Per fortuna, il resto del viaggio fu tranquillo. La dottoressa Olendzki ci venne incontro sulla pista di atterraggio e, mentre Alberta la aggiornava su quello che era successo, portai una Rose ancora addormentata su un golf cart in attesa. Non venivano usati molto spesso, ma ce n'erano alcuni in giro per l'Accademia appositamente per le emergenze.
Dopo aver controllato rapidamente i segni vitali di Rose, la dottoressa Olendzki si sedette accanto al guardiano che l'aveva accompagnata. Alberta mi mise una mano sulla spalla, impedendomi di prendere posto accanto a Rose in modo che potessi sostenerla durante il viaggio.
"D'ora in poi ci penso io, Guardiano Belikov. Probabilmente hai bisogno di un po' di riposo."
Avevo iniziato a scuotere la testa ancor prima che pronunciasse il mio nome. Non avrei assolutamente perso di vista Rose finché non avessi saputo che stava bene. "Sto bene. Sono stato sveglio per molto più tempo in passato."
Alberta mi guardò esitante. So che la mia insistenza a restare con Rose avrebbe potuto causare dei sospetti, ma mi nascosi dietro il fatto che probabilmente ero la cosa più vicina a un adulto premuroso nella sua vita, oltre ad Alberta stessa. Persino la madre di Rose era quasi un'estranea, anche se ora almeno si parlavano. "Bene. Puoi accompagnarla alla clinica. Sarò lì entro un'ora e discuteremo ulteriormente del da farsi."
Il viaggio verso la clinica fu abbastanza agevole considerando le strade ghiacciate, e poco dopo Rose era nel suo letto, collegata a un monitor cardiaco con la dottoressa Olendzki che già parlava di quanto presto avrebbero potuto programmare una risonanza magnetica. Rose non dava ancora cenni di movimento a parte una smorfia qua o là, e non potevo fare altro che camminare impotente e aspettare che si svegliasse.
La sua respirazione e il battito cardiaco sembravano abbastanza normali, ma una buona parte di me era preoccupata per cosa sarebbe successo quando si fosse svegliata. Avrebbe ricominciato a urlare? Avrebbe sentito ancora dolore? C'erano così tante domande senza risposta, ma sfortunatamente l'unico modo per ottenere quelle risposte era che Rose si svegliasse.
"Belikov" il guardiano Petrov mi chiamò non appena varcò le porte della clinica. Rimisi il tappo alla mia bottiglia d'acqua e aspettai che mi raggiungesse nella relativa privacy fuori dalla stanza degli esami di Rose. "Devo parlarti un momento."
Annuii, non ancora sicuro, con la mia gola secca, di poter parlare.
La sua voce si ridusse a un sussurro. "Cos'è successo? Non ho mai visto Rose, non ho mai visto nessuno, comportarsi in quel modo. Era ovviamente più di un'emicrania, ma non sono sicura di cosa fosse. Tu hai sentito qualcosa?"
Mi concessi il tempo per ricordare la parola che, inconsapevolmente mormorata ad alta voce, avevo sentito quando eravamo arrivati. "La dottoressa Olendzki ha menzionato qualcosa sulle convulsioni. So che non le è mai successo in passato, ma... chi lo sa."
Alberta si strofinò il viso, lisciandosi i capelli all'indietro con un sospiro mentre prendeva in considerazione questa nuova informazione. "Beh, immagino che non sia la migliore notizia del mondo, ma potrebbe essere anche peggio. La maggior parte delle crisi sono facilmente gestibili con i farmaci".
"Ciao, Rose." Il nome catturò l'attenzione di entrambi, e Alberta e io ci voltammo rapidamente verso il lettino. La dottoressa Olendzki continuò: "Come ti senti?"
Il viso di Rose si contorse per un momento e spazzò via la confusione e la stanchezza con il palmo della mano. "Bene."
Sembrava un po' insicura, ma alla fine i suoi occhi si posarono su di me per un momento. Vorrei non aver visto il modo in cui il la sua espressione si rabbuiò per un momento.
Alberta si schiarì la voce accanto a me. "Possiamo?"
Al cenno d'assenso della dottoressa, seguii Alberta nella stanza. Rose si raddrizzò, cambiando la sua espressione in una facciata coraggiosa.
"Rose..." Alberta si interruppe, ovviamente incerta su come continuare. Presi io il timone.
"Rose, cos'è successo?" La vidi aprire la bocca, quindi interruppi rapidamente la sua negazione. "E stavolta non dire che non era niente."
Rose fece una smorfia, ma rimase in silenzio, non riuscendo neanche più a guardarci.
La dottoressa posò la mano sulla sua spalla, in un gesto di debole conforto che in quel momento io stesso stavo trattenendo. "Vogliamo solo aiutarti."
