Un meccanismo diabolico

Eliza chiuse la porta a chiave e si diresse alla grande scrivania su cui troneggiava uno dei telefoni che avevano installato di recente a Lakewood. A parte un paio di librerie alle pareti e un armadio porta-documenti, quella stanza non veniva quasi mai usata e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarla lì.

C'era odore di chiuso e di legno, ma non si curò di aprire la finestra e andò dritta al telefono, tirando fuori dal vestito un bigliettino con il numero che voleva comporre.

Quando finalmente riuscì a farsi passare la linea cercò la diretta interessata, dicendo che era un'amica: "Molly, da quanto tempo! Sono Eliza Lagan, ci siamo conosciute in Florida in occasione dell'apertura di uno dei nostri hotel, ricordi?".

La voce dall'altra parte della linea divenne fredda e circospetta: "Certo che mi ricordo", rispose con un lieve tremito.

Poteva immaginarla, mentre rivoli di sudore le scendevano lungo le tempie e gli occhi nocciola si spalancavano per la sorpresa. Proprio come quel giorno, nella biblioteca della loro villa di Miami, quando aveva scoperto suo padre discutere con uno dei personaggi più loschi che le fosse mai capitato di vedere. La porta era appena accostata ma aveva intravisto l'impermeabile nero e la sciarpa grigia al collo.

Eliza aveva incontrato quello sguardo terrorizzato mentre entrambe si trovavano a passare lì davanti nello stesso, fatale momento e udivano le voci. Nessuna delle due aveva fiatato, ma la giovane Lagan aveva capito subito che il padre della ragazza, uno dei soci della sua famiglia, stava conducendo affari sporchi.

Sfruttando la golosa occasione che poteva tornarle utile in qualunque momento, era rimasta ad ascoltare con le braccia conserte e gli occhi socchiusi, fissando le reazioni sempre meno contenute di Molly Jordan, che si era portata una mano alla bocca per non urlare nel momento in cui furono nominate "partite di droga" e "alcoolici".

Pensava che sarebbe scappata via in lacrime, invece aveva resistito fino alla fine. La porta si era riaperta all'improvviso e ne era uscito solo il signor Jordan. L'altro uomo non c'era più e aveva capito che doveva essere andato via dalla porta-finestra per non farsi vedere.

E com'erano simili a quelli della figlia, quegli occhi spaventati! E quanto potere aveva sentito scorrerle nelle vene mentre entrambi, in una muta comprensione, l'avevano guardata sorridere!

"Tranquilli, non dirò nulla, per ora. Certo, se mio padre venisse a sapere una cosa simile potrebbe prendere decisioni... beh, non molto convenienti per voi", aveva esordito.

"La prego, signorina Lagan, mia figlia è sconvolta, io giuro che...". L'uomo sembrava sull'orlo delle lacrime e il suo sorriso si era allargato: la sua fortuna era immensa, non avrebbe mai creduto possibile di avere a che fare con un tale smidollato!

"Resta inteso che, se in futuro avrò bisogno di un piccolo favore, vi contatterò".

Fino a qualche giorno prima, Eliza aveva persino dimenticato quell'episodio, ma parlando con Neal le era ritornato in mente e quella era l'occasione perfetta. Sarebbe stato pericoloso? Forse, ma d'altronde non si era già spinta abbastanza oltre con Candy? Suo fratello, poi, sembrava così eccitato dall'idea che aveva avuto che, a parte un po' di titubanza iniziale, aveva dovuto ammettere che non c'erano molte altre alternative.

"Sai Molly", le disse guardandosi le unghie ben curate mentre si sistemava la cornetta tra l'orecchio e la spalla. "È venuto fuori da certi documenti che una delle distillerie rimaste ferme per via della nuova legge abbia, tra gli investitori, anche mio zio e tuo padre, che sono stati soci in affari molto tempo fa. Oh, anche il mio papà era coinvolto, ma da quando si occupa di hotel è rimasto fuori dal giro", sottolineò con una nota di cattiveria nella voce.

"E... cosa ti aspetti che facciamo?", domandò la vocina quasi in un pigolio. Musica per le sue orecchie, ormai l'aveva in pugno.

