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Albert cadde a sedere pesantemente quando George gli riferì quello che aveva scoperto. Aveva temuto di venire a sapere che Candy e Terence erano stati visti insieme, che la prenotazione di lei in albergo fosse stata prorogata... Non era pronto a scoprire che l'hotel dove alloggiava aveva preso fuoco.

Aveva le mani gelide, che gli tremavano leggermente: quella notizia lo aveva scosso nel profondo, così improvvisa e inaspettata.

"Non avevano", dovette schiarirsi la voce, "non avevano un registro con gli ospiti presenti in quel momento?", chiese a un George teso come una corda di violino.

"Mi hanno riferito che stanotte hanno provveduto a identificare i sopravvissuti con l'aiuto del direttore e sono già stati inviati i primi telegrammi alle famiglie delle vittime", spiegò con un tono pieno di terrore che Albert non gli aveva mai sentito.

Quando alzò gli occhi su di lui, vide che si tormentava le mani.

"Ma noi non abbiamo ancora ricevuto nulla, quindi non sappiamo se lei...". Si era alzato, camminando in tondo, cominciando a fare lo stesso gesto di George per calmare il tremore che l'affliggeva.

Si volse a guardarlo, come cercando nei suoi occhi qualche informazione in più. Improvvisamente capì che c'era dell'altro e che il buon uomo non aveva il coraggio di dirlo: "George, per l'amor di Dio, dimmi che altro c'è!", lo incalzò con tono urgente.

"Ecco...". Senza smettere di tormentarsi le dita, George abbassò gli occhi come cercando le parole: "Mi hanno detto che ci sono molti feriti in ospedale, con ustioni più o meno gravi. Per quanto concerne le vittime però... non sono identificabili se non attraverso il registro".

Albert sentì distintamente il sangue defluirgli dal viso. Dovette sedersi di nuovo: "Vuol dire che non ne è rimasto niente?", chiese con un tono di voce più controllato di quanto sospettasse.

"Esattamente, signore", ammise George.

Doveva controllare la respirazione, tornare di nuovo padrone di se stesso. Candy non poteva essere morta. Il suo corpo non era tra quelli carbonizzati e lui non avrebbe ricevuto quel telegramma così temuto. O forse sì, poteva anche essere ferita e avrebbero avvisato il suo tutore legale. Forse con lei c'era Terry.

L'idea lo illuminò all'improvviso: "Mettiti in contatto con Terence Graham! Avrà un telefono nel suo appartamento? Scopri dove vive, chiamalo!", disse concitato.

Vide distintamente lo sguardo del suo braccio destro diventare di nuovo nitido: probabilmente, colpito dalla notizia, non ci aveva neanche pensato: "Corro!".

E lo fece davvero, volò letteralmente fuori dalla stanza, come non lo aveva mai visto fare.

Rimasto solo nel suo studio di Chicago, Albert cominciò a pregare in silenzio.

- §-

"Commissario Johnson, c'è il receptionist dello York Hill che chiede urgentemente di lei". L'uomo alzò gli occhi dal registro, dal quale aveva recuperato i nomi di tutti gli occupanti del terzo piano ore prima. I telegrammi erano già partiti e rifletté che ormai i familiari delle vittime e dei feriti dovevano essere al corrente dell'evento.

"Ha qualche elemento in più rispetto all'accaduto?" Eppure il personale dell'albergo era stato interrogato brevemente la notte prima, anche se era in programma che avrebbero ascoltato e registrato le deposizioni di tutti durante quella giornata.

"Credo proprio di sì, commissario. Pare che potrebbe esserci un errore nel registro", ribatté il poliziotto indicandolo.

Si ritrovò a ricordare che poco prima aveva ricevuto una strana telefonata da un uomo che chiedeva notizie su una delle clienti dell'hotel, ma non conoscendo con certezza la sua identità anche se si era presentato e temendo che potesse trattarsi di un giornalista in cerca di scoop, aveva evitato di dargli a voce una notizia sconvolgente.

