era quasi una certezza non avrebbe fatto altro che farle perdere il sonno quella notte. Sapevo già che io sarei stato esausto la mattina successiva.
"Dicevi sul serio..." la sua voce era appena un sussurro, quasi confusa col vento, "che se Victor avesse detto... che tu l'avresti..."
Ucciso. Non lo disse, ma la sua domanda era ovvia. Ero disposto a uccidere Victor? Ero addestrato ad uccidere – e l'avevo già fatto - ma ero un omicida?
"Non ho molta influenza ai piani alti dei reali Moroi, ma ne ho molta tra i guardiani che fanno il lavoro sporco nel nostro mondo."
Logisticamente, sarebbe stato possibile. Avevo le connessioni giuste. Conoscevo persone a Butyrka, Tarasov e Oryol. Probabilmente avrei anche potuto convincerli a farlo. Non sarebbe stata la prima volta che un detenuto veniva ucciso di nascosto per un bene superiore. Tuttavia, non avevo mai personalmente sostenuto la teoria che i guardiani fungessero da giudice e giuria. Eravamo protettori, non carnefici...
"Non hai risposto alla domanda. Se lo faresti davvero." Si mise di fronte a me, costringendomi a fermarmi e ad affrontare sia lei che la sua domanda.
Ero un guardiano. Ero un protettore. Avrei dato la vita per il mio Moroi... ma avrei ucciso per la mia Roza.
"Farei molte cose per proteggerti, Roza."
Distolse lo sguardo, con un sorriso teso dovuto più alla sua comprensione che a reale approvazione. Il suo petto si sollevò con un profondo sospiro. "Non sarebbe esattamente proteggermi. Sarebbe dopo il danno. A sangue freddo. Tu non fai quel genere di cose." I suoi occhi incontrarono di nuovo i miei con un luccichio mesto. "La vendetta è più nel mio stile. Dovrei ucciderlo io."
Non diceva sul serio. Sapevo che non era così. Tuttavia, non potevo sopportare di sentirglielo dire. La afferrai per le spalle, piegandomi leggermente per assicurarmi che fosse concentrata su di me. "Non dire queste cose!"
Sobbalzò leggermente al mio tono, ovviamente non aspettandosi una reazione del genere. Cercai di salvare il momento stringendole dolcemente le braccia e spazzolando via un filo vagante dal suo cappotto. "E comunque, non importa. Victor non dirà niente."
Annuì con la testa, accettando in pieno le parole semplicemente perché le avevo dette io. Alla fine la lasciai andare, lasciando che le mie mani le accarezzassero le braccia in modo da poterla toccare il più a lungo possibile prima di tornare in albergo. Il resto del cammino fu silenzioso, il che per me andava bene. Non volevo mentirle più.
Decisi di prendere le scale, avevo bisogno di dissipare un po' della mia energia nervosa prima di ritirarmi nella stanza per la notte. Se Rose aveva notato qualcos'altro che non andava, non ne fece parola e optò per l'ascensore.
Salii i gradini lentamente. Era quasi imbarazzante salirne uno alla volta quando potevo facilmente farne due, quasi come se fosse una prova della mia pazienza. Non che non fossi sottoposto ad abbastanza test di quel tipo al momento. Tuttavia immagino che ci fosse un lato positivo nel sapere di poter superare quella prova.
Sessantaquattro. Ecco quanti gradini contai. Potrebbero sembrare sufficienti per calmarmi, ma non ebbi quella fortuna. Sentii una voce femminile acuta mentre passavo davanti alla stanza di Rose. La voce di Lissa. Non riuscivo a sentire Rose, ma c'era un po' di conforto nel sapere che non era sola in quel momento. Era talmente preoccupata per Lissa che sapevo che non le avrebbe detto niente del nostro incontro di oggi, e Lissa era sempre brava a risollevare Rose.
La mia stanza era silenziosa. Vuota. Buia. Accendere la luce risolse solo uno di questi problemi. Il letto che solo poche ore prima sembrava così grande e invitante, ora appariva solo freddo e solitario. Accesi la televisione, sperando che il suono delle chiacchiere potesse indurre il mio cervello a pensare che ci fosse una qualche forma di compagnia con me, ma era solo un'illusione. Ho quasi riavviato la macchina del caffè, ma sapevo di avere fame e la caffeina non avrebbe risolto il problema, quindi afferrai invece la brochure del servizio in camera.