"Non mi serve aiuto" rispose, senza nemmeno tentare di sembrare convincente. "Sto bene."
Il digrignare dei denti di Alberta era udibile quasi quanto il sospiro che lo seguì. "Stavi bene quando eravamo in volo. Quando siamo atterrati... non stavi bene per niente."
"Adesso sto bene" insistette, rifiutandosi ostinatamente di alzare lo sguardo.
"Ma cos'è successo?" Il volto di Alberta si rabbuiò di preoccupazione e delusione. Forse anche un po' di rabbia, anche se onestamente non potevo biasimarla. Anch'io ero un po' arrabbiato con Rose. "Perché quelle grida? Cosa intendevi quando hai detto che dovevamo farli andare via?"
La lingua di Rose scattò in fuori, leccandosi lentamente le labbra mentre considerava la domanda, o, cosa ancor più importante, la sua risposta alla domanda. Potevo quasi vedere quella risposta lottare per uscire, ma lei rimase in silenzio, lasciando invece cadere alcune lacrime.
Non sopportavo di vederla così. Era meglio vederla urlare di paura e di agonia, anche se non di molto. Feci un passo avanti, inginocchiandomi al suo livello come avevo fatto con Lissa quando l'avevo interrogata sulla serie di uccisioni di animali mesi prima. Era difficile vedere Rose altrettanto vulnerabile e terrorizzata, ma avevo bisogno che mi dicesse la verità. Non solo per il suo bene, ma anche per il mio.
"Rose" la supplicai dolcemente. "Ti prego."
La sua voce si incrinò dolcemente attraverso il suo respiro forzato, e si nascose di nuovo dal mio sguardo. Questa volta non era testardaggine, ma vergogna.
"Fantasmi. Ho visto i fantasmi."
Un pesante silenzio calò sul nostro gruppo, nessuno sapeva esattamente come rispondere a quell'affermazione. Rimasi sbalordito. I pezzi cominciavano ad andare al loro posto.
"C-cosa vuoi dire?" La voce della dottoressa Olendzki si fece rotta, esitante.
Deglutì, trattenendo alcune lacrime. "Mi sta seguendo da un paio di settimane". Prima che potessi chiedere spiegazioni, mi guardò e chiarì. "Mason. Nel campus. So che sembra pazzesco, ma è lui. O il suo fantasma. Ecco cosa è successo con Stan. Mi sono bloccata perché è comparso Mason e non sapevo cosa fare. Sull'aereo... credo che ci fosse anche lui... e altri. Ma non riuscivo a vederli chiaramente quando eravamo in aria. Solo vaghe ombre... e poi il mal di testa. Ma quando siamo atterrati a Martinville, lui era lì in piena forma. E... e non era solo. C'erano altri con lui. Altri fantasmi".
Si asciugò una lacrima involontaria, lanciando un'occhiata esitante a tutti noi mentre aspettava una sorta di risposta. Non sapevo cosa dirle. Una parte di me voleva convincersi che tutto fosse a posto, ma in realtà non lo era. Stava... vedendo delle cose. Aveva le allucinazioni.
"Li conoscevi?" Non volevo prendere alla leggera la situazione, ma volevo andare fino in fondo.
Incontrò i miei occhi, quasi mettendo in discussione le mie motivazioni prima di accettare che non l'avrei mandata in un manicomio. "Sì... ho visto alcuni dei guardiani di Victor e le vittime del massacro. Anche la... la famiglia di Lissa era lì."
Tutta gente del suo passato. Tutte persone che aveva riconosciuto. Tutte persone che erano morte relativamente giovani ed in modo estremamente violento. Era perseguitata dai suoi ricordi.
Spostai lo sguardo tra Alberta e la dottoressa Olendzki, che stavano entrambe facendo lo stesso. A quanto pare non ero l'unico scioccato da quella rivelazione.
"Posso parlavi qualche minuto in privato?"
Seguimmo la dottoressa nel corridoio, anche se io all'inizio esitai, non volendo lasciare da sola Rose che ovviamente stava cercando da noi una sorta di conferma. Alla fine, però, riuscii ad allontanarmi e ad attraversare la porta che si richiuse alle mie spalle.
"Francamente" sibilò, voltandosi verso di noi non appena fummo fuori portata d'orecchio "è ovvio cosa sta succedendo." Diede un'occhiata comprensiva alla porta prima di rivolgere di nuovo il suo sguardo su di noi. "Sta soffrendo di un disturbo da stress post-traumatico e non c'è da meravigliarsi dopo tutto quello che è successo".
"Ne è sicura? Magari si tratta di qualcos'altro..." Le parole di Alberta si trascinarono insicure, senza nemmeno provare a cercare una spiegazione alternativa.
