Ritorno a casa
Frannie Hamilton si sentì di nuovo a casa, nonostante fosse al lavoro. Il Santa Joanna sembrava immutato, anche se nessuna delle sue colleghe, a quanto pareva, si trovava più lì: da quello che le avevano riferito molte erano state trasferite, altre erano partite a loro volta come crocerossine volontarie.
I suoi passi risuonarono sordi sul pavimento lucido, nel silenzio della sera. La sala infermiere era deserta e indossò l'uniforme che era riposta nell'armadietto, controllandosi allo specchio con cipiglio attento per verificare che il cappello fosse dritto.
Si predispose al suo turno di notte con uno spirito nuovo, grata per essere sopravvissuta alla guerra e per quel ritorno alla quotidianità, colma di tutte le esperienze accumulate. Certo, ci voleva una freddezza come la sua per sopravvivere indenni anche psicologicamente alle urla, alle morti e al sangue dei campi base, ma ora di sicuro sarebbe stata più forte di prima.
Sorrise leggermente mentre si apprestava a controllare la lista dei suoi primi pazienti di Chicago dopo tanto tempo. Un uomo vittima di un incidente stradale. Un altro coinvolto in una rissa. Una donna che aveva avuto un parto difficile e... un momento!
"Oh, mio Dio", le uscì di bocca prima che potesse trattenersi.
Bastò un nome perché la proverbiale freddezza di cui si era quasi vantata con se stessa pochi istanti prima s'incrinasse. Nella lista dei pazienti figurava Candice White Ardlay, in coma da dieci giorni per una caduta da cavallo.
Ci dev'essere un errore.
Candy le aveva scritto qualche tempo prima, per congratularsi con lei dei riconoscimenti avuti e per confessarle quanto l'ammirasse. Inoltre, le aveva raccontato un mucchio di cose della sua vita. Che diavolo le era successo? Come aveva fatto a cadere da cavallo?
Aveva affrettato il passo mentre si dirigeva nella sua stanza e, per un attimo, si aspettò che la direttrice la redarguisse per la sua fretta come faceva una volta con la sua sbadata collega. Invece non incrociò che un medico e qualche altra infermiera.
Fuori dalla stanza di Candy c'era un ragazzo con lo sguardo triste, seduto su una sedia. Lo aveva già visto? Non ricordava.
"Buonasera, sono l'infermiera Hamilton, vengo a controllare i segni vitali della paziente, c'è qualcuno nella stanza con lei?", chiese nel suo tono più professionale.
Lui alzò lo sguardo stupito, come se non l'avesse neanche sentita arrivare: "Eh? Oh, sì, c'è la mia fid... una nostra amica comune".
Annuì, bussando alla porta e una voce femminile le disse di entrare. Quando la vide, stesa in quel letto e attaccata alle flebo, pensò che avessero commesso un errore con il nome o che lei fosse entrata nella stanza sbagliata: quella non poteva essere Candy.
Frannie aveva visto le vittime della guerra, emaciate e malnutrite, ma non era pronta a vedere un'infermiera, solitamente vitale e in salute, in quelle condizioni. D'altro canto, se era in coma davvero da oltre una settimana non la stupiva che fosse dimagrita tanto. Il volto era cereo, persino le lentiggini che aveva sul naso sembravano sbiadite.
Nonostante il suo carattere forte e le brutture vissute in guerra, le fece male vedere Candy così: non lo avrebbe mai ammesso, ma si era affezionata a quella sbadata impicciona.
Dopo le dovute presentazioni, provvide a controllare il battito cardiaco e a misurare la temperatura. Il suo cuore era molto debole e, anche se di fibra forte, non avrebbe resistito a lungo senza alimentarsi adeguatamente.
Lei però tacque e non lasciò intravedere alcuna emozione sul suo viso. O, almeno, così sperava.
"Infermiera, cosa c'è che non va? Candy sta male?", chiese la ragazza mora alle sue spalle che aveva detto di chiamarsi Annie Brighton.
Frannie si sistemò gli occhiali sul naso con un gesto meccanico e optò per una mezza verità: "Oh no, non c'è nulla di strano nei suoi parametri vitali, considerate le condizioni. Il fatto è che conosco Candy da molto tempo, una volta eravamo colleghe".
Quando si voltò, le parve di leggere sul viso della donna qualcosa di simile alla comprensione: "È strano vederla così, vero? Voglio dire...".
"Sì", rispose, incapace di dissimulare. Stava per dire qualcosa rispetto ai casi assurdi della vita: lei era stata una crocerossina ed era sopravvissuta, mentre Candy lottava tra la vita e la morte. Ma proprio in quel momento la porta si spalancò e il giovane di poco prima entrò con un uomo appoggiato a sé, evidentemente sull'orlo di uno svenimento.
"Infermiera, la prego, ci accompagni da un dottore, mio zio sta male! Credo che abbia la febbre alta!", disse trafelato, mentre la mora si avvicinava con un'esclamazione di stupore.
"Bene, signori, vi accompagno in sala medici, ma abbiate cura di abbassare la voce. Siamo nella stanza di una paziente", disse cercando di riportare la calma.
Con un po' d'imbarazzo, il ragazzo la seguì e lei, una volta accertatasi che l'uomo potesse camminare con il suo sostegno, li condusse dal medico. Ne approfittò per consegnargli anche il foglio su cui aveva appuntato i parametri di Candy, evitando di dirlo ad alta voce per non far agitare i due uomini alle sue spalle.
"Perfetto, signorina Hamilton, esca fuori con questo giovanotto mentre visito il signor Ardlay, poi termini pure il suo giro".
Il signor Ardlay? Un momento...
"Dottore, mi lasci andare da Candy, sto meglio. È stato solo un capogiro", protestò l'uomo cercando di alzarsi. Frannie lo costrinse a rimanere seduto e improvvisamente ricordò dove lo avesse già visto.
Questo è il patriarca degli Ardlay che ha fatto la sua presentazione in tempi recenti! Nonché il paziente della stanza numero zero, l'amico di Candy che aveva perso la memoria! Me lo ha scritto in una delle sue lettere! Ed è anche...
Esitò un istante, fissandolo, poi si riscosse e gli intimò di farsi visitare.
"L'infermiera Hamilton ha ragione, signor Ardlay, tanto più che dobbiamo escludere una forma virale per preservare la salute della signorina Candice, quindi si sdrai sul lettino e lasci che la controlli", intervenne il medico.
Lui parve arrendersi e finalmente Frannie si chiuse la porta alle spalle.
"Accidenti, gliel'avevo detto che a forza di non dormire e non mangiare si sarebbe ammalato!", borbottò il ragazzo passandosi le mani tra i lunghi capelli.
"Sta qui tutte le notti?", chiese sconvolta.
"Oh sì, e se non glielo impedissimo ci starebbe anche tutto il giorno!".
Frannie deglutì. Doveva sapere, a quel punto la curiosità ebbe la meglio sulla sua professione: "Credo che suo zio sia stato nostro paziente quando era senza memoria. Candy era mia collega e all'epoca mi scriveva spesso perché ero al fronte, quindi so tutta la storia. So che si è presa cura di lui".
Lui la guardò con un sorrisetto imbarazzato e lei si morse la lingua: aveva davvero parlato troppo, quello era un comportamento degno di Candy.
"Già, a quei tempi non sapevo neanche io chi fosse veramente. Per tutti era solo il nostro amico Albert", disse con sguardo remoto.
"Mi scusi, non volevo essere indiscreta", disse sperando di non arrossire.
Il suo tutore legale. Lo smemorato che Candy aveva curato con tanta devozione, dichiarando che era suo amico da tanto tempo, e che poi aveva scoperto essere nientemeno che il capostipite di una delle famiglie più importanti di Chicago. Si chiese come fosse possibile che, sulle prime, la sua ex collega pensasse che fossero due persone diverse, poi ricordò che non aveva mai avuto modo di conoscere il suo fantomatico prozio William.
La sua vita doveva essere stata davvero ricca di sorprese!
"Quindi conosceva Candy? Ma certo, ora ricordo! Lei è... il gendarme!". Quella frase la fece ripiombare con i piedi per terra.
"Come scusi?", Frannie pensava di non aver capito bene.
Il giovane si coprì la bocca, evidentemente a disagio: "Mi... mi perdoni. Volevo dire che mi ricordo di lei: è la collega che sgridava sempre Candy quando era in ritardo. Venivamo spesso a trovarla qui in ospedale durante le pause". I suoi occhi si fecero malinconici.
Nonostante l'appellativo, era quasi divertita e gli fece un piccolo sorriso: "Sa, mi hanno chiamata in tanti modi, ma 'gendarme' mi mancava. E mi creda se le dico che è uno degli aggettivi più gentili fra quelli che mi riservano di solito". L'aveva fatto di nuovo: aveva parlato troppo. Lui si limitò a guardarla con gli occhi spalancati, come se non capisse il motivo di così poca gentilezza nei suoi confronti. "Bene, torno a fare il mio giro. State tranquilli per Candy, è in buone mani ed è forte. Buona sera".
Gli voltò le spalle senza guardare la sua reazione, udendo a malapena il suo saluto.
Alla fine, la guerra l'aveva cambiata. Frannie Hamilton stava riconsiderando il contatto umano, che tanto aveva rinnegato a causa di una famiglia che non l'amava. Nascondere sempre e comunque i propri sentimenti non faceva certo di lei un'infermiera più professionale di ciò che era.
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"Le impronte digitali, capisci?! Hanno preso le impronte digitali di una signorina!", strepitò Eliza facendogli venire un principio di mal di testa. In quel momento, Neil si sentì come la zia Elroy.
Cadde a sedere sulla poltrona alle sue spalle e ruotò la testa da un lato all'altro per allentare i muscoli indolenziti del collo. Troppa tensione durante quegli ultimi giorni, per i suoi gusti.
"Lo hanno fatto anche con me, se ti può consolare. Come se potessero trovare qualche corrispondenza sulle zampe luride di quel cavallo".
"Allora? Pensi che lo zio abbia già firmato quei documenti senza allegati?", cambiò discorso sua sorella guardandolo con una luce impaziente negli occhi. Non la smetteva di camminare avanti e indietro per la sua stanza mordicchiandosi le unghie o gesticolando e lui ebbe l'impulso di dirle di piantarla, una buona volta.
"E che ne so, non sono mica un indovino! Piuttosto, dobbiamo fare molta attenzione alla prossima fase che è cruciale. Bisogna far recapitare due casse di quel whisky senza destare sospetti", riportò la conversazione a temi più urgenti sporgendosi un po' in avanti con le mani sui braccioli.
Eliza lo liquidò con un gesto della mano, finalmente si era fermata: "Oh, tranquillo, la servitù è ridotta all'osso, ci sono solo un cuoco e la cameriera personale della zia che ogni tanto aiuta anche me. Dormono nell'ala più lontana della casa, distanti dalle uscite. Sarà un gioco da ragazzi".
Neil sentì la rabbia montagli dentro: "Dannazione, Eliza, parlo della zia Elroy! Possibile che solo io mi sia accorto di quanto sospetti di noi due? L'altra sera ci ha quasi scoperti!". Sbatté un pugno sul rivestimento morbido e sospirò, frustrato.
Avevano fatto gran parte del lavoro, facendo sparire persino l'allegato con la specifica delle merci.
"Perché diavolo dobbiamo fare questo passaggio?", gli aveva chiesto lui quel giorno, poco convinto.
Eliza aveva alzato gli occhi al cielo: "Perché se l'allegato sparisce la cosa sembrerà ancora più sospetta! Ma devo dirti tutto io?".
Non sapeva bene come operassero le maglie della malavita, ma tutto era filato abbastanza liscio. Ora, però, temeva che si sarebbero arenati proprio sul punto focale del piano.
Guardò sua sorella giocherellare con il braccialetto che aveva al polso, gli occhi fissi sull'oggetto come se stesse pensando a qualcosa che non voleva dire.
Si accigliò.
Finalmente, lei si decise a parlare: "Sai, il medico di recente ha prescritto alla zietta un calmante per i suoi mal di testa".
Deglutì a secco e, improvvisamente, capì. Capì che era stata lei a manomettere quel dannato zoccolo, perché sua sorella, il sangue del suo sangue, non si accontentava più di distruggere la vita delle persone. Era pronta a far loro del male fisicamente fino alla morte.
"Tu sei pazza", dichiarò alzandosi per andarsene.
"Dove vai, imbecille?!", lo redarguì a denti stretti, artigliandogli una spalla con le unghie.
Le schiaffeggiò via la mano: il loro rapporto, che sembrava ricucito dall'interesse comune di rovinare lo zio, si stava per rompere definitivamente.
"Non rischierò la vita della zia come ho fatto con quella di Candy. Non sono un assassino", dichiarò.
"Non l'hai rischiata certo tu la vita di Candy, razza di vigliacco!", ribatté lei con cattiveria, per poi stringere le labbra come se avesse detto troppo.
Aveva ragione, allora.
La prese per le spalle, stringendola con forza: "Come hai fatto? Dimmelo! Tu non sai niente di cavalli!".
Lei sembrava terrorizzata: "Non ho detto che sono stata io!", pigolò istericamente.
"Invece è come se l'avessi detto e io ne sono più che certo! Dimmi come diavolo hai fatto!", s'infuriò lui, volendo finalmente uscire da quell'incubo nel quale tutti sembravano voler puntare il dito su di lui.
"Un libro... l'ho letto in un libro! Lasciami, mi stai facendo male!".
Un libro? Sua sorella era arrivata a tanto? Studiare su un libro e intervenire personalmente? Glielo chiese, senza distogliere lo sguardo gelido da lei.
"Sì, sì, va bene? Ho dovuto bruciare il vestito nel caminetto perché ero piena di fango e quel dannato cavallo ha cominciato a nitrire, così ho dovuto usare un sedativo che tenevamo di scorta! Sono stata costretta a indossare dei guanti per non rovinarmi le mani e ho rischiato di fallire, ma sì, sono stata io, contento? Ma se andrai a raccontarlo in giro non ti crederà nessuno, sei cosciente di questo?".
Neil era senza fiato e senza parole. La signorina viziata, che architettava i peggiori dispetti ed era stata persino la causa dell'espulsione di Candy dalla scuola, si era trasformata in una micidiale macchina vendicativa. Tanto da sporcarsi le mani personalmente.
"Volevi ucciderla? O eri spaventata come sembravi, quando è caduta?", le domandò lasciandola andare, svuotato di ogni energia.
"Volevo farle del male e se fosse morta non mi sarebbe importato molto. Però è vero, per un attimo mi sono spaventata". Eliza abbassò gli occhi, come se si vergognasse di quel sentimento.
"Per un attimo? Solo per un attimo? Non ti sembra di esserti spinta troppo in là con questa tua mania di vendetta?". Neil era davvero esterrefatto e allargò le braccia, esasperato.
"Oh, insomma, avevo preventivato che si rompesse un braccio o una gamba! E comunque ora è acqua passata, dobbiamo pensare al piano in cui tu mi hai coinvolto", ribadì puntandogli contro un dito come un'arma.
Acqua passata: come se Candy fosse salva e in salute, in quel momento.
Una strega. Ecco cos'era sua sorella. E lui, d'altro canto, non era da meno, pur non intendendo colpire fisicamente nessuno.
"Quindi che vuoi fare, avvelenare la zia Elroy con la sua stessa medicina mentre noi organizziamo la consegna?", le chiese ironico, quasi temendo la risposta.
"No, idiota, ma aumenterò un po' la dose in modo che dorma più profondamente".
Neil cominciò a sudare. Non gli piaceva. Per niente. Si sentiva come se si fosse infilato in una strada senza uscita: non poteva avanzare ma neanche tornare indietro.
"E se morisse? Santo Dio, Eliza, se il suo cuore non reggesse?! Leggerai nei libri anche le dosi di medicinale perché non siano letali?", chiese andando nel panico, la gola secca.
"Insomma, smettila di comportarti come un bambino impaurito! Ci siamo dentro fino al collo e dovrai fidarti e basta! Oppure hai un'altra idea per avere la certezza che non ci scopra?".
Tacque, poi tentò: "Se facciamo molto piano e usiamo l'uscita sul retro...".
Eliza lo sorprese con la sua reazione e, per un attimo, temette che volesse uccidere lui. Lo afferrò per il colletto della camicia come aveva fatto suo zio e, anche se non con la stessa forza, strinse tanto che per qualche istante gli mancò il fiato: "Stammi a sentire, fratellino: hai avuto l'idea più geniale che ti sia mai venuta in mente in tutta la tua vita, una che neanche io avrei potuto concepire! Abbiamo preso i nostri contatti con gente che ora si aspetta che tutto vada a buon fine e che quando diventeremo straricchi ci chiederà dei soldi in cambio. Arrivati a questo punto non solo rischieremmo di perdere un'occasione davvero unica, ma anche che qualcuna di quelle persone se la prenda con noi. Lascia che ti ricordi che quella gente potrebbe non maneggiare zoccoli di cavalli, ma armi vere!".
Era vero, che il Cielo li aiutasse. Trafficanti di droga e alcool, non certo persone tranquille. Neil strinse gli occhi, cercando di contenere il panico, ma cominciò a sudare ancora più copiosamente: "Va bene, facciamolo, ma ti prego di essere prudente. Voglio tornare in Florida senza morti sulla coscienza".
Inclusa Candy, stava per dire, ma si trattenne. Era certo che Eliza avrebbe ricominciato con la storia dell'innamoramento e, a dire il vero, attualmente l'unica cosa di cui era innamorato Neil era la propria pelle.
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Angolo dei commenti:
Kecks: Quando ho scelto il titolo per la storia (con grande fatica come mi capita per tutti i titoli, lo ammetto), l'ho fatto cercando anche di rispecchiarla il più possibile. E sì, hai ragione tu, il cammino è DAVVERO lungo, in questi capitoli perlomeno per colpa dei fratelli Lagan. Spero però che la storia continui ad appassionare anche se non è breve. Un abbraccio, alla prossima!
Elizabeth: Hai ragione, la zia Elroy potrebbe fare qualcosa, ma mettiti nei suoi panni, anche se non è facile: è talmente abituata a stare dalla parte dei suoi nipotastri Lagan che le sembra impossibile che siano arrivati così avanti. Chissà se agirà per tempo... comunque anche io sono arrabbiata con lei, anche se la storia l'ho scritta io XD
Guest: Hai ragione, le cose in ballo sono talmente tante che sono persino tesa io mentre lo rileggo! (non ti dico mentre lo scrivevo XD). Candy è in coma e Albert non sa più dove sbattere la testa, in tutto questo Archie sta lottando per riavere Annie ma lei giustamente non vuole essere una seconda scelta. E la zia Elroy, che tutte ci chiediamo perché non si faccia avanti? Anche lei vittima dei dubbi... Grazie per le tue parole, alla prossima!
Elbroche: I Lagan hanno raggiunto livelli di malvagità impensabili, vero? Ora tutto si gioca sul risveglio di Candy e sul buon senso di Neal e della zia Elroy. Incrociamo le dita...