Qualunque cosa il nostro gruppo avesse in programma per la cena, ormai era finita da un pezzo. Mi sentii quasi dispiaciuto mentre guardavo le opzioni a mia disposizione in quel momento, perché sicuramente qualunque cosa fosse stata servita agli altri, doveva essere migliore di un sandwich con bacon e lattuga, della "minestra del giorno" o di un hamburger. Alla fine decisi di puntare sul pollo e di fare l'ordine. Mi ricordai per un attimo che se io avevo saltato la cena, lo aveva fatto anche Rose, e mi chiesi se fosse il caso di assicurarmi che mangiasse qualcosa, o magari invitarla da me. Potevano consegnare qui entrambi gli ordini.
Ma chi volevo prendere in giro? Rose non dimenticava mai un pasto e avevo visto anche la pizza sull'opuscolo. Probabilmente si era fatta spedire una o due fette di pizza salame e formaggio prima ancora che io trovassi il menu, e l'aveva completata con un brownie al cioccolato per buona misura. Se Lissa non fosse riuscita a tirarla su di morale, sicuramente lo avrebbe fatto il suo pasto preferito.
Bussarono alla porta e dovetti ammettere che il rapidissimo servizio dell'hotel aveva più che compensato la loro scarsa offerta di pietanze. Frugai nel portafoglio in cerca di qualche banconota mentre aprivo la porta, ma non c'era un cameriere ad aspettarmi dall'altra parte. Era Alberta.
"Ti sei perso la cena, guardiano Belikov." Non sembrava molto soddisfatta né nel tono né nell'aspetto.
"Le mie scuse, Guardiano Petrov. Avevo degli affari di cui occuparmi." Rimasi sul vago, sapendo che non potevo dirle dove mi trovavo in realtà.
"E Rose? Era scomparsa anche lei."
Mi morsi la lingua, sapendo quanto la situazione sembrasse equivoca. "Sì, Rose era con me."
"Dimitri" sospirò, come se avesse davvero sperato che il fatto che sia io che Rose eravamo assenti a cena fosse solo una pura coincidenza. "Non puoi..."
"Giuro che è stato strettamente professionale" la interruppi, sperando di placare le sue paure peggiori prima che le passassero per la mente.
Le sue sopracciglia si alzarono leggermente. "Addestramento?"
Annuii. Non era completamente falso. Rose aveva bisogno di imparare a trattare con criminali e detenuti prima o poi, soprattutto perché i guardiani spesso svolgevano il doppio compito di pubblici ufficiali, quindi la visita a Victor poteva rientrare in una qualche forma di lezione. "Abbiamo perso la cognizione del tempo, ma ora è tornata nella sua stanza. Sono sicuro che abbia già provveduto a procurarsi la cena e sembra che anche la mia sia qui."
Un giovane cameriere portava un piatto coperto su un vassoio, si era fermato accanto ad Alberta e sembrava più interessato alla nostra conversazione interrotta che alla consegna del cibo. Mi feci da parte, permettendogli di appoggiare il vassoio sul tavolino prima di porgergli un paio di banconote. Diede un'ultima occhiata al guardiano Petrov, fermandosi di nuovo sulla soglia, prima di tornare verso gli ascensori.
Alberta era rimasta in silenzio per tutto il tempo in cui stava facendo il suo lavoro, ma appena il ragazzo non fu più a portata d'orecchio e di vista, mi fissò ancora una volta con il suo sguardo torvo. "D'ora in poi mi terrai informata di qualsiasi sessione di allenamento estemporanea, ok? Non siamo all'Accademia, ma questo non significa che non stiate ancora camminando su un terreno scivoloso. Un solo passo falso e non sarò in grado di proteggerti. Hai capito?"
Nonostante la fermezza delle sue parole, potevo vedere le crepe della preoccupazione incrinarsi intorno ai bordi. Alberta voleva bene a Rose e rispettava me. Sapevo che non voleva che succedesse alcunché a nessuno dei due. Odiavo sapere che la mattina successiva molto probabilmente quelle paure sarebbero state portate alla luce.
Tuttavia, non sarebbe servito a nulla coinvolgere un'altra persona in quel pasticcio, quindi tenni i miei pensieri per me e ancora una volta annuii semplicemente. "Capisco."
Alberta non era diventata Capitano della Guardia della Scuola per niente. Penso che si fosse accorta che c'era qualcosa che non andava. Fui comunque grato che non abbia tirato fuori l'argomento. Invece, se ne andò con un semplice saluto e il promemoria di essere nella hall per le 8. Serrai la porta, chiudendomi a chiave ancora una volta.