Il disturbo da stress post-traumatico era abbastanza comune nei guardiani, ma ammettere di soffrirne – o peggio, averne una diagnosi ufficiale – era quasi peggio di una condanna a morte. Almeno con la morte, sarebbero stati riconosciuti gli ultimi onori. Una disabilità medica come quella veniva invece trattata come un congedo disonorevole. Non rimanevano altre reali possibilità di impiego nel mondo Moroi, e poiché non era una malattia visibile agli altri, si veniva guardati con disprezzo piuttosto che con pietà. Sebbene tecnicamente fossero disponibili alcune risorse e terapie, l'utilizzo di quei servizi equivaleva ad ammettere debolezze o sconfitte.
"Guardate i fatti: un'adolescente che ha assistito all'uccisione di uno dei suoi amici e poi ha dovuto uccidere i suoi assassini. Non pensate che possa causare un trauma? Non pensate che potrebbe aver avuto un briciolo di effetto su di lei?" La dottoressa Olendzki ci stava praticamente urlando contro, gesticolando selvaggiamente.
"La tragedia è qualcosa con cui tutti i guardiani hanno a che fare" ammise Alberta, quasi con rammarico.
La dottoressa però non si arrese. "Forse può valere per i guardiani effettivi, ma Rose è ancora una studentessa qui. Ci sono risorse che possono aiutarla."
"Tipo cosa?" Non mi importava cosa servisse, Rose aveva bisogno di aiuto e avrei fatto di tutto per assicurarmi che lo ricevesse.
"Terapia. Parlare con qualcuno di quello che è successo può farle un mondo di bene. Avreste dovuto farlo non appena è tornata. E già che c'eravate, avreste dovuto farlo anche per gli altri che erano con lei." Scosse la testa, strofinandosi la tensione crescente tra gli occhi. "Perché nessuno pensa mai a queste cose?"
La mia mente era già a lavoro. La dottoressa Olendzki aveva ragione. Rose aveva bisogno di parlare con qualcuno. Avrei voluto essere io, ma non mi importava con chi avrebbe parlato fintanto che l'avesse aiutata. "È una buona idea. Potrebbe farlo nel suo giorno libero."
"Giorno libero?" Dal modo in cui lo disse, sembrava che la dottoressa non fosse d'accordo. "Tutti i giorni, non uno solo. Dovreste esonerarla dall'esperienza sul campo. Dei falsi attacchi di Strigoi non sono certo il modo migliore per riprendersi da uno vero."
"NO!"
Una quarta opinione irruppe dalla porta prima che qualcuno di noi potesse offrire la propria. La mia testa scattò verso Rose, guardandola appoggiarsi al muro mentre si rendeva conto di cosa stessimo parlando. Non avrei dovuto essere sorpreso che stesse spiando, e onestamente probabilmente avrebbe dovuto essere inclusa nella conversazione. Era abbastanza adulta per avere una scelta in merito. Tuttavia, vedendola così debole mentre combatteva contro le ultime tracce di sedativo e la preoccupazione che praticamente si irradiava da lei, non potei fare a meno di provare l'impulso di proteggerla da qualsiasi evento spiacevole.
Sembrava che non fossi l'unico. La dottoressa Olendzki le si avvicinò lentamente, la mano tesa come se volesse calmare un animale ferito e la voce quasi fastidiosamente morbida. "Rose. Dovresti andare a sdraiarti."
"Sto bene" insistette, guardando oltre per fissare gli occhi su Alberta. "E non potete costringermi a lasciare l'esperienza sul campo. Non mi diplomerò se lo fate."
"Non stai bene, Rose, e non c'è niente di cui vergognarsi dopo quello che ti è successo. Pensare di vedere il fantasma di una persona morta non è così strano, considerate le circostanze."
Non so se gli altri la videro frenare una replica, ma sapevo che stava trattenendo qualcosa. Ma stava ancora cercando di perorare la sua causa e quando finalmente parlò, lo fece con sorprendente chiarezza. "A meno che non abbiate intenzione di farmi seguire una terapia 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non farete altro che peggiorare le cose. Ho bisogno di qualcosa da fare. La maggior parte delle mie lezioni sono sospese in questo momento. Cosa dovrei fare? Starmene seduta con le mani in mano? Per continuare a pensare a quello che è successo? Allora sì che impazzirei. Non voglio restare ancorata al passato per sempre. Ho bisogno di pensare al mio futuro".
"Ha ragione. Deve terminare la sua esperienza sul campo. Oltre agli esami finali, è la cosa che determinerà il suo futuro più di qualsiasi altra. Lasciarla incompleta semplicemente non è un'opzione".
"Il suo futuro non avrà senso se non è abbastanza sana mentalmente da poter lavorare".
"Rose sta bene. Ovviamente ci sono stati alcuni problemi, ma non c'è motivo di far deragliare completamente la sua istruzione e carriera. Ci deve essere un modo per risolvere il problema".