Sperava che quella telefonata e l'errore non fossero in qualche modo collegati.

Johnson aggrottò le sopracciglia: "Fallo passare", disse incuriosito.

L'uomo era abbastanza giovane, non doveva avere più di trent'anni. Gli occhi apparivano cerchiati come se non avesse chiuso occhio e il commissario poteva capire perché: "Si sieda, la prego. Vuole che registriamo la sua deposizione, già che è qui?".

"Certo, come vuole", rispose l'uomo con una certa urgenza nella voce, "ma prima mi dica una cosa: è vero che avete già inviato i telegrammi ai parenti delle vittime?".

"Sì, certo, ci sembrava corretto fare del nostro meglio e...".

"Oh, Dio del Cielo!", commentò il tipo davanti a lui cui, nella fretta, non aveva neanche chiesto il nome.

"Ora si calmi, mi dica come si chiama e cosa è successo".

"Mi chiamo David Harris e uno degli ospiti dell'albergo... beh, non era lì al momento dell'incendio".

Il commissario saltò in piedi: "Che cosa? Che vuole dire?!".

David lanciò un'occhiata alla sua scrivania: "Le chiedo scusa, commissario, posso leggere un attimo i nomi degli occupanti del terzo piano? Mi aiuterà a ricordare il cognome".

Con la gola secca e i nervi a fior di pelle, il commissario girò il registro e vide l'uomo scorrere alcuni nomi con un dito tremante: "Ecco, lo sapevo! Non ho avuto modo di avvisare il direttore e abbiamo omesso di cancellarla: la signorina Candice White Ardlay non ha occupato la sua stanza perché è arrivata in ritardo".

Johnson piegò la testa per leggere i nomi della stanza 305: "Vuol dire che non era nella stessa camera con Samantha Moore e suo figlio? Qui ci sono tre nomi!".

Il receptionist sembrò voler incassare l'intera testa nelle spalle, mentre diceva con voce tremante: "Lo so, ma quando non si è presentata dopo ore dalla prenotazione abbiamo pensato che non venisse più. Poi è arrivata la signora con il bambino addormentato in braccio e non ho potuto dirle di no. Ci aveva detto che si sarebbe trattenuta solo per poche ore per far riposare il figlio e quella era l'ultima stanza disponibile, ho pensato che non ci fosse nulla di male, non era la prima volta che un cliente non si presentava".

"E perché a quel punto non avete cancellato il nome della signorina Ardlay?", chiese mentre nella sua mente si stava facendo strada un'orribile verità.

"Pensavamo che alla fine la signora Moore sarebbe andata via e magari nel frattempo sarebbe arrivata la signorina Ardlay, così l'abbiamo semplicemente fatta firmare sotto. Invece, quando finalmente si è presentata la camera era ancora occupata. Mi dispiaceva mandare via quella donna, aveva un bambino e...". L'uomo sembrava sull'orlo delle lacrime.

"Ok, si calmi. Cosa è successo con la signorina Ardlay, non ha rivendicato la sua stanza?".

Harris scosse la testa: "No, ne ha chiesta un'altra e quando le ho detto che l'albergo era pieno sembrava rassegnata. Poi mi sono reso conto che il suo cognome era uno dei più noti e potenti degli Stati Uniti e mi sono affrettato a ritrattare".

Johnson sentì il sangue martellargli nelle tempie: "Una delle famiglie... Ardlay... oh, Signore", invocò a bassa voce realizzando la portata dell'errore. Si costrinse a calmarsi, perché avrebbe volentieri sfogato la sua frustrazione su quel receptionist poco attento.

"La signorina si è arrabbiata molto, diceva che il suo nome non era un buon motivo per disturbare una madre col suo bambino e... e se n'è andata", concluse Harris portandosi le mani al volto.

