Il giorno successivo Rose era in ritardo per il nostro allenamento mattutino. Qualche mese prima non ci avrei fatto molto caso. Sarebbe stato più sorprendente vederla arrivare in tempo. Quindici minuti dopo l'orario concordato erano quasi la normalità per lei. Ora, non più.

Alle cinque e mezza cominciai a preoccuparmi. Avevo completato il mio riscaldamento, avevo finito un capitolo e mezzo del mio libro e non c'era ancora traccia di Rose. Pensai che la nostra chiacchierata potesse averla colpita più di quanto avesse lasciato intendere la sera prima, quindi iniziai a dirigermi verso i dormitori, sperando di sorprenderla a dormire profondamente piuttosto che sommersa da preoccupazioni o paure, intrappolata in un incubo a cui non poteva sfuggire.

Quasi tutti dormivano ancora a quell'ora, tranne qualche guardiano di pattuglia nel parco. Uno o due si stavano dirigendo verso la palestra per una sessione di allenamento in solitaria, e rivolsi loro un cenno di saluto mentre li superavo.

I dormitori dei Dhampir, almeno sul suo piano, erano vuoti. Tutti gli studenti dell'ultimo anno erano con i loro Moroi, lasciando Rose sola nella sua stanza. Il silenzio era quasi assordante, persino con i miei passi silenziosi che producevano echi nel corridoio che conduceva alla sua porta.

Però non rispose al mio bussare. Inizialmente non mi preoccupò. Rose avrebbe potuto facilmente dormire durante lo squillo della sveglia, e probabilmente anche durante l'apocalisse se avesse sentito di avere sufficienti scorte di emergenza nascoste nello zaino. Dopo il terzo tentativo tirai fuori la mia chiave passepartout, immaginando che ci sarebbe voluto qualcosa di un po' più energico per farla alzare dal letto.

Figurarsi la mia sorpresa quando trovai il suo letto completamente vuoto.

"Rose? Roza?"

Non ci fu risposta nella sua stanza, non che ci fossero molti posti dove poteva nascondersi. I dormitori erano un'unica stanza, con un armadio ad ante pieghevoli che Rose aveva lasciato spalancato, i vestiti che ricadevano a casaccio. Aspettai per alcuni istanti, scegliendo di sedermi sulla sedia della sua scrivania piuttosto che sul letto disfatto, chiedendomi se fosse appena sgattaiolata fuori per usare il bagno condiviso di quel piano. Probabilmente la sfortuna aveva voluto che andasse a fare una doccia prima del mio arrivo. Però non tornò, non dopo cinque minuti, e neanche non dopo dieci minuti. I bagni erano vuoti. Un rapido controllo mi informò che nemmeno la direttrice del dormitorio l'aveva vista. E a quel punto ero ufficialmente preoccupato.

Forse... forse l'avevo mancata e mi stava aspettando in palestra. Doveva essere così. Mi stava aspettando e nel momento in cui fossi entrato mi avrebbe dato addosso per essere così in ritardo. Ormai l'orario di allenamento era finito. L'indomani ci avremmo scherzato su, ma oggi avevo solo bisogno di vederla.

Non c'era ancora alcun motivo di dare l'allarme. Non c'era motivo di svegliare Lissa o qualcun altro dei suoi amici. Sicuramente non c'era motivo di chiamare Alberta o di diffondere un avviso a tutti i guardiani tramite il sistema radio per lei. Dovevo solo di trovarla.

"Dimitri!"

Il mio cuore riprese a battere, grato di sentire la sua voce. L'avrei riconosciuta ovunque. Nonostante la mia voce interiore avesse cercato di convincermi che sarebbe andato tutto bene, solo allora sentii le mie spalle iniziare a rilassarsi, il mio polso tornare alla normalità e finalmente presi il respiro che avevo cercato disperatamente di prendere nell'ultima ora senza successo. Una volta che l'avessi vista, tutto sarebbe tornato a posto. Dovevo ancora decidere se baciarla o farla correre per il resto della giornata, ma almeno era al sicuro. Se solo fossi riuscito a vederla.