"Sai come vanno queste cose: un'azienda ferma, quote mai ritirate in attesa di tempi migliori... se solo ci fosse qualcuno disposto a smuovere un po' le acque sono certa che quei gentiluomini si metterebbero subito all'opera per riprendere il commercio. Certo, dovrebbero dare una grossa fetta di percentuale a chi li aiuterà a rimettersi in pista, ma è un prezzo piccolo da pagare per ricominciare a dare da mangiare a delle famiglie affamate, non pensi?".

Eliza ridacchiò come se stesse parlando di un ballo da organizzare, invece che di commercio illegale. Le scarse conoscenze di Neal riguardo gli affari di famiglia e un'accurata ricerca nei documenti dello zio William avevano dato più frutti di quanto immaginasse.

"Mio padre non ha più incontrato quell'uomo", ribatté Molly con una voce acuta che le indicò subito il bluff.

"Certo, certo. E mio zio è stato un ingenuo idealista a rimanere azionista della Whisky and Wine Company... ops, ma questa è la verità!".

"Cosa vuoi, Eliza?". Ora il tono era fermo e vagamente minaccioso.

"Voglio che vi serviate delle vostre... conoscenze per incastrare mio zio. Tuo padre dovrà ritirare la sua quota, ovviamente, se non vuole rimanere coinvolto. Farete credere loro che volete rimettere in moto il commercio in maniera del tutto sicura, così che la distilleria ricominci a funzionare".

"E se rifiutano? A chi dovrebbero vendere, poi?". Molly faceva le domande con una sfumatura di ansia che la fece infuriare.

"Non si rifiuteranno se saranno convinti in maniera efficace", ringhiò stringendo forte la cornetta. "Possono vendere a chiunque, inclusi uomini onesti che non si aspettano un dono del genere".

"Non capisco".

Eliza sospirò: "Sai, c'è un'impresa di costruzioni di cui sono proprietari gli Ardlay che ha sede a Londra. Ogni anno, mio zio invia loro a prezzi molto convenienti alcune bottiglie di pregiato Whisky scozzese che fanno parte della riserva che abbiamo a Lakewood. Ovviamente, al momento ha dovuto smettere, ma se una delle sue distillerie in disuso si ritrovasse improvvisamente a fare da tramite per questa consegna e Scotland Yard ricevesse una soffiata...".

Un ansito uscì dalla cornetta del telefono ed Eliza capì di aver fatto centro: "Ma è diabolico! Gli investigatori, tra l'altro, potrebbero valutare la possibilità che tuo zio non sappia nulla dei loro traffici".

La bocca le si stirò in un largo sorriso: "Non se c'è una regolare consegna di materiale con un allegato speciale in casse separate".

"Mi dispiace, ma continuo a non capire come possano collegare la consegna a tuo zio solo perché lui è uno dei soci sostenitori".

"Uno dei maggiori", puntualizzò Eliza. "Semplice, mia cara, perché le bottiglie proverranno dalla solita riserva di Lakewood pur avendo il timbro e la firma della distilleria. Non dovrebbe essere difficile, per la polizia, verificarne la provenienza e fare uno più uno. Ovviamente ci servirà anche un corriere che sappia tenere la bocca chiusa".

Molly rimase in silenzio per qualche istante ed Eliza si domandò se il loro piano non fosse davvero troppo complicato anche per la malavita più organizzata. Dovevano procurarsi un allegato falso e, cosa ancora più rischiosa, organizzare un corriere che da Lakewood imbarcasse il carico sotto adeguato compenso. Per fortuna che, almeno sotto quel punto di vista, i conti che suo padre aveva aperto per lei e suo fratello erano ben forniti.

"Dammi qualche giorno per organizzarmi. Devo parlare con mio padre e capire se è fattibile. Richiamami sabato sera".

"Facciamo venerdì", ribatté lei per farle capire chi teneva le redini.

Quando riattaccò, Eliza sentì una specie di scossa elettrica pervaderle tutto il corpo. Se tutto fosse riuscito alla perfezione, sarebbe stato un successo.

- § -

Per Archie erano giorni strani, sospesi in un limbo nel quale nulla era più ciò che era stato.

Sdraiato nel suo letto, tentando invano di prendere sonno in una notte che sembrava come tutte le altre, il giovane lasciò vagare la mente senza poterselo impedire.