Il commissario prese a camminare avanti e indietro e alla fine esplose: "E perché diavolo non l'avete cancellata, dunque!".

"Mi hanno... mi hanno chiamato per verificare una prenotazione per il giorno dopo, poco dopo è scoppiato il caos e...". Il poveretto ormai piangeva apertamente e tremava come se si attendesse di essere picchiato.

Johnson batté una mano sul registro, facendolo sussultare ulteriormente. Doveva mantenersi lucido e recuperare il recuperabile. Di certo il telegramma alla famiglia Ardlay era già partito e se veramente la signorina era ancora viva l'avrebbe pagata molto cara per quella disattenzione, anche se non era stata colpa sua: "Sa dov'è andata la signorina dopo?".

"Nossignore", balbettò l'uomo asciugandosi gli occhi.

"E lei è sicuro che non sia mai salita in quella stanza?", chiese.

"Sì".

"E come fa a esserne sicuro se si è allontanato?".

"Perché è rimasto il mio collega a darmi il cambio, e quando sono tornato mi ha confermato che non si era presentato nessun altro".

Respirò profondamente, poi chiamò uno dei suoi sottoposti, dandogli istruzioni di portargli le ricevute dei telegrammi: "Lei resti qui, registreremo la sua deposizione", disse a un ormai distrutto David Harris.

Mentre organizzava le cose per mettersi in contatto con la famiglia Ardlay, cercava disperatamente di ricordarsi il nome dell'uomo che lo aveva chiamato proprio poche ore prima, presentandosi come il segretario di William Albert Ardlay.

Aveva saputo dell'incendio e voleva notizie di una certa Candice, chiamata Candy.

- §-

Terence aveva ripreso il controllo di se stesso, anche se a fatica. In cuor suo, sapeva che Candy non era più la stessa fin da quando aveva ricevuto da lei quella lettera così fredda. Anzi, a ben pensarci, quel silenzio che l'aveva preceduta era già piuttosto eloquente: Candy non sapeva cosa rispondergli.

Solo adesso permetteva a quelle considerazioni di emergere in tutta la loro, cruda realtà.

Mentre la stazione si materializzava davanti a loro e lui parcheggiava l'auto, le domandò: "Perché hai ricambiato il mio bacio quando sei arrivata, ieri?".

Vide Candy sussultare alle sue prime parole dopo un viaggio passato in silenzio: "Io... io...".

"Volevi provare a te stessa di non amarmi più, non è così?". Leggeva in lei come in un libro aperto, ormai. E quello che capiva gli faceva male.

Lei non rispose, ma guardò in basso, arrossendo.

"Va bene, ho capito. Non fa niente". Si passò una mano nei capelli, come faceva sempre quando era a disagio. Provò l'improvviso desiderio di tagliarli tutti, nell'assurda speranza che anche il suo passato potesse fare la medesima fine: "Ieri notte ho cercato di suicidarmi".

Candy lanciò un piccolo urlo. Aveva una mano davanti alla bocca e lo fissava con gli occhi sgranati. Ancora una volta non disse nulla, gli sembrava paralizzata da quella rivelazione.

"Sono stato un idiota, lo ammetto. Stavano morendo delle persone, non ero riuscito a salvare quella signora col suo bambino che occupava la tua stanza e ti avevo persa. Ora è passata. Non voglio nasconderti nulla, Candy. Né quanto ti amo, né quanto sto male adesso. Ma non mi metterò più a battere i piedi come un bambino immaturo e non ho più intenzione di ripetere un gesto così sconsiderato". Era sincero, il dolore lo aveva accecato momentaneamente e quando si era ripreso era stato a un passo dal supplicarla di rimanere anche se non l'amava.

Ma doveva a se stesso più rispetto, ora lo capiva.

"Candy". Lei stava piangendo e chiedendogli perché. "Mi dispiace, non voglio più che ti preoccupi per me. In realtà... voglio che tu sia felice".