Decisi che era necessaria una doccia e passai la mezz'ora successiva a cercare di strofinare via dalla mia pelle i ricordi della giornata. Peccato che la vita non funzioni così, quindi senza nulla da mostrare per i miei sforzi se non le dita rugose per essere state a bagno così a lungo, mangiai il mio pollo ormai freddo e guardai la fine di un vecchio film di Bond prima di mettermi a letto, temendo cosa mi avrebbe aspettato l'indomani.
Dopo una notte agitata, una corsa mattutina e una doccia che probabilmente era un tantino più fredda del necessario per farmi sembrare un po' più sveglio, ero vestito e pronto per la lunga camminata verso la mia sorte. Però dovevo essere in condizioni peggiori di quanto mi aspettassi inizialmente; Rose era arrivata prima di me nell'atrio.
Era in piedi con fermezza e orgoglio, aggiustandosi di tanto in tanto il blazer. Dovevo ricordarmi di ringraziare la ragazza del negozio se l'avessi vista di nuovo. Era meravigliosa e tutto le calzava a pennello. Doveva aver ricevuto anche il mio messaggio, dal momento che i suoi capelli erano raccolti in una crocchia stretta, mostrando i marchi che si era guadagnata ben prima del necessario. Stando fianco a fianco, nessuno avrebbe mai detto che Eddie e Rose non fossero ancora guardiani giurati. Entrambi avevano affrontato il nemico ed erano sopravvissuti per raccontarlo, e questo era più di quanto molti potessero dire. Il completo in bianco e nero era solo la confezione per il talento all'interno.
Il tragitto verso l'aula di tribunale fu molto più breve di quanto avessi mai creduto possibile, o almeno tale mi sembrò. Arrivammo all'edificio decorato in pochi minuti. Alberta guidava la carica, seguita dagli studenti. Rose ed Eddie affiancavano il loro Moroi, e io li seguivo con il resto dei guardiani della scuola. Diversi affreschi erano allineati lungo le pareti e vidi Lissa fermarsi presso uno di essi, toccare il sigillo d'oro di un drago, circondato da un profondo verde smeraldo. I volti di Rose e Lissa si contorsero solo per un momento in un dolore gemello prima che Rose guidasse la Principessa solitaria ai nostri posti dietro la sezione dell'accusa.
Per essere un processo a una figura politica così importante, l'aula del tribunale era piuttosto vuota, ma sapevo che era a causa dell'ordine della Regina di tenere il processo lontano dai riflettori. Una parte di me si chiedeva cosa credeva che avrebbe pensato il suo popolo. L'improvvisa scomparsa di Victor Dashkov non sarebbe passata del tutto inosservata. Forse avrebbero fatto circolare voci sul suo decesso. Dio sa che era vicino al suo letto di morte, o almeno lo era prima che tutto accadesse.
Nel momento in cui Victor venne presentato all'udienza - marciò attraverso le porte sul retro con un abito firmato che era ben oltre quello che io potevo permettermi, anche se le manette rovinavano un po' l'effetto - notai che Lissa si avvicinò leggermente a Rose. Rose sussurrò qualcosa all'orecchio di Lissa, facendola rilassare un po'. Non durò a lungo però. Victor stava cercando qualcuno tra la folla, e quando individuò la sua vittima, mi chiesi cosa avrebbe preso il sopravvento: gli istinti protettivi di Rose o quelli da battaglia.
In qualche modo, riuscì a raggiungere il suo posto senza essere assassinato.
Come dettato dall'usanza per i processi dei reali, la Regina Tatiana sarebbe stata l'unica a giudicare Victor Dashkov. Doveva essere un modo per combattere la corruzione, rimuovendo i vari pregiudizi politici e sociali delle diverse case reali che generalmente formavano una giuria in un normale caso giudiziario. Il presupposto era che il Re o la Regina non avrebbero avuto altro interesse che quello che ritenevano fosse meglio per il loro popolo. Era un grande ideale che nella realtà non funzionava quasi mai.
Uno per uno, tutti i guardiani che fecero parte del raid diedero la propria testimonianza degli eventi di quella notte. Alberta, come capitano, fu la prima. Sapevo che l'accusa aveva tenuto per ultima la mia testimonianza, dal momento che era l'unica che aveva offerto qualcosa di nuovo in termini di informazioni visto che Rose aveva informato per primo me, e che fui io a riportare la notizia ad Alberta. Ora che Rose, Christian e Lissa erano tutti qui, potevo solo immaginare che sarebbero stati serbati per l'atto finale di quel circo.
Quando Yuri si congedò dalla tribuna, sentii il mio nome. Mantenni la mia espressione impassibile mentre mi sforzavo per calmare la mente e il cuore che mi martellava nel petto. Respira, sai esattamente cosa dire. Avevo ripetuto le parole da solo a me stesso più e più volte fino a quando non ci avevo creduto anch'io... ma funzionava solo finché i ricordi non riportavano a galla la verità.
Un ufficiale giudiziario mi porse una Bibbia, invitandomi a metterci sopra la mano e a giurare di sostenere la verità per amore della giustizia. Sapevo che non avrei mai potuto mantenere quella promessa, non quando era coinvolta anche Rose, ma pronunciai la risposta di rito insieme a una silenziosa preghiera di perdono.
"Guardiano Dimitri Belikov, so che lei è stato il primo guardiano a notificare alla guardia della scuola la scomparsa della Principessa Dragomir. Come è venuto a conoscenza di questa informazione?" Volevo correggere l'avvocato di Victor. Non è stata una scomparsa, è stato un rapimento, ma sapevo che per superare tutto questo avevo bisogno di rispondere alle domande che mi venivano fatte e niente di più.
Con un respiro profondo, cominciai a parlare. "Mi trovavo con la mia allieva, Rose Hathaway. Lei condivide un legame con la Principessa ed è stata la prima a percepire cosa fosse successo."
Mi aspettavo che la domanda successiva riguardasse il legame tra Rose e Lissa e cosa comportasse. Pensavo che quello sarebbe stato il punto debole che l'avvocato avrebbe tentato di sfruttare poiché sarebbe stato difficile provare l'esistenza del legame, e ancora più difficile spiegare come funzionasse, ma sembrò glissare l'intera idea. "Sulla base degli eventi, pare ci sia un intervallo temporale fra il momento in cui la signorina Hathaway l'ha scoperto e il momento in cui lei ha allertato gli altri."
Una cronologia degli eventi, basata sulle nostre testimonianze, era stata fornita come parte del fascicolo delle prove. Era chiaro a tutti che mancava circa mezz'ora da quando Rose si era accorta per la prima volta di cosa stesse succedendo a quando io lo comunicai ad Alberta. Il resoconto di Christian confermò le informazioni di Rose e tutti gli altri furono in grado di confermare le affermazioni del giovane Moroi quando arrivammo al quartier generale dei guardiani. Era inutile cercare di ignorare il ritardo. Ne ero consapevole fin dall'inizio. Quindi mentii.
"Non poté agire subito perché il signor Dashkov le aveva fatto un incantesimo che la indusse ad attaccarmi". La mia espressione rimase neutrale, la mia voce uniforme, ma potevo sentire la tensione nella mia mascella mentre sputavo ogni parola falsa. Dovevo stare calmo. Dovevo riuscirci. Per quanto odiassi essere tutt'altro che sincero sulla questione quando la posta in gioco era così alta, avevo bisogno di mentire per Rose.
"Un incantesimo?" L'avvocato sembrava incredulo, ma sapevo che era pienamente consapevole di ciò che stavo dicendo. "Le dispiacerebbe elaborare?"
"Non sono un esperto in materia, ma ci proverò." Mi mossi, ruotando la spalla per allontanare lo stress. "Il signor Dashkov usa la magia della terra, e coloro che sfruttano quel potere e sono forti nella compulsione possono influenzare i nostri istinti di base. In questo caso, ha manipolato la sua rabbia e la sua violenza tramite un oggetto."
Avevo appena finito la frase quando dal tavolo della difesa risuonò un acuto latrato di risate.
"Signor Dashkov!" Il giudice, un'anziana donna Moroi il cui compito era semplicemente quello di assicurarsi che venisse rispettata la procedura corretta, rimproverò Victor. "È pregato di mostrare rispetto per il decoro di quest'aula."
Le spalle di Victor stavano ancora tremando leggermente mentre agitava la mano in un gesto di sdegnanti scuse. "Mi rincresce terribilmente, Vostro Onore e Vostra Maestà. Qualcosa nella testimonianza del guardiano Belikov ha suscitato la mia ilarità, tutto qui. Non succederà più."
Il mio corpo si irrigidì come un unico blocco di pietra, incastrato su una sedia di legno duro senza un posto dove scappare e nessuno con cui combattere mentre aspettavo che arrivasse il colpo letale. Che però non arrivò mai.
"Ha parlato di un oggetto incantato... potrebbe descriverlo?"
"Una collana. A forma di rosa con diversi diamanti. Victor l'aveva regalata a Rose poco prima, con il pretesto di un dono di congratulazioni per il suo successo nel proteggere la Principessa Vasilisa durante una gita fuori sede."
"Ha con sé quella collana adesso?"
"No. L'ho strappata a Rose durante la nostra lotta, gettandola fuori dalla finestra per ridurre i suoi effetti. Per quanto ne so, non è mai stata recuperata. Immediatamente dopo che gli effetti dell'incantesimo svanirono, Rose fu in grado di riferirmi il suo messaggio e la accompagnai dal Guardiano Petrov."
Il resto dell'interrogatorio fu più facile. Niente più bugie. Niente più domande sui 35 minuti sospetti di cui solo due persone potevano fornire un resoconto accurato. Poco dopo, mi ringraziarono per la mia partecipazione e mi chiesero di lasciare il posto al testimone successivo.
Christian fu il seguente e identificò molti dei guardiani sotto il servizio di Victor come quelli che avevano aggredito lui e rapito Lissa, ma non fu in grado di offrire molto di più. Tuttavia, la sua testimonianza permise di rafforzare la colpevolezza di Victor.
Poi arrivò il turno di Rose. Guardarla camminare verso il banco fu quasi più snervante che farlo io stesso. In quel momento non potevo proteggerla. Non potevo dirle cosa dire più di quanto avessi già fatto. La nostra storia era stata consolidata dopo il vero rapimento, e se lei si fosse attenuta alla storia che avevamo concordato, sarebbe andato tutto bene. In caso contrario... non c'era niente che potessi fare.
Trattenni il fiato mentre gli avvocati la interrogavano. Attraverso ogni domanda, rimase calma e risoluta. Sia la verità che la menzogna vennero fornite in una perfetta apparenza di tranquillità. L'unico momento in cui potevo rendermi conto che non era completamente onesta fu quando menzionò l'incantesimo di "attacco" con il modo in cui guardò a sinistra prima di sbattere le palpebre. Chiesero degli incidenti con gli animali prima del rapimento e anche della discussione che ebbe con l'imputato dopo la sua prima incarcerazione, ma nonostante tutte le informazioni che aveva da offrire... il tutto si concluse in meno di dieci minuti. Sentii un sospiro di sollievo bruciarmi nel petto mentre tornava di nuovo al suo posto.
Lissa fu l'ultima a essere chiamata dalla nostra metà dell'aula. La sua testimonianza prometteva di essere di gran lunga la più drammatica. Dopotutto era lei la vittima; l'obiettivo dell'intero nefasto complotto di Victor. Parlò di come Victor fosse stato come uno zio per lei, specialmente dopo la morte della sua famiglia. Natalie era la cosa più vicina che avesse mai avuto a una cugina. Parlò del terrore di trovare animali morti e maciullati in luoghi che avrebbero dovuto essere sicuri, come la sua stanza e la sua borsa dei libri. Parlò di come avesse confidato a Victor alcune delle sue difficoltà a scuola e di come lui si fosse offerto di portare lei e alcuni dei suoi amici a Missoula come modo per "rallegrarla".
Ogni parola che pronunciava sembrava suscitare sempre più compassione, ma non era niente in confronto al suo resoconto del rapimento e della tortura. Persino io sentii un moto di penosa agonia verso la mia protetta quando parlò della sua paura mentre guardava Christian venire aggredito proprio di fronte a lei e del suo terrore per essere stata bendata e portata via. Anche se avevo visto Rose subire la tortura per procura e avevo appena ascoltato la sua testimonianza di come avesse visto e sentito ogni dolore attraverso gli occhi di Lissa, ascoltare la descrizione di Lissa era oltremodo difficile da digerire. Sembrava che avesse un effetto ancora peggiore su Rose, che impallidì leggermente sia per i ricordi di Lissa, sia per i suoi.
La sofferenza però non era finita, perché la testimonianza finale sarebbe arrivata dallo stesso Victor. La storia era stata raccontata più e più volte da diversi punti di vista e da persone diverse, e la narrazione culminante di Lissa dipinse un'immagine chiara e orribile nella mente di tutti. Non c'era modo che gli fosse permesso di camminare da uomo libero, ma anche un malvagio ormai condannato ha diritto al suo ultimo monologo.
Sembrava che anche Victor lo sapesse. L'espressione sul suo volto non era quella di una calma di facciata. Non nascondeva nervi o rabbia. Stava bene ed era sinceramente sereno, e ciò da solo era abbastanza per mettermi sulle spine. Ma anche quello era niente in confronto al divertimento nei suoi occhi quando mi guardava. Eravamo tutti solo pedine del suo gioco malato e contorto, e lui era pronto a fare la sua ultima mossa.