Andava in ospedale quasi ogni giorno e lì incontrava Annie con i suoi genitori. Non c'erano state conversazioni tra loro quattro, quindi il giovane Cornwell ignorava se sapessero cosa fosse realmente accaduto, a parte che si erano lasciati.

L'incidente di Candy aveva dato la possibilità alle famiglie di non fare menzione della rottura e, se le cose si fossero protratte, nessuno avrebbe trovato strano che il matrimonio saltasse.

Ma Archie non poteva concepire che Candy rimanesse in quelle condizioni per così tanto tempo o, peggio, che potesse accaderle qualcosa.

Man mano che i giorni passavano, poi, si accorgeva di quanto la mancanza di Annie si facesse pesante.

Possibile che l'avesse amata più di quanto avrebbe mai immaginato e che, come in ogni perdita che si rispetti, se ne rendesse conto solo ora che non l'aveva più al suo fianco? Di sicuro era in pena per Candy, ma lo erano tutti.

Archie si mise un braccio sugli occhi chiusi, sospirando e scalciando via le lenzuola come se gli dessero fastidio.

Vedeva Albert vagare per i corridoi o, più spesso, sedere al suo fianco parlandole come se potesse ascoltarlo. Stava perdendo peso, era sempre più pallido e i suoi occhi erano gonfi per la mancanza di sonno e, sospettava, per le lacrime versate di nascosto.

Provava una pena immensa per lui e aveva cominciato ad aiutare George negli affari degli Ardlay che il patriarca non era più riuscito a seguire correttamente.

Gli era capitato di parlare a sua volta a Candy, raccontandole del loro primo incontro, delle giornate con Anthony e Stair e di quanto fosse importante nella sua vita. Gli era anche capitato di scoppiare in singhiozzi quando si accorgeva che lei non reagiva, ma cercava sempre di farsi forza.

"Candy", mormorò nel silenzio della stanza, sentendo gli occhi bruciare e il respiro accorciarsi.

Lei, che amava teneramente pur sentendo nel suo cuore la mancanza per Annie. Lei, che era sempre stata di una vitalità invidiabile. Lei, che aveva sempre aiutato gli altri.

Se Albert gli era parso dimagrito perché certamente mangiava poco e male, Candy era diventata l'ombra di se stessa, attaccata a semplici flebo e persino i suoi riccioli biondi avevano perso vitalità. Una mattina aveva trovato Albert intento a lavarle la chioma in una bacinella, con il supporto di un'infermiera e si era sentito morire.

Candy era diventata come una bambola di dimensioni naturali che non poteva più prendersi cura di se stessa.

E, più passava il tempo, più la speranza di una ripresa si affievoliva.

Con un gemito di rabbia si mise a sedere di scatto, asciugandosi gli occhi e alzandosi in piedi per camminare, il sonno scivolato via definitivamente come la vecchia pelle di un serpente.

Neil ed Eliza erano stati oggetto d'indagine ma la polizia, per mancanza di prove, stava brancolando nel buio. Avrebbe voluto prenderli per il collo e sbattere le loro teste l'una contro l'altra fino a farli parlare, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla, se non a farsi denunciare a sua volta.

Aveva sondato la situazione con George e l'uomo gli aveva detto che, se nessuno avesse confessato, probabilmente sarebbero stati presto autorizzati a tornare in Florida. Sconvolto, Archie era corso da Albert, sperando che lui potesse intervenire in qualche modo per impedirlo.

"Mi spiace, non posso fare nulla. E, ora come ora, l'unica cosa che m'interessa è che Candy si svegli", aveva dichiarato accarezzandole la testa mentre lei continuava a dormire.

Si sentiva impotente, furioso, colmo di rabbia: possibile che dovessero farla franca? Sbatté un pugno sul muro, tentando invano di sfogare la frustrazione.

Di una sola cosa era certo: se, disgraziatamente, Candy non si fosse mai svegliata, ad andare in carcere sarebbe stato lui, per duplice omicidio volontario.

- § -

La signora Elroy era inquieta.

Guardava il suo servizio da tè senza vederlo davvero, con gli occhi fissi negli ultimi accadimenti come se li stesse rivivendo in quel preciso istante.