Ancora una volta quella frase. Peccato che lei fosse stata molto brava a trovare la sua felicità, quello che aveva fallito su tutta la linea era lui.

"Terry, non posso lasciarti solo, se so che tu... che tu...".

"Ascoltami", le scostò le mani dal viso e le tenne gentilmente i polsi. Ora toccava a lui essere forte: "È stato l'impulso di un momento, una follia che non ripeterò. Sono devastato, non te lo nascondo, ma non voglio più morire. Non dopo aver toccato con mano quanto è fittizia la vita. Il mese prossimo sarò di scena in giro per l'America e mi hanno persino proposto di recitare in un film con mia madre".

Lei spalancò gli occhi, sembrava stupita e sollevata: "Davvero?".

Terence le sorrise: "Sì e anche se in principio non ero d'accordo a recitare con lei, ora penso che lo farò. Voglio concentrarmi sulla mia carriera, ma tu promettimi una cosa: devi scrivermi. In questo modo ti sentirò più vicina e io ti risponderò".

Lei annuì vigorosamente: "Certo, certo che ti scriverò! Ti racconterò della Casa di Pony e della Clinica Felice e ti farò sapere quando Archie e Annie si sposeranno!".

Terry deglutì, grato che non nominasse altri eventi che includessero Albert. Ma c'era una domanda che gli bruciava sulla lingua e non ebbe il coraggio di fargliela. Mentre arrivavano alla banchina e Candy comprava il biglietto capì che doveva saperlo, per stare in pace con se stesso.

Il treno arrivò e lui s'incollò un sorriso quanto più sincero possibile sulle labbra, mentre continuava a rassicurarla sulle sue intenzioni di andare avanti concentrandosi sulla carriera. L'aiutò a salire sul treno con la valigia: il corridoio era deserto ed era ora di scendere: "Addio Candy", le disse voltandosi immediatamente per non mostrarle gli occhi lucidi.

"Terence!", lo richiamò facendogli fermare il cuore.

Mi dirà che si è sbagliata, che mi ama e che vuole rimanere con me.

Ma non credeva davvero a quei pensieri. Non a una parola.

"Girati, ti prego", gli chiese invece, lasciandolo perplesso.

Lui lo fece e Candy gli volò tra le braccia: "Stavolta voglio salutarti come si deve. Ti voglio bene, Terry", disse piangendo e stringendolo forte.

Stava per ricambiare il suo abbraccio, ma lei si era già allontanata e si stava asciugando gli occhi: "Grazie. Anche io ti... voglio bene, Tarzan Tuttelentiggini", le rispose piegando le labbra in un sorriso.

Anche lei sorrise e lui decise che l'avrebbe ricordata così, almeno finché non l'avesse rivista: e sarebbe accaduto solo quando non avrebbe fatto così male. Non prima.

Fortunatamente si affacciò dal finestrino come si aspettava, così poté farle quella domanda, mentre il treno già cominciava a muoversi.

"Candy! Albert ti ama?".

Lei parve stupita, poi sul suo volto apparve un'espressione che avrebbe pagato oro perché fosse rivolta a lui: "Io... io credo di sì".

"E sa che lo ami?", proseguì affrettando il passo mentre la locomotiva prendeva velocità.

"Io... non ero sicura, non sapevo...". Terence capì.

"Bene, ora lo sai, quindi affrettati a farglielo sapere. Sii felice, Candy!", gridò correndo.

"Anche tu!", furono le ultime parole di lei, portate via dal vento.

Vide il treno allontanarsi e la sua sagoma scomparire del tutto. Era finita. Candy era uscita definitivamente dalla sua vita.

Chiuse gli occhi, mise le mani in tasca e si allontanò senza fretta.

Quella sera avrebbe dovuto esibirsi e in una scena il protagonista sarebbe stato disperato per un amore perduto. Avrebbe regalato al pubblico un'interpretazione quanto mai convincente e lacrime vere.

Pensava che non gli sarebbe bastata l'intera vita per dimenticarla.

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George si rigirò tra le mani gelide e tremanti il telegramma che veniva direttamente dal corpo di polizia di Broodway. Era stato tentato di aprirlo, di strapparlo, di cancellarlo come se avesse potuto fare lo stesso con le parole che c'erano all'interno.

Ma sapeva di doverlo dare a William... ad Albert. Quel ragazzino isolato dal mondo che aveva imparato ad amare come un fratellino minore e poi come un figlio.

Il suo cuore sapeva bene che ciò che era scritto in quel telegramma lo avrebbe annientato e odiava il compito che il destino beffardo gli aveva assegnato: ma gli sarebbe stato accanto, lo avrebbe supportato e gli avrebbe dato la forza di continuare.

Come se servisse a qualcosa...

Mentre camminava lungo il corridoio, tormentandosi internamente, cominciò a nascere in lui la speranza che si trattasse di altro. Forse la signorina Candy era solo ferita.

In quel caso non ci avrebbe forse avvertiti l'ospedale stesso?

Oppure avevano cambiato i piani e avevano deciso di avvisare tutti, indifferentemente dalle sorti degli occupanti delle camere.

In quel caso, invece, sarebbero stati i superstiti stessi a chiamare a casa.

Mentre smontava e rimontava ogni ipotesi plausibile, George arrivò alla porta di William, che a quell'ora stava certamente controllando i bilanci. Alzò la mano in un gesto meccanico e si bloccò.

Coraggio.

Gli ci volle veramente tutto il proprio coraggio per bussare e, quando udì la voce serena rispondergli col solito "avanti", gli parve di essere un soldato in procinto di gettare una bomba in una zona di pace.

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Eeeeeeee eccoci alla zona commenti che, come dico sempre rubando spudoratamente l'espressione alla mitica PCR de Andrew, sono il mio stipendio!

Elbroche: Lo so, ho fatto stare tanto male Terence, ma d'altronde merita la verità, per dura che sia. Per quanto riguarda Albert che è a casa ad aspettarla e potrebbe ricevere la notizia sbagliata... ops...

Mia8111: Grazie di cuore!

Clint Andrew: Hai proprio ragione, Terry merita di essere felice, anche se non sarà accanto a Candy. Purtroppo, al momento, la ferita è ancora fresca e dovrà curarla... Per quanto riguarda Annie ed Archie la loro storia sembra proprio in crisi, vedrai prestissimo cosa succederà! Grazie mille a te, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, alla prossima!

Elizabeth: Sì, tra Terry e Candy è giunta proprio la fine, come avrai avuto modo di leggere anche in questo capitolo. Per quanto riguarda il nostro amato Albert e la notizia funesta che potrebbe ricevere... ehm... come ho scritto a Elbroche: ops...

Guest: Devo dire che è bello che, pur essendo qui tutte "albertiane" (non sbaglio, vero?) , proviamo empatia per Terry. Si tratta di un personaggio che io stessa apprezzo molto e mi è dispiaciuto farlo soffrire. La separazione fa sempre male, anche a Candy stessa che gli vuole comunque un gran bene. Ma, come ho già avuto modo di dire, lui merita qualcuna che lo ami davvero!

Edith Andrade Ce: Sui capitoli in cui parlavo della separazione con Terry ho messo mano più volte e la mia beta mi ha anche consigliato di 'limarli' un po'. Ne esce comunque un Terence disperato che non tutte possono accettare: il mio pensiero è che, essendo lui focoso e impulsivo, possa spesso lasciarsi andare a emozioni violente che non manca poi di razionalizzare. Ed è proprio quello che è successo, anche se mi sembra di capire che questa sua sfumatura non ti abbia convinto molto. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto di più. Un abbraccio e grazie di cuore per avermi espresso il tuo sincero parere!