Un'altra corsa verso il destino
Cara Candy,
ti aspetto nel giorno che tu hai scelto. Mi troverai nel mio appartamento, non prima delle sette di sera, però. Purtroppo, nonostante le mie insistenze, non sono riuscito a convincere Robert a darmi il giorno libero, altrimenti sarei venuto a prenderti alla stazione.
Candy, ti aspetto con trepidazione: non vedo l'ora di riabbracciarti.
Tuo
Terry
Candy sospirò, portandosi la lettera al petto. Povero, caro Terry, ancora così innamorato di lei. Eppure aveva cercato di essere distaccata nella sua lettera, anzi, aveva scritto parole al limite della freddezza. Non aveva avuto scelta, ma il fatto che lui desiderasse rivederla con tanta trepidazione significava che non aveva capito. O che non voleva capire.
Mentre entrava in clinica e salutava il dottor Martin, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu che erano giorni che non vedeva Albert, e che non l'avrebbe rivisto almeno fino al suo ritorno dal viaggio.
"Candy, cosa ci fai qui?", le chiese il dottore facendola trasalire.
"Come?", domandò senza capire.
Il buon dottore si grattò la testa: "Accidenti, eppure ero sicuro che saresti dovuta partire questa mattina. E non tocco un goccio di whisky da...", ma lei già non lo ascoltava più e a malapena si rese conto che stava contando sulle dita.
"Oh, no, era oggi! Devo correre!", gridò gettando via il berretto da infermiera e cominciando a slacciarsi la divisa.
"Ehi, ehi, quanta fretta! A che ora parte il tuo treno?".
"Mi scusi". Candy consultò l'orologio da taschino del medico, estraendolo dalla sua tasca senza tante cerimonie: "Tra un'ora!".
"Ragazza mia, allora conviene che tu prenda la carrozza di Tom: è venuto per accompagnare suo padre ma so che deve andare in città. Ti darà volentieri un passaggio".
Lei lo guardò stralunata: "Tom è qui? Il signor Steve sta male?", domandò preoccupata.
Il dottor Martin scoppiò a ridere: "Oh, no, tranquilla, è un semplice controllo, ma sai com'è fatto. Se il figlio non lo obbliga a...".
"Candy!". La voce del suo amico la raggiunse proprio in quel momento.
"Oh, Tom, devo chiederti un grande favore!".
Mentre lui lanciava i cavalli in una folle corsa verso la stazione, Candy si chiese perché ogni volta che doveva raggiungere Terence era terribilmente in ritardo. Ebbe un dejà-vu della notte in cui era fuggita dalla Saint Paul School per arrivare al porto prima che partisse e la sensazione si acuì quando vide il treno, su cui sarebbe dovuta salire, lanciare uno sbuffo di vapore mentre si allontanava inesorabilmente.
Si accasciò al suolo, priva di forze, come se avesse corso lei stessa fin lì. Quel continuo rincorrersi e non trovarsi era un segno ineluttabile del destino, a quanto pareva.
Tom la raggiunse con la valigia: "Mi dispiace, Candy, ho fatto del mio meglio".
Gli sorrise, rassicurante: "Stai tranquillo, Tom, la colpa è mia. Stamattina sono uscita di corsa e ho a malapena salutato Miss Pony e Suor Lane, altrimenti sono certa che mi avrebbero ricordato loro per tempo che dovevo partire. Per fortuna che almeno la valigia l'ho lasciata in clinica!", concluse colpendosi leggermente la testa con un pugno.
Tom si mise a ridere: "Sei proprio sbadata, Candy! Ora che farai?".
"Semplice, mi siederò qui e aspetterò il prossimo treno. Tu torna pure da tuo padre, sai quanto odia gli ospedali!".
Si salutarono affettuosamente e lui a un certo punto disse: "Candy... in bocca al lupo".
Per un attimo rimase stupita dal suo tono: aveva detto ai suoi amici che sarebbe andata a New York per una questione di lavoro, ma ormai quel ragazzo cresciuto con lei doveva leggerle dentro. Ovviamente non sapeva la verità sui suoi sentimenti contrastanti, ma non erano quelli la sede o il momento per confidarsi. Si limitò a sorridergli e a ringraziarlo per tutto.