"E se continuasse seguendo solo un programma parziale? Le permetterà di partecipare all'addestramento, ma le concederà anche del tempo per concentrarsi sulla terapia. Sarebbe anche meno stressante". Tutte e tre le donne presero in considerazione il mio suggerimento, con vari livelli di entusiasmo.
"Passare in servizio metà del tempo? Potrebbe essere...accettabile. Sarebbe abbastanza per valutare le sue abilità?"
"Credo di sì." Alberta confermò. "Dovrei discuterne con il resto del comitato esaminatore, ma considerando le circostanze sono sicura che saranno in grado di trovare un accordo".
"E il novizio Castile? Dovremmo includere anche lui?" Sapevo che Rose sembrava avere le maggiori difficoltà in tutta questa storia, ma Eddie era tutt'altro che immune a quei problemi.
"Insisto che almeno si sottoponga a una valutazione, e poi possiamo decidere cosa fare a seconda di ciò che suggerisce il consulente". Alberta annuì alla dottoressa.
Durante tutta la pianificazione e la discussione, Rose rimase in silenzio. Ero sicuro che non fosse affatto entusiasta di ricevere un trattamento speciale ma, che lo accettasse o meno, la verità era che qualcosa doveva essere fatto.
Alla fine, dopo un certificato di buona salute... salute fisica, per lo meno... la dottoressa Olendzki diede a Rose il permesso di tornare nel suo dormitorio. La decisione finale su cosa sarebbe successo con la sua esercitazione sarebbe arrivata l'indomani, ma fino a nuovo avviso era esonerata da ogni attività.
Alberta se ne andò con la dottoressa, discutendo di come meglio reinserire Rose nell'esercitazione con i finti attacchi Strigoi mentre lei si infilava la giacca e le scarpe. Presi i suoi guanti poggiati sulla sedia, la mia mano sfiorò la sua mentre glieli restituivo. Mi offrì un debole sorriso, ma per il resto rimase in silenzio.
Uscimmo al sole, che splendeva brillante sopra di noi a segnalare mezzogiorno. La scuola era sostanzialmente deserta in quel momento, ma sapevo che Rose amava stare alla luce ogni volta che poteva. Tuttavia, oggi non sembrava goderne. Il suo corpo si rannicchiò su sé stesso nonostante il relativo calore di quel periodo dell'anno e sebbene stesse camminando proprio accanto a me, sembrava che fosse a un milione di chilometri di distanza.
Dopo aver schivato l'ennesima pozzanghera, ruppe finalmente il silenzio. "Grazie per aver proposto la cosa dell'orario parziale." Sapevo che avrebbe preferito continuare a lavorare a tempo pieno, ma c'era comunque gratitudine nella sua voce.
Sfortunatamente a quel punto, non ero nel migliore degli stati d'animo. Improvvisamente, così come aveva parlato, mi misi davanti a lei bloccandole la strada e facendola quasi sbattere contro di me. Non avrebbe avuto importanza se ci fossimo scontrati. Ormai le avevo già afferrato le spalle e la tenevo più vicina possibile al mio corpo, considerando che eravamo in pubblico.
"Rose" la costrinsi a incontrare i miei occhi, avevo bisogno che lei capisse. "Non dovevo venire a sapere di questa storia per la prima volta solo oggi! Perché non me l'hai detto? Sai quant'è stato orribile per me?" Potevo sentire la mia gola stringersi al solo ricordo di averla vista dibattersi contro il nulla, urlando di puro terrore. "Sai com'è stato per me vederti così e non sapere cosa stesse succedendo? Sai quanto ero spaventato?"
Per un momento, Rose non disse nulla. Mi fissava con gli occhi spalancati, quasi non riuscisse a credere a quello che stavo dicendo. La vidi concentrarsi su ogni dettaglio del mio viso, memorizzando la mia totale e onesta preoccupazione.
"Tu non hai paura di niente." Sembrava esserne così sicura, ma almeno per un momento il dubbio le annebbiò gli occhi.
"Ho paura di molte cose." Scossi la testa, leggermente divertito ma soprattutto preoccupato di quanto forte era convinta che fossi. "Ho avuto paura per te. Non sono perfetto. Non sono invulnerabile."
"Lo so, è solo..." Non si trattava di non credere che fosse vero, ma di non voler credere che fosse vero.
Ma la sua fantasia che io fossi invincibile, che lei fosse troppo forte per aver bisogno di aiuto, era solo questo: una fantasia. "E questa storia va avanti da un sacco di tempo. È successo con Stan, e quando parlavi con padre Andrew di fantasmi... stavi vivendo questo tormento per tutto il tempo!" Più ci pensavo e più mi rendevo conto da quanto tempo stesse fingendo. Forse anch'io avevo finto che andasse tutto bene. Ripensai a tutte le volte che aveva sminuito le mie preoccupazioni, a tutte le volte che avevo preso le sue parole per oro colato quando mi diceva che stava bene, o che era solo stanca. Avrei dovuto insistere. Sapevo che c'era qualcosa che non andava e anche se era testarda, avevamo superato la linea del fingere che tutto ciò non esistesse.