"Rose? Dove sei?" C'era ancora abbastanza luce perché vederla non fosse un problema, a meno che non cercasse di proposito di nascondersi da me. Anche lei sembrava vicina. Feci un passo avanti, cercando di dare un'occhiata ad alcuni degli arbusti che fiancheggiavano la porta da cui ero appena uscito, ma erano sgombri.

"Dimitri! Quassù."

Su?

"Rose! Che ci fai lassù?"

Rose era in piedi, sette piani più in alto, sul tetto dei dormitori dei Dhampir. Anche a quella distanza, era chiaro che non fosse in uno stato d'animo normale. Camminava avanti e indietro, alternativamente torcendo le mani davanti a sé e tirandosi i capelli. Il modo in cui si era accorta che fossi laggiù era al di là della mia comprensione, perché sembrava essere completamente presa da qualunque cosa stesse succedendo nella sua testa in quel momento.

"Resta dove sei Rose, sto salendo. Stai lì. Non muoverti e allontanati dal bordo. Sto salendo, okay? Sarò lì in un attimo."

Rallentai il passo attraverso l'atrio appena il tempo sufficiente per gridare istruzioni alla direttrice del dormitorio di informare Alberta che Rose era sul tetto e per assicurarmi che lei e la terapista di Rose arrivassero il prima possibile prima di correre su per le scale più veloce che potevo. Non poteva essere trascorso più di qualche minuto, ma ero comunque terrorizzato che Rose non sarebbe stata sul tetto quando avessi aperto la porta di accesso.

Ma lei c'era. Era agitata, e spaventata, e tremava per il freddo, ma era lì.

Combattei l'istinto di correre da lei e afferrarla. Era a meno di due metri dal bordo; qualche passo sbagliato all'indietro e l'avrei persa per sempre.

"Roza, stai gelando. Da quanto tempo sei qui?" Forse qualche domanda avrebbe distolto la sua mente da qualunque cosa la infastidisse tanto da averla condotta in quel luogo. Quella non era la prima volta che aveva avuto un incubo, anche se era la prima volta da moltissimo tempo che aveva una reazione così brutta a uno di essi.

"Io... non lo so. Qualche ora forse? Avevo bisogno della luce, del sole. Il sole spazza via l'oscurità."

"L'oscurità?" La sera prima avevamo parlato dell'oscurità, ma di un tipo diverso di oscurità. Non della notte, ma delle ombre scure nella sua aura. "Rose, hai paura del buio?"

"Mi terrorizza." Dichiarò senza umorismo. Non aveva mai detto niente prima, non aveva mai mostrato alcun segno di aver paura della notte. Potevo solo supporre che si trattasse di un nuovo sviluppo della situazione. "Vengono quando cala la notte e vivono quando l'oscurità prende il sopravvento. Il sole sta tramontando."

Guardò alle sue spalle, verso le colline ad ovest, attirando la mia attenzione con il suo sguardo. Aveva ragione, il sole sarebbe tramontato presto, segnando l'inizio della mattinata vampiresca. Era basso sull'orizzonte, forse ancora per un solo momento o due prima che scomparisse del tutto sotto le colline e gettasse nella notte il nostro piccolo angolo di mondo.

Quando Rose mi guardò, potei anticipare le sue intenzioni prima che dicesse o facesse qualcosa.

"Rose, no."

"Mi dispiace, Dimitri." Incrociò le braccia attorno al suo corpo, come per tenersi al sicuro mentre faceva un singolo passo indietro. E poi un altro. Per tutto il tempo, scuoteva la testa come se non riuscisse a crederci neanche lei.

"Rose, Roza. Per favore, non farlo. Prendi la mia mano. Ti aiuteremo. Ci sono i farmaci, ci sono tanti tipi di terapie. Troveremo qualcosa. Per favore, non farlo. Per favore! Ti sto implorando!" La mia voce era disperata e non mi importava. Aveva bisogno di sapere quanta paura avessi di perderla, quanto mi avrebbe distrutto.

Esitò. C'ero quasi. "Non posso. Sta arrivando. L'oscurità sta arrivando e non posso fermarla. Io… ti a-"

Rose urlò, afferrandosi la testa come aveva fatto in aereo quando eravamo atterrati. C'erano dolore e paura nella sua voce e lo shock che il suo improvviso cambiamento di comportamento mi causò fu sufficiente per fare la differenza nei secondi successivi.