Aveva sempre amato stare a Lakewood, ma quella specie di vacanza che aveva organizzato William si era trasformata in una grottesca prigionia. La polizia andava e veniva, faceva domande ai suoi nipoti e alla servitù, una volta aveva persino bussato alla sua porta.

Lei non si era scomposta, ma era certa che tutta quella situazione non avrebbe fatto bene al suo povero cuore. Il medico di famiglia le aveva intimato di stare a riposo.

Ma il suo riposo, al momento, era solo fisico perché nella sua testa c'era un turbinio di pensieri. Eliza e Neil continuavano a negare il loro coinvolgimento e la ragazza sosteneva di aver solo voluto mettere in difficoltà la protetta di William costringendola a cavalcare all'amazzone: era quello il suo semplice piano.

Elroy rilasciò andare il respiro che aveva trattenuto, strofinandosi la fronte con una mano.

Ovviamente non le aveva creduto, specie dopo aver sbirciato le loro reazioni durante quel confronto con William. E lui, a proposito, non era più tornato alla villa e a quanto pareva gli affari erano seguiti da George e Archibald direttamente a Chicago.

Si era sentita all'improvviso complice di qualcosa di cui non era a conoscenza ed evitò di fare altre domande ai giovani nipoti, che si aggiravano per la villa come anime in pena, discutendo spesso animatamente.

La verità era che non voleva sapere.

Perché se avesse saputo avrebbe dovuto parlare, non poteva certo tacere un fatto così grave. Per un attimo, la sua mente le suggerì che avrebbe potuto lei stessa essere indagata e pensò che, a quel punto, per la vergogna sarebbe semplicemente morta sul colpo.

Lei, la matriarca della famiglia Ardlay.

Allungò un braccio, ma il movimento brusco fece rovesciare la zuccheriera sul vassoio con un tintinnio che le sembrò il rintocco di una campana funebre. Non chiamò la cameriera per raccoglierla, al momento non voleva vedere nessuno, persa nel filo dei suoi ragionamenti.

Non era solo il timore per se stessa a preoccuparla oltremodo e se ne stava rendendo conto in modo sempre più netto. Elroy aveva avuto molto tempo per riflettere e si stava accorgendo di quanta cattiveria albergasse nell'animo di Eliza e Neal: sapeva che avevano un odio viscerale verso Candice, ma tutto ciò era veramente troppo.

Non riusciva a togliersi dalla testa che, per quanto lei stessa desiderasse che quella ragazza orfana uscisse dalla famiglia, specie ora che sembrava essersi avvicinata così pericolosamente a William, non le avrebbe mai augurato la morte.

E la morte l'aveva sfiorata per ben due volte. Anzi, ancora non sapeva come sarebbe andata e i suoi pensieri andarono, ancora una volta, a suo nipote.

Certo, se Candice avesse smesso di esistere il problema sarebbe stato risolto in un lampo, ma a che prezzo? Aveva ben visto l'infelicità e il gelo che erano calati su di lui quando gli era arrivato quel telegramma per sbaglio.

No, la cosa più giusta sarebbe stata che Dio risparmiasse la vita a quella povera sfortunata e che William mettesse la testa a posto, dimenticasse la sua infatuazione e si sposasse con una delle gentildonne che gli aveva presentato più volte.

Doveva essere più fiduciosa. Qualunque cosa avessero combinato quei due scapestrati non sarebbe mai venuta a galla e tutto sarebbe stato dimenticato.

La vita sarebbe andata avanti.

Così sperava Elroy Ardlay mentre sorseggiava il suo tè pomeridiano con la mano che tremava leggermente.

- § -

Annie guardò il volto pallido di quella che considerava sua sorella e, ancora una volta, pregò per lei con gli occhi pieni di lacrime. Le aveva parlato a lungo, come facevano tutti a turno, dopo aver convinto a fatica Albert a tornare a casa per riposare un po'.

Era incredibile come quel ragazzo così solare e gentile si fosse ridotto. Ormai non riusciva quasi più a distinguere la differenza tra lui e la povera Candy. L'unica cosa che non li accomunava era l'immobilità di quest'ultima, che sembrava quella della morte.

Fuori dalla stanza, udì la voce di Archie e il suo cuore prese a battere più forte. Non sopportava di essere ancora innamorata di lui, ma doveva ammettere che, nonostante le prime reazioni, in quel periodo il ragazzo era molto cambiato: paradossalmente, ora che Candy era in coma, le poche volte che s'incrociavano sembrava trattarla con più affetto di quando erano fidanzati. Era come se si fosse pentito o provasse rimorso, anche se poteva benissimo sbagliarsi.

Il colpo che aveva dato ad Eliza e le sue reazioni di dolore erano stati più che giustificati, dal suo punto di vista. Ma erano anche prove inoppugnabili dei sentimenti che provava per Candy. La amava, ne era certa, e lei sarebbe sempre rimasta la seconda.

Non voleva fare questi pensieri mentre Candy giaceva in un letto di ospedale, ma non poteva farne a meno. Ricordava ancora la conversazione che avevano avuto solo pochi giorni prima e quei sentimenti di oscura gelosia degni di Eliza Lagan che stavano inquinando il suo cuore.

Il senso di colpa le penetrò, affilato, nel petto.

"Candy, vorrei tanto che mi dessi un consiglio, ora. Da quando ho lasciato Archie non abbiamo quasi più parlato", mormorò carezzandole i capelli. Non voleva certo tornare da lui, ma ora come ora avrebbe voluto sfogarsi con Candy, anche se era in qualche maniera la sua rivale. Tutto, anche litigare sarebbe stato meglio che vederla così.

Bussarono alla porta e Annie seppe subito chi era: "Avanti", disse.

Lui entrò, bello e impeccabile come sempre, e dovette distogliere lo sguardo prima di arrossire, accidenti a lei!

"Che ha detto il dottore, oggi?", le chiese con tono pacato.

Scosse la testa: "È come prima. Non è cambiato nulla".

Archie sospirò, si passò una mano tra i capelli e prese una sedia, sulla quale sedette al contrario, le braccia ripiegate sullo schienale e il mento poggiato sopra: "Albert è tornato a casa?".

"Sì, lo abbiamo convinto con grande fatica io e papà. Sono sicura che prima di sera sarà di nuovo qui".

Con lo sguardo posato su Candy, Archie continuò: "Sta rischiando di ammalarsi anche lui. Io cerco di stare dietro a tutto, con George, ma non è facile con il pensiero che lei potrebbe... in ogni momento...", s'interruppe, provato.

"Non dirlo, Archie! Lei non morirà", dichiarò con voce tremante, sentendo le lacrime riaffiorare.

"Se solo potessi far parlare quei maledetti fratelli Lagan!", disse frustrato alzandosi, colpendo la sedia con un pugno e facendola sussultare.

"E anche se fosse? Non servirebbe a riportarla indietro!", ribatté asciugandosi gli occhi.

"No, ma servirebbe per fare giustizia", concluse. "Annie... io vorrei parlarti...".

"No", rispose decisa, alzandosi in piedi. "Non abbiamo più nulla da dirci e non è il momento".

"Ma, Annie", tentò ancora lui raggiungendola.

"Ho detto di no!", si adirò schiaffeggiandogli via la mano che stava avvicinando.

Si fronteggiarono per qualche istante e Annie gli lesse negli occhi uno stupore molto simile a quello che gli aveva visto sul volto quando lo aveva baciato.

"Non sono più quella di prima, Archie. Non dopo aver capito che stavamo sbagliando tutto. Non sarò la tua seconda scelta, te l'ho già detto. Vuoi che ti perdoni? L'ho già fatto, perché la colpa è stata innanzitutto mia, che ho voluto essere così cieca e illudermi che il tuo fosse vero amore".

"Ma il mio era... è amore!", disse in tono di supplica.

Annie deglutì, cercando ancora una volta di non accontentarsi di quelle parole: "Me l'hai spiegato bene, Archie. Io voglio che l'uomo che mi ama desideri solo me, per come sono, con i miei pregi e con i miei difetti. Totalmente, senza riserve. E senza lo spettro di un'altra donna tra noi. Ora scusami". Lo superò mentre usciva, prima che potesse ribattere qualcosa, portandosi la mano alla bocca per sopprimere i singhiozzi.

Voleva solo tornare a casa e non vederlo più.