Il treno successivo arrivò dopo due ore.
- § -
Albert rilesse lo stesso rapporto tre volte prima di cominciare a capirne il senso. Sbuffò, frustrato, mentre avvertiva la presenza di George di fronte a lui che attendeva pazientemente: "Qualcosa non va, signorino William?", esordì alzando leggermente un sopracciglio.
Scosse la testa: "Quando ti deciderai a chiamarmi semplicemente Albert? E comunque no, va tutto bene, è solo che non riesco a concentrarmi".
"Se vuole posso farle un riassunto io del mercato azionario di oggi. Il consiglio degli investitori suggerisce...".
"Sì, va bene", tagliò corto lui firmando velocemente il foglio. "Vendiamo e non se ne parli più".
George si limitò a prendere in mano quel foglio e a ripiegarlo con cura, commentando con calma: "Se non fosse la mossa azzeccata, a mio modesto parere, oserei dire che ha tirato a indovinare".
Albert fece un sorrisetto sbilenco, guardando il suo amico e tutore di sempre: "Se avessi sbagliato mi avresti corretto tu, lo so".
"Ma lei non sbaglia mai, signorino William, neanche quando è distratto come stamattina".
"E come ieri, e come l'altro ieri...", concluse guardando fuori dalla finestra. In realtà era dalla sera del ballo che aveva la testa fra le nuvole. Sapere che Candy forse non era più innamorata di Terence accendeva in lui sentimenti contrastanti, ma in quel momento lei era su quel treno per New York e tutto poteva ancora accadere.
La giornata era ancora lunga e lui doveva occuparsi di parecchie faccende, sia nel suo studio che recandosi in banca. Doveva cercare di concentrarsi su quello che stava facendo o sarebbe impazzito, oppure avrebbe mandato all'aria qualche grosso affare. O magari entrambe le cose.
Confessando finalmente a se stesso e a Candy i propri sentimenti aveva aperto una porta che rischiava di minare seriamente la sua integrità mentale. Era come un ragazzino alla prima cotta che si rifiuti di studiare o occuparsi delle faccende importanti per inseguire la sua amata.
E lui era il capofamiglia degli Ardlay, una delle più potenti di Chicago e forse degli Stati Uniti. Non una cosa da poco.
Se fosse dipeso da lui, però, sarebbe stato già in viaggio verso l'Africa con Candy, se solo lei lo avesse accettato. Le avrebbe mostrato i luoghi che amava, gli animali, magari impegnandosi in altre missioni umanitarie con lei al fianco. L'avrebbe fatta innamorare di lui, sposata e avrebbero avuto tanti bambini...
"... nei rapporti con i bancari delle società concorrenti. Signorino William? Albert, mi stai ascoltando?". A riportarlo alla realtà fu piuttosto quel nome pronunciato da George. Si voltò, stupefatto.
"Finalmente!", esclamò cercando di mascherare il fatto che non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto sino a quel momento.
Il buon uomo sospirò con aria rassegnata: "Signorino William", cominciò strappandogli un'espressione delusa, "capisco che il momento sia... uhm, come dire?, molto delicato, per lei. Ma devo ricordarle che ci sono situazioni famigliari di estrema urgenza che necessitano la sua attenzione, se non vogliamo finire in bancarotta tra qualche anno. Può cercare di concentrarsi sugli impegni per non mettere in difficoltà tutti gli Ardlay?".
George era stato così incisivo e gentile che Albert provò un acuto senso di colpa. Nonostante i suoi pensieri fossero sempre, irrimediabilmente focalizzati su Candy, si predispose a spegnere momentaneamente quell'interruttore per dedicarsi ai suoi doveri.
"Hai ragione, George, ti chiedo scusa", disse riprendendo il controllo di se stesso e dicendosi che, perlomeno, avrebbe potuto continuare a offrirle una stabilità economica degna di lei.
"Tuttavia, se preferisce parlarne...". Il tono di George era volutamente evasivo. Nonostante gli anni, aveva sempre una forma di rispetto enorme nei suoi confronti e non voleva varcare troppo il limite della confidenza, se non era necessario.
Albert decise che glielo doveva e, diamine, aveva bisogno di parlarne con qualcuno! E chi, se non il suo fidato consigliere e tutore? Non gli aveva forse già rivelato che aveva intenzione di confessare a Candy i suoi sentimenti? Il minimo che si meritava era conoscere l'epilogo di quella sera.
"Tornerà da Terry per... fare chiarezza, come dice lei. Non è sicura di amarlo ancora", riassunse fissando un punto della scrivania.
"Beh, è già un passo avanti", commentò George tranquillo.
Alzò lo sguardo su di lui, perplesso: "Lo pensi davvero? Non mi sembrava molto contenta quando le ho detto che la vedevo con occhi diversi".
L'uomo di fronte a lui si accigliò, come riflettendo: "Però, se come mi ha detto, la signorina Candy ha bisogno di fare chiarezza potrebbe essere semplicemente troppo confusa per aprire il proprio cuore".
Albert si passò le dita della mano tra i capelli, sperando di poter sciogliere i nodi della sua anima come faceva con le ciocche: avrebbe dovuto tagliarli di nuovo, a proposito.
"Non so, George, mi sembrava riluttante. Temo che lei mi veda semplicemente come un fratello maggiore".
"Le ha detto così?".
"No, ma...".
"Non tragga conclusioni affrettate, signorino William. E comunque, anche se ora non prova nulla per lei, non è detto che in futuro non possa succedere. Semplicemente quello non era il momento giusto".
Si sedette, incrociando le mani sulla scrivania: "Stavo per dirglielo, George, ma prima che potessi finire la frase mi ha detto che andava da lui. È stato come ricevere una doccia gelata".
George sembrò colpito: "Deve essere stato molto brutto, lo so". E lo sapeva davvero, rifletté Albert, chiedendosi se avesse mai provato ad aprire il cuore alla sua defunta sorella, prima che lei decidesse di sposare un altro uomo.
"Immagina la scena: io che sto per confessarle chiaramente il mio amore e lei che mi comunica che sta per andare a incontrare Terence", fece una risatina amara.
"Non tutto è perduto, William".
"Non lo so. Non ne sono sicuro. Adesso come adesso la mia speranza è che torni con il cuore libero. Sono un codardo egoista, ma preferisco vederla sola che a fianco di un altro uomo. Io, che qualche anno fa l'ho mandata dritta da lui".
"E quella volta non è rimasta col signorino Terence", gli ricordò.
"No, ma Susanna era ancora viva. Oh, devo smetterla di pensarci, o impazzirò", concluse strofinandosi il viso con le mani. Stava per venirgli uno di quei mal di testa di cui si lamentava spesso la zia Elroy.
"Coraggio, non è da lei arrendersi così facilmente", tentò di rincuorarlo George riponendo i documenti in una cartellina.
"Hai ragione", dichiarò alzandosi e battendo le mani sul piano di lavoro, "pensiamo agli affari e quel che sarà, sarà, giusto? Basterà aspettare e vedere".
Ma Albert, di tempo, ne aveva già aspettato fin troppo.
Mentre usciva dalla stanza con il suo fidato George, il suo pensiero volò inesorabilmente a lei, su quel treno che correva a New York, senza che potesse impedirselo.
- § -
Candy arrivò a New York nella tarda serata del giorno successivo, essendo partita ben due ore dopo. Era stanca, aveva fame e voleva solo stendersi un attimo su un letto vero prima di incontrare Terry. Non si erano dati un orario preciso, ma se avesse potuto avrebbe rimandato l'incontro alla mattina dopo.
Ogni ora, ogni minuto passato sul treno le erano serviti per confermare ancora più nel suo cuore ciò che già sospettava da tempo. Non si sarebbe mai dimenticata un appuntamento con Albert e appena arrivata si sarebbe precipitata da lui anche se avesse viaggiato per giorni.
La realtà era che si stava pentendo amaramente di aver illuso così Terence e di aver creduto davvero che ci fosse qualcosa da chiarire dentro di sé. Tutto il suo essere gridava il nome di Albert e desiderava solo che le sue braccia le si chiudessero intorno in quel preciso istante.
Ma era giusto così: era necessario dire addio a Terry, glielo doveva.
Coraggiosamente, entrò nel suo piccolo albergo presentando la propria prenotazione. Si sarebbe fatta una doccia calda, cambiata e avrebbe bussato alla porta dell'attore. Magari avrebbe comprato dei dolcetti da mettere sotto ai denti con lui... forse, però, era una pessima idea: cosa se ne sarebbe fatto del dolce quando gli stava per riversare addosso l'amara verità?
"Mi dispiace, signorina, ma la sua stanza è stata occupata". Le parole del receptionist interruppero bruscamente il suo flusso di pensieri.
"Come? Ma non è possibile!", esclamò sentendo una nuova ondata di stanchezza pervaderle gli arti.
"Sono spiacente, ma l'attendevamo ore fa e nel frattempo è arrivata una signora che viaggia con il figlioletto, quindi le abbiamo dato priorità".
Candy sospirò, frustrata: "Beh, per me va bene una camera qualsiasi".
L'uomo parve stringersi nelle spalle per rimpicciolire davanti a lei quando spiegò: "Purtroppo l'albergo è al completo, signorina... oh!". Il receptionist sembrò accorgersi di qualcosa d'importante mentre consultava il registro e chiamò un collaboratore, parlandogli all'orecchio.
"Cosa? Che c'è adesso?", domandò confusa.
"Le chiedo di perdonarmi, non avevo collegato il suo nome con quello della famiglia Ardlay", dichiarò facendole un profondo inchino e mettendola estremamente in imbarazzo, "Provvediamo subito a intimare alla signora di cercare un'altra sistemazione, tra l'altro quella è una delle nostre migliori stanze, si trova all'ultimo piano ed è dotata di...".
Candy sentì una rabbia cieca pervaderle il corpo e martellarle le tempie: "E voi mandereste fuori a quest'ora una signora con un bambino piccolo solo perché il mio è un nome importante? Siete davvero degli insensibili!".
Il receptionist rimase visibilmente basito, mentre il collega che stava già recandosi alla scalinata si bloccò. Candy ormai era un fiume in piena, complici la stanchezza e i nervi a pezzi: "Se davvero in questo albergo siete soliti fare delle discriminazioni solo in base al ceto sociale, allora state pur tranquilli che non ci metterò più piede! Lasciate in pace quella povera donna e suo figlio, la colpa è mia che ho perso il treno, quindi me ne assumo tutta la responsabilità. Buonasera", concluse riprendendosi la valigia e uscendo di lì a testa alta.
Camminò a passo svelto per qualche minuto per sbollire l'irritazione, poi la sua mente riprese a vagare.
Pensò che avrebbe dovuto dire ad Albert di revocare l'adozione, soprattutto ora che tra loro due le cose stavano per cambiare radicalmente. Non avrebbe certo potuto fidanzarsi con suo padre! Ridacchiò, arrossendo a quel pensiero e desiderando con tutta se stessa che Albert le facesse quella fatidica domanda!
Non avrebbe mai creduto che anche lui fosse innamorato di lei, era come un sogno troppo bello dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi. Avevano persino deciso di aprire i loro cuori quasi nello stesso momento... Il dubbio la colse d'improvviso: stava davvero per dirle quelle parole o magari se lo era sognato?
Io ti...
Io ti considero come una sorella. Io ti voglio bene. Non gli aveva dato il tempo di finire la frase, accidenti a lei! Poteva terminarla in qualsiasi altro modo!
No, non era possibile: il suo sguardo, la sua dolce agitazione, quel suo confessarle che la vedeva con occhi diversi... era chiaro, come il sole e come le sue iridi...
Gli occhi di Albert...
Dopo qualche minuto in cui fantasticava, si rese conto che stava camminando senza meta in una strada buia: davvero una pessima idea per una ragazza sola.
"E adesso dove vado?", si chiese sapendo già la risposta. Prese un respiro d'incoraggiamento e cominciò a dirigersi a casa di Terry.
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Angolo dei commenti:
Elbroche: È stato un momento intenso, vero? Ora respiriamo tutti che la storia va avanti XD
Edith Andrade Ce: Se tra Candy e Albert fosse stato tutto semplice la storia sarebbe stata molto più beve e felice. Ma io adoro complicare le cose (non odiarmi) e ora Anche Annie e Archie hanno i loro dubbi. Che succederà a tutti quanti? Spero ti piaccia questo capitolo! Un abbraccio!
Mia8111: Grazie di cuore, spero che la storia continui a piacerti!