"Perché non l'hai detto a nessuno?" chiesi. "Perché non ti sei confidata con Lissa... o... con me?"
Incrociai i suoi occhi, prendendomi un momento per stemperare la mia rabbia, diretta più a me stesso che a chiunque altro. Potevo vedere la vergogna e il dolore in quegli occhi e la mia parte meschina era contenta che non fosse completamente insensibile al terrore che mi aveva fatto passare quel giorno, ma la maggior parte di me voleva semplicemente avvolgerla tra le braccia e prometterle che sarebbe andato tutto bene.
"Mi avresti creduto?"
Scossi la testa, non capendo del tutto le sue parole sussurrate. "Creduto a cosa?"
"Che vedo i fantasmi." Il suo sorriso era sardonico, per metà implorante e per metà distante.
"Beh..." non potei fare altro che sbattere le palpebre e cercare inutilmente di formare le parole sulla mia lingua. "Non sono fantasmi, Rose" puntualizzai gentilmente. "Tu pensi che lo siano solo perché -"
"Ecco perché!" Non riuscii nemmeno a finire la frase prima che lei alzasse le mani, tirandosi i capelli arruffati e guardando tutto tranne me per impedirmi di sfondare le sue difese. Tuttavia, aveva ancora qualcosa da dirmi. "Ecco perché non potevo dirlo a te o a chiunque altro. Nessuno mi avrebbe creduto, non senza pensare che sono pazza."
Allungai la mano per calmare i suoi movimenti irregolari, ma mi tirai indietro all'ultimo. Era ovviamente sconvolta quanto me in quel momento e c'erano buone possibilità che oltrepassare i miei limiti avrebbe solo pregiudicato la nostra precaria conversazione. "Non penso che tu sia pazza, ma so che ne hai passate tante."
Volevo che sapesse che ero lì per lei, che non l'avrei abbandonata solo perché stava attraversando un momento difficile, ma l'espressione di tradimento sul suo viso era chiara. Non ero sicuro di cosa fosse peggio: vederla soffrire di allucinazioni o vederla credere che quelle allucinazioni fossero reali. Sapevo che insistere sul fatto che fosse tutto nella sua testa avrebbe solo peggiorato le cose, e avrebbe anche incoraggiato le sue convinzioni.
Il suo viso si indurì non appena si accorse che non avrei ceduto sull'argomento delle sue allucinazioni. "È più di questo."
Si voltò per andarsene, facendo solo un passo o due prima che la afferrassi e la tirassi a me. Le avrei permesso di essere arrabbiata con me. L'avrei lasciata urlare, mettere il broncio, piangere o qualunque cosa avesse bisogno di fare per aprirsi e parlare con me. Diavolo, avrei persino lasciato che si scagliasse contro di me in palestra se avessi pensato che l'avrebbe aiutata. L'unica cosa che non le avrei permesso di fare era andarsene; e se proprio avessi dovuto trattenerla fisicamente, l'avrei fatto.
"Allora dimmelo" chiesi. "Dimmi cosa c'è di più."
"Non mi crederesti!" Gridò selvaggiamente, ed ero grato che l'Accademia fosse essenzialmente defunta a quell'ora del giorno, perché in caso contrario la scena che stavamo causando di certo non sarebbe passata inosservata. "Non capisci? Nessuno mi crederebbe. Neanche tu... tra tutte le persone."
La voce le si bloccò in gola, tirando con sé anche le corde del mio cuore. Potevo vedere quanto fosse disperata che qualcuno – no, che io – le credessi.
"Io ci… proverò" promisi, chiedendomi se fosse stato un errore appena le parole mi uscirono di bocca. "Ma continuo a pensare che tu non capisca davvero cosa ti sta succedendo."
"E invece sì" affermò. "È proprio questo ciò di cui nessuno si rende conto. Ascolta, devi decidere una volta per tutte se ti fidi davvero di me. Se pensi che io sia una ragazzina, troppo ingenua per capire cosa sta succedendo nella sua fragile mente, allora dovresti andartene." Si fermò, fissandomi con aria di sfida anche se non avevo certo intenzione di andarmene. "Ma se ti fidi abbastanza di me da ricordare che ho visto cose e so cose che superano di gran lunga le esperienze degli altri della mia età... beh, allora dovresti anche renderti conto che potrei sapere di cosa sto parlando."
Mi stava rivoltando addosso le mie stesse parole, sul fatto che fosse consapevole di cose che molti della sua età neanche immaginavano. Credevo ancora con tutto il cuore che fosse in qualche modo più matura di molte donne della sua età o anche più grandi, ma dubitavo che potesse valere anche per questa particolare situazione. Doveva sapere però, senza dubbio, che mi fidavo di lei con tutto me stesso.
Le sue mani nelle mie, le poggiai sul mio petto, attirandola così vicino che i nostri corpi si toccavano "Mi fido di te, Roza. Ma... non credo ai fantasmi."
Considerò esitante le mie parole, mordendosi il labbro inferiore mentre le elaborava nella sua mente. Alla fine, le accettò per quello che erano e mi offrì un compromesso. "Ci proverai? O perlomeno, eviterai di attribuire tutto questo a una qualche forma di psicosi?"
Stavo annuendo prima ancora che finisse la sua domanda. "Sì. Questo posso farlo."
"La prima volta che ho visto Mason è stato quando mi hai sorpreso fuori dai dormitori. Ricordi? Mi hai chiesto del mio compleanno."
"Dieci pagine, fronte e retro, interlinea singola" ricordai, conducendola a una delle panchine del cortile, in particolare quella parzialmente nascosta dai cespugli.
"Sì. Penso di aver deciso cosa vorrei per regalo... non essere pazza." Ridemmo entrambi, senza traccia di umorismo, ma ci stavamo comunque provando. "Comunque, subito dopo che te ne sei andato con Alberta, lui era lì."
Rose continuò raccontandomi di come avesse cercato di liquidare il tutto per esaurimento, o stress, o qualcosa di più logico. Mi disse che temeva che le sarebbe stato impedito di diventare un guardiano se qualcuno avesse pensato che fosse davvero pazza, e come ne fosse tuttora preoccupata, e che è per questo che aveva mentito durante l'udienza disciplinare. Per lei, passare per incompetente sembrava meglio che passare per pazza.
Per tutto il tempo, rimanemmo seduti lì sulla panchina, il mio braccio intorno alle sue spalle per proteggerla dal freddo, e la sua testa contro il mio petto, mentre respirava a tempo con me. La posizione non sarebbe stata troppo compromettente se qualcuno ci avesse beccato, ma onestamente non me ne fregava niente di quello che pensava la gente, se in quel momento quello era ciò di cui lei aveva bisogno.
Quando iniziò a parlare dell'aereo, del dolore, delle ombre e dell'oscurità che la stava chiamando, la tirai più vicina a me. L'avvertimento di Adrian aleggiava nei recessi della mia mente, ma ero ancora all'oscuro di come fermare qualsiasi cosa fosse.
"Non ti pare un po', ehm, specifico per una banale reazione allo stress?"
"Non saprei dire se e come le 'reazioni allo stress' possano essere banali o specifiche" riflettei, parlando per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontarmi tutto ciò con cui aveva avuto a che fare. "Sono imprevedibili per natura."
Tuttavia, più pensavo a ciò che aveva vissuto, più sembrava probabile che fosse qualcosa al di là di una reazione allo stress. Per quanto mi riguarda, non avevo mai sentito parlare o incontrato un guardiano che avesse avuto a che fare con una cosa del genere. È vero che ognuno affronta il dolore a modo suo; alcuni si spengono completamente, altri (come me) si buttano a capofitto nel lavoro. La situazione di Rose era così fuori dal normale che quasi non aveva senso. Sfortunatamente, nulla di tutto ciò sembrava logico, men che meno i fantasmi.
"Perché sei così sicura di non aver immaginato quelle cose?" Cercai di formulare la domanda nel modo più gentile possibile, ma non credo che qualcuno avrebbe davvero potuto riuscirci nel dire una cosa del genere. La rapida occhiataccia che mi rivolse mentre si staccava da me parve confermarlo, anche se un attimo dopo sembrava aver perdonato la mia infrazione.
"Beh, all'inizio ho pensato che in effetti mi stessi immaginando tutto. Ma ora... non lo so. C'è qualcosa in tutto ciò che me lo fa sentire reale... anche se non ho prove concrete. Ma hai sentito cosa ha detto padre Andrew… sui fantasmi che rimangono dopo che muoiono giovani o in modo violento".
Mi ricordai di quanto strane fossero sembrate le domande di Rose quel giorno in chiesa, ma ora avevano molto più senso. Una parte di me voleva dirle che quelle storie di fantasmi erano solo questo: storie. Dovevano essere usate come metafore o insegnamenti, non essere prese alla lettera. Tuttavia, avevo promesso che avrei mantenuto una mente aperta, così invece chiesi: "Pensi che Mason sia tornato per vendicarsi?"
Scosse la testa, guardando la distesa visibile del cortile. Era bagnato per l'umidità nell'aria e il suono della neve che si scioglieva gocciolando dagli alberi creava una colonna sonora singolare alla nostra conversazione. "All'inizio lo pensavo, ma ora non ne sono così sicura. Non ha mai provato a farmi del male. Sembra solo che voglia qualcosa. E poi... anche tutti gli altri fantasmi sembravano volere qualcosa da me - anche quelli che non conoscevo. Perché?"
Sicuramente stava già elaborando una spiegazione, e sebbene fossi un po' nervoso all'idea di sentirla, la incalzai comunque. "Hai una teoria?"
"Sì. Stavo pensando a quello che ha detto Victor. Ha detto che siccome sono stata baciata dalla tenebra – siccome sono morta - ho un legame con il mondo dei morti. Che non potrò mai lasciarlo del tutto."
La mia schiena si irrigidì, mettendomi in allerta nel momento in cui sentii il nome di Victor. "Non farei troppo affidamento su quello che dice Victor Dashkov."
"Ma lui sa delle cose! Lo sai anche tu, non importa quanto sia stronzo."
Per quanto detestassi sentir nominare quel criminale, la disperazione di Rose mi indusse a considerare almeno il fatto che fino a quel momento fosse stato la sua principale fonte di informazioni sul suo essere baciata dalla tenebra. Oltre a lui, tutto ciò che avevamo era una manciata di libri antichi tradotti in modo discutibile.
"Va bene, supponiamo che sia vero, che essere baciata dalla tenebra ti permette di vedere i fantasmi, perché sta succedendo adesso? Perché non è successo subito dopo l'incidente d'auto?"
"Ci ho pensato" Rose sembrava quasi ansiosa di discuterne con me ora, il ché era quasi sorprendente quanto l'argomento di conversazione in sé e per sé. "Victor ha detto anche un'altra cosa: che ora che ho avuto a che fare con la morte, sono molto più vicina all'Aldilà. E se aver causato la morte di qualcuno avesse rafforzato quel legame e reso possibile vedere i fantasmi? Ho appena eseguito la mia prima vera uccisione. Uccisioni, anzi."
"Perché sarebbe così casuale?" La mia mente stava ancora vacillando, non essendo del tutto convinto da quell'idea, ma espressi il mio successivo dubbio senza pensare. "Perché succede quando succede? Perché sull'aereo? Perché non a Corte?"
"Cosa sei, un avvocato?" Il suo umore si infiammò mentre sbottava contro di me. "Metti in discussione tutto quello che dico. Credevo che volessi mantenere una mente aperta."
"È così" la rassicurai, prendendole ancora una volta le mani e accarezzandole delicatamente i palmi finché non si rilassò di nuovo. "Ma devi farlo anche tu. Pensaci. Perché questo schema nelle visioni?"
"Non lo so." All'improvviso, Rose si demoralizzò, fissando le nostre mani intrecciate mentre i suoi pensieri vagavano da qualche parte nella sua mente. "Credi ancora che io sia pazza."
Non c'erano molte cose che mi avrebbero fatto lasciare di buon grado la mano di Rose Hathaway, ma scoprii che promettere a questa bellissima, tormentata e straordinaria ragazza che sarebbe stata bene era una di queste. Le presi il mento, costringendola a guardarmi. "No. Mai. Nessuna di queste teorie mi fa pensare sei pazza. Ma ho sempre creduto che la spiegazione più semplice fosse quella più verosimile. Quella della dottoressa Olendzki lo è. Quella dei fantasmi ha delle lacune. Ma se riesci a saperne di più... potremmo avere qualcosa su cui lavorare."
Le sopracciglia di Rose si inarcarono a una parola. "Noi?"
"Certo. Non ti lascio da sola in questa situazione, qualunque cosa accada. Sai che non ti abbandonerei mai."
"Neanch'io ti abbandonerei mai, lo sai. Dico sul serio." La sua risposta fu rapida ma non automatica, come se lo dicesse solo per tranquillizzarmi. Semmai, sembrò un po' timida quando si rese conto di ciò che aveva inconsapevolmente promesso. "Non che a te capitino cose del genere, ovviamente, ma se cominciassi a vedere i fantasmi o altro, ti aiuterei."
Il sorriso che mi rivolse, sincero ma ancora giocoso, mi ricordò quanto fossi fortunato ad averla nella mia vita. Non mi sarei mai aspettato che qualcuno avesse un tale impatto su di me quanto Roza, e se mai avessi dovuto indovinare di chi mi sarei completamente e disperatamente innamorato, non credo avrei potuto nemmeno lontanamente immaginare una ragazza così selvaggia, bella e perfettamente imperfetta come lei. E nonostante ciò, eccola lì.
"Grazie." Presi di nuovo la sua mano, ne avevo bisogno per convincermi che quel momento era reale. Era tutto quasi troppo meraviglioso per credere che lo fosse. La primavera era all'orizzonte, il diploma sarebbe arrivato tra non molto e anche se non saremmo stati completamente fuori pericolo, almeno non avremmo avuto la pressione aggiuntiva della sua età o della vita in Accademia a gravare su di noi. C'era solo un ultimo ostacolo sulla nostra strada, e benché non sapessi ancora come superarlo, forse con Roza... forse insieme... ci saremmo riusciti.
Mantenemmo di nuovo le distanze mentre tornavamo in piena vista verso il suo dormitorio, godendoci in silenzio la reciproca compagnia e la relativa pace del momento. Non sapevo Rose, ma io ero completamente esausto. Fantasmi, oscurità, il viaggio a Corte... non erano passate nemmeno 24 ore dalla condanna di Victor, e già sembrava una vita fa.
Si potrebbe pensare che qualcuno di alto rango come il Guardiano Petrov preferisse vivere in una delle villette a schiera nel campus, ma viveva nello stesso edificio di molti altri guardiani dell'Accademia. Aveva uno degli appartamenti più grandi, ma preferiva comunque essere insieme alla maggior parte della sua squadra. Sfortunatamente, non era nel suo appartamento in quel momento. Era nell'atrio del complesso, in attesa.
"È tornata nella sua stanza senza problemi?"
La debole ma persistente bolla di speranza che fosse lì per un altro motivo scoppiò. "L'ho riaccompagnata appena pochi minuti fa."
Lei annuì, alzandosi dalla poltrona con un po' di difficoltà. Era più un indicatore dello stress di quella giornata che della sua età. Non avevo dubbi che Alberta avrebbe ancora potuto darmi filo da torcere se avesse deciso di mettere alla prova le sue abilità in combattimento. "Quarantacinque minuti. So che Rose può essere testarda, ma questo è un nuovo record."
"Sono riuscito a farla aprire un po' di più, a parlare di quello che ha passato."
"Vedrà un consulente per questo." L'avvertimento nel suo tono mi sconvolse e mi mise sulle spine. Pensavo che volesse che fossi lì per Rose, per esserle di supporto, ma il modo in cui Alberta mi guardava in quel momento...
"Sono il suo mentore."
"Lo sei?" chiese. "Lo sei davvero?"
Mi strofinai la fronte, troppo stanco per iniziare una discussione sulla quale a malapena riuscivo a concentrarmi. "Che vuoi dire?"
"Voglio dire che devi guardarti il culo, Belikov!" Vedevo chiaramente il suo desiderio di urlare, ma le parole le uscirono come un forte sibilo. "Sei stato tutt'altro che discreto su quell'aereo."
"È la mia allieva, ci tengo a lei."
"È più di questo. Lo sai tu, lo so io, e se non riesci a imparare a mantenere un basso profilo, allora lo saprà anche il resto della scuola. Sei riuscito a malapena a uscire da quel tribunale senza essere arrestato e sei stato dannatamente fortunato che la gente abbia notato la follia di Victor prima che lasciasse cadere la bomba". Sospirò e ruotò indietro le spalle. "A poi sull'aereo? Il modo in cui l'hai abbracciata non è il modo in cui un istruttore sostiene il suo studente, anche se sta soffrendo in quel modo. Yuri ha fatto delle domande, ma penso di essere riuscita a fugare i suoi dubbi prima che andasse troppo lontano."
Per quanto guardingo e attento fossi stato a Corte, la discrezione era l'ultima cosa a cui pensavo nel momento in cui Rose aveva iniziato a urlare, e la situazione non era cambiata da allora in poi. Sapevo che Alberta era giustamente preoccupata e mi stava avvertendo, ma sentire quelle cose così presto, subito dopo essere riuscito a far sì che Rose finalmente si aprisse con me, mi colpì nel verso sbagliato. Volevo essere arrabbiato, ma non era colpa di Alberta. Non era colpa di nessuno, tranne del destino.
Feci un profondo respiro, liberando la frustrazione che in quel periodo sembrava non placarsi mai del tutto. "Hai ragione, non stavo pensando lucidamente. Prometto che starò più attento."
Sembrò in qualche modo soddisfatta delle mie deboli scuse, o forse era disposta ad accettare qualsiasi cosa pur di andare a letto il prima possibile.
"Promettimi solo una cosa" continuai. "Se succede qualcosa, se qualcosa va storto, tienila al sicuro. Non mi importa se devi trascinarla scalciante e urlante, tienila al sicuro. Per favore."
Alberta sospirò, l'espressione contrita per un momento, prima di annuire. "Certo, Dimitri. Anche io la amo."
Alla fine, dopo quello che poteva facilmente essere etichettato come il giorno più lungo della storia, riuscii a sdraiarmi, in un agitato ma tremendamente necessario sonno.