- § -

La bara era stata calata nella fossa e lui era pronto a suonare la cornamusa per lei un'ultima volta. Indossava il kilt, come quando l'aveva incontrata e come quando le aveva confessato la sua vera identità sulla collina di Pony.

Ma la melodia non uscì, perché mani invisibili lo stavano strozzando.

Perché sei morta di nuovo, Candy? Io ti amavo...

"Non fare la donnicciola, William! Sii uomo! Suona per la tua Candy!". Quella voce... a chi apparteneva quella voce? Era di uno degli anziani che aveva partecipato al funerale di sua sorella Rosemary, tanti anni prima.

Si guardò le mani, le braccia, le gambe e l'abito e si rese conto di avere di nuovo circa dieci anni. La zia Elroy piangeva in silenzio accanto a lui e c'era anche suo padre.

Ma che diavolo...?

Le fosse erano due e i nomi sulle croci quelli di Candy e di Rosemary, con le rispettive date di nascita e morte. In mezzo a loro c'era un Anthony all'apparenza quindicenne

l'età in cui è morto.

che lo superava già in altezza di alcuni centimetri.

È tutto sbagliato.

Eppure, anche se le date e le età non coincidevano con la realtà, Albert si ritrovò a fissare gli occhi azzurri di suo nipote, appena più scuri dei propri, finché non parlò: "Mi dispiace che sia andata così. Non perdere mai la speranza".

Aprì la bocca, ma ne uscì solo un gemito soffocato.

Quale speranza? Sono morte, non c'è più nulla che io possa fare per loro!

Dietro di sé, udì il suono di due cornamuse: erano Archie e Stair, che davano l'ultimo saluto alle due donne con gli occhi chiusi e un'espressione di dolore sul viso. Abbassò lo sguardo verso l'imboccatura della sua cornamusa e vide cadere una goccia. Due gocce. Tre.

Si svegliò di soprassalto, sentendo un liquido caldo scivolargli lungo tutto il viso, fino al collo. Per poco non cadde dalla poltrona del suo ufficio: era lì che si trovava ed era lì che si era addormentato.

"Che razza di incubo assurdo", borbottò asciugandosi la faccia con un braccio. Il sogno era così vivido che aveva pianto davvero.

In un impeto di superstizione, afferrò il telefono e chiamò l'ospedale, dove gli confermarono che le condizioni della signorina Candice White Ardlay erano stazionarie. Non c'era nessuna novità.

Si rimise appoggiato allo schienale con un sospiro, sentendosi esausto. Prima di tornare da Candy doveva assolutamente mangiare qualcosa o si sarebbe ammalato sul serio. Su una cosa avevano ragione, Archie e gli altri: se fosse finito in ospedale anche lui, non le sarebbe stato di nessun aiuto.

Alcuni fogli sulla scrivania attirarono la sua attenzione. Erano arrivati per posta perché lui li firmasse e riguardavano la vendita di alcune merci per cui doveva dare il consenso. Li lesse distrattamente, rendendosi conto a malapena che mancava l'allegato con la lista dei materiali. Alzò le spalle, fidandosi dei suoi intermediari e non volendo perdere troppo tempo: il giorno dopo avrebbe chiesto ad Archie di occuparsi dei documenti mancanti.

Firmò i fogli e chiamò un segretario perché li inoltrasse all'ufficio competente, poi salì in camera, fece una doccia e scese a cena. Era solo nella sua villa di Chicago e gli parve enorme. Se la questione con i Lagan si fosse rivelata un buco nell'acqua, entro pochi giorni loro se ne sarebbero tornati in Florida e la zia Elroy si sarebbe di nuovo stabilita lì con lui.

Prese svogliatamente un'ultima cucchiaiata di zuppa, mettendo da parte il pane, e maledì il destino.

In quella villa avrebbe voluto andarci a vivere con Candy, quando si fossero sposati. Sarebbe stata la nuova matriarca e quella grande casa vuota si sarebbe presto riempita delle voci dei loro bambini. Ne voleva almeno tre, o forse quattro o anche di più...

Si alzò da tavola, lasciando la cena a metà, gettando via il tovagliolo che aveva sulle gambe con un gesto stizzito. Quei sogni sembravano lontani anni luce.

"Non perdere mai la speranza", gli aveva detto il suo caro nipote in sogno.