Rose indietreggiò, combattendo contro un demone invisibile mentre gridava.

Mi precipitai in avanti, cercando di tirarla letteralmente via dal baratro.

Mi allontanò usando uno dei contrattacchi che le avevo insegnato io stesso, ignara che non fossi solo un altro aggressore che cercava di ferirla.

Rose cadde da un lato del tetto così velocemente che fu quasi come se una forza invisibile l'avesse tirata oltre il bordo.

Urlai il suo nome, anche se non avrebbe fatto assolutamente alcuna differenza.

Mi svegliai, coperto di sudore dalla testa ai piedi, mentre la imploravo ancora di tornare da me.

Era stato un incubo. Solo un incubo. Rose era al sicuro. Stava bene. Era viva, stava bene ed era al sicuro.

Controllai il telefono, l'orologio si illuminò sulle 2:36. Il sole doveva ormai essere alto e luminoso in cielo e tutti dovevano essere profondamente addormentati. Sarebbe stato da pazzi andare da lei a controllare. Non potevo svegliarla a quell'ora solo per calmare i miei nervi, giusto?

Dopo venti minuti trascorsi a girarmi e rigirarmi, non ce la facevo più. Avevo bisogno di vederla. Avevo bisogno di essere assolutamente sicuro. Non avrei potuto avere un attimo di riposo finché non avessi saputo senza ombra di dubbio che stava respirando e dormendo pacificamente nel suo letto.

Era illogico, come la paura che da bambino di notte mi faceva ritirare le mani e i piedi allontanandoli dal bordo del materasso. Sapevo senza ombra di dubbio che non sarebbe successo nulla, ma... non avrebbe fatto alcun danno, giusto? Almeno questa era la giustificazione che usai mentre mi infilavo la maglietta, afferravo il mio mazzo di chiavi dal comodino e scivolavo silenziosamente fuori dal mio appartamento. Mentre i dormitori dei novizi sarebbero stati silenziosi e quasi vuoti, negli appartamenti dei Guardiani c'era quasi sempre un po' di attività, anche a quell'ora della notte. Per fortuna, riuscii a sgattaiolare fuori e dirigermi al dormitorio di Rose senza incontrare nessuno.

Calmai il mio respiro una volta arrivato alla porta di Rose. Tutto sembrava tranquillo, come avrebbe dovuto essere a quell'ora della notte. Pensai di bussare, ma non avrei dovuto svegliarla. Le erano stati tolti i turni alla luce del sole per un motivo, in modo che potesse dormire tranquillamente la notte. Non c'era motivo perché la disturbassi. Dovevo solo assicurarmi che fosse lì e andarmene. Tutto qui.

Il clic della chiave nella sua serratura sembrò dieci volte più forte di quanto avrebbe dovuto essere, ma sapevo che era solo uno scherzo della notte e dei miei nervi. Lentamente, spinsi per aprire la porta, lasciando che il mio corpo proiettasse un'ombra su dove sapevo che sarebbe stato il suo letto in modo che la luce del corridoio non vi si posasse. Le tende oscuranti che ogni stanza aveva, resero inizialmente difficile vedere all'interno, ma i miei occhi si adattarono rapidamente, individuando una massa sepolta sotto diverse coperte.

Il sollievo mi rese incauto, e con un sospiro rilassato feci un passo avanti per guardare meglio, calpestando un'asse scricchiolante. Rose non si svegliò, ma emise un gemito assonnato, girandosi e stringendo un cuscino più vicino al suo corpo. Scoppiai quasi a ridere per quanto disperatamente vi si era aggrappata nel sonno - non l'avevo mai presa per un tipo da coccole prima, ma a quanto pare lo faceva anche quando non soffriva a causa di un incubo - ma non avevo intenzione di commettere un altro errore da dilettante.

Così, in silenzio, me ne andai, chiudendo di nuovo a chiave la porta. Era al sicuro. E l'unica cosa che dovevo temere erano i miei incubi.


I giorni successivi trascorsero più o meno allo stesso modo. Passavo la maggior parte del mio tempo di pattuglia o impegnato nell'esperienza sul campo. Tenevo gli occasionali allenamenti con Rose nei suoi giorni liberi, ma lei si esercitava da sola per la maggior parte del tempo. Sapevo che stava lavorando duramente in palestra, specialmente con la sua frustrazione per il fatto di non essere ancora stata messa alla prova in un finto attacco Strigoi da quando le erano state ridotte le ore di servizio come guardiana nell'esperienza sul campo.

Ero abbastanza sicuro che fosse pronta, o almeno volevo credere che lo fosse. Alberta però era titubante. Penso che dopo aver visto il crollo mentale sull'aereo, fosse preoccupata che un altro passo falso avrebbe solo peggiorato le cose. Non potevo biasimarla per la sua preoccupazione, ma sapevo anche che Rose doveva affrontare quell'ostacolo il prima possibile, e prima lo facevamo, meglio potevamo prepararci per i successivi passi nella sua guarigione.

Anche se i nostri impegni non ci permettevano di trascorrere molto tempo insieme, sembrava che ogni momento trascorso insieme fosse riempito da una nuova corrente nascosta di parole non dette. Cercavo di giustificare i momenti in cui mi ritrovavo a guardarla durante le nostre sessioni di pratica con il pretesto di cercare errori tecnici o segni di miglioramento nel suo benessere emotivo. A dire il vero, la stavo solo... guardando. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso.

E anche lei mi osservava, quasi altrettanto apertamente. Nessuno di noi ne parlava, nessuno dei due era ancora pronto a parlare di quanto fossimo stati a nostro agio l'uno con l'altra nella cappella. Anche senza sfumature romantiche quella notte, senza secondi fini, non potei fare a meno di ricordare i piccoli momenti. Come il profumo dei suoi capelli, o il modo in cui i suoi occhi brillavano come fuoco alla luce delle candele quando mi guardava con feroce determinazione, e il modo in cui mi faceva sentire desiderato e indispensabile, non solo come un oggetto da usare e sfruttare, ma come una persona essenziale a cui teneva veramente.

Tuttavia, i ricordi mi tormentavano anche di notte. Ricordavo di averla vista cadere dal tetto del dormitorio, incapace di raggiungerla in tempo. Ricordavo la paura nei suoi occhi mentre mi diceva quanto fosse spaventata di essere impazzita. Mi ricordavo di quanto mi fossi sentito impotente nel proteggerla dai demoni nella sua mente. Le realtà e gli incubi si confondevano così tanto che cominciai a dimenticare cosa fosse cosa, ma non ero sicuro che alla fine importasse. A quel ritmo, entrambi avevano alte probabilità di strapparmela via.

Tentai di persuaderla a parlare con Lissa ancora una volta, anche solo per suggerire di ridurre gli esperimenti con lo Spirito fino a quando non avessimo saputo come influisse sulla sua stabilità mentale. Il mio suggerimento non causò una discussione, ma qualcosa di peggio... almeno per lei.

Si fermò nel pieno della sua sessione di panca, afferrò la borsa e uscì senza rivolgermi la parola. Nessuna spiegazione. Niente. Ero stato così ingenuo da pensare inizialmente che fosse andata a parlare con Lissa, ma quando vidi Lissa un'ora dopo e mi chiese se avessi visto Rose, capii che qualcosa andava male. Molto male, la mia mente iniziò a girare, proiettando le terribili immagini dei miei incubi.

Cercai di sedare il mio panico e mandai Lissa a cercare Rose in posti normali come la caffetteria o il dormitorio Moroi. Io invece andai a controllare il suo dormitorio e, in caso di insuccesso, il tetto. Sapevo che era un prodotto delle mie notti irrequiete ma se non avessi guardato anche lì, non sarei stato in grado di pensare correttamente finché non l'avessimo trovata.

Comunque, la cosa più probabile era che fosse nella sua stanza. Era il posto più logico. Un'altra possibilità era che Lissa l'avesse trovata. In fin dei conti era quasi ora di cena. Aveva senso. Se non fosse stata nella sua stanza, avrebbe voluto dire che era con Lissa. Non c'era motivo di preoccuparsi.

Non cambiò nulla quando aprii la porta con la mia copia della chiave e trovai la sua stanza vuota.

La sua borsa da palestra era lì, però, gettata appena oltre la porta. Ciò significava che a un certo punto era passata di lì. Lissa, cercai di ricordare a me stesso, probabilmente è con Lissa.

Tuttavia, i miei piedi si diressero verso la scala di emergenza che portava all'accesso al tetto alla fine del corridoio. Giusto così, per ogni eventualità. La pesante porta d'acciaio cedette con un forte cigolio, mascherando a malapena i suoni del sussulto sorpreso di qualcuno che trascinava i piedi dall'altra parte.

Rose era in piedi sul pianerottolo, mezza rampa di scale sopra di me, sistemandosi i vestiti dopo lo spavento di pochi secondi prima. In un primo momento rimanemmo semplicemente a fissarci. Il respiro tremante, gli occhi cerchiati di rosso, un silenzio pesante pieno di scuse da entrambe le parti.

Riuscii a salire i gradini in meno di tre passi, riducendo la distanza tra noi da dieci metri a dieci centimetri senza una parola. Da così vicino, potevo vedere di nuovo il fuoco nei suoi occhi, che mi sfidavano a dire qualcosa sulla nostra precedente discussione. Vidi anche un leggero fremito nelle sue labbra.

Le mie braccia la circondarono, premendola forte contro di me. "Non allontanarti mai più da me in questo modo. Okay?"

La sentii annuire, borbottando qualcosa senza parole contro la mia giacca mentre il suo pugno trovava un appiglio nella stoffa giusto sopra il mio cuore.

"Mi dispiace, Roza." Mi tirai indietro per poterla guardare di nuovo, i miei pollici cancellarono la quasi inesistente ombra di lacrime dalla sua guancia. "Mi dispiace così tanto. Mi hai spaventato da morire. Solo... per favore non lasciarmi." La baciai sulla fronte, felice che fosse al sicuro tra le mie braccia.

"Te lo prometto" sussurrò. "Lo prometto."

Quando alla fine sentii che potevo lasciarla andare, ci fu un momento – solo un momento – in cui mi sembrò che le cose potessero andare oltre. Dal modo in cui mi guardava, ero sicuro che lo sentisse anche lei.

"Dovresti andare a cercare Lissa. Era preoccupata. Ed è quasi ora idi cena."

Mi guardò con una sorta di sbalordita confusione prima di rispondere. "Oh. Sì. Immagino che... dovrei... andare... allora."

Annuii, anche se perderla di vista era l'ultima cosa che volevo fare. Replicò il mio gesto prima di strofinarsi l'angolo del naso e sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi feci da parte, permettendole di scendere giù per le scale, rampa dopo rampa, e fu solo quando fu completamente scomparsa dalla mia vista che mi sentii come se fossi di nuovo in grado di pensare chiaramente.

Cosa mi stava succedendo? Ero passato dall'essere terrorizzato all'idea di trovarla, al sollievo euforico, all'essere in procinto di schiacciarla contro la parete e farla mia in pochi istanti. La mia schiena colpì il muro, scivolando lungo il cemento finché non fui seduto con la testa tra le mani. Non potevo continuare così.


Alla fine della settimana ero sfinito. Non si trattava solo della stanchezza fisica dell'esercitazione sul campo a fiaccarmi, anche se c'erano molti sintomi di tale stanchezza. L'esaurimento mentale del cercare di capire questa nuova attrazione emotiva tra Rose e me, in particolare la nuova sorprendente potenza che sembrava avere, era quasi più estenuante di qualsiasi altra cosa. Non era doloroso, ma a modo suo era angosciante. E lo era abbastanza da farmi perdere la concentrazione, a quanto pare.

Bastò un momento di distrazione e mi ritrovai un bel taglio sulla guancia. Non abbastanza da lasciare una cicatrice, ma sufficiente a causare un gran pasticcio. Sapevo che la clinica a quell'ora era ancora aperta, ma non valeva la pena attraversare il campus. Il kit di pronto soccorso della palestra sarebbe stato più che sufficiente per ripulire la ferita. Onestamente, se non avesse sanguinato così tanto, probabilmente sarei andato direttamente nel mio appartamento a sistemarla.

Ero contento di non averlo fatto però, perché mi accolse un suono di pugni contro il vinile, che si fermò solo quando la porta si richiuse sbattendo dietro di me.

"Ti rendi conto che stai morendo dissanguato?"

Mi toccai la guancia, ricordando all'improvviso il motivo per cui ero andato lì e il fatto che non avesse nulla a che fare con la ragazza dai capelli scuri di cui avevo apparentemente interrotto l'allenamento notturno. "È esagerato" la rassicurai. "Non è niente."

"Non è niente finché non ti viene un'infezione!"

"Sai che è improbabile che succeda." Con un sistema immunitario Dhampir, dovrei impegnarmi seriamente a maltrattare la ferita per contrarre un'infezione.

Nonostante ciò roteò ostinatamente gli occhi e indicò il piccolo bagno in un angolo della palestra. "Dai, andiamo." Probabilmente avrei dovuto protestare di più, insistere sul fatto che stavo bene, ma il sorrisino che mi rivolse mi lasciò impotente.

Entrò nel bagno un attimo dopo con una scatoletta bianca, con tanto di croce rossa. Con un piccolo balzo, si sollevò sul pianale accanto al lavello in modo da essere seduta all'altezza dei miei occhi.

"Non c'è bisogno che tu lo faccia, Rose."

"Smettila" mi rimproverò con una piccola occhiata sopra il panno bagnato sulla mia guancia. "Quante volte ti sei preso cura di me? Lascia che mi prenda cura di te per una volta, okay?"

Improvvisamente mi sentii di nuovo come se mi stessi preparando per la battaglia, l'adrenalina mi scorreva nelle vene e il battito cardiaco accelerò in pochi secondi. La mia voce, tuttavia, era quasi un sussurro. "Va bene."

Rose continuò il suo accurato lavoro, pulendo il taglio e mettendo le bende una per una sul lungo segno. Era quasi divertente quanto fosse concentrata sul suo compito, facendo scorrere lentamente il labbro tra i denti mentre lavorava, finché non ci fu più nulla da riparare.

Sfortunatamente, una volta sistemata la questione della ferita, l'unica cosa rimasta tra noi fu un silenzio imbarazzante e pochissimo spazio personale.

Le sue dita mi accarezzarono i capelli, tirandoli indietro e lontano dal mio viso, facendomi sussultare leggermente per lo shock che le sue dita scatenarono attraverso il mio corpo. Sperai quasi che pensasse che fosse causato dal dolore piuttosto che dal piacere, ma sapevo che mi conosceva meglio di così.

"Basta così" sussurrai, prendendole la mano, il suo polso vicino alle mie labbra, così vicino che potevo sentire l'odore del sudore dell'allenamento sulla sua pelle. "Sto bene."

"Sei sicuro?"

Dio, no. Non stavo bene. Stavo tutto tranne che bene. La volevo, avevo bisogno di lei. Avevo bisogno di lei come avevo bisogno dell'aria, o almeno così mi sembrava, specialmente in quel momento. Ma avevo bisogno di stare bene, per entrambi. Quindi, invece, mentii "Sì".

Il suo sorriso era dolce e leggermente triste, ma totalmente comprensivo. Sapeva esattamente cosa stavo dicendo e, cosa più importante, sapeva esattamente cosa stavo cercando disperatamente di non dire. La stessa cosa che ci rendeva grandi partner sul campo, e che probabilmente ci avrebbe reso meravigliosi in molti altri modi, mi rendeva anche quasi impossibile nasconderle le cose.

"Grazie, Rose."

Quando alla fine lasciai andare la sua mano, uscendo dalla palestra e lasciandola finire la sua pratica in pace, sentii il tocco persistente della sua pelle per ore. Il ricordo del suo sorriso e il modo in cui mi accarezzava dolcemente la guancia mentre si prendeva cura di me mi regalò sogni piacevoli invece che incubi per la prima volta in tutta la settimana.