Oh, Anthony, se solo potessi crederti!, si disse mentre afferrava la giacca e si dirigeva in auto. Non voleva disturbare l'autista e nemmeno George. Sarebbe tornato in ospedale da solo e avrebbe passato la notte accanto a Candy: quando si fosse svegliata voleva trovarsi con lei.

Perché Candy si sarebbe svegliata e i suoi occhi pieni d'amore sarebbero stata la prima cosa che avrebbe visto.

- § -

La zia Elroy stava passando davanti allo studio quando udì i rumori provenire dall'interno. Qualcuno stava bisbigliando e ridacchiando.

"Chi c'è là!", disse con voce stentorea, per poi pentirsene subito dopo: e se fossero stati dei ladri che si erano introdotti furtivamente approfittando della scarsità di personale? Dio, non vedeva l'ora che la polizia mettesse fine a quella tortura, che Sarah tornasse a riprendersi i suoi figli o li invitasse a tornare da soli così che lei potesse finalmente andarsene a Chicago.

Sulla porta apparvero Neil ed Eliza e lei piantò gli occhi nei loro, alternativamente: "Cosa stavate facendo nello studio di William?", chiese in tono duro.

"Ecco, noi...", cominciò Neil.

"Zia, noi cercavamo dei documenti che ci ha chiesto Archie al telefono ma non li abbiamo trovati. Domattina lo chiameremo, non ti preoccupare. Vuoi che ti accompagni in camera? Mi sembri stanca", concluse Eliza in tono convincente.

Il suo istinto le urlava che c'era qualcos'altro che stavano tramando, seppure alla fine nessuno avesse indicato loro come colpevoli per l'incidente di Candice. Ma, d'altra parte, stava davvero dubitando della correttezza dei membri della sua stessa famiglia? Nonostante il fastidio e il disagio di quegli ultimi giorni, c'erano dei momenti in cui pensava che l'età e i discorsi di suo nipote le facessero vedere fantasmi dove non esistevano.

Doveva per forza essere così, si stava tormentando inutilmente.

Certo, Neil ed Eliza non erano due santi, capiva bene che il loro comportamento non era mai stato immacolato. Ma quel sentimento di sospetto non la stava portando a nulla.

Forse, dopotutto, Eliza voleva mettere in difficoltà Candice e la poveretta era caduta da cavallo da sola.

Forse, dopotutto, il chiodo era stato messo male da qualcun altro senza intenzione.

E forse, dopotutto, stavano veramente cercando un documento per aiutare Archie che si stava facendo carico da Chicago degli affari di famiglia mentre William a malapena era presente.

Si voltò senza una parola cominciando a salire le scale, pensando che voleva solo prendere il suo calmante per il mal di testa e dormire. Dietro di lei, sentì i passi educati di Eliza seguirla come promesso.

Senza alcun motivo, un brivido le salì lungo la schiena.

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Angolo dei commenti:

Guest 1: Purtroppo la famiglia di Albert, specie i componenti con cognome "Lagan", non è affatto un esempio di virtù. In mezzo a questo vortice, il poveretto ora è diviso tra la preoccupazione per Candy che è ancora in coma e il piano malefico che i due fratelli stanno tramando...

Guest 2: La disperazione del povero Albert è più che giustificata, aveva appena ritrovato Candy e già sta rischiando di perderla di nuovo. Terry non sta molto meglio, ma almeno ha Karen che gli dà delle lavate di capo colossali! XD Neil ed Eliza non hanno finito di fare danno, a questo punto si sono messi in testa di fare davvero di peggio...

Elbroche: Eliza e Neal vogliono proprio questo: far arrestare tutta la famiglia, incluso il nostro Albert! Le loro losche trame in realtà non sono colpa della zia Elroy, perché quei liquori sono proprietà di famiglia. Semmai la zia ha la colpa di non essersi imposta di più con loro!

Elizabeth: I fratelli Lagan sembrano davvero aver scoperto un tesoro in quella cantina e i loro piani diabolici stanno già "frullando" nelle loro teste marce! La zia Elroy, nonostante i dubbi, ancora non si è mossa, ma lo farà? E, soprattutto, lo farà in tempo?

Mia8111: Grazie mille, ecco a te il capitolo